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Autore: Carme93    25/11/2017    1 recensioni
Anno 2021.
I Dodici della Profezia si preparano ad adempiere al loro destino, mentre la comunità magica piomba nel caos; ma è il tempo anche di affrontare i problemi e le discriminazioni sociali ignorate per secoli. E ancora una volta toccherà ai ragazzi far aprire gli occhi agli adulti. Ragazzi che a loro volta sono alle prese con i problemi tipici dell'adolescenza e della crescita.
Inoltre si ritroveranno a interagire anche con studenti stranieri e quindi con civiltà e realtà completamente diverse dalla loro. Questo li aiuterà a crescere, ma anche a trovare una soluzione per i loro problemi.
Questa fan fiction è la continuazione de "La maledizione del Torneo Tremaghi" e de "L'ombra del passato", la loro lettura non è obbligatoria ma consigliata.
Genere: Fluff, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Potter, Famiglia Weasley, James Sirius Potter, Nuova generazione di streghe e maghi | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione, Rose/Scorpius, Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
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Capitolo diciassettesimo
 
Nascosti dietro una maschera
 
Erano quasi le sei e fuori era buio pesto. Frank sbadigliò e si avvicinò a Roxi e Gretel per salutarle. Entrambe avevano un cera terribile.
«Si può sapere che avete combinato stanotte?» sussurrò per non farsi sentire dai professori presenti nella Sala d’Ingresso.
«Storia lunga. Quando torni, te la raccontiamo» bofonchiò Roxi.
Frank le diede un bacio sulla guancia e si preoccupò maggiormente. «Ma sei caldissima!».
«Esagerato! Comunque abbiamo preso un po’ di freddo stanotte. Ora me ne torno a dormire».
«Dovresti andare da madama Williamson» ribatté Frank.
«Se non mi sentirò bene fra qualche ora, ci andrò. Promesso. Non mi perderei la possibilità di saltare impunemente le lezioni».
Il ragazzino non rispose al sorriso un po’ forzato dell’amica. «Una settimana passa in fretta» disse per nulla convinto.
«La tua sicuramente. Ci lasci in mano alla Shafiq, ti ricordo» borbottò Roxi con un mezzo sorriso. «Vedrai, che come niente ti ritroverai a controllare che faccia tutti i compiti e rimpiangerai che le prove durino solo una settimana».
Non si erano mai separati veramente. Naturalmente non sempre durante le vacanze potevano incontrarsi, ma rimanevano costantemente in contatto. Per la prima volta non avrebbero potuto farlo. La Grecia era lontana e non potevano usare gli Specula; sarebbe stato ridicolo chiedere di usare un camino solo per parlarle e un gufo ci avrebbe messo troppo. Non era giusto che nei luoghi ad alta concentrazione magica i mezzi di comunicazione babbani non funzionassero. Era in quei momenti che Frank non poteva non pensare, che, dopotutto, i Babbani erano più avanti di loro in alcuni settori. Ricordò il discorso che aveva pronunciato la professoressa Dawson durante la prima lezione l’anno prima, adesso non capiva proprio in che cosa i Purosangue fossero migliori.
«Frank, è ora». Suo padre gli pose una mano sulla spalla.
Frank annuì, rendendosi conto che gli altri aspettavano lui. Arrossì, ma comunque si dispiacque di non poterlo abbracciare. Ma prima di raggiungere gli altri, gli sussurrò: «Credo che Roxi abbia la febbre, assicurati che vada da madama Williamson. Con la testa dura che ha…».
Neville sorrise e promise che se ne sarebbe occupato lui.
Frank raggiunse Albus, che ridendo sotto i baffi gli indicò la clessidra di Grifondoro in ombra: James stava baciando Benedetta. Ridacchiò a sua volta, mentre suo padre andava a chiamare anche loro, prima che se ne accorgesse la Preside, che, fortunatamente, stava dando le ultime istruzioni a Finch-Fletchley, Hagrid, la Shafiq e Williams.
Il professor Mcmillan chiamò l’appello, leggendo i nomi da un rotolo di pergamena, che poi depose in una delle tasche del mantello.
Il professor Williams diede le ultime istruzioni ai suoi duellanti, prima che potessero uscire dal castello. A tutti era parso strano in un primo momento che non sarebbe stato il professore di Difesa ad accompagnare la squadra olimpica, ma alla fine si era capito chiaramente che la Preside aveva lasciato la Scuola in mano a un Auror esperto.
«Non vedo l’ora» disse entusiasta James, avvolgendoli tra le sue braccia muscolose grazie al Quidditch.
«Così mi strozzi» bofonchiò Frank, poco incline a festeggiare. In effetti si era pentito da un pezzo di quel progetto che aveva realizzato.
«Nervosetto stamattina?» commentò James, che sembrava sprizzare energia da tutti i pori, nonostante l’ora.
Frank non rispose e James dopo avergli lanciato un’occhiata interrogativa raggiunse Arthur, che era eccitatissimo come lui.
Il parco di notte era veramente inquietante. All’alba non mancava ormai molto e il cielo iniziava a rischiararsi, nonostante ciò gli alberi creavano giochi di ombre ingannevoli e il fruscio delle foglie nel silenzio faceva pensare a qualcuno che camminasse vicino a loro. Frank si chiese se anche gli altri la pensassero come lui, ma non sembrava. Non comprendeva proprio come potessero mostrarsi così tranquilli.
«Preoccupato?» gli chiese Albus, osservandolo con attenzione.
«Tu no?».
«Un po’ forse… insomma è un’esperienza nuova, poi tuo padre si fida di me e non voglio deluderlo…» replicò Albus soprappensiero.
Nel frattempo la McGranitt aveva momentaneamente abbassato le difese del castello per permetterli di uscire dal cancello, per poi riattivarle immediatamente.
Louis si affiancò a loro, taciturno.
«In Grecia si va in treno? Credevo che fosse lontana e che avremmo usato una passaporta» commentò perplesso Emmanuel, quando giunsero alla stazione di Hogsmeade.
«È consuetudine che le Scuole di Magia utilizzino i loro mezzi di trasporto tradizionali» rispose Frank automaticamente. La Dawson gliel’aveva spiegato durante una delle loro ultime lezioni extra. Molti si voltarono verso di lui e comprese che Emmanuel si era rivolto principalmente agli insegnanti. «Scusate» borbottò imbarazzato.
«Perché usiamo il treno? Non è un mezzo babbano?» domandò Marcus Parkinson, che era stato scelto per la gara di Trasfigurazione.
«Ancora mi chiedo che cos’ho fatto di male per doverlo sopportare anche in questo viaggio» mormorò James ad Albus.
«Vedi di non azzuffarti» ribatté Albus.
«Paciock, spiegalo tu ai tuoi compagni».
Frank sbiancò alle parole della McGranitt. Ma sul serio, chi gliel’aveva fatto fare? Non era capace di stare zitto! Molti dei suoi compagni ridacchiavano. Voleva scomparire. Non poteva neanche dire di non saperlo, perché la Dawson gliel’aveva raccontato.
«Era difficile far arrivare a Scuola tutti gli studenti, soprattutto senza farsi notare dai Babbani. Si tentò con le passaporte, ma molti ragazzi stavano male. Alla fine nel diciannovesimo secolo il Ministro della Magia Ottaline Gambol, affascinata dalle invenzioni babbane, decise di usare un treno. Da allora è stata costruita una rete ferroviaria molto articolata che congiunge tutte le città magiche più importanti d’Europa» borbottò infine senza guardare nessuno in volto.
«Esaustivo. Ci terrei ad aggiungere che quando prenderemo il treno per l’Europa, pretendo che vi comportiate in modo impeccabile, in quanto vi saranno anche altri passeggeri» concluse la McGranitt in tono palesemente minaccioso.
«E ti pareva?» sbuffò James.
«Salite sull’Espresso» ordinò il professor Mcmillan.
«È stranissimo» strillò Hugo guardandosi intorno sul treno,  vuoto senza tutta la scolaresca.
James, per conto suo, prese a dirigersi verso la coda del treno, il più lontano possibile dai professori.
«Non così in fretta» lo fermò Mcmillan, trattenendolo per il colletto della divisa.
«Che ho fatto ora?» si lamentò.
«Ancora nulla, ma nel dubbio, tu, Steeval, Mitchell, Abbott e Parkinson farete compagnia a me e alla professoressa McGranitt».
James gemette: quello era un incubo. «Non farò nulla di male» tentò.
«Ne sono sicuro. Accomodatevi, prego» replicò Mcmillan ignorando le proteste degli altri ragazzi e indicando uno scompartimento alla sua destra. L’unico che non disse nulla, ma era visibilmente contrariato, fu Parkinson.
Il viaggio verso Londra fu tranquillo. I ragazzi trascorsero il tempo, dormicchiando, giocando a scacchi o a sparaschiocco. Albus fu l’unico a non lasciarsi coinvolgere dal clima giocoso.
«Che pensi?» gli chiese Frank.
«Lo sai» sospirò il ragazzo pensieroso. «Non è il caso di parlarne qui».
Frank annuì e non insisté.
Albus non riusciva a non arrovellarsi sulle mosse che i Dodici avrebbero dovuto compiere per sconfiggere i Neomangiamorte e riportare la tranquillità in Inghilterra e non solo. Era sicuro che il calore, che le rune sprigionava in determinati momenti, avesse un significato ben preciso. Doveva capirlo e imparare a usarle. La Profezia non vaticinava una guerra come quella contro Lord Voldermort, ma chiedeva che loro riportassero la giustizia; una giustizia che a quanto pareva era stata solo creduta tale dopo l’ultima guerra.
«Ragazzi, preparatevi, siamo a Londra. Indossate gli abiti babbani che vi abbiamo raccomandato di portare con voi» annunciò Mcmillan entrando nel loro scompartimento.
Albus si alzò e recuperò il borsone dalla rastrelliera e con l’aiuto di Harry Cartemole, molto più alto di lui, passò i bagagli agli altri ragazzi. Si cambiarono rapidamente proprio mentre il treno si fermava.
«Che figata, prendere l’Espresso a ottobre» strillò per la millesima volta Mirko Allen di Tassorosso, mentre scendevano.
«Abbiamo compagnia» annunciò James, mentre si avvicinavano a lui. Albus e Frank notarono delle figure scarlatte sul binario.
«Avremmo dovuto aspettarcelo» commentò Emmanuel affiancandoli. «Non vedo vostro padre, però».
«E come se ci fosse» replicò James. «Vedi quello con la barbetta un po’ brizzolata?» chiese indicando un uomo sulla cinquantina, che scrutava intorno a sé con grande attenzione.
«Chi è?».
«Rick Lewis. Uno dei sotto-ufficiali. Di questo gruppo solo la McGranitt potrebbe tenergli testa».
«Neanche Mcmillan?» replicò Emmanuel perplesso.
«Mcmillan è un buon pozionista, non è un guerriero».
«Ma è un eroe di guerra».
«Credo che la guerra sia così: o ti rintani come un topo o combatti. E lui ha combattuto».
Emmanuel si accigliò, sicuro che vi fosse un velato riferimento al comportamento dei Serpeverde durante la battaglia finale. Strinse i pugni: avrebbe dimostrato che i Serpeverde erano coraggiosi.
Frank s’incupì, perché non gli piaceva sentir parlare di guerre e di cose tristi.
«Voi quattro, venite» li chiamò Mcmillan.
«Andiamo» disse Albus, l’unico che non aveva commentato le parole del fratello. A lui non piaceva combattere. Suo fratello, però, parlava da vero Grifondoro. Non avrebbe mai avuto il suo coraggio.
«Ora dovremo andare nella King Cross babbana per poter raggiungere il binario 7 e mezzo e prendere l’Orient Express. Comportatevi bene, specialmente quando sarete sul treno. Non sarete da soli, ma vi saranno altri maghi» li avvertì nuovamente la Preside, dopo averli istruiti sulle prossime mosse.
«Professoressa McGranitt, i miei uomini sono pronti» annunciò Lewis. «E la via è libera. Potete passare».
«Andiamo» ordinò allora la Preside.
I ragazzi la seguirono oltre il passaggio del binario nove e tre quarti. Nel lato babbano furono accolti dal via vai dei pendolari, che si spostavano sempre con velocità e completamente indifferenti. Albus si disse che anche se fossero andati in giro con la divisa di Hogwarts nessuno avrebbe fatto caso a loro o comunque li avrebbero presi per teppisti o gente strana. Ormai i babbani non si illudevano dell’esistenza della magia, per questo non comprendeva che cosa si aspettassero gli Squibs con le loro azioni. I Babbani gli avevano presi di mira come se fossero terroristi o dei pazzi.
«State vicini» ordinò seccamente Mcmillan, mettendoli in fila. Gli Auror, che li seguivano, si erano trasfigurate le vesti. James glie fece notare alcune persone che li seguivano che sembravano perfettamente babbane, ma molto probabilmente erano altri Auror. Cosa temeva loro padre? Un attacco a King Cross?
Era già buio, ma la stazione era perfettamente illuminata. Fu un po’ difficile sgusciare in mezzo alla folla, ma fortunatamente molti, vendendoli in fila, li scambiavano per una normale scolaresca e si spostavano per farli passare.
Lewis fece cenno ai suoi uomini appena furono tra il binario sei e il sette. Tre Auror dopo essersi guardati intorno attraversarono il passaggio, altri due si posero ai lati del pilastro.
«Vuole andare avanti lei, professoressa?» domandò Lewis.
La McGranitt annuì e si scambiò uno sguardo d’intesa con Mcmillan.
Gli Auror e il professore di Pozioni li fecero passare uno alla volta, perciò l’operazione richiese un po’ di tempo.
James rimase a bocca aperta. La banchina non era diversa da quella dell’Espresso di Hogwarts, ma il treno sul binario era grigio metallizzato. E c’era un bel po’ di gente. Erano tutti diversi tra loro, indossavano vesti e cappelli colorati ed eccentrici. Era strano non vedere una folla di adolescenti, intenti a non dimenticare qualcosa e a far finta di ascoltare le ultime raccomandazioni dei genitori. Vi erano alcuni stranieri, che si distinguevano per i lineamenti o per il modo diverso di vestire.
«Non pensavo che tanti maghi usassero il treno» commentò perplesso, pensando che il fratello l’avesse raggiunto. Fu, però, Jack Fletcher a rispondere: «Ci venivo ogni tanto da piccolo, quando… quando non avevo che fare…». In realtà avrebbe voluto dire quando tentavo di borseggiare incauti viaggiatori.
«E dove sei andato?» domandò curioso James.
«Da nessuna parte. Sveglia, Potter. Nemmeno ti immagini quanto costa un biglietto» sbuffò Jack roteando gli occhi.
«Ma noi abbiamo pagato un biglietto?» replicò perplesso il Grifondoro.
«L’avrà fatto il Ministero, dopotutto è la Gran Bretagna che rappresentiamo no?».
«Quindi verranno anche i membri del Ministero?» s’inserì nel discorso Albus, che nel frattempo li aveva raggiunti.
«Probabile. Ma scommetto quello che volete, che useranno una comodissima passaporta» ribatté Jack.
Si radunarono tutti intorno ai due professori, cui si erano aggiunti tre Auror.
«Bene, ragazzi. Il treno partirà tra breve. Il professor Mcmillan vi distribuirà i biglietti, qualora dovesse passare il controllore, potrete farglieli vedere. Vi sono quattro posti per ogni cabina e abbiamo già deciso come vi dividerete».
Un mormorio di protesta fece per sollevarsi ma fu tacitato sul nascere da una severa occhiata della McGranitt.
«Paciock, Albus Potter, Arthur Weasley e Mirko Allen» iniziò il professore di Pozioni, consegnando loro un biglietto ciascuno. «James Potter, Louis e Hugo Weasley, Nathan Wilkinson. Moore, Travers, Steeval e Bobbin. Benson, Parkinson e i gemelli Baston. Fawley, Abbott, Mcnoss e Mitchell. Mcmillan, Goldstain, Shafiq e Cartemole. Infine con me e la professoressa dormiranno Fletcher e gli Auror. Vi prego di raggiungere le vostre cabine e di indossare la divisa nuovamente. Per questa sera sarete liberi di trascorrere il tempo come desiderate, purché non facciate chiasso e disturbiate gli altri viaggiatori. Domani faremo lezione insieme».
«Che cosa?» chiese sorpreso James.
«Potter, credevi di essere in vacanza?».
«Una cosa simile» bofonchiò il ragazzo contrariato.
«E invece no. Impiegherete il tempo in modo proficuo, ripetendo le materie in cui siete indietro. Io, la professoressa McGranitt e uno degli Auror vi daremo una mano. La cena vi sarà servita nel vostro scompartimento, perciò non andate in giro».
«E se dobbiamo andare in bagno?» domandò ironico Albert Abbott. «Viene qualcuno?». I compagni scoppiarono a ridere.
«Gli Auror saranno fuori dai vostri scompartimenti. Vi dovranno accompagnare» replicò Mcmillan guardandolo malissimo. «Se non avete altre domande, è ora di salire sul treno».
Frank e Albus erano contenti di essere stati messi insieme. E Arthur e Mirko non erano dei cattivi compagni, certo un po’ troppo entusiasti. Non si poteva pretender tutto in fondo. Sistemarono i bagagli nella rastrelliera con l’aiuto della magia, perché era troppo alta per loro.
«Non sembra male» commentò Frank buttandosi sul sedile di pelle. «Ancora più comodo dell’Espresso di Hogwarts».
«Per forza, chissà che gente viaggia qua sopra» replicò Albus.
«Magari in questo stesso posto si è seduto qualche grande Cercatore» disse eccitato Arthur, suscitando varie risatine.
«Ma quando arriveremo in Grecia?» domandò Mirko.
«Non hai letto il foglio che hanno firmato i nostri genitori?» gli chiese Albus.
«No» ammise il ragazzino.
«Domani sera sul tardi saremo ad Atene».
«Wow, sarà un viaggio lunghissimo. Con l’aereo ci avremmo messo di meno però» commentò Mirko.
«Cos’è?» chiese Arthur.
«Ma come, il nonno ne parla sempre!» rispose Albus. «È un mezzo babbano. Il sogno del nonno è capire come faccia a volare».
«Sul serio? Il mio papà è un ingegnere aerospaziale, quando ero piccolo mi ha regalato un libro che lo spiega» disse Mirko.
«Potreste regalarlo al signor Weasley per Natale» commentò Frank ridacchiando insieme ad Albus.
«Ingecosa?» domandò, invece, Arthur.
«Ma non segui babbanologia?» gli chiese a quel punto Albus.
«Sono un po’ indietro» borbottò il ragazzino evitando lo sguardo del cugino più grande.
«Nel senso che passi più tempo a giocare a Quidditch che a studiare» lo redarguì infatti Albus. «Gli zii non saranno felici a Natale, se continui così. Ti devo ricordare che tua mamma voleva mandarti a Durmstrang?».
Arthur s’incupì. «Ma a me non piace studiare. Mi annoio. Però ci provo, ti giuro, ma non riesco a concentrarmi. Non mi puoi aiutare?».
Albus annuì paziente. Anche Vic faceva così quando era a Scuola.
«Comunque si tratta di un mestiere babbano. Gli ingegneri progettano macchine o cose simili» spiegò Mirko.
Dopodiché i due ragazzini si misero a discutere di Quidditch e a leggere una rivista che Arthur aveva portato con sé. Frank e Albus si misero a ripetere rispettivamente Storia della Magia ed Erbologia.
Negli altri scompartimenti la situazione non era altrettanto tranquilla, a causa di alcuni elementi più turbolenti ma Mcmillan non aveva scelto a caso Moore, Benson e Fawley che riuscivano perfettamente a farsi rispettare dai compagni.
Emmanuel trovava divertente le continue polemiche di Melissa Goldstain, che avrebbe voluto fare un giro per il treno. Rimen Mcmillan, però, non ne voleva sapere di farla uscire. Personalmente non amava minimamente quel modo di viaggiare, una passaporta sarebbe stata molto meglio. Se loro non facevano chiasso, ci pensavano gli altri passeggeri e come la Preside si aspettasse che studiassero proprio non lo sapeva.
James non poteva lamentarsi della sua compagnia. Insomma non avrebbe mai dormito con Parkinson. Il problema è che si stava annoiando terribilmente. Louis, Hugo e Nathan Wilkinson non facevano che giocare a scacchi. Aveva anche provato a giocare con loro, ma era davvero forti e gli era passata subito la voglia.
La prima fermata era stata in Francia, una città chiamata Calais, che più volte aveva sentito nominare dagli zii e dai cugini. Louis non si era mostrato molto interessato al fatto di essere in un’altra nazione e aveva mangiato un povero pedone di Hugo come se nulla fosse. Nathan Wilkinson si era attaccato al finestrino sperando di vedere qualcosa, ma ormai era notte.
«Ehi Lou, sai qual è la prossima fermata francese?».
Il cuginetto seguiva attentamente la partita tra Hugo e Nathan. L’ennesima. «Mmm che io sappia l’Orient Express tocca solo le città magiche più importanti, perciò la prossima tappa è Parigi. Impiegheremo più di due ore e mezza» disse senza staccare gli occhi dalla scacchiera. «Poi si fermerà a Digione, ultima tappa francese».
«E dopo?» domandò Nathan.
«Ma scusa solo queste sono le città magiche francese?» chiese, invece, James.
«Una città totalmente magica è Locronan in Bretagna, ma si raggiunge con altri mezzi. È bellissima. Ce ne sono anche altre, ma l’Orient Express non le può certo collegare tutte. In alcuni casi il Ministero francese ha creato delle linee locali apposite. Dopo Digione entreremo in territorio svizzero, Ǟuli, la capitale magica. I Babbani pensano che sia un sito militare, ma non è vero. Ai loro occhi appare come una città abbandonata. Dopo non lo so, forse in Germania o in Italia».
«Come fai a saperlo?» esclamò sorpreso Nathan Wilkinson.
James ormai non si sorprendeva più.
«Mio nonno mi ha portato a vederla. È molto bella. Abbiamo preso l’Orient Express a Parigi».
«Che figata!» trillò il ragazzino.
«Scacco matto» sentenziò soddisfatto Hugo.
«Non è giusto! Ero distratto!» protestò all’istante Nathan. «Voglio la rivincita».
«No, ora tocca a me» si lamentò Louis.
James sbuffò e si alzò. Non sarebbe sopravvissuto a quel viaggio, se fosse rimasto a guardarli giocare.
«Dove vai?» lo bloccò Louis.
«Do un’occhiata in giro».
«Non puoi. Il professore ha detto che non dobbiamo farlo» ribatté il ragazzino.
«Non lo saprà» replicò sbrigativamente James. Gettò un’occhiata fuori dallo scompartimento e vide due Auror che andavano avanti e indietro lungo il corridoio. Anche loro probabilmente si stavano annoiando da morire. Si voltò verso i suoi compagni di viaggio e si accertò che Nathan non lo stesse guardando, infine tirò fuori il mantello dell’invisibilità e si coprì. Fortunatamente Hugo, abituato alle imprese di Lily, fu rapido a spalleggiarlo quando aprì la porta. James riuscì a sgusciare fuori, mentre un Auror si avvicinava per verificare che stessero facendo. Hugo impallidì lievemente e disse: «Volevo andare da mio cugino nell’altro scompartimento».
«Meglio di no» borbottò l’Auror.
«Suvvia», intervenne il suo compagno, «l’importante è che non si allontanino. Va’ pure».
«Grazie, signore» disse frettolosamente Hugo, che, a quel punto, andò a trovare Albus per la felicità di Nathan che poté giocare nuovamente.
James sorrise alla buona riuscita del piano e si allontanò. Per un po’ giro a vuoto, sbirciando negli scompartimenti. In effetti vi era gente strana: in uno vide un gruppo di goblin, che discutevano animatamente. Non gli parve un buon segno che avessero una copia della Gazzetta del Profeta in mano. Dove andavano? Erano saliti a Londra con loro? Gli sarebbe piaciuto scoprirlo, ma decise che la scelta più saggia sarebbe stata quella di allontanarsi. In un altro vide un mago con un enorme naso bitorzoluto, che stava dettando un discorso alla sua piuma magica, che scorreva velocemente su una pergamena che galleggiava di fronte a lui. Parlava una lingua strana, che James non riuscì a comprendere. Si accorse che più si inoltrava verso il fondo del treno, più il caos aumentava. Addirittura sentì della musica. Incuriosito si avviò proprio verso il punto in cui il chiasso sembrava più intenso. Entrò in una sala, alquanto affollata. Vi erano una serie di tavolini, in qualche modo fissati al pavimento, un bancone da bar, le luci erano soffuse e una vera e propria orchestrina suonava. Non era musica moderna, ma nemmeno preistorica come quella che piaceva alla McGranitt. Dovette fare molta attenzione per non urtare qualcuno e farsi scoprire. Quella sì che era una scoperta meravigliosa. Era una specie di ristorante. Per quale motivo li avevano fatti mangiare da reclusi nei loro scompartimenti? Euforico scorse dei tavoli più appartati in una zona meno affollata. Si avvicinò per vedere da vicino e vide che vi erano dei maghi che giocavano a carte, altri a dadi. In un angolo vi era persino una strega, di notevole fascino, che leggeva i tarocchi ai viaggiatori.
Ma dov’era finito? Gli balenò in mente il volto contrariato di nonna Molly. Era una specie di paradiso del proibito. L’aria era poco respirabile a causa del fumo delle sigarette di molti avventori. Ebbe la tentazione di chiedere se potesse fare una partita, chissà quanto avrebbe potuto vincere! Il treno rallentò in quel momento. Dovevano essere arrivati a Parigi.
Uno dei giocatori imprecò, perché la fermata improvvisa aveva rovesciato il bicchiere di whisky incendiario sul tavolino. Non fu questo a sorprendere James, ma che l’uomo lo avesse fatto in inglese.
«Ti ho detto di parlare in francese» si spazientì un altro.
James li guardò con attenzione e fece qualche passo indietro. Uno di loro l’aveva già visto!
«Ma chi vuoi che si interessi a noi?» si lagnò il primo mago.
«Dovresti stare più tranquillo» disse in un inglese fortemente marcato il terzo giocatore. «Nessuno si aspetterebbe di trovarti su questo treno».
Il cuore di James batteva all’impazzata. Che doveva fare? Correre a chiamare gli Auror? In un primo istante aveva pensato di attaccarlo, fortunatamente una doppia voce, quelle di suo padre e di Williams, gli aveva urlato in testa di non fare cavolate. Non solo si sarebbe consegnato, ma avrebbe messo a repentaglio l’incolumità degli altri passeggeri. Inoltre gli Auror fungevano da scorta, ma non aveva autorità in territorio francese. Quanto sarebbe rimasto fermo il treno a Parigi? A Calais erano stati almeno una decina di minuti. Sufficiente per far accorrere gli Auror francesi?
«Fate come volete. Basta con queste carte però. Il nostro amico sarà qui a momenti».
James osservò attentamente l’uomo: ne era certo, si trattava di Thomas Rosier. A voglia che suo padre lo cercasse in Gran Bretagna, quello se ne andava felicemente in giro per l’Europa. Se c’era un informatore o un altro alleato, era importante scoprire chi fosse. Il treno riprese a muoversi, ma non prima di una decina di minuti, un uomo grassoccio e basso si avvicinò ai quattro maghi, che si alzarono a salutarlo. James si mise in un angolo il più distante possibile, ma non troppo da non poter sentire la conversazione. Il nuovo arrivato era accompagnato da due energumeni. Doveva essere una persona importante o comunque ricca. Indossava una veste molto elegante, ma anche pesante conseguentemente doveva venire da un paese molto freddo. I cinque uomini si misero a parlare in tedesco. James era sicuro che fosse tedesco, l’anno scorso aveva sentito un sacco di volte i ragazzi di Durmstrang parlare. Non capì una sola parola. All’improvviso i tono si alzarono notevolmente. Qualcosa che aveva detto il nuovo arrivato, non era andato giù a Rosier. Le bacchette furono estratte senza troppi ripensamenti, i due energumeni intervennero. Quelli che giocavano a dadi urlarono, come molti altri viaggiatori e il panico si diffuse rapidamente. James ebbe solo il tempo di chiedersi come diamine faceva a finire sempre in mezzo a simili situazioni, che una mano lo tirò via. Per un terribile attimo fu certo che l’avessero beccato, tento di divincolarsi ma la stretta era forte. In pochi secondi si accorse di essere fuori dalla sala. E la stretta si allentò.
«Sei proprio un bambino. Che pensavi di fare lì?».
Era la giovane donna che leggeva i tarocchi. «No, no… io… io sono un Auror sotto copertura» biascicò James.
La donna scoppiò a ridere. «Sei inglese. Uno dei ragazzi che parteciperà alle Olimpiadi Magiche».
«Come lo sa?» chiese James stringendo la bacchetta nella mano.
«Tieni la bacchetta a posto, pulcino. Io sono un Auror sotto copertura. Conosco nome e cognome di chi si trova su questo treno. Fila via, eh. Non credo che i tuoi insegnanti sappiano che sei qui, no?».
«No e preferirei che non lo sapessero. Ma quello là dentro è un delinquente, è inglese…».
«…e lo so» lo interruppe la donna. «Ci sono i miei colleghi là dentro. Tu sparisci».
«Come hai fatto a vedermi sotto il mantello?».
«Trucchi da Auror».
«Posso conoscere il tuo nome?».
«Forse, se ci incontreremo ancora, te lo dirò. Vattene prima che ti fermi come testimone».
James capì l’antifona, si ricoprì con il mantello e si dileguò. Il suo cuore batteva ancora forte. Riuscì a superare la guardia degli Auror e rientrare nel suo scompartimento. Si tolse il mantello e tirò un sospiro di sollievo, ignorando lo sguardo scioccato di Nathan Wilkinson che l’aveva visto spuntare fuori dal nulla.
Per il resto del viaggio rimase in attesa di notizie ed ebbe poco tempo per confrontarsi con Jack Fletcher, il quale, saggiamente gli disse che non avrebbero coinvolto i passeggeri. Purtroppo non potevano neanche chiedere ai loro Auror qualche chiarimento, perché avrebbe dovuto ammettere di essersi allontanato di nascosto e avrebbe passato un guaio bruttissimo.
«Tu sei un pazzo» gli aveva semplicemente detto Albus, la mattina dopo. In seguito non avevano avuto modo di parlare, perché i professori gli avevano messi sul serio sui libri.
Quando finalmente giunsero ad Atene erano le undici di sera. James dovette scuotere Lou, Hugo e Nathan che si erano addormentati. Era inquieto quando scese nella stazione. Si guardò intorno.
«Non ci sono pericoli» gli sussurrò Jack. «Qualunque cosa si accaduta ieri sera, se ne sono occupati i Francesi prima di passare il confine».
«Quelli chi sono?» attirò la loro attenzione Louis.
Un gruppo di ragazzi era sceso insieme a loro. Indossavano una divisa. Da lontano e al buio non si vedeva se avevano qualche segno distintivo. La McGranitt, però, si avvicinò all’uomo in testa al gruppo. Scambiarono qualche parola e poi si avvicinarono a loro.
«Di che Scuola sono, signore?» chiese Emmanuel a Mcmillan.
«Koldovstoretz» rispose il professore.
«Si trova nella Russia orientale» disse Frank, quando l’insegnante si allontanò per salutare.
«Buonasera» disse una ragazza, che fino a quel momento nessuno aveva notato. Parlò in un inglese quasi perfetto. «Mi chiamo Amalia Stankov. Io e il mio compagno, Achaicos Martakis, vi faremo da guida». Un ragazzo alto, accanto a lei, si limitò a sorridere cortesemente.
«Ma siamo gli unici che sanno solo una lingua?» sussurrò Albus a nessuno in particolare.
«Veramente io conosco anche il francese» replicò Louis.
«E anche io, Potter. Si vede che non hai avuto un istruzione purosangue» disse sprezzante Marcus Parkinson.
James lo fulminò con lo sguardo, ma non reagì.
«Comunque non conoscete altre lingue» bofonchiò Phoebe Moore. «Io ho studiato anche lo spagnolo, da autodidatta».
«Corvonero» sbuffò Alex Steeval.
«Andiamo, ragazzi» li chiamò Mcmillan.
Camminarono per un po’ per le strade di Atene, ma percorsero solo strade secondarie perciò non poterono farsi un’idea della città.
«Quello è il porto della città, il Pireo. Per i Babbani è fondamentale. Noi abbiamo un porticciolo più discreto» spiegò Amalia Stankov.
Non ebbero il tempo di osservare per bene la zona illuminata e le grandi barche, che i due Greci li condussero in una zona isolata. Alla fine della quale apparve davanti i loro occhi il mare. Molti strilli e bocche aperte mostrarono il piacere dei ragazzi. I più sorpresi sembravano i ragazzi della Scuola russa. La banchina del porto era di pietra e vi era ancorata un enorme barca in legno con tantissimi remi che sporgevano dai lati.
«Accidenti, non ne avevo mai vista una così» sospirò estasiato Emmanuel, ma i suoi compagni non erano da meno.
«Questa è la nostra triremi. Da tempi immemori è stata usata dalla nostra Accademia di Magia» spiegò Amalia.
«Secondo me il suo amico non conosce l’inglese» sussurrò Jack a James, che sorrise lievemente in quanto non gliene fregava niente del ragazzo di fronte a uno spettacolo tanto inusitato.
«Prego, potete salire. Sottocoperta troverete delle cabine. Achaicos, vi farà strada. Salperemo immediatamente» continuò Amalia Stankov indicando una passerella di legno.
«Che vuol dire che troveremo delle cabine?» sbottò James rivolto a Mcmillan, sostenuto da un Jack altrettanto sconvolto.
«La scuola è su un’isola, impiegheremo qualche ora a raggiungerla. Vi consiglio di riposare» rispose il professore, che appariva altrettanto stanco.
«È assurdo» sbuffò a quel punto Marcus Parkinson. «Ci avete costretti a un viaggio infinito per che cosa?».
Frank sospirò. James e Jack protestarono a loro volta. «Dovremmo segnare questa data: per la prima volta in cinque anni e mezzo Jamie e Parkinson sono d’accordo su qualcosa» celiò Albus, prima di sbadigliare.
Naturalmente le proteste non servirono a nulla e i ragazzi decisero che i letti nelle cabine non erano così male. Albus tornò sul ponte. Adorava il solletico del vento sul viso. L’odore di salsedine lo colmava e il mare era limpido e riluceva alle lampade poste sulla nave. Era meraviglioso.
«Ti piace?» chiese Achaicos.
«Tantissimo. Vorrei tanto vivere vicino al mare».
Il ragazzo, però, lo fissò lievemente confuso. Albus si sentì a disagio: che aveva detto?
«Scusa», disse impacciato Achaicos, «potresti parlare lentamente. Io non parlo inglese bene».
«Oh, scusami tu» replicò immediatamente Albus, che proprio non ci aveva pensato. «Mi piace il mare» disse piano, indicando la distesa scura. «Vorrei abitare vicino al mare».
Achaicos sorrise, ma non aggiunse altro nonostante ad Albus era parso volesse farlo. Probabilmente non sapeva come esprimersi, ma non poteva aiutarlo. Infine, infreddolito, si risolse ad andare a letto. Scese le scalette di legno con attenzione e raggiunse la sua cabina. Questa volta i professore gli avevano lasciati scegliere. Per ammansirli? Perché si sentivano in colpa? O semplicemente perché ritenevano che fossero troppo stanchi per fare chiasso?
Gli Auror come sempre era svegli e vigili. Li sorrise e loro ricambiarono un po’ annoiati.
Nella cabina tutti dormivano, tranne Hugo. Albus lo trovò nel bagno, verde in volto. «Oh, Merlino. Soffri di mal di mare?».
Hugo annuì debolmente. «Non ero mai salito su una nave. Non credo che la barca a vela dello zio Bill conti».
«Non sono un esperto… Comunque dovresti prendere una pozione contro la nausea».
«E dove la prendo?» borbottò il ragazzino, prima di dar nuovamente di stomaco.
Albus sospirò e si diresse nella cabina, che i Greci avevano allestito per i docenti delle due Scuole. A quanto pare tutti e quattro avevano il sonno leggero, d’altronde avevano la responsabilità degli allievi, tra cui diversi minorenni. Quando fu invitato a entrare e fece la sua richiesta a Mcmillan, si accorse che i due insegnanti di Koldovstoretz lo fissavano straniti. Che aveva chiesto di così strano? Il mal di mare non era una rarità! Comunque non era un problema suo, fortunatamente il professore era stato previdente e poté tornare dal cugino in pochi minuti. Finalmente poterono riposare entrambi. Ed essere cullati dalle onde, è molto rilassante.
 
«È bellissimo» sussurrò Frank. Albus e gli altri erano senza parole, persino James e Albert Abbott che riuscivano sempre a dire qualcosa. Nel fulgore del sole appena sorto un’isola ricca di vegetazione dai colori rossastri apparve ai loro occhi.
«Tutto sommato ne è valsa la pena» commentò Albus felice.
«Parla per te» borbottò Hugo.
«Che ha?» domandò James preoccupato.
«Ha scoperto di soffrire di mal di mare» replicò Albus non riuscendo a trattenere una risatina.
«Benvenuti a Polyaigos» esclamò sorridente Amalia Stankov. «Vi prego di seguirmi».
La ragazza li condusse lungo una stradina. Fortunatamente non impiegarono molto a raggiungere la scuola. I ragazzi rimasero ancora una volta senza parole. Era un edificio antichissimo e circondato di colonne. L’ingresso si raggiungeva attraverso una sfilza di gradini, sui quali attendeva un ragazzo, che, appena li vide, li raggiunse.
«Benvenuti alla nostra Accademia di Magia. Mi chiamo Niki Charisteas e sono il rappresentate della mia Scuola».
«Quante scale sono?» chiese Emmanuel, che non aveva dormito molto quella notte.
«Risparmia il fiato» borbottò Amy Mitchell. «Dopo questo, Scorpius dovrà esimerci dal prossimo allenamento».
Emmanuel in quel momento lo riteneva l’ultimo dei suoi problemi. Sperò ardentemente che non ci fossero altre scale all’interno. Una volta in cima e dopo aver ripreso fiato, notò che si trovavano in un portico che portava all’ingresso vero e proprio.
«Immagino che siate stanchi per il viaggio. Amalia farà vedere la camerata alle ragazze; Achaicos ai ragazzi. Nel frattempo sarà servita la colazione nella Sala dei Banchetti. E se avete fame, vi consiglio di raggiungerci. Professori, se volete seguirmi, vi presenterò il polý sofós» disse Niki Charisteas.
Albus si sedette sul letto, appena raggiunse la stanza. Era sfinito, ma quella sistemazione non lo invitava a riposare. Era una camerata enorme, tanto che vi era spazio per almeno una cinquantina di letti. James e Jack erano già corsi a mangiare, dopo aver gettato i borsoni vicino ai loro letti. Emmanuel e Frank apparivano altrettanto scontenti.
«Sarà una lunga settimana» sospirò Emmanuel.
*
Avevano trascorso gran parte della giornata a riposare.
«Pronto, Frank?» chiese James con un ampio sorriso.
«No» ribatté laconico il ragazzino, poi raggiunse Mcmillan e la McGranitt per avere le ultime istruzioni.
«La nostra festa di Halloween l’anno scorso è stata molto divertente» sospirò Jack.
«Già, oggi invece dobbiamo indossare questi stupidi vestiti eleganti» concordò il Grifondoro tirandosi il colletto della veste.
«Se lo rovini, mamma ti ammazza» intervenne Albus.
«Almeno metterebbe fine a questo supplizio».
«Non siete abituati a indossare vesti eleganti?» commentò sorpreso Emmanuel.
«Non siamo dei piccoli purosangue perfettini come te» ribatté aspramente Jack.
Emmanuel strinse i denti, chiedendosi se fosse il caso di replicare in modo offensivo; alla fine desistette non era il luogo adatto per litigare e Fletcher era decisamente più forte di lui.
«Ma perché dobbiamo indossare delle maschere?» borbottò Albus. Erano tutte finemente decorate, ma la prospettiva di doverle indossare per tutta la serata non era allentante.
«Vallo a chiedere ai Greci» replicò James.
In quel momento Mcmillan li chiamò e furono costretti a indossare la maschera. Frank era a capo della fila e portava uno stendardo con lo stemma di Hogwarts.
«Pesa più di lui» ghignò Jack con la voce lievemente distorta dalla maschera.
Mcmillan con un’occhiataccia gli intimò di tacere.
Entrarono in una vasta sala e la percorsero tutta diagonalmente prima di fermarsi davanti al palco d’onore, dove Presidi e membri dei vari Ministeri avevano già preso posto. Un brivido di emozione percorse i ragazzi. Erano la prima scuola a entrare, probabilmente in onore del fatto che l’idea delle Olimpiadi Magiche era stata di Frank.
Questo diede l’opportunità ai ragazzi di osservare le altre Scuole. Tutti indossavano vesti eleganti quella sera e tradizionali, per cui se non fosse stato per il cronista non sempre avrebbero potuto riconoscere chi entrava. Subito dopo di loro fu il turno dei ragazzi di Beauxbatons, il loro stemma con le due bacchette incrociate e tre stelline, ormai i ragazzi di Hogwarts avevano imparato a riconoscerlo; così come quello di Durmstrang. Avevano dato la precedenza alle tre Scuole europee più importanti, cui seguirono i ragazzi di Koldovstoretz con cui avevano viaggiato, ma durante la giornata non si erano minimamente calcolati. Poi un gruppo di ragazzi, il cui stemma presentava una farfalla stilizzata e che il cronista annunciò come la Scuola di Magia e Stregoneria Fata Morgana. A essi seguirono la Scuola australiana Dreamtime, Móshú, Ilvermorny, Castelobruxo, Mahoutokoro, per ultimi i ragazzi Greci. La Sala, e probabilmente l’intero edificio, pullulava di Auror, come avevano avuto modo di scoprire durante la giornata.
Babajide Akingbade, il Supremo Pezzo Grosso della Confederazione dei Maghi, si levò dal suo scranno e sorrise: «È un vero piacere per me essere qui questa sera, insieme a tanti giovani maghi promettenti. L’intento è quello di inaugurare una nuova tradizione che possa legare tutte le Scuole del mondo e tramite esse giovani e pronte menti. Per la prima volta tutte le Scuole sono riunite in unico luogo e voi dovete esserne felici. Non vi ruberò troppo tempo, non siamo qui per fare i discorsi. Ho sempre creduto che le parole servano a poco, se non si mettono in pratica; perciò sarà l’impegno e la lealtà che metterete in questa competizione amichevole a dare un’importante risposta agli sconvolgimenti e i disordini che stanno interessando l’Europa e purtroppo anche parte dell’Africa in questo momento. Tutti voi sapete di che cosa sto parlando, pertanto non desidero rattristarvi ulteriormente. Alla fine della serata Niki Charisteas, alfiere dell’Accademia greca, accenderà l’ultima fiaccola e le Olimpiadi inizieranno ufficialmente. Credo che si possa dare il via al banchetto e alla danze, ma prima lascio la parola ai rappresentati delle Scuole».
Un forte applauso si levò da tutti i presenti. Il primo a parlare fu Frank. Il ragazzino era emozionato, la voce gli tremava, ma se la cavò ugualmente abbastanza bene. Albus e gli altri ascoltarono più o meno attentamente le storie delle altre Scuole, ma quello che colpì un po’ tutti furono le parole di Niki Charisteas.
«L’Accademia di Magia greca è molto antica, così come l’arte magica nel nostro paese. Non è di questo, però, che vi voglio parlare questa sera, ma del suo abbandono» esordì il giovane, suscitando la curiosità e molti mormorii nella Sala. Qualcuno credette di non aver compreso perfettamente il suo inglese. Persino il tavolo delle Autorità si agitò. Babajide Akingbade rimase impassibile.
«Ufficialmente per la Confederazione Internazionale dei Maghi la nostra Accademia non esiste fin dall’inizio del ‘900, per questo motivo la maggior parte di voi, se non la totalità, non aveva mai sentito parlare di noi. Intorno al 1912, in concomitanza con scontri tra Babbani nei Balcani, scoppiò una guerra anche tra i maghi greci. I Purosangue decisero di dover affermare definitivamente il loro potere, anche a costo di eliminare tutti i Mezzosangue e i Nati Babbani. Questi ultimi si coalizzarono. E il nostro paese fu teatro di una sanguinosa guerra civile. Non mi chiedete chi ha vinto, perché ancora gli storici ne discutono. I più sono convinti che abbiano vinto Mezzosangue e Nati Babbani, per il semplice fatto che molti rampolli purosangue perirono e con loro si perse il cognome della loro famiglia tanto difeso. I pochissimi purosangue rimasti, hanno perso quasi tutte le ricchezze. Alla fine, però, ci ha rimesso l’intero paese. L’Accademia, che non si è sottratta agli scontri, ha seguito una sorte simile. Da allora la comunità magica greca ha tentato di riprendersi e trovare un nuovo equilibrio con il sostegno del Ministero della Magia Italiano e di quello Serbo principalmente. L’Accademia, però, è rimasta chiusa per anni. Solo all’inizio del 2000 si è deciso di riaprire i corsi. Se non l’avete notato, siamo molto pochi, questo perché molti, specialmente i purosangue rimasti, preferiscono mandare i figli a Durmstrang, Beauxbatons o alla Fata Morgana. La Confederazione ci ha dato l’opportunità di ospitare la prima prova delle Olimpiadi e questa per noi è un’occasione fondamentale per mostrare quanto siamo cresciuti in questi anni e dimostrare la validità della nostra istruzione. Aspiriamo a un riconoscimento ufficiale e gareggeremo con questo intento. Che vinca il migliore».
Quello che doveva essere il Preside dell’Accademia, sorrise e prese la parola solo per dare il suo benvenuto ufficiale e dare il via alla festa di Halloween.
La serata era tranquilla, sicuramente la festa in maschera che avevano fatto loro l’anno prima, per accogliere gli studenti stranieri, era stata più movimentata. Innanzitutto erano molti di più e appartenenti a realtà completamente diverse, ma a complicare la situazione, soprattutto quando le candele furono spente a favore di una luce più tenue quasi spettrale, fu il disorientamento causato dalle maschere. Era davvero difficile riconoscersi.
Albus tentò di non perdere di vista gli amici, ben sapendo che sarebbe stato difficile ritrovarli tra tutte le maschere, ma fu inutile. Ben presto non capì più nulla.
«Potter, secondo te gli Auror internazionali risponderanno alle nostre domande? Non sapevo che esistessero!».
Albus sbuffò: «Jack, non sono James».
«Ah, ecco perché mi sembravi basso».
Il Grifondoro fissò a bocca aperta l’altro ragazzo che si allontanava, se a cercare James o ad avvicinare da solo gli Auror, non gli interessava. Decise di lasciarsi andare e abbassare un po’ la guardia, tutti stavano ballando dopo l’iniziale smarrimento e nessuno sapeva realmente con chi.
Jack comprese immediatamente che non era il caso di insistere con gli Auror stranieri, sembravano tanto le guardie babbane che proteggevano Buckingham Palace. Da piccolo si divertiva un mondo a tentare di farle parlare o muovere. Una volta ci era riuscito, lanciando un grosso topo, che aveva trovato a Nocturn Alley, addosso a un povero malcapitato. Era scappato per un pelo e per un po’ aveva evitato la zona per non farsi riconoscere. A parte il fatto che non avrebbe saputo dove procurarsi un topo in quel momento, ma anche se avesse preso di sorpresa uno degli Auror sicuramente quello l’avrebbe maledetto due secondi dopo. I vantaggi di essere un bambino… Sospirò e decise di ballare, nella speranza di trovare qualche bella ragazza. Che pessima idea quella delle maschere!
Frank e Albus si ritrovarono vicino al buffet. Il più piccolo si sentiva a disagio a ballare in mezzo a tutta quella gente sconosciuta e Al non era molto più felice, più che altro perché non riusciva a togliersi dalla testa le parole di Charisteas. Una guerra civile. Persino all’interno dell’Accademia. Sarebbe mai potuto accadere a Hogwarts? Non riusciva proprio a immaginarsi una cosa così terribile.
«Le maschere sono un’idiozia» sbottò Frank contrariato. La sua voce risuonava più dura attraverso la maschera.
«Oh, ma un senso c’è» sospirò Albus, dopo aver riflettuto fissando la folla in movimento. «Non vedi? Stanno ballando senza chiedere quale sia lo Stato di Sangue o il conto alla Gringott. Solo dei ragazzi. Quando si toglieranno la maschera, smetteranno di essere amichevoli? Può darsi, ma non tutti».
«Da noi non potrebbe esserci una guerra civile, vero? La guerra contro Voldermort è ancora indelebile nelle mente di tutti» disse Frank.
«Non abbastanza. Forza, mangiamo qualcosa e poi proviamo a fare amicizia».
«E come?».
«Guarda, quei ragazzi sono a bordo pista. Proprio come noi. Avviciniamoci».
Frank seguì l’amico riluttante. Albus non si pentì della sua decisione e la serata trascorse più rapidamente di quanto avrebbe creduto.
Poco prima della mezzanotte, la musica smise di suonare.
«È il momento di accendere la fiaccola e inaugurare le prime Olimpiadi Magiche della storia. Prego, signor Charisteas».
Niki Charisteas senza togliersi la maschera, ma la sua figura corpulenta e muscolosa non passava inosservata, si avvicinò con lenta solennità al braciere olimpico e con la sua torcia accese il braciere. Un forte applauso risuonò nella Sala.
«Bene, signori, vi invito a togliervi la maschera e guardare in viso i compagni con cui avete ballato e vi siete divertiti questa sera» disse Babajide Akingbade.
Albus e Frank sorrisero a una ragazza che si presentò come Arianna D’Abrosca della Scuola italiana e un’altra di Castelobruxo di nome Zaira Alvarez.
Jack fu molto felice di vedere finalmente in volto le ragazze, poiché molte erano particolarmente carine. Emmanuel e James si mostrano cordiali con tutti quelli che avevano vicino, specialmente il primo. Alla fine gli insegnanti li mandarono a letto.
Il giorno dopo sarebbero iniziate le gare e tutti erano molto emozionati.
 
   
 
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