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Autore: Red_Coat    24/11/2017    2 recensioni
Questa è la storia di un soldato, un rinnegato da due mondi. È la storia del viaggio ultimo del pianeta verso la sua terra promessa.
Questa è la storia di quando Cloud Strife fu sconfitto, e vennero le tenebre. E il silenzio.
Genere: Angst, Guerra, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cloud Strife, Kadaj, Nuovo personaggio, Sephiroth
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Più contesti
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- Questa storia fa parte della serie 'L'allievo di Sephiroth'
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Una bambina.
Il secondo figlio di Victor e Hikari, fratellino minore quindi del piccolo Keiichi, sarebbe stata una bella bambina che, almeno per quanto sperava suo padre, sarebbe stata il più possibile somigliante alla mamma.
Era un piovoso giorno di inizio maggio quando lo scoprirono, nella piccola stanzetta dell'ecografo nello studio della ginecologa che seguiva la gestante.
Victor la sera prima della visita non era nemmeno riuscito a dormire, tanto era emozionato. Nello stringergli le mani Hikari, che avrebbe dovuto esserlo più di lui, lo sentì tremare e gli sorrise intenerita, ricevendo in cambio lo stesso gesto e un delicato baciamano.
 
« Beh, sembra che vada tutto bene. » disse la dottoressa con un sorriso, voltandosi a guardarli « Il piccolo è in salute, tutti gli organi al posto giusto, ben sviluppato. Sarà un bel bambino, anzi ... bambina, a quanto sembra. »
 
Victor alzò lo sguardo su di lei, colorando il volto di meraviglia ed emozione.
 
«È una femmina?» chiese, vedendo anche Hikari animarsi.
 
La dottoressa seguitò a sorridere affabile, annuì.
 
«Sembra di sì. Ora ch'è nella posizione giusta, vedete ...? »
 
Spostò appena un pò il magnete sulla pancia della mamma e indicò con l'indice la parte sotto al ventre del feto, in posizione supina.
 
«Niente gioiellini. È una dolcissima femminuccia.» sorrise di nuovo.
 
I due neogenitori si guardarono intensamente, un sorriso radioso ed elettrizzato stampato negli occhi.
 
«Stavolta è per te ...» disse Victor.
 
Hikari ridacchiò portandosi una mano davanti alla bocca e sfiorando con l'altra il pancione.
" Grazie un milione di volte ... " riuscì a ribattere.
 
Ma il momento più colmo di magia ed emozione avvenne subito dopo, quando arrivò la fatidica domanda.
 
«Volete sentire il cuoricino? Qualcosa mi dice che ha un bel battito forte.»
 
Victor rimase quasi spiazzato. Guardò Hikari, che annuì impaziente.
Quando il rumore del cuoricino della piccola invase la stanza, come il rumore degli zoccoli di un esercito di cavalli selvaggi in una grande prateria, l'ex SOLDIER rimase senza fiato, e le lacrime iniziarono a sgorgare dai suoi occhi commossi senza che potesse in alcun modo provare a fermarle.
Quella ... era la loro bambina.
Quella era ... vita. Il suono che faceva la vita quando esisteva, come una forza incontrastabile perfino per lui, che non poté far altro che arrendersi stretto nell'abbraccio che subito dopo Hikari gli diede, sorridendo felice e tenera.
Avrebbero dovuto attendere ancora qualche mese per conoscerla, sarebbe nata ad Agosto proprio come Keiichi, solo verso la fine.
Nel frattempo a loro sarebbe spettato il compito di prepararle una bella cameretta (avrebbero dovuto sacrificare lo studio artistico, che si sarebbe spostato sul retro della bottega d'arte), sceglierle un bel nome che le portasse fortuna nella lunga corsa della vita, e fare di tutto perché il mondo che l'avrebbe accolta e ospitata si trasformasse, almeno nei primi importanti anni della sua vita, nel gioiello più bello che esistesse.
 
«Potremmo tornare al lago ...» ipotizzò Victor qualche ora più tardi, seduto con lei a un tavolino di un ristobar a pochi chilometri da casa, prendendole con dolcezza la mano «Che dici? Anche Keiichi sarebbe più al sicuro, lì. »
 
Hikari sorrise e fece per annuire, ma qualcosa la frenò. All'improvviso, un'ombra triste spense appena la luce negli occhi di suo marito. Strinse di più la sua mano, scosse appena il capo quando lui la guardò.
Lo vide sospirare profondamente, come se avesse ad opprimerlo un peso sul cuore che non riusciva a levarsi di dosso.
 
«Io ...» iniziò titubante «Voglio proteggerlo, ma mi sento come se gli stessi tarpando le ali ... Scappare non serve. Ma non so che altro fare.» ammise, scuotendo il capo.
 
La giovane donna sorrise, gli sfiorò con le dita gli zigomi invogliandolo a guardarla nuovamente.
"Stai facendo del tuo meglio, è per lui. Keiichi è felice se ci sei tu, non importa dove." disse.
Victor annuì più volte, come se stesse cercando di convincersene.
 
«Lo so. Ma ...»
 
Appoggiando dolcemente il polpastrello dell'indice sulle sue labbra pallide e morbide, Hikari lo mise a tacere con dolcezza.
"Passerà." concluse "Passerà anche questa. E noi ce la faremo, insieme."
Victor Osaka sorrise, tornando a stringerle la mano. E sporgendosi in avanti le sfiorò con una bacio le labbra calde, approfondendo appena un pò il contatto.
Hikari aveva ragione ... voleva credere che lei avesse ragione.
Era la stessa cosa che gli aveva detto anche sua madre, di non forzare le cose e di vivere con loro al meglio, senza preoccuparsi troppo del domani.
Scappare dalla Shinra era inutile, ma lui era un ex SOLDIER, ormai lo sapevano anche i muri che era pericoloso metterselo contro.
Avrebbero semplicemente continuato a vivere, lottando per restare insieme fino alla fine qualunque fosse stata la sfida che il destino gli avrebbe posto.
Erano una famiglia in fondo. Di solito serviva a questo.
 
«Allora ...» ritornò a chiedere, dopo che quel momento fu passato «Come la chiameremo?»
 
Hikari si raddrizzò sulla sedia, appoggiò le mani sul pancione e iniziò a pensarci, accarezzandolo.
Vestiva una lunga veste azzurra dalle ampie maniche, di seta e lino legata in vita da un nastro giallo pastello, un colore che ricordava quello della corolla dei fiori nella chiesa di Aerith, quelli che sia lui che Keiichi riuscivano a creare e curare.
Le stava bene, la rendeva luminosa. E adesso, nonostante l'evidente stanchezza dovuta allo sforzo di portare tutta da sola quella nuova vita dentro di sé, la felicità esplodeva nei suoi occhi, amplificando il tutto e rendendola ancora più radiosa. Ancora una volta nel corso di quei lunghi mesi, un pensiero si affacciò alla mente di lui, lo stesso che lo aveva fatto innamorare la prima volta che l'aveva vista.
"Quel sorriso ... come fa ad averlo così ... ancora, e ancora e ancora?"
Com'era possibile?
Continuò a chiederselo senza trovare risposta, anche quando la vide annuire decisa e rispondere, con la delicatezza delle sue lunghe e dolci dita che dipinsero parole nell'aria, sfiorando quella davanti a lui.
"EIKO. Bambina dalla lunga vita, splendida."
Sorrise, inclinando di lato il capo come a chiedergli un consenso.
"Perché abbia una lunga, bellissima vita e sia una donna meravigliosa, quando sarà grande. Tu che dici? Ne hai altri?"
Victor sorrise, annuì stringendo la sua mano.
 
«È un nome strepitoso ...» replicò, annuendo convinto «Io ... in realtà avevo pensato ad Aisha.» aggiunse, corrucciandosi un pò nel tentativo di ricordare «Non mi ricordo di preciso dove l'ho sentito, devo aver letto in qualche libro che significa ... Vita, o qualcosa del genere.»
 
Hikari lo guardò sorpresa e ammirata.
Osaka sorrise arrossendo e abbassando appena gli occhi, imbarazzato.
 
«Io ... è stata la prima cosa che mi è venuta in mente quando ho sentito il battito del suo cuore.» ammise, sfiorando con gli occhi il pancione «Mi è rimasto in testa da allora.»
 
La donna annuì di nuovo, continuando a sorridere e sfiorando con una carezza il suo viso.
"Allora c'è poco da decidere." concluse, tornando a stringergli la mano per poi posarla assieme alla sua sul pancione "Si chiamerà Aisha."
E proprio in quel momento la creatura scalpitò contenta, illuminando di gioia il viso di entrambi.
Risero, sfiorandosi naso contro naso e appena le labbra con un bacio.
 
«Sembra le piaccia ...» mormorò innamorato Victor.
 
Hikari sorrise annuendo, legandogli poi le braccia dietro la nuca e baciandolo, con tutto l'amore che aveva in corpo.
Era stanca, davvero. Ma era proprio questo a rendere prezioso quell'attimo, la forza di Victor che scacciava la fatica e la sua dolcezza che mitigava l'animo impervio del suo sposo.  Non lo avrebbe scambiato con nessun altro esistente al mondo.

\\\
 
Erriet Inuoe, gli occhi radiosi di felicità ma lucidi di lacrime e stanchi, molto stanchi, arrossati, salutò con un sussurrato ti voglio bene il suo unico figlio e poi mise giù la cornetta del telefono, chiudendo la conversazione.
Si voltò lentamente a guardare suo marito, seduto sulla vecchia poltrona davanti alla TV a sorseggiare un caffè, guardando il telegiornale della sera.
 
«Yoshi ...» lo chiamò, supplicante quasi, ma lui non rispose né le diede qualunque altro segnale d'attenzione. 
 
Ovviamente. Come succedeva ormai da quattro lunghi mesi.
La trattava come fosse un fantasma, senza dire o fare nulla e senza mostrarle alcun tipo di sentimento.
Perfino Yukio aveva provato a parlargli, ma nel gelo più totale la sua unica risposta era stata: "Prima di tutto ... gradirei sapere chi sono davvero le persone che dicono di essere mia moglie e mio figlio. Perché adesso per me sono solo estranei che pensavo di conoscere."
Nemmeno il medico aveva potuto dargli torto, o opporsi.
E così le cose avevano iniziato lentamente a farsi sempre più difficili, e lei a sentirsi sempre più sola, non fosse stato per Victor, Hikari e Keiichi che ogni tanto venivano a farle visita, Victor quasi ogni giorno in realtà.
Nemmeno tra di loro padre e figlio osavano scambiarsi parola, gli unici che sembravano ancora beneficiare del suo aiuto e della sua presenza erano Hikari e Keiichi.
Il che era un bene, ma il solo fatto di vederla dimagrita e sbiancata, stanca ogni giorno di più, faceva preoccupare e infuriare Victor.
 
«Ancora un mese ...» le aveva detto appena un paio di giorni prima «E se la situazione non cambia vieni a stare da noi. Non gli permetto più di ridurti peggio di così, non a te.»
 
Lei lo aveva abbracciato e ringraziato, e avrebbe voluto opporsi ma la verità era che ... non riusciva a staccarsi da quello che era e continuava ad essere l'uomo della sua vita, il ragazzo forte di periferia di cui si era innamorata in giovanissima età, che l'aveva aspettata e con cui aveva cresciuto quel figlio splendido, così simile, veramente troppo simile a suo padre.
E così adesso si ritrovava in quella situazione, a metà strada tra la gioia e la disperazione più totale, senza sapere cos'altro fare.
 
«Yoshi ...» lo chiamò di nuovo, sforzandosi di sorridere «Era Victor. Sarà una bambina.» annunciò, e lo vide restare con la tazzina a mezz'aria per qualche istante, per poi sospirare e riappoggiarla sul bracciolo della poltrona, stringendola forte tra le dita.
 
Lei sorrise, annuì felice.
 
«Hanno deciso di chiamarla Aisha.» aggiunse, per poi concludere «Sono stanca, vado a letto adesso. Buonanotte.» voltandogli le spalle e dirigendosi a passo lento verso la loro camera da letto dove, una volta sotto le coperte, si lasciò avvolgere dal calore e trascinare giù dalle lacrime, fino ad addormentarsi distrutta senza che fossero neanche le otto e mezza di sera.
"Cambierà, Erriet. Cambierà.
Lo sai, è sempre stato così.
Capirà, prima o poi, e tornerà ad abbracciarti."
 
\\\

Erano le 18.15 ed era già buio, quel giorno.
Victor Osaka, dopo aver telefonato a sua madre per comunicarle la bella notizia e sincerarsi stesse bene, mise giù il cellulare sul legno dal tavolo da lavoro nello studio e si concesse qualche attimo seduto sulla poltrona girevole nera della scrivania.
Sospirò, in pensiero, e alzò lo sguardo verso le cornici di piccola e media grandezza che teneva dentro un mobile in legno diviso in piccoli scomparti aperti, almeno quindi.
Fotografie, di famiglia e della sua vecchia vita in SOLDIER. E laddove erano assenti le foto ci avevano pensato la sua memoria ferrea e le sue abili mani da pittore a rimediare, con schizzi dettagliati, spesso a matita.
I suoi occhi adesso le scorsero veloci uno ad uno, sfiorando rapidi il ricordo e poi fuggendo al prossimo.
Il sorriso di Zack, il primo giorno di fronte a Sephiroth, attimi di vita con mamma, papà, Hikari e Keiichi.
Il suo sguardo si fermò su un disegno a matita a metà colonna di sinistra, e il sorriso divenne ancor più nostalgico.
Sospirò, prese in mano la foto con la destra, aiutandosi con l'altra per sincerarsi di tenerla stabilmente.
I volti dei suoi diciassette ragazzi il primo giorno a Forte Condor lo colpirono, e in un istante ritornò li, a quei giorni e immerso in quei minuti preziosi, nella loro atmosfera triste, famigliare e anche un pò tesa.
I polpastrelli delle dita iniziarono a sfiorare uno ad uno quei volti, mentre il sorriso si allargava sulle labbra.
Il sorriso sicuro di Nigel, la spensieratezza di Jonathan, la determinazione di Katashi e lo sguardo triste e un pò cupo di Adam.
Per un attimo, un brevissimo, intenso istante, chiudendo gli occhi e concentrandosi gli sembrò quasi di sentirli di nuovo, vicino e dentro di sé. Così intensamente che perfino le loro voci tornarono vivide a scuotere il suo animo con una brezza toccante e leggera.
"Signorsì, Capitano!".
Sorrise commosso, soffermandosi sull'immagine dei due fratelli Newell e poi, rimettendo a posto la cornice trasse fuori dall'ultimo cassetto della scrivania un piccolo pacchetto regalo azzurro, legato da un nastro di seta bianco su cui era stato applicato un grazioso fiocchetto blu dello stesso materiale.

«Oggi è il suo compleanno, Nigel.» disse con un sorriso, osservando la foto «Non me ne sono scordato. Come potrei ... visto che lo hai chiamato come me?» scherzò, sorridendo appena per poi concludere, riacquistando un pò di serietà «Spero possa piacergli ... e anche a te. Gli canterò tanti auguri anche da parte tua.»
Quindi salutò con un cenno della mano, accese una piccola candela dorata che tirò fuori con l'accendino dalla tasca e appose vicino alla foto sopra l'apposito minuscolo porta candele, e infine si decise a raggiungere sua moglie e suo figlio che lo attendevano già pronti in soggiorno, impazienti di unirsi ai festeggiamenti.
Niente battaglie quel giorno. Il piccolo Victor Jr. Newell aveva bisogno di regali per il suo primo compleanno e il capitano Osaka aveva una promessa da mantenere, non ci pensava proprio a sottrarsi a quell'obbligo.
 
\\\
 
No.
Oggi no, Sephiroth.
Tutti i giorni, ma oggi no. Questo bambino che adesso mi sta in braccio e sua madre che mi guardano sono le uniche persone che aveva Nigel.
Oggi compie gli anni questo piccoletto e ha bisogno di festeggiare, di qualcuno che spenga la candelina al posto suo e che regali un sorriso a sua madre, perché è il regalo più bello per un bambino e tu questo lo sai, no?
Oggi niente battaglie, niente Cloud, niente vendetta.
Nulla che non sia relativo alla festa di compleanno del piccolo Victor Jr.
Scusami Sephiroth, ma oggi proprio non lo farò.
Non voglio farlo.
Non sto dicendo che ci sia altro più importante di te, ma ... oggi è un giorno speciale, ho fatto una promessa e devo mantenerla.
Rimani se vuoi, ti sento.  Ma oggi niente battaglie, ti prego.
Victor Jr. compie un anno, devo cantargli "tanti auguri" e ricordargli chi era suo padre.
 
***
 
Il giorno dopo ...

Erano le 23.45 di sera. Victor Osaka, calmo e pensieroso, aveva deciso, dopo aver messo a letto Keiichi e anche Hikari, stanca più del solito ogni giorno di più, e aver provato ad addormentarsi al suo fianco senza riuscirci, di indossare un jeans e una camicia e uscire a fare una passeggiata, nell'atmosfera cupa ma ormai famigliare per lui della città notturna, così bella con tutte le sue luci accese contro i muri intonacati delle case, e le pareti lucide dei reattori.
Accoglientemente soffocante.
Avvolto nel suo trench coat nero, le mani sprofondate nelle tasche, ai piedi un paio di mocassini quasi a punta in pelle nera e il naso immerso nella calda stoffa della sciarpa blu notte con le sue iniziali, regalatagli da Hikari.
Giunse alla piazza della fontana, si sedette un pò sul suo gradone in marmo bianco sporco e rimase ad ascoltare il dolce fruscio dell'acqua che usciva fuori dai getti sparati all'insù. Chiuse gli occhi, sorridendo e perdendosi nei ricordi.
Di Nigel, delle loro conversazioni seduti proprio lì che dalla prima erano poi diventate un piacevole rituale. Di suo figlio e sua moglie.
Lo aveva sognato, la sera prima dopo essere tornati a casa dalla bella festicciola che aveva organizzato per lui.
Proprio nel momento in cui si era chiesto se gli fosse piaciuto tutto ciò.
Aitante ancora nella sua divisa da guardia cittadina, sorridente, felice e commosso. Non fosse stato per quella profonda ferita ancora grondante di sangue che gli trapassava da parte a parte il ventre.
La ferita mortale.  Non aveva potuto non vederla, e lacrime erano spuntate nei suoi occhi, spegnendo per un attimo l'entusiasmo di rivederlo.

«Salve, Capitano.» lo aveva salutato Nigel facendo finta di nulla.

Nel sogno Victor aveva sobbalzato, soffocando un singhiozzo.

«Grazie per quello che ha fatto stasera, per mia moglie e mio figlio.» aveva continuato lo spettro «Sono stato felice di vederla sorridere di nuovo, per una volta. E anche Victor Jr.» aveva sorriso intenerito «Non avrei potuto scegliere padre migliore per mio figlio. È bellissima quella giostrina, lo vedo sempre guardare la mia foto e sorridere. La ringrazio ...» commosso, riferendosi al bel regalo che Victor aveva fatto al piccolo.

Una giostrina da attaccare sopra alla culla, fatta di tante piccole stelline in legno verniciato. Su alcune di esse, le più grandi e belle, c'erano foto e immagini della loro piccola famiglia e anche di Jonathan.
Mentre nel sole brillava la foto di papà Nigel.
Aveva impiegato un pò per costruirla, e in quel momento ... si sentì l'uomo più felice della terra.

«Ho fatto quello che dovevo ...» aveva mormorato, un filo di voce appena udibile, senza crederci neanche un pò, per poi incupirsi di nuovo e cercando di resistere alle lacrime alzare piano un dito verso di lui, tremante «Ma ... Nigel ... tu ...?»

"Stai ancora sanguinando. Perché? Perché stai ancora sanguinando? Non dovresti farlo."
Non ce la fece a completare la frase, ma non fu necessario.
Lo spettro capi subito cosa volesse dire, e intristendosi un poco scosse le spalle, quasi rassegnato.

«Non è niente, Capitano. Non si preoccupi, non fa male. Non ... non più ... più di tanto, almeno.»

L'ex 1st class non aveva creduto ad una sola parola

«Ma perché?» chiese, in lacrime «Perché continui a sanguinare?»

Nigel era tornato a sorridere a quel punto.

«Gliel'ho detto, Capitano. È normale. Anche Adam, John e Takeshi lo facevano, fino a qualche tempo fa. Prima che ...»

A quel punto però si era fermato di colpo, forse domandandosi se fosse il caso davvero di parlargli di questo.
Victor aveva colto quell'esitazione, e aveva insistito.

«Prima che cosa, Nigel? Dimmelo. Cosa serve per farti smettere di sentire dolore e sanguinare?»

E allora lo spettro, dopo averlo guardato con aria triste ancora per un istante, glielo aveva rivelato.

«Prima che la loro morte venisse vendicata ...»

Un silenzio rotto era caduto tra di loro. Victor aveva smesso di singhiozzare e si era fatto serio.
Aveva annuito, gli occhi ancora lucidi e il viso rosso.

«Allora non dovrai soffrire ancora per molto, Nigel.» aveva replicato, abbassando il volto e avanzando piano verso di lui «Presto smetterai di farlo anche tu, te lo prometto.»

"Quando Cloud avrà pagato il suo debito smetterete tutti di farlo."
Gli aveva strappato un ultimo sorriso commosso, con quella frase. Poi lo aveva visto annuire, portandosi una mano al petto e inchinandosi appena, è l'ultima cosa che aveva sentito prima di svegliarsi era la sua voce che lo ringraziava, di nuovo, per tutto e anche da parte degli altri.
Non aveva smesso di pensarci per tutto il giorno. Anche adesso, dovette scacciare di peso il ricordo per non dare di nuovo spazio alle lacrime.
Scosse il capo, si rialzò e si diresse senza un pensiero preciso verso Viale Loveless, percorrendolo tutto fino a fermarsi di fronte alla vetrina di un vecchio negozio di televisori, chiuso ma non ancora con le serrande abbassate.
Le tv trasmettevano il TG della sera, ovviamente senza audio ma a lui non servi più di tanto. Tornò a nascondersi nei ricordi, fino a che una voce famigliare non lo riscosse.
Era quella del vecchio proprietario del negozio, un signore lungo e magrolino della stessa età di suo padre, più o meno. Un'ampia calvizie in mezzo ai capelli neri tagliati corti sulle orecchie e due occhi scuri vispi, curiosi.
Lo chiamò per nome e Victor si meravigliò, guardandolo.

«Hey ragazzo, sei tu?» chiese stupito e contento.

Victor corrucciò la fronte pensieroso, voltandosi a guardarlo e cercando di capire dove lo avesse già visto. Quello ridacchiò contento, scuotendo compiaciuto il capo.

«Per la miseria, quanto sei cresciuto!» esclamò «E gli somigli parecchio, ora! Ne hai fatta di strada, eh? Ti ho visto in tv, sei riuscito ad incontrarlo alla fine.»

Rise di nuovo, contento. E allora Victor ricordò.
Ma certo, il vecchio che gli aveva parlato per la prima volta di Sephiroth!
Era stato grazie ad una di quelle televisioni che aveva incontrato il suo destino, e grazie alla sua voce i suoi sogni avevano acquistato un nome.
Sorrise, abbassando appena gli occhi modesto.

«Dici?» chiese.

Quello ridacchiò di nuovo.

«Altroché! Combatti, parli e mangi anche come lui, accidenti! E per la miseria ora che ti rivedo dal vivo è anche peggio di quanto mi aspettassi.»

Risero entrambi, poi il vecchio lo invitò ad entrare per bere una birra insieme, accompagnandolo nel retrobottega dove trovò un piccolo tavolo per quattro, una dispensa, un minifrigo e diversi scatoloni accantonati in un angolo.
Si sedettero, il vecchio stappò la prima birra fredda di frigo e gliela porse.

«Ah, non hai neanche la più pallida idea di quanto manchi un tipo come lui, adesso.» disse stappando la sua.

Victor bevve un sorso e tornò ad ascoltarlo con attenzione.

«Midgar non è più la stessa da quando se n'è andato. La Shinra continua a dire che è tutto a posto, ma lo sanno anche i ragazzini che non è così. Prima c'era lui, ci sentivamo forti e potenti contro qualsiasi cosa. Ora non ci fidiamo neanche più di noi stessi e la città cade a pezzi.»

Un sogghigno si palesò sul volto di Osaka.

«Sono parole un pò pericolose da dire, di questi tempi.» rispose.

Il vecchio ridacchiò di nuovo.

«E chi vuoi che dia retta a un povero vecchio matto e ciarlone? Anche se venissero, ormai la mia vita l'ho fatta. Dovrebbero far fuori mezza città, a questo punto.»

Anche Victor ridacchiò assieme a lui, a quel punto.
Aveva ragione. Dannatamente ragione. Ma anche così, non si sarebbe mai aspettato di sentirsi dire ciò che seguì.

«Anzi, vuoi sapere la verità?» fece il vecchio «La Shinra è una vecchia carcassa in decomposizione, ormai. A questo punto non resta altro che aspettare che crolli, questione di anni ormai. O forse anche mesi ...» poi lo guardò negli occhi, riflettendoci su per qualche secondo, e infine concluse con un sorriso «Oppure qualcuno potrebbe darle una spinta. Qualcuno che se intenda, che ci sappia fare e abbia fegato quanto ne aveva Sephiroth ...»
«... Perché non il suo allievo, e questo che stai cercando di dirmi?» lo assecondò Osaka, scambiandosi con lui uno sguardo complice e un sorriso loquace.

Quello alzò le mani con aria innocente.

«Questo lo hai detto tu, però. Non andare a dire in giro che ti metto queste idee in testa, o mi ritroverò i Turks alle calcagna.» rispose, per poi scoppiare di nuovo a ridere buttando la schiena sulla sedia e trangugiando l'ultimo sorso della sua birra.

Victor ghignò divertito, finendo anche la sua.
Restarono un altro pò a parlare, il vecchio gli rivelò di chiamarsi Azaria, di essere vedovo con nessun nipote o figlio a fargli compagnia, e si emozionò nel sapere che oltre a SOLDIER ora lui avesse anche una bella famigliola.
Poi però fu ora di tornare a casa.

«Manda i miei saluti a tua moglie e tuo figlio, allora.» concluse dopo averlo abbracciato, sulla porta del locale.
«Lo farò.» promise Victor, aggiungendo poi, sincero «Allora arrivederci. E grazie ...»

Quello ridacchiò contento, annuendo e salutandolo con una mano prima di rientrare.

«Stammi bene, ragazzo. Sei un grande!» concluse.

Di nuovo solo, nel buio della notte e nel silenzio della città dormiente, Victor percorse a ritroso la strada verso casa, tenendo nel frattempo puntato gli occhi verso la grande cupola dell'HQ Shinra mentre nella sua mente continuavano a risuonare le parole di Azaria.
"La Shinra è una vecchia carcassa in decomposizione, ormai. A questo punto non resta altro che aspettare che crolli, oppure qualcuno potrebbe darle una spinta. Qualcuno che se intenda, che ci sappia fare e abbia fegato quanto ne aveva Sephiroth ..."
Già ... perché non il suo allievo, allora?
Proprio a pochi metri dal portone di casa, si fermò e rivoltosi totalmente verso la grande cupola la fissò intensamente, desiderando per un istante di poterlo fare davvero.
Niente più Shinra voleva dire ... niente più morti da vendicare, niente più bambini da proteggere dai suoi sciacalli, niente più bugie e stragi coperte. Niente più Morte.
Sarebbe stato bello ...
Davvero bello ...
Ma non poteva, e tornando in sé scosse il capo scacciando quel pensiero e incupendosi, il naso di nuovo sprofondato nella sciarpa blu notte.
Fosse stato solo, allora magari lo avrebbe fatto.
Ma aveva Hikari, Aisha e Keiichi da proteggere.
Non poteva permettersi di metterli in pericolo, anche loro no.
Non avrebbe mai potuto perdonarselo.
 
   
 
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