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Autore: NPC_Stories    25/11/2017    3 recensioni
Dee Dee è una giovanissima elfa mezza-vampira. Quando si rende conto che nel mondo sembra non esserci posto per lei, decide di andare nel luogo che identifica come la patria dei reietti e dei mostri: la città sotterranea e multiculturale di Skullport.
Solo che per arrivarci dovrà affrontare numerose sfide che potrebbero affinare le sue abilità e rafforzare il suo carattere, ma potrebbero anche distruggere il suo spirito. Sulla sua strada incontrerà un riottoso compagno di avventure, un elfo scuro con un attaccamento morboso verso la città sotterranea.
Riuscirà la giovane dhampir a superare le sue prove, e soprattutto a dimostrare al suo nuovo compagno che è abbastanza forte per sopravvivere in una città di criminali? Riuscirà lui a mantenere la distanza che vorrebbe mantenere?
.
Spoiler: niente romance. La differenza di età la renderebbe una cosa creepy.
Nota: come al solito sono tutti personaggi originali, tendenzialmente la storia non tratta di personaggi famosi dei Forgotten Realms, anche se può capitare che vengano citati o che compaiano a spot in un capitolo o due.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1363 DR: Quando la vita sembra non avere un senso

L'elfo scuro sporse silenziosamente la testa oltre l’angolo, per dare una rapida sbirciata. Il corridoio era illuminato da lampade ad olio appese alle pareti, una ogni trenta metri circa. Non riuscivano ad illuminare perfettamente la zona, restavano delle zone d’ombra fra una fiammella e l’altra, come se la luce non potesse davvero tenere a distanza l’oscurità.
In un certo senso è così, pensò il drow, sentendosi un poeta. Scosse la testa per allontanare quei pensieri inutili.
La sua mente abituata al calcolo e a tessere strategie a ciclo continuo aveva già analizzato l’ambiente: il fatto che ci fosse luce era un vantaggio, non avrebbe dovuto tenere intorno a sé le magiche lucine fluttuanti che solitamente era costretto ad accendere, ma che erano una vera palla al piede per chiunque cercasse di restare nascosto nella completa oscurità.
Il drow si ritrasse nel suo cono in ombra dietro l’angolo e attese, tendendo l’orecchio. Per il momento l’unico rumore era lo sporadico scoppiettio delle fiamme. Non passavano guardie da molto tempo. Troppo tempo?
Portò la mano destra all’elsa della spada bastarda, che teneva legata alla schiena. Toccare il pomello fu sufficiente perché i suoi sensi venissero invasi da un fiume di sensazioni: coraggio, conforto, e una tacita esortazione alla prudenza. Il drow serrò la presa sull’elsa ed estrasse la spada senza produrre più di un fruscio. La lama era di un color bianco lattiginoso, semitrasparente; sarebbe stato facile individuarla nella luce fioca delle lampade, ma almeno non mandava i bagliori tipici del metallo.
Prudenza, pensò fra sé, piegando le labbra in una smorfia di disillusione. Prudenza è per chi crede ancora che la vita abbia un senso.
Dei passi si stavano avvicinando. Erano ancora lontani e un normale umano non li avrebbe uditi, forse nemmeno un elfo di superficie; quelle creature avevano le orecchie fini ma la testa sempre fra le nuvole. Lui però era un drow, aveva imparato a percepire ogni minima variazione nell’ambiente circostante fin da bambino: era una capacità indispensabile per sopravvivere in una cultura basata su rancore, ambizione e paranoia.
Silenzioso come un’ombra, il guerriero si nascose in un’alcova dietro a una statua. Una statua, che inutile orpello in un luogo del genere. Certo, non si era preso la briga di guardarla per bene, altrimenti avrebbe notato gli abiti stracciati e l’espressione d’orrore sul volto di pietra, e avrebbe capito che probabilmente non era sempre stata una statua.
Non erano i passi di una persona sola. Ora che si erano avvicinati abbastanza da poterli distinguere nonostante l’eco, il drow riconobbe le cadenze di due persone diverse. Una delle due persone aveva scarpe più pesanti, intuì dal rumore. Stivali rinforzati? Una guardia? C’era anche rumore di qualcosa di leggero che strusciava sul pavimento. Un mantello, o forse una lunga veste. Uno dei due doveva essere una femmina, oppure un mago, o un chierico.
O tutte e tre le cose, se sono particolarmente fortunato. Scherzò fra sé e sé, usando il sarcasmo per allentare la tensione. Sì, era un guerriero esperto, ma infilarsi in un covo di chierici e distruggere una cellula del loro culto non sarebbe stata una passeggiata comunque. Anche se erano soltanto umani.

Due persone procedevano senza fretta lungo il corridoio in cui il drow si era nascosto, diretti verso l’angolo oltre cui aveva sbirciato poco prima. Uno dei due era un uomo di mezza età, dalla lunga barba incolta, che indossava effettivamente le vesti di un chierico. L’altro probabilmente era davvero una guardia, ma una di rango elevato. Il chierico stava impartendo ordini all’altro uomo, nella lingua degli abitanti della superficie.
“Puoi richiamare le pattuglie che abbiamo mandato in giro per il Primo Livello: abbiamo trovato una fanciulla che è perfetta per i nostri intenti.” Passarono proprio davanti al nascondiglio dell’elfo scuro, senza avvedersi di nulla. Lui però non staccò gli occhi dai due nemmeno per un momento. Con la sua vista soprannaturale studiò loro e il corridoio in cui erano passati: il chierico lasciava dietro di sé un’aura di malvagità che restava sospesa nell’aria come una scia di olezzo, la guardia emanava una simile malvagità ma la sua aura non poteva essere nemmeno lontanamente forte o persistente quanto quella di qualcuno che quotidianamente entrava in contatto con una divinità malvagia.
Osservare i due uomini e le loro aure portò con sé un’altra rivelazione: una premonizione, una breve carrellata di immagini sconnesse che bombardarono la mente del drow per alcune frazioni di secondo. Una giovane elfa legata a un altare. Un coltello. Una stanza illuminata da centinaia di candele. Urla. Cantilene. Ma soprattutto urla.
Tanto repentinamente com’erano arrivate, le visioni scomparvero, lasciando il drow a fissare il muro del corridoio ormai vuoto. I due umani avevano svoltato l’angolo e il guerriero infiltrato scivolò fuori dal suo nascondiglio per seguirli con lo sguardo.
“Questa notte il Principe delle Menzogne sarà soddisfatto.” Annunciò il chierico fregandosi le mani, con un tono di voce che tradiva tutta la sua impazienza.
Il drow scosse la testa giudicando quel gesto puerile e stupido. Questi umani sembravano incapaci di contenere le loro emozioni, o forse adorare un dio folle implicava mancanza di disciplina. La cosa importante però era fare in modo che le pattuglie di cui aveva parlato il chierico non venissero richiamate. Sarebbe già stato ostico fronteggiare un manipolo di chierici, l’elfo scuro non aveva alcun desiderio di dover combattere contemporaneamente anche i loro guerrieri.
Il chierico congedò la guardia, che si voltò per tornare sui suoi passi. Quando svoltò l’angolo dove il drow attendeva in silenzio, i suoi passi si fermarono per sempre. Ma non se ne accorse nemmeno. Per pragmatismo più che per pietà, la morte giunse rapida sotto forma di un fendente che gli aprì la gola.
E ora cerchiamo la stanza delle candele. Decise il guerriero. La sua spada vibrò in segno di approvazione.
 
La giovane elfa fissava il soffitto, stordita e incapace di mettere insieme i pensieri. Non sapeva dove fosse, né come fosse arrivata lì. Il soffitto, in realtà, non lo vedeva neanche troppo bene: era in una stanza molto buia, rischiarata solo dalla luce di molte candele che però non riusciva a raggiungere e illuminare tutti gli angoli della stanza.
La ragazza cercò di deglutire. In bocca aveva un sapore strano, qualcosa che non era il sapore del sangue. Ah, il sapore del sangue. Si passò la lingua sulle labbra, trovandole secche e screpolate. Qualunque cosa le avessero fatto bere, l’aveva lasciata con una sete incredibile.
Sì, l’avevano fatta bere, questo lo ricordava. Quei tre simpatici ragazzi a cui si era unita perché, avevano detto, avventurarsi da sola nell’Undermountain era pericoloso. Loro erano avventurieri poco esperti ed erano stati lieti di trovare una compagna come lei, poi c’era stato quel combattimento contro uno sciame di ratti di fogna, i ricordi cominciavano a rimettersi insieme... e poi avevano bevuto un bicchiere per festeggiare. Solo un sorso di birra, che lei aveva accettato per cortesia nonostante il sapore di qualunque cibo o bevanda per lei fosse cacca... solo un sorso, e la sua testa aveva cominciato a girare. Una sensazione stranissima, visto che di solito il suo fisico era estremamente resistente all’alcol, alle droghe e anche ai veleni.
La ragazza si accorse di essere legata alla superficie su cui era stesa. Era un tavolo, forse un altare, ricavato da una pietra nera che non conosceva. I suoi polsi e caviglie erano legati ai quattro angoli di quel... probabilmente altare... e lei era costretta in una posizione scomoda e per nulla promettente. Era anche nuda, notò con un certo sdegno. Ora che la sua mente cominciava a schiarirsi, scoprì che odiava l’idea di essere nuda su un altare. Probabilmente sarebbe stata sacrificata, ormai l’aveva capito, ma avrebbe preferito mantenere un po’ di decoro in quel frangente.
Cercò di forzare i legacci che le trattenevano i polsi, ma senza successo. Anche la sua forza superiore al normale non era sufficiente a strappare le pesanti corde di cuoio intrecciato. Dopo qualche tentativo si abbandonò contro la pietra, sfinita. Era troppo tempo che non si nutriva e si sentiva debole. Così debole. Come se fosse nuovamente sotto l’effetto di qualche narcotico.
Mentre cedeva lentamente all’oblio del sonno, una parte di lei scoprì che avrebbe voluto rannicchiarsi e piangere. Perché il mondo era così crudele? Aveva appena perso l’unica persona che le avesse mai voluto bene, e ora stava per perdere anche la vita, tutto per essersi fidata di tre ragazzotti dall’aria semplice e simpatica. Possibile che non esistesse al mondo un po’ di giustizia?
La mia vita è stata un errore fin dall’inizio. Pensò, in un ultimo sprazzo di lucidità. E non ha mai avuto un senso.


   
 
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