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Autore: Lumen Noctis    28/11/2017    3 recensioni
«Adesso è la notte tra il sette e l’otto dicembre. Ti trovi a casa di Akira, nell’attico del caffè Leblanc. Hai dormito ininterrottamente per cinque giorni. Se senti dei pizzicori alla gamba destra, è normale, la dottoressa Takemi ha avuto il suo bel daffare a disinfettare la ferita e applicare le garze. Ha detto che sei stato molto fortunato, la pallottola non ha colpito nessuna vena o arteria e anche l’osso è intatto. Ad ogni modo, se il dolore dovesse diventare insopportabile diccelo subito, abbiamo degli antidolorifici…»
Che tipo di evoluzione avrebbe avuto la sua vita ora che, in qualche modo, era sopravvissuto a se stesso? Odiava ammetterlo, ma se era ancora in quel lurido mondo, lo doveva unicamente ai Phantom Thieves. Eppure forse la morte sarebbe stato un sollievo migliore degli antidolorifici che Akira gli dava la sera poco prima di dormire.
Spoiler: Novembre e Dicembre interni al gioco.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Goro Akechi, Ren Amamiya/Akira Kurusu
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 2.

Slow beat.

 

L’indomani mattina, Akira si svegliò presto, colpito in viso dai primi raggi del sole. Il divano sul quale aveva continuato a dormire per quasi cinque giorni era morbido abbastanza da permettergli un sonno sereno, ma restava ugualmente un po’ troppo corto. Come gli era successo anche le altre volte, aprì gli occhi che ancora sentiva il corpo rigido per aver dormito tutta la notte nella stessa posizione. Nonostante lo spiacevole formicolio dei suoi muscoli che si risvegliavano, tuttavia, dormire lì non gli dispiaceva. Le coperte sotto le quali si rannicchiava ogni sera gli lasciavano una piacevole sensazione di calore e sicurezza, fino al momento del risveglio. Sentiva la mancanza del suo piumone, ma aveva deciso di lasciarlo a chi in quel momento ne aveva più bisogno.

Akira sbatté le palpebre più volte mentre fissava con sguardo assente le proprie mani sul materasso, accanto al proprio viso. Nel momento in cui si era svegliato per la prima volta su quel divano, aveva avuto origine quella che stava diventando una sua pessima abitudine mattutina. Alzò lo sguardo verso il letto, dove il piumone tutto in disordine lasciava scoperto per metà il piede sinistro di Goro Akechi, ancora profondamente addormentato. Si era voltato durante la notte, perché ricordava di averlo visto addormentarsi col volto rivolto al soffitto, e adesso era disteso di fianco abbracciando un lembo del piumone, di faccia alla parete della finestra. La calma nella stanza, in cui l’aria era illuminata e tagliata dai caldi raggi del sole, scivolò lentamente su di lui e il tempo rallentò un poco. Riuscì a sentire il battito del proprio cuore pulsare piano nelle orecchie, poi mentre osservava, accelerare… era questo il momento in cui decideva di alzarsi.

Prima di farlo, allungò una mano sul tavolo da lavoro che aveva appositamente accostato al divano e recuperò i propri occhiali. Non aveva davvero bisogno di portarli per vedere bene, ma ormai era diventato un gesto abituale. Poi prese il telefono sempre dal proprio comodino improvvisato e aprì la chat di gruppo. Non c’erano messaggi nuovi dall’ultima volta che aveva controllato - il che significava, nessun nuovo messaggio dalle tre del mattino, come era giusto che fosse. Negli ultimi giorni gli argomenti erano stati più o meno sempre gli stessi, con una discussione particolarmente accesa sul da farsi nel futuro più prossimo, che poteva riguardare un’unica cosa: quando agire per rubare il cuore di Masayoshi Shido. Ovviamente, erano molti anche i messaggi che chiedevano delle condizioni di Goro. Akira sorrise, pensando che forse presto avrebbero potuto ricevere risposte positive. E assieme al buongiorno allegò la notizia di quella notte.

Il telefono, nell’angolo in alto a destra dello schermo, gli comunicava che erano ancora le sei e ventidue del mattino. Non aspettandosi una risposta immediata, era sul punto di mettere via il telefono nel momento in cui il suono di una notifica riverberò nella stanza. Senza pensarci, Akira abbassò subito il volume della suoneria. Il messaggio era da Haru, sorprendentemente sveglia e reattiva col telefono a portata di mano. Chissà che non stesse già badando alle sue piccole piante sulla terrazza della Shūjin.

“Ma che bella notizia!” Aveva scritto nel primo messaggio. “Come si sente?”

Akira si affrettò a dare informazioni: “Si è svegliato in mezzo alla notte e stava malissimo, non riusciva a respirare bene. Ha iniziato a graffiarsi, come se volesse farsi male, o peggio…” Prima di inviare, passandosi una mano nei capelli, alzò lo sguardo verso il ragazzo che dormiva profondamente nel suo letto. Di nuovo non poté fare a meno di notare le dita dei piedi che sbucavano a penzoloni fuori dal piumone e dal materasso, e sorrise amaramente tra sé. Forse avrebbe fatto meglio ad alzarsi e controllare meglio la sua condizione e, per qualche motivo, decise che non desiderava condividere con gli altri i dettagli peggiori di quella notte. Era rimasto turbato e avrebbe voluto parlarne con qualcuno, ma forse, per questo, avrebbe potuto chiedere a Morgana.

Tornando al telefono, decise di cancellare la seconda parte del messaggio e aggiunse invece “Adesso sembra stare bene.” Non tardò molto la risposta di Haru, che espresse il proprio sollievo prima di rinnovare la proposta, già reiterata più volte nei giorni precedenti, di scrivere al gruppo nel caso avesse avuto bisogno di aiuto. Questa volta, Akira ci pensò più a lungo prima di rifiutare.

“Grazie, ma non ce n’è bisogno. Più tardi però incontriamoci, è meglio parlarne di persona.”

“Certo. Solita ora?”

“Solita ora. A dopo.”

 

 

Quando il profumo del caffè di Sojiro si diffuse nel locale erano ormai quasi le sette. Akira si era vestito e aveva verificato le condizioni di Goro. Il respiro era regolare e doveva esserlo stato per tutta la notte, perché Morgana non si era svegliato come era accaduto le altre volte che il ragazzo aveva avuto degli improvvisi peggioramenti. Il sonno non sembrava nemmeno troppo pesante. Era così… sereno. Akira pensò che forse non avrebbe dovuto aspettare a lungo per vederlo aprire nuovamente gli occhi. Non appena fu pronto, scese al piano inferiore guidato dal suono di stoviglie e acqua che scorreva, segno che Sojiro era già all’opera da un po’ di tempo.

«Ben svegliato,» si sentì salutare quando giunse al bancone. Sojiro gli stava preparando il solito piatto di curry mattutino, mentre il caffè era già pronto. Ad Akira piaceva molto il curry del Leblanc, ma iniziava a pensare che fosse un po’ troppo mangiarlo ogni mattina. Quella volta che aveva domandato il suo parere avrebbe dovuto rispondergli di allargare il menù a qualcosa che non fosse curry invece di farsi trascinare dall’entusiasmo di Futaba.

«Buongiorno,» rispose prima di esibirsi in uno sbadiglio. «Grazie del cibo.»

Dopo la prima cucchiaiata scettica al piatto di curry, dimenticò ogni lamentela e si ricordò perché non proponeva mai a Sojiro qualcosa di diverso. Quel curry era davvero di un altro mondo. Mentre mangiava, decise di aggiornare anche Sojiro sulla situazione. Gli sembrò sollevato, dal modo in cui annuì tra sé e sé, ma lo capì solo perché ormai sentiva di conoscere Sojiro abbastanza bene. «Iniziavo a pensare che sarebbe morto in quel letto,» fu il suo commento, «Dunque gli altri ti raggiungono nel pomeriggio?»

«Così dovrebbe essere…» Akira fece girare il cucchiaio a vuoto nel curry per un po’, domandandosi cosa sarebbe stato più saggio fare in quanto leader dei Phantom Thieves. Dopo qualche altro attimo di silenzio, Sojiro riprese la parola.

«Ora che ci penso, ho sentito un po’ di persone per strada lamentarsi di aver sentito delle urla stanotte. Erano piuttosto terrorizzati. Io invece non mi sono svegliato.»

«Sì, era lui,» affermò Akira senza riserve, mentre portava alle labbra la tazza di caffè. Era amaro e forte, come piaceva a lui, e ormai Sojiro aveva imparato i suoi gusti. Tentò di allungarlo il più possibile, ma il caffè ci metteva così poco a finire. Le ultime gocce lo fissavano dal fondo della tazza. Rassegnatosi al fatto che non poteva di certo mettersi a leccarle via una per una, la poggiò sul bancone e tornò a rivolgersi a Sojiro. «Ho paura che se si svegliasse di nuovo potrebbe causare un pandemonio. Stanotte non era per niente in sé la metà del tempo, solo alla fine si è ripreso.»

L’aveva capito nel momento in cui Goro l’aveva guardato come se non desiderasse altro che strangolarlo. Aveva già sperimentato cosa significasse trovarsi nel mirino di un ragazzo pericoloso come lui e la consapevolezza del pericolo avrebbe dovuto inquietarlo quanto bastava per voler mantenere le distanze. Eppure, trovava un che di affascinante in quella forza. Un’euforia fulminea attraversò il suo corpo, come se un fuoco gli si fosse appena acceso nel petto, ma con ogni probabilità non era altro che il caffè che iniziava ad avere effetto.

«Uhm? Che hai da sorridere a quel modo?» l’appunto di Sojiro non era affatto fuori luogo. Anzi, Akira doveva ammettere che l’uomo era dotato di un ottimo spirito di osservazione.

«Oh?» facendo finta di nulla, si ricompose, «Niente, è che da quando ha capito dov’era e con chi stava, si è calmato, ma al tempo stesso non sembrava molto contento.» Una parte di lui non riusciva proprio a capirlo.

«Non è mai stato un tipo stupido quello, nemmeno io mi fiderei se fossi tu a prenderti cura di me e mi avessero sparato un colpo alla gamba in qualche circostanza sconosciuta,» Sojiro si abbandonò a una breve risata.

Akira alzò gli occhi al cielo con fare volutamente esagerato, ma dentro di sé stava sorridendo. Sceso dallo sgabello, portò lui stesso al lavello il piatto vuoto e la posata che aveva usato e iniziò a lavarli, mentre con la coda dell’occhio notò Sojiro che metteva via la tazza del caffè, pulendola con un panno bagnato. I residui del curry scivolavano facilmente giù dal piatto sotto il getto d’acqua.

«Dunque,» la voce di Sojiro lo richiamò, facendolo voltare mentre questi continuava, «Indirettamente, mi stai dicendo che devo tenere il locale chiuso anche oggi?»

«Oh… sì…» dopo essersi asciugato le mani con il panno appeso al lavello, ripose ogni cosa al proprio posto negli scaffali. «Mi dispiace per il disagio.»

«Finirò al verde per colpa tua, fai bene ad esser dispiaciuto.»

Dal tono della voce Sojiro non sembrava affatto arrabbiato, ma Akira si sentiva ugualmente in debito. Non riusciva quasi a credere a quanto fosse cambiato il loro rapporto dalla prima volta in cui aveva messo piede a Leblanc. All’epoca Sojiro non faceva altro che metterlo in guardia sulla sua condotta e ci voleva poco a capire che non si fidava affatto di lui. Adesso sembrava quasi trattarlo come un secondo figlio. La cosa non gli dispiaceva, anzi, trovava la sua presenza un punto fermo rassicurante della vita a Tokyo.

All’improvviso si rese conto della voce di un reporter alla tv che gli parlava nell’orecchio. Qualcosa doveva aver attirato la sua attenzione, forse un nome o una parola chiave, che si era già persa nel sottofondo dei suoi pensieri. Dopo un primo momento, in cui riconobbe quello che aveva tutta l’aria di essere un dibattito televisivo, Akira non si sforzò nemmeno di ascoltare. Senza dubbio l’oggetto del servizio sarebbe stata l’inesorabile ascesa al potere di Shido come primo ministro alle elezioni. In giro non si parlava d’altro da un po’ di tempo ormai. Pensare a tutto ciò che quell’uomo compiva sotto il naso del popolo che tanto era bravo ad adularlo gli faceva ribollire il sangue nelle vene. Per non parlare delle condizioni in cui si trovava Goro, di quanto quell’uomo avesse rovinato la sua infanzia, il suo presente e il suo futuro. Se il ragazzo fosse morto su quella nave, in quella situazione, dopo tutte le parole che si erano scambiati… Akira non se lo sarebbe mai perdonato. Finì col domandarsi, tuttavia, dopo la rabbia e il desiderio di morte, cosa rimaneva a Goro Akechi?

Il telefono vibrò nella tasca dei pantaloni e il tintinnio della suoneria attirò anche l’attenzione di Sojiro, il quale smise di osservare la tv assieme a lui. Forse lui la stava ascoltando davvero, però. Riscuotendosi, Akira decise di tornare al proprio attico in cima alle scale. Il telefono squillò un’altra volta mentre andava. Morgana, che era rimasto di sopra, scodinzolò quando lo vide e scese dal letto. Si diedero il cambio come avevano fatto nei giorni precedenti e non ci volle molto prima che Sojiro iniziasse a parlare ad alta voce col gatto. Quando era in compagnia non lo dava a vedere, ma si era davvero affezionato a Morgana e tutte le attenzioni che gli riservava non passavano inosservate a nessuno. Sicuramente anche a Morgana faceva piacere.

Nel ritrovato silenzio della propria camera, Akira attraversò l’ambiente a grandi falcate e, presa la sedia vicino al muro, la trascinò fino al letto, dove si sedette per osservare con calma lo stato di Goro. Nulla era cambiato da prima, quindi si rilassò e, poggiandosi allo schienale, aprì la chat del telefono per controllare i messaggi. Il resto dei Phantom Thieves si era svegliato e tutti avevano finalmente risposto, domandando come fosse andata la nottata, perdendosi in qualche chiacchiera bizzarra e confermando la loro disponibilità per il pomeriggio. Non riuscendo a seguire molto le conversazioni contorte a cui Futaba e Yusuke avevano dato il via - nate probabilmente da qualche innovativa presa in giro un po’ nerd da parte di uno dei due - Akira rispose unicamente ai messaggi importanti e poi mise immediatamente via il telefono. Non sapeva perché, ma in quel momento non aveva voglia di chiudere la propria testa sopra un dispositivo elettronico. Ciò tuttavia lo lasciava con il dilemma di come colmare il silenzio. Senza deciderlo consapevolmente, alla fine Akira si ritrovò ad osservare il modo in cui il petto di Goro si sollevava e si abbassava lievemente sotto le coperte. La pelle chiara del collo era lasciata scoperta dai capelli, che si spargevano disordinatamente sul cuscino. Con un po’ di sollievo notò che il sangue si era già cicatrizzato in diversi punti, anche se faceva quasi male a guardare.

Avvicinandosi ancora, Akira scostò una ciocca di capelli che copriva il viso del ragazzo e si era perfino intrecciata alle sue ciglia. Con l’indice e il medio della mano destra tracciò un sentiero leggero sulla pelle del suo viso, esponendola adesso ai raggi del sole, finché tutti i capelli non furono cacciati via. Erano un po’ sporchi e unti, ma il ragazzo di fronte a lui gli appariva bello e affascinante come il primo giorno in cui si erano conosciuti, se non di più. Forse per coincidenza, proprio mentre lo toccava, Goro sospirò e Akira si sentì congelare, le dita ancora intrecciate ad alcune ciocche chiare. Si aspettò di vederlo aprire gli occhi, ma non accadde. I tratti del viso, rivolto leggermente verso la parete, si contrassero appena - fatto di cui Akira non avrebbe mai preso nota se non si fosse trovato così vicino - poi si rilassarono e fu come se non si fosse mai mosso affatto.

Akira liberò il respiro che aveva trattenuto a lungo senza rendersene conto. Ritrasse la mano con una certa fretta malcelata. Ma erano soli, non avrebbe dovuto provare tutta quell’impellenza. La stessa mano se la passò sul viso e tra i capelli neri e indomabili. Qui ne afferrò una manciata nel pugno e tirò, con forza e più di una volta, abbastanza da farsi male quel che serviva per dimenticare il battito impazzito che gli pulsava prepotentemente nelle orecchie.

 

 

«Dunque è questo il modo in cui si è procurato quelle ferite? Deve esser stato… pericoloso.» La voce profonda di Yusuke arrivava alle sue orecchie meglio delle altre. Alla fine, come era forse inevitabile, aveva raccontato ai ragazzi tutta la verità sugli avvenimenti della notte. Gli occhi di Yusuke erano puntati su Goro, che riposava nel letto nella stessa posizione di prima e non aveva mosso un muscolo nemmeno quando gli altri erano entrati. Il rumore delle sedie, il tavolo che veniva spostato, l’inconfondibile tono di voce di Ryuji, nulla di tutto ciò era riuscito a svegliarlo.

«Non ti ha ferito, vero Akira?»

«No, non ci ha nemmeno provato.»

Haru, che aveva posto la domanda, assieme a tutte le altre ragazze, sembrò tirare un sospiro di sollievo. Non capiva il perché della grande preoccupazione: aveva affrontato di peggio ed era sopravvissuto a Goro più di una volta. Nelle condizioni in cui versava, inoltre, il ragazzo non aveva nemmeno la forza di stringergli una mano attorno al collo o di trattenerlo, se solo avesse provato a scappare.

«Ehi amico,» Ryuji si sedette al contrario sulla sedia, poggiando i gomiti contro lo schienale, «Pensi che quando si riprenderà sarà ancora dalla nostra parte?»

Akira fece spallucce, «Chi lo sa.» Non era una faccenda così semplice da poterla ridurre alla “loro parte” e la “sua parte”. Goro doveva star soffrendo molto in quel momento e doveva aver sofferto molto anche in passato. Non importava quanto guardasse indietro alle singole esperienze di vita di tutti loro, nessuna era paragonabile a ciò che doveva aver portato quel ragazzo alla follia.

«Spero capisca che possiamo fare questo tutti insieme,» disse Ann con risolutezza. Futaba annuì e anche Haru si mostrò d’accordo. Makoto invece sedeva sul divano, le mani giunte in grembo e lo sguardo pensieroso. I lineamenti seri del suo viso tradivano sempre una certa grazia, agli occhi di Akira, che improvvisamente si domandò come mai Yusuke non le avesse ancora mai chiesto di posare per lui. A giudicare dal modo in cui stava lì pensosa a corrugarsi la fronte, però, meno graziose dovevano essere le parole che passavano per la sua mente.

«A cosa pensi, Makoto?» domandò infine, stanco del silenzio che era calato così presto nella stanza. La ragazza alzò lo sguardo verso di lui senza sorprendersi di esser stata interpellata, e con occhi limpidi puntati nei suoi iniziò a spiegare.

«Il fatto è che credo non sia una buona idea permettere ad Akechi di prendere parte assieme a noi allo scontro finale con Shido.»

Senza avere nemmeno il tempo di prendere un respiro e rispondere, Akira fu preceduto da Ryuji, che iniziò a parlare a voce alta ma finì per regolare presto da solo il proprio tono. «Perché no? Sarebbe una buona occasione per lui… Per vendicarsi di tutta la merda che quel coglione gli ha fatto passare, sai com’è.»

«Sì, lo penso anch’io, questo. Ma siamo sicuri che sia in grado di sostenere una pressione del genere?» Makoto era razionale, fredda e imperturbabile nel suo ragionamento. Sempre forte e pragmatica quando si trattava di compiere scelte importanti.

«Sono preoccupata per il suo stato mentale.»

«Mi trovate ad essere d’accordo,» senza sorprendere Akira più di tanto, Yusuke disse la propria «Devo ammettere che ho continuato a pensarci in questi giorni. Non dubito che le sue intenzioni nei nostri confronti siano cambiate, ma prima dell’altro giorno… non avevo mai visto nessuno perdere il controllo in maniera tanto violenta.»

Haru si alzò dalla sedia e tutti sollevarono lo sguardo verso di lei.

«P-però,» balbettò, come ogni volta in cui le emozioni la prendevano di sorpresa, «Io c’ero quando abbiamo sconfitto mio padre, ed è stata una delle più grandi liberazioni della mia vita. A prescindere da quel che è successo dopo… Non ho rimpianti! Ne avevo bisogno, ed era necessario farlo.»

Le sue parole fecero calare il silenzio nella stanza. Non era facile ignorare il parere di Haru quando si trattava di Goro. Akira poteva solo immaginare quanto fosse emotivamente stancante per lei spendere altro tempo sotto lo stesso tetto dell’assassino di suo padre. Per non parlare del fatto che sorrideva sempre e non raccontava a nessuno di tutte le difficoltà che sicuramente stava affrontando nella gestione dell’eredità paterna - economica ed emotiva.

«Perché non lo chiediamo direttamente a lui?» Infine, fu Ann a rompere il ghiaccio. Ryuji si passò una mano tra i capelli e alzò gli occhi al cielo.

«In effetti, stiamo facendo i conti senza l’oste…»

«Futaba,» Akira intervenne, dondolandosi un pochino sulla sedia. La ragazza, seduta dal lato opposto del tavolo, con Morgana in braccio che faceva le fusa, gli rivolse uno sguardo un po’ sorpreso. Forse il proprio richiamo era stato troppo improvviso - si rimproverò Akira - ma Futaba era una persona sveglia e sicuramente aveva previsto che il suo silenzio non sarebbe passato inosservato. Schiaritosi la gola, aggiunse: «Quali sono i tuoi pensieri al riguardo?»

La ragazza si morse il labbro inferiore e iniziò a giocherellare con una lunga ciocca di capelli che cadeva dalle sue spalle. «Forse dovremmo agire il prima possibile, prima ancora che si risvegli…» propose, «Statisticamente parlando, in questo modo è impossibile che finisca per intralciarci o sabotarci in qualche maniera.»

«M-ma!», lo stupore di Haru era dipinto interamente sul suo viso di porcellana, «Così non gli lasciamo alcuna scelta!»

«Giusto poco fa sembravi di tutt’altro avviso,» osservò Ann sorpresa.

«Non ho cambiato idea sul collaborare, credo solo che questa sia la maniera più efficiente di procedere.»

«Ha ragione Futaba,» Yusuke nuovamente, «Non ricordate anche voi ciò ha detto lui stesso? “Dovreste sbarazzarvi di me, se non volete che mi metta sulla vostra strada”

Akira si lasciò sfuggire una mezza risata e uno sbuffo divertito. Certo, ricordava benissimo, «“Siete veramente al di là della mia comprensione”,» citò poco prima che il suo sorriso svanisse. «Eppure, credo che far parte di questo gruppo sia ciò che desidera di più.»

Se solo ci fossimo incontrati qualche anno fa… 

Già, chissà come sarebbero andate le cose.

«Magari però è troppo tardi,» inaspettatamente, la voce di Makoto tradiva una sorta di rabbia che lei tentava ugualmente di tenere a freno. «Giunti a questo punto, non possiamo rischiare di fallire. Ne va dell’incolumità di tutti noi, della tua per primo, Akira. Poi della nostra e di tutti quelli che ci sono legati, come Sojiro e mia sorella. Infine, ne va del futuro del nostro paese. In confronto a tutto ciò, quelli di Akechi non sono altro che capricci di un bambino egoista!»

Negli attimi seguenti Akira vide Yusuke annuire, Ryuji storcere il naso e guardare altrove, mentre Haru stringeva i pugni sulle ginocchia, Futaba taceva tornando ad accarezzare Morgana e Ann taceva con le braccia incrociate al petto. Chinatosi in avanti e poggiando il proprio peso sulle gambe, con lo sguardo osservò ciascuno dei presenti.

«Non ho detto che ho intenzione di farlo venire con noi,» iniziò quindi a spiegare con calma, ascoltando l’effetto che le proprie parole ebbero sul silenzio della stanza, «Bisogna considerare anche il fatto che è stato ferito, Takemi ha detto che per un po’ non potrà nemmeno camminare senza sostegno. Tuttavia, a prescindere dalle sue condizioni fisiche, anch’io penso che non sia una buona idea portarlo con noi.»

Passò qualche istante prima che Ryuji sbuffasse divertito, «C’è un “ma” grande come una casa nella fine del tuo discorso, amico.» Akira sorrise, sorpreso che fosse stato proprio lui il primo a rendersene conto.

«Il mio ma è questo e forse non vi piacerà: non ho alcuna intenzione di portare a termine questo piano a sua insaputa.»

Gesticolando un po’ nell’aria, Ryuji portò alla luce uno dei diversi pensieri che avevano trovato spazio anche nella testa di Akira. «Dunque mi stai dicendo che quando noi andremo lì dentro, dopo aver mandato il biglietto, tu vuoi che Akechi sia sveglio e lo sappia, giusto?» Akira annuì in risposta, «E se non si sveglia in tempo?»

«Allora, ascoltate un po’,» intervenne Morgana, alzandosi dalle gambe di Futaba, per salire sul tavolo. Era giunto il momento di fare il punto della situazione. «La nostra data di scadenza coincide con le elezioni che si terranno il 18 dicembre. Per essere sicuri al cento per cento di avere il tempo di mandare il biglietto e rubare il tesoro, dobbiamo agire entro e non oltre il 16. Il 16 si manda il biglietto, il 17 si ruba il tesoro. Come hai intenzione di fare con lui, Akira?»

«Se non dovesse svegliarsi prima del 15 dicembre, passeremo all’azione indipendentemente da lui.» Nessuno sembrava avere niente da obiettare, ma Makoto non lo deluse.

«E se invece si svegliasse e decidesse di seguirci nel metaverso senza dire niente?»

«Non è una possibilità da escludere.»

Yusuke e Makoto si scambiarono uno sguardo d’intesa che finì col coinvolgere tutti quanti. Akira sapeva che era proprio in momenti come quelli che un leader doveva saper tirare le fila e risolvere la situazione. Senza vacillare, sorrise, per il bene di tutti quanti.

«Per questo, lasciate fare a me.»

   
 
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