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Autore: koan_abyss    25/11/2017    4 recensioni
Autunno 1981: Severus Piton ascolta la Profezia di Sibilla Cooman e la riferisce al Signore Oscuro. Resosi conto che Voldemort intende colpire i Potter, Piton cerca Silente e lo implora di nascondere Lily e la sua famiglia.
Per una serie di circostanze fortuite, i Potter scelgono lo stesso Silente come Custode Segreto. Voldemort, deciso comunque a compiere la Profezia, cerca di uccidere il piccolo Neville Paciock, ma il bambino sopravvive.
Il Signore Oscuro è sconfitto, i suoi seguaci catturati e rinchiusi.
Piton, rimasto senza padroni, senza uno scopo e senza possibilità, lascia il mondo magico per lo squallido mondo babbano, ancora una volta non dalla parte dei buoni.
Ma chiudere definitivamente i conti con il passato è impossibile: i vecchi legami non sono mai del tutto recisi...
Genere: Angst, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Lily Evans, Severus Piton | Coppie: James/Lily, Lily/Severus, Remus/Sirius
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4, II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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Capitolo 3


Agosto 1993


Piton si smaterializzò direttamente da Diagon Alley. C’erano un paio di cose di cui doveva occuparsi, in vista della serata.
Uscì sul retro del laboratorio e chiamò Sonny.
“Andiamo a casa presto, John? Prendo la macchina?”
“No. Chiama il Black Studio e fai mettere da parte due biglietti per il concerto di giovedì a nome McIver. Devo scriverlo?”
Sonny sorrise imperturbabile: “No, me lo ricordo.”
“Bene. Ho bisogno che tu faccia qualcosa per me, stasera.”
“Tutto quello che posso, capo.”
“Tieni occupata Rarity. Non so, portala a cena, a ballare con le amiche, affittate un film. Che cazzo ti pare.”
Al contrario di molte altre ragazze, che scomparivano nel giro di poche settimane, nel continuo via vai di flirt, feste, clienti importanti e famosi, Rarity era rimasta. Piton l’aveva tenuta accanto a sé per non dover replicare lo stupido balletto che l’aveva messa sulla sua strada, perché tutto sommato lei non lo irritava più di tanto: faceva silenzio quando lui le diceva di star zitta e scopava da dio.
“Se non ti conoscessi, John, direi che hai in mente qualcosa di sporco,” ridacchiò Sonny. “Non c’è problema. Mi ha chiesto di andare a prenderla in centro tra un’ora. Le dico se ceniamo fuori, che tanto tu sei al laboratorio.”
“Perfetto,” rispose Piton, passando oltre. Poi si bloccò: “Sonny? Niente droga, è chiaro?”
Sonny si fece serio: “Certo che no. Lo so che non vuoi.”
Un’altra delle ragioni per cui la presenza di Rarity non lo disturbava era che non era una tossica. Non lo avrebbe sopportato: Piton odiava i tossici, erano deboli, codardi ed infidi.
A differenza di altre troiette per cui il punto più alto della serata era il momento in cui qualcuno tirava fuori la coca, Rarity non si faceva mai. O quasi.
Una volta Piton l’aveva trovata priva di sensi per l’alcool e le pasticche che aveva preso mentre lui era fuori a occuparsi di una grana, e Brennan e altri idioti festeggiavano.
“La tua donna non sa divertirsi. Volevo coinvolgerla, ma c’è sempre chi non regge la festa,” aveva ghignato Brennan, mentre Rarity, in condizioni pietose, mugugnava indistintamente.
‘Oh, Rarity, perché, cazzo’, aveva pensato Piton.
“Stupida puttana,” aveva detto ad alta voce, accendendosi una sigaretta.
E mentre Brennan scoppiava a ridere, Piton gli aveva dato un assaggio del perché non era saggio ridursi in condizioni di scarsa lucidità quando frequentavi persone pericolose di cui era meglio non fidarsi. Ora si godeva gli sguardi di rancoroso terrore dell’uomo ogni volta che entrava in una stanza.
A Sonny, che avrebbe dovuto tenerla d’occhio, e a Rarity, non aveva permesso di dimenticare tanto presto quanto la faccenda lo avesse contrariato.
Si allontanò dal laboratorio e appena fu prudente si smaterializzò diretto al suo appartamento.
Quando Lily entrò al Paiolo Magico, leggermente in ritardo rispetto all’ora dell’appuntamento, con un abito da cocktail scuro con dettagli dorati, Piton era già nel pub da un po’.
Le fece un cenno da lontano, indicando l’uscita. La raggiunse fuori.
“Perché questa segretezza?” chiese lei. “Non c’è niente di sordido,” aggiunse, facendogli il verso.
“Vero. Ma è altrettanto vero che gli stupidi amano chiacchierare,” replicò lui, offrendole il braccio.
Cenarono con calma in centro, parlando del lavoro di Lily e delle conoscenze in comune.
“Mi ero imposta di non abbandonare la ricerca, ma le lezioni occupano davvero molto tempo, e un sacco di energie!”
“Il vecchio Lumacorno…è sempre lo stesso?”
“Solo più grasso. E stanco: sono anni che minaccia di andarsene, dicendo che vuole godersi in pace gli ultimi anni, ma Silente riesce sempre e convincerlo a restare!”
“Gli ultimi anni? Figuriamoci! Rischierebbe di perdere l’occasione di aggiungere il Ragazzo-Che-È-Sopravvissuto alla sua collezione?”
“Oh, Neville oppone una strenua resistenza, ai suoi tentativi di cooptazione per il Luma-Club!”
“Quindi ti piace, insegnare,” le disse Piton mentre facevano due passi verso il locale.
“Sì,” rispose Lily con orgoglio. Poi sorrise: “Che te ne pare dei miei studenti Serpeverde? Isabel è un talento naturale, per le pozioni.”
“Uhm,” fece Piton, ripensando al gruppetto. “Sembrano interessanti. Harry non è un talento come sua madre?”
Lily si coprì la faccia con le mani: “È un disastro.”
“Ah, ma scommetto che sa volare…”
“Non essere acido. È vero, è molto bravo.”
“E Rose?”
“Rose…” cominciò Lily, poi rise con affetto. “Lei ha una cotta gigantesca per William McIver!”
Erano arrivati. Piton mostrò una tessera scura al buttafuori e quello li fece passare con un cenno. Una volta dentro Piton chiese un tavolo per assistere allo spettacolo.
“Non stento a credere che McIver le piaccia,” riprese. “Un Serpeverde che ama la musica babbana. Un cattivo ragazzo con un lato tenero.”
“Ama anche gli animali.”
“Sicura di non avere anche tu una cotta per McIver?”
Lily rise di nuovo.
Piton ascoltò la sua risata con soddisfazione: negli ultimi tempi della loro amicizia era diventata una cosa molto rara. Era felice di poter sostituire nei suoi ricordi quel momento, a tutte le risate che le aveva strappato Potter da quando Lily aveva cominciato a frequentarlo. Soprattutto alle più dolorose: quelle a sue spese.
Continuarono a parlare bevendo qualcosa, mentre sul palco un crooner accompagnato da una piccola orchestra cantava.
“Warrington, invece…” Lily scosse la testa. “Ha un brutto carattere, e in famiglia sono molto retrogradi, sul sangue e la dignità di mago. Però non va d’accordo col padre, e questo mi fa ben sperare.”
Piton non rispose, prendendo un sorso dal suo drink.
“Tuo padre?” chiese Lily, all’improvviso.
Piton cercò le sigarette: “Sta bene. Credo. Si è risposato, sta a Bristol.”
“Pensavo che foste vi sareste riappacificati, dopo la morte di tua madre…”
“Dato che sono io a pagargli l’affitto, credo si possa dire che ci siamo riappacificati. Almeno per la cronaca.”
Piton sorrise appena. John Price percepiva un regolare stipendio, per il suo regolare (e fittizio) lavoro alla compagnia farmaceutica Salus. Ogni mese faceva un bonifico a favore di Tobias Piton qualificato come canone di locazione della casa di Cokeworth, e che coincideva con le spese di affitto della casetta di Bristol che suo padre divideva con la nuova moglie. Piton lo faceva principalmente perché sapeva che a Tobias dava fastidio che il figlio facesse sfoggio di superiorità con lui, come al solito.
Sollevò il bicchiere.
“A padri e figli,” brindò, acido.
Ascoltarono la musica in silenzio per un po’. Lily rimuginava, e non era mai un buon segno.
“Mi sento un po’ in colpa,” confessò alla fine con un sorriso incerto. “Per aver mentito e lasciato i ragazzi con James. Anche se, a essere onesta, non mi sono sembrati dispiaciuti.”
“Perché dovrebbero? Scommetto che è il loro eroe…” replicò Piton, non senza una punta di sarcasmo.
Lily lo fissò: “James non è più il ragazzo odioso e arrogante che ricordi. Da molto tempo.”
“Non intendevo questo. Volevo dire che da quanto ho visto, mi è sembrato piuttosto permissivo, con Harry e i suoi amici. Lasciare i ragazzi soli a Diagon Alley…” Piton si finse leggermente accigliato.
“Di cosa stai parlando?” chiese Lily, perplessa.
“Non te l’ha detto?” rispose Piton, lentamente. “Ho…visto tuo marito e i ragazzi a Diagon Alley, il mese scorso.” Si strinse nelle spalle. “Be’, posso capire che non ti abbia raccontato di aver visto me. Ci siamo trattenuti, ma siamo andati vicini a dare spettacolo.”
“E i ragazzi erano da soli?”
“Credo che Paciock fosse alla ricerca di un po’ d’avventura, con Harry e Weasley,” fece Piton, con una piccola smorfia di esasperazione. “Permissivo o no, tuo marito si è davvero preoccupato, quando gli ho detto che li avevo trovati nella Londra babbana. Non era incline a sottovalutare il pericolo della fuga di Bellatrix Lestrange da Azkaban.”
Lily lo guardava ad occhi sgranati.
“Sapevi sicuramente che i ragazzi si erano allontanati, no? Magari non ha nominato me, ma il resto…” le disse Piton, in tono sobrio.
“Dov’erano?”
“Limehouse.”
“Perché non me l’hai raccontato subito?” indagò Lily, incrociando le braccia.
“Pensavo lo sapessi.”
“Non è vero. Mi conosci troppo bene, Severus.”
“Ti conoscevo. Tredici anni fa. Le cose cambiano,” replicò lui, voltando il capo.
“Invece ho paura di no. Ho proprio idea che tu sapessi che James mi aveva mentito, e non vedessi l’ora di dirmelo! Che come un ragazzino tu non abbia resistito alla tentazione di mettere zizzania tra di noi!”
“Se qualcuno si è comportato da ragazzino, è stato tuo marito, l’irresponsabile idiota che ha permesso a tre bambini di andarsene in giro da soli mentre Bellatrix è a piede libero!” sibilò Piton. “Ma se ti fa stare meglio, giudica me, come hai sempre fatto.”
Il cameriere scelse quel momento per accertarsi che tutto andasse bene.
Lily si alzò di scatto, afferrò la sua borsetta e si avviò a grandi passi.
Piton si alzò a sua volta imprecando.
“Levati dai piedi!” gridò al cameriere, scostandolo in malo modo. “Lily!”
La seguì fuori dal locale, restando a qualche passo da lei.
Ma lei si girò di slancio: “Non ho mai voluto giudicarti! Vedevo il mio migliore amico prendere una brutta strada, fare scelte assurde, e non potevo tacere e basta! Ma alla lunga, ho capito che non saresti cambiato perché te lo chiedevo io e ti ho lasciato andare…”
“Ma ora siamo di nuovo da capo, vero?”
Lily lo fissò furiosa: “Come una povera stupida, pensavo che potessi diventare migliore: hai salvato me e la mia famiglia, credevo avessi compreso i tuoi errori. Ma tu hai rifiutato la seconda possibilità che ti ha offerto Silente, e…”
“Non mi ha offerto una seconda possibilità, intendeva usarmi!”
“Usarti per il bene!” strillò Lily. “E tu hai rifiutato per cosa? Cosa sei, adesso?”
Piton sorrise sgradevolmente: “Me lo hai già chiesto una volta. Sono un chimico. Non era una menzogna, ma è certamente un po’ riduttivo. Sintetizzo droghe. Vendo droghe. Sono uno spacciatore, per farla breve. Dovevi aver intuito qualcosa, a Londra, dall’espressione che…”
Lily gli schiaffeggiò un braccio con forza: “Perché, razza di idiota? Hai rifiutato il mondo magico per diventare un criminale? E hai il coraggio di chiedermi di non giudicarti?!”
Piton le bloccò la mano prima che lo colpisse di nuovo.
“Io non ho rifiutato il mondo magico!” ringhiò. “Ho fatto cose terribili, pur di farne parte! Tu non hai idea di quanto avessi bisogno di far parte di qualcosa, quand’ero un ragazzo…”
Lily si divincolò dalla sua presa e rise sprezzante: “Ma certo! Sei il solo che si sia mai sentito fuori posto!”
“Be’, sono il solo che ha fatto scelte sbagliate, a quanto pare. E meno male, sia ringraziato il cielo, per le mie scelte sbagliate: se non avessi preso il Marchio, non avrei ascoltato la profezia, non avrei saputo come il Signore Oscuro decise di interpretarla! E se ora non facessi quello che faccio, non avrei trovato quei tre ragazzini sul mio territorio e non avrei potuto portarli al sicuro.” Piton fece un passo indietro, cercando una sigaretta. “Forse è Destino, Lily. Io cammino nell’ombra. Sono un mago oscuro.”
Lily strinse le braccia e le labbra: “Sono stronzate. Tu sai qual è la cosa giusta da fare, sei in grado di farla. Semplicemente, non hai il coraggio di farla ogni volta. Tu scegli di essere codardo!”
A Piton lampeggiarono gli occhi. Accartocciò la sigaretta che non aveva ancora acceso e la scagliò a terra.
Lily lo fissava con aria di sfida.
“Sai cosa?” le sibilò a un centimetro dal volto. “Non mi interessa. Giudicami. Sono un criminale, sono un codardo. Non siamo tutti Grifondoro.”
Si allontanò senza voltarsi.


Lily era tornata al Paiolo Magico in metropolitana, avvolta in un bozzolo di frustrazione, rabbia e tristezza. Si era concessa di credere, nelle ultime ore, che nella sua vita ci potesse essere di nuovo spazio per Severus.
Quanto avrebbe avuto bisogno Serpeverde di un nuovo Direttore. Quanto avrebbe avuto bisogno d’aiuto, lei, con le classi di Pozioni Avanzate. Quanto le sarebbe piaciuto riavere il suo amico.
E ora si sentiva così tradita! Severus non era cambiato, era compiaciuto di quello che era diventato, anzi, di quello che era sempre stato (e lei, che si era convinta di essersi sbagliata, sulla cattiva impressione che le aveva fatto a Londra, due anni prima!). Per quante seconde possibilità gli venissero offerte, lui le avrebbe rifiutate.
Lily si sforzò di pensare che era la sua vita e non la riguardava, ma l’idea che per la seconda volta Severus avesse vegliato su suo figlio ma non volesse stare apertamente dalla loro parte la feriva. Preferiva continuare a fingere di essere un incompreso. Stupido, ipocrita, egoista bugiardo.
Le aveva mentito. James le aveva mentito, Harry le aveva mentito.
Entrò nel camino del Paiolo Magico e gettò una manciata di polvere nelle fiamme.
“Casa Potter!” esclamò, furiosa.
James capì che qualcosa non andava all’istante: “Che succede, tesoro? Marlene ha sentito qualche altro pettegolezzo su Sirius?”
Lily gli scoccò un’occhiata di fuoco.
“Harry James Potter! Vieni immediatamente qui!” gridò.
James si alzò, guardingo, intuendo che erano stati scoperti.
Harry si affacciò al salotto. Rose, curiosa, fece capolino dietro di lui.
“Perché voi due non mi raccontate cos’è successo a Diagon Alley il mese scorso? Senza tralasciare quello che avete fatto nella Londra babbana tu, Ron e Neville!” disse Lily gelida, incrociando le braccia al petto.
Harry divenne paonazzo. Raccontò quasi tutto, tacendo solo la parte avuta dai discorsi di Dudley. Sua madre avrebbe certamente parlato con sua sorella e avrebbero litigato ancora; forse finalmente si sarebbe liberato di suo cugino, ma sua madre sembrava così arrabbiata che Harry non se la sentiva di farla infuriare anche con zia Petunia.
Lily si voltò.
“Hai lasciato i ragazzi da soli e hai chiesto loro di non dirmi nulla?” domandò a suo marito.
James provò a blandirla come al solito (“Hai ragione, ma non è successo niente, i ragazzi stavano alla grande…”), ma vedendo che non funzionava aveva provato a contrattaccare: “Quindi te l’ha detto lui. Mi hai detto che ti vedevi con degli amici e poi sei uscita con un altro uomo? Severus Piton? Hai mentito anche tu, o sbaglio?”
“Lui è sempre stato mio amico e sai benissimo perché non ti ho detto che l’avrei visto…”
“Non puoi essere amica di quel verme! È un criminale, una specie di spacciatore!”
“Lo so ora! Sai come avrei potuto saperlo prima? Se mio marito non mi avesse mentito su dove si trovava mio figlio un mese fa!” urlò lei.
James occhieggiò i figli: “Bambini, di sopra. Ora.”
Harry e Rose si affrettarono a salire in cima alle scale, dove si fermarono ad ascoltare le urla dei genitori.
“Perché non mi hai raccontato nulla?” chiese Rose al fratello.
“È stata un’idea stupida. Di sicuro non una grande avventura,” rispose Harry, stringendosi nelle spalle.
“Potevi dirmelo, però, che avevi visto Piton.” Rose non l’aveva mai più rivisto, quel mago alto e scuro a cui ricordava sua madre da bambina.
“È un tipo pericoloso,” le disse Harry, raccontandole più nel dettaglio il loro incontro.
“Con me è stato gentile,” ribatté Rose, ostinata.
“So che pensi che abbia salvato la nostra famiglia, e Harry,” stava dicendo loro padre al piano di sotto. “So che tu vedi sempre del buono in tutti. Ma in Piton non ce n’è, Lily. Non gli importa dei bambini, è solo ossessionato da te.”
Harry e Rose si scambiarono un’occhiata.
“Credi sia vero?” mormorò Rose.
Harry si passò la mano tra i capelli scarmigliati: “Uhm, non lo so. Può darsi.”
Ma Piton non gli aveva chiesto della mamma, quando li aveva fatti salire sulla sua macchina. Si era preoccupato per Rose.

Gli ci erano volute ore per calmarsi, e rendersi conto di che razza di idiota era stato. Perché aveva dovuto tirare in ballo Potter? Perché non si era accontentato del tempo senza pensieri che poteva passare con Lily? Non gli era mai capitato prima, di preferire mettere nei guai Potter piuttosto che fare fronte comune con Lily, di ricordarle che lui c’era, anche solo come amico.
Forse questa volta però non voleva colpire Potter: aveva voluto ferire Lily.
Vedere la propria immagina riflessa negli occhi di lei era sempre stato un tormento, per Piton. Per un breve periodo, da bambini, Lily lo aveva creduto pari a lei: altrettanto speciale, coraggioso, buono. Ma col tempo le differenze tra loro si erano fatte più evidenti, al punto che anche l’ingenua ragazzina con i capelli rossi aveva iniziato a vederle.
Assieme a lei, le vedeva anche Piton. Lo sguardo che un tempo lo faceva sentire capace di qualunque prodezza, di ottenere qualunque risultato, gli rinfacciava ora di non essere abbastanza, di non saper perdonare, di non essere giusto.
Piton aveva sempre temuto il giudizio di Lily. Aveva finito per odiarlo, perché niente di quello che diceva riusciva a spiegarle perché lui non era forte come lei.
Non era mai riuscito a dirle come fosse vivere con il pensiero di essere nato mezzosangue per quello che a lui appariva un capriccio, che non aveva portato che una felicità effimera ai suoi genitori e che aveva privato lui di radici, tradizioni, ricordi, praticamente di tutto ciò che i Serpeverde rispettavano e veneravano.
Per i suoi compagni era metà di un intero e, al contrario di Lily, lui non vedeva alcun valore nella sua metà babbana. Come avrebbe potuto? Era la parte di lui che persino sua madre rimpiangeva, era la paura e l’indifferenza che suo padre aveva per lui.
Per Lily il mondo babbano era una famiglia affettuosa, musica, possibilità, era parte della propria identità. Per Piton era un vuoto nell’anima, qualcosa che mancava.
Aveva voluto ferire Lily perché gli era sembrato che lei lo stesse facendo ancora: giudicava i Serpeverde, senza sapere quanto potesse essere forte la pressione delle famiglie e di quale disgrazia fosse perdere il loro supporto. E pensare che aveva visto quello che avevano dovuto patire lui e sua madre e poi Black, quando era stato ripudiato.
Piton non intendeva cercare scuse, per il suo passato da Mangiamorte. Unirsi al Signore Oscuro era stata una follia, un errore imperdonabile, una macchia sulla sua anima che ancora lo tormentava, la notte. Ma era giovane, stupido, arrabbiato, strapieno di rabbia cocente e velenosa che gli sfigurava il cuore. Non aveva bisogno che gli occhi verdi di Lily lo facessero fremere di vergogna e rimpianto.
Si materializzò vicino al suo appartamento. Entrò nel palazzo senza che nessuno lo notasse e salì all’ottavo piano osservando le luci di Londra e il Southwark Bridge dal grande ascensore di cristallo.
Se avesse accettato l’offerta di Silente…sarebbe stato l’insegnante di Pozioni degli studenti di Lily, i cinque Serpeverde. Avrebbe insegnato lui l’Occlumanzia alla piccola empate; avrebbe fatto da cuscinetto tra Warrington e suo padre, forse, visto che lo conosceva. Avrebbe avuto un occhio di riguardo, per i Serpeverde, visto che tutti gli altri li trattavano con diffidenza.
Lily non avrebbe comunque fatto parte della sua vita. Era sicuramente meglio per entrambi.
Attraversò gli ultimi incantesimi di protezione che aveva disseminato lungo il corridoio, fino all’ingresso dell’appartamento, e che permettevano il passaggio a ben pochi esseri umani. Come ogni volta che rientrava a casa, le basse, quasi impercettibili vibrazioni delle barriere magiche che gli accarezzavano il viso mentre le attraversava lo confortarono.
Quando aprì la porta, lo accolse della musica dolce, una qualche canzone d’amore che doveva aver già sentito, ma di cui non ricordava una parola. Rarity era ancora sveglia.
Si girò a guardarlo quando lui apparve sulla soglia del soggiorno. Abbandonò la posa infantile e si tirò a sedere sul divano di pelle nera, le mani vicino alle ginocchia, i piedi nudi a terra, come in attesa di qualcosa. Poi si riscosse e si alzò per abbassare la musica.
Piton si appoggiò allo schienale dell’altro divano. Si sfilò la giacca e iniziò a sciogliere la cravatta.
Rarity lo studiò un attimo, accanto allo stereo, con aria combattuta. Lo raggiunse e sostituì le sue mani a quelle di Piton sul tessuto della cravatta.
Era evidente che temeva che fosse successo qualcosa, ma non intendeva chiedere cosa.
Piton studiò i suoi capelli biondi e la figura invitante fasciata dal raso della sottoveste, maledicendo e ammirando il suo intuito.
Rarity lasciò cadere la cravatta e lo fissò negli occhi, dubbiosa e risentita. Dov’era stato fino alle tre di notte?
“John?” accennò.
Piton le cinse la vita con un braccio un istante prima che lei decidesse di andarsene, visto che lui non rispondeva. La baciò a fior di labbra, chinandosi su di lei. Approfondì il contatto quando lei reclinò la testa all’indietro.
Rarity gli si aggrappò alle spalle, lasciandosi baciare, succhiandogli la lingua.
“Ok, John, che succede?” gli chiese, quando lui la lasciò.
“Il mio nome non è John,” le disse Piton.
Rarity lo osservò attenta. Piton sapeva che ricordava l’incontro con Lily e l’accenno al cambio di nome: era il genere di dettaglio che Rarity non scordava.
“Il mio vero nome è Severus,” le confessò sottovoce. Poi fece un sorrisetto: “Capirai perché non lo uso…”
Rarity sorrise timidamente a sua volta: “Dici sul serio?”
Piton annuì.
Rarity gli strinse le spalle: “Ti avranno fatto passare l’inferno, a scuola…”
“Non solo per quello,” rispose Piton, passandosi l’indice sul naso.
Rarity l’abbracciò ridacchiando.
“Severus…” ripeté, indugiando appena sull’ultima esse. “Anche i tuoi avevano nomi…importanti?”
“Nah. Eileen e Tobias. Erano due idioti,” rispose lui, guardando oltre la spalla di lei fuori dalle ampie vetrate.
Severus era il nome del fratello di sua madre, morto appena maggiorenne. Eileen lo aveva battezzato come lui nel tentativo di addolcire i Prince, ma non era servito.
“Devo continuare a chiamarti John?”
“Ovviamente!”
“Non c’è niente di male, in Severus…”
“Non c’è niente di male neanche in Sue. Eppure tu preferisci Rarity.”
La ragazza lo guardò: “Come fai a sapere sempre tutto?”
Piton sorrise, lo sguardo in lontananza.
Rarity lo spinse a sedere sul divano.
“Grazie per avermelo detto,” gli sussurrò all’orecchio, prima di baciargli il collo.
Piton si godette un piacere colpevole mentre Rarity cercava su di lui il profumo di un’altra.
Quando mai qualcuno si era sentito minacciato all’idea di perderlo? Importava davvero che fosse solo per la vita comoda e la protezione che le offriva?

Novembre 1994

Rarity si aggirava guardinga per la camera da letto, allarmata dalla sua paura.
Seduto a gambe incrociate sul letto disfatto, i gomiti sulle ginocchia, la bocca premuta sulle proprie dita intrecciate, Piton faceva il possibile per ignorarla.
La donna aveva provato per tutta la sera a distrarlo, chiacchierando di sciocchezze, cercando di farlo parlare di qualsiasi cosa le venisse in mente, ma si era ormai arresa all’evidenza che l’ansia che lo attanagliava non poteva essere allontanata tanto facilmente. Si arrampicò sul letto e gli si sedette alle spalle, appoggiandosi alla sua schiena, premendo il pizzo del reggiseno sulla sua pelle nuda. A volte silenziosi gesti di conforto fisico spingevano John a parlare, o lo esasperavano a tal punto che la situazione si sbloccava. Persino l’irritazione era preferibile a quell’immobilità.
Ma lui non si mosse, neppure quando Rarity cominciò ad accarezzargli i fianchi.
Piton indossava solo i pantaloni. Era un’abitudine che aveva preso da Rarity, che non indossava mai vestiti, in casa, preferendo aggirarsi per l’appartamento in completini intimi provocanti. Contando quanto era stato pudico e a disagio con il proprio corpo per buona parte della sua vita, improvvisamente gli appariva davvero una sciocchezza, starsene a torso nudo senza ragione, essere costretto ad avere la propria pelle sotto gli occhi.
Provò di colpo il desiderio di coprirsi, di coprire le proprie braccia, di nascondersi sotto un mantello e sparire nell’ombra. Ma non sarebbe servito a niente.
“John, che cosa sta succedendo? Sono settimane che qualcosa non va…” disse Rarity.
‘Niente che tu possa comprendere,’ le avrebbe risposto Piton, se le sue parole non fossero state per lui poco più di un rumore di fondo: ne aveva compreso il senso, ma non lo riguardavano.
Rarity sospirò e si allungò su di lui, spiando il suo volto da sopra la sua spalla. Poi le cadde lo sguardo sull’ennesimo mistero di John.
“Stai facendo ribattere quel vecchio tatuaggio?” chiese, perplessa.
Piton trattenne il fiato.
“No,” rispose in tono fermo.
Contrasse le spalle e Rarity si scostò da lui.
“Dove…dove vai?” gli chiese, guardandolo alzarsi e vestirsi.
“Non ti riguarda,” rispose lui senza voltarsi.

Anche se quell’incontro era l’ultima cosa che desiderava, Piton fu sollevato di vedere Silente materializzarsi a qualche metro da lui. Era stufo di sobbalzare ogni volta che il vento faceva scricchiolare un ramo in lontananza.
“Buonasera, Severus. Non sai quanto sono felice di rivederti, nonostante in questo luogo tu mi abbia sempre portato notizie gravi,” gli disse il vecchio mago, gli occhi che scintillavano.
Il travestimento di Piton non lo aveva tratto in inganno. D’altronde, anche se il viso che indossava apparteneva ad uno dei suoi galoppini, Mohinder, il luogo dell’appuntamento che aveva proposto a Silente era lo stesso in cui lo aveva avvertito della Profezia, e poi pregato di nascondere Lily e la sua famiglia.
Aveva spedito la lettera al vecchio dall’ufficio postale di Hogsmeade quella sera stessa. Non si sarebbe arrischiato a salire al castello, non dopo aver sentito che il Preside aveva assunto Malocchio Moody per garantire la sicurezza al Torneo Tremaghi. Piton aveva tutte le intenzioni di evitare che il disgustoso occhio magico dell’Auror che aveva visto su una copia del Profeta si posasse su di lui, Pozione Polisucco o meno.
“Già. In nessuna circostanza quello che ho da dire potrebbe essere considerato una buona notizia,” rispose, fumando nervosamente. “Non avevo sentito dell’apparizione del Marchio Nero alla Coppa del Mondo, altrimenti…sarei venuto prima.”
Silente lo scrutò, attento: “Qualcosa si muove, non è vero?”
“Il Marchio Nero,” rispose Piton stringendosi l’avambraccio destro. “L’ho sentito bruciare, appena. Ma sta riaffiorando, diventa ogni giorno più nitido!” continuò, concitato.
“Sai cosa significa,” gli disse Silente.
“Sì. Sta riacquistando potere.”
Il vecchio annuì gravemente: “Altri…vecchi amici stanno sperimentando la medesima esperienza?”
Piton lo fulminò con lo sguardo: “Perché lo chiede a me? È lei che ospita Karkaroff sotto il suo tetto. Io vivo tra i babbani, e non ho alcun desiderio di rivedere i miei vecchi amici!”
“Alastor tiene d’occhi Karkaroff, ovviamente. Ma mi piacerebbe dare un’occhiata più da vicino al tuo braccio, Severus, dato che sei stato così coraggioso da venire da me.”
Piton fece una smorfia: “Dovrà aspettare ancora venti minuti.”
“Bene. Avremo il tempo di parlare un po’. Se non sapevi niente di quello che è successo alla Coppa del Mondo, c’è molto su cui ti devo aggiornare.”
“Non mi interessa. Non voglio essere aggiornato su niente. Sono venuto per avvertire del pericolo, non per arruolarmi con i tuoi Grifondoro,” sibilò Piton.
Dopo la lite con Lily aveva nuovamente rinunciato al mondo magico. Sapeva solo che Bellatrix era ancora in libertà, e con tutta probabilità al fianco del Signore Oscuro, ora.
Silente sorrise: “Davvero? Perché saresti venuto ad avvertirmi della minaccia, se non per stare dalla nostra parte, questa volta? Lily non è in diretto pericolo, dico bene?”
“Siamo tutti in pericolo!” ringhiò Piton. “Io per primo, dato che lei ha raccontato al Wizengamot che ero la sua spia, e Karkaroff lo sa!”
Diede le spalle al vecchio, per nascondere quanto era spaventato.
“Allora è tuo interesse quanto mio fermarlo, Severus,” rispose Silente con dolcezza.
Piton non disse nulla, aspettando che l’effetto della Pozione Polisucco svanisse, mentre il Preside chiacchierava amabilmente, come se si stessero godendo una passeggiata sotto le stelle. Come se in quello stesso luogo, un Piton pazzo di terrore e angoscia non fosse venuto a implorarlo di salvare la vita a Lily, tredici anni prima.
Quando l’effetto della pozione svanì, Piton sentì il suo corpo allungarsi, asciugarsi. I capelli neri gli scesero sulle spalle, le dita divennero sottili ed eleganti, le mani meno forti.
Scoprì il braccio destro e lo porse a Silente, mentre la pelle si schiariva e una macchia nera affiorava sull’avambraccio.
Il vecchio mago tenne tra le dita il suo polso e il gomito, osservando da vicino la sagoma di un serpente che scivolava fuori dal ghigno di un teschio.
“Quando è cominciato tutto?” domandò con la massima concentrazione.
“Ottobre, credo…forse prima.”
“Quando l’hai sentito bruciare?”
“Pochi giorni fa. Mi ha svegliato. Credevo fosse un incubo,” raccontò Piton, senza guardare il suo Marchio.
“Ha di nuovo degli alleati al suo fianco, e un piano per risorgere,” sentenziò Silente. “Ho bisogno di te, Severus.”
“No.”
“Hai già corso questo rischio, e con abilità. Come spia…”
“No! Sono un traditore e non sono di alcuna utilità, per Lui. Mi ucciderebbe, se tornassi!” esclamò Piton. “Sono disposto a tenerla aggiornato su questo,” e sollevò il braccio, “ma niente di più.”
“Capisco,” disse Silente, intrecciando le dita placidamente. “Non ho diritto di chiederti di più. Per ben due vote hai dato prova di un coraggio fuori dal comune.”
Piton grugnì, cominciando ad allontanarsi.
Gli occhi di Silente brillarono: “A Lily si scalderà il cuore, a saperlo…”
“Non osi!” strillò Piton, voltandosi. “Non osi dirle nulla, non osi illuderla! E non provi più ad usarla contro di me!”
“Ma Severus, come illuderla?” chiese Silente, divertito.
“Non sono atti di eroismo: sono sempre stato egoista. Lei, Preside, finge di vederci di più dietro, ma Lily lo crederebbe davvero, e io sono stufo di sentirmi rinfacciare che l’ho delusa. Sono un criminale, fatemi il piacere di smetterla di rammaricarvene!” concluse, dando la schiena al vecchio.
Quando parlò, non c’era traccia di divertimento, nella voce di Silente: “È vero, saresti potuto diventare un uomo molto migliore, Severus. E sei tu il solo che dovrebbe rammaricarsene.”

Note: E finalmente riesco di nuovo ad aggiornare di sabato!
   
 
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