Anime & Manga > Naruto
Ricorda la storia  |       
Autore: Happy_Pumpkin    04/12/2017    8 recensioni
“Naruto… attivati.”
Ci fu più luce, in quel momento. Fuori era buio e continuava a piovere, mentre i neon della Cittadella rilucevano per le strade.
Poi, ci fu Naruto. E Sasuke seppe dare una risposta ai suoi perché.
Quella sera dei primi del 181, Naruto prese più a fondo coscienza di sé, della sua identità, e per la prima volta vide il suo Creatore.
[AU mini-long in un universo fantascientifico, omaggi ad Asimov e a Blade Runner, ma anche alla cultura della fantascienza in generale (Mass Effect, Star Trek, Star Wars) | SasuNaruSasu ]
Questa fanfiction partecipa alla challenge Lettere a Babbo Natale, indetta dal gruppo Facebook SASUNARU FanFiction Italia, ed è una gift-fiction per Blair Behemoth
Genere: Introspettivo, Malinconico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha, Suigetsu | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Vite Sintetiche'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Premessa: questa fanfiction sarà composta da tre capitoli che verranno postati circa una volta a settimana, forse anche meno in base al lavoro. E' dedicata, davvero di cuore, a Blair Behemoth che sul gruppo SasuNaru Fanfiction Italia ha scritto una splendida 'letterina a Babbo Natale' chiedendo una storia con delle tematiche che mi hanno ispirato fin da subito.
Creare un'I.A. e il rapporto che ne consegue, con tutti i dubbi etici e i percorsi da affrontare,  similmente a quanto accade per certi versi in Blade Runner 2049 con Her.
Cara Blair, spero davvero che il racconto ti piaccia; ho inserito tante tematiche e tante cose emotive da non sapere se ho sforato forse dai tuoi presupposti iniziali, sappi comunque che la storia è stata fatta con il cuore e ti ringrazio per avermi dato possibilità di scrivere sulla tua richiesta.
La trama è come sempre di mia invenzione anche se c'è un omaggio generale a Blade Runner 2049, più riferimenti ad Asimov e, in generale, al mondo della fantascienza.
Ulteriori note, spiegazione alle citazioni e ringraziamenti a fondo capitolo.

Us





I
Starman

 



Anno 180 S.I. (dal primo Salto Interstellare)

La base di lancio Bussard riluceva per via del suo rivestimento metallico; molti trovavano la sua struttura affascinante, persino elegante nel modo in cui era stata progettata al fine di convogliare le energie necessarie per rapidissimi viaggi interstellari, dalle destinazioni sempre più precise.

Ma in tutta onestà, Sasuke Uchiha, ingegnere addetto alla manutenzione al monitoraggio della piattaforma di lancio da ormai più di cinque anni, non vedeva in quell’ammasso di energia cinetica ed elettroni nient’altro che un prodotto del bisogno umano di non accontentarsi mai dei propri spazi. Poi, dopo un’infinita routine di controlli sempre uguali, qualche sporadica emergenza e notizia vaga da parte degli addetti alla calibrazione del lancio riguardo navi perdute nello spazio, francamente l’intera struttura gli era venuta a noia.

Diversamente valeva per la possibilità, preziosa, di stare lontano dalla Terra. Una settimana, nella sua personale navicella, con gli attrezzi per la riparazione, i computer, il sistema operativo Bardo per quelle volte in cui gli occhi erano stanchi e aveva voglia di sentirsi narrare un racconto. Solo lui, nessun altro, nessun uomo invadente con scadenze e controlli da programmare, nessuna donna che lo aspettasse al varco con una promessa di matrimonio che non avrebbe mai più avuto intenzione di realizzare, niente. La solitudine.

Quant’era confortante quella parola, così vicino a una stazione spaziale per esplorare altre galassie.

Ma ogni tanto, in quei giorni in cui la Terra sembrava più blu, nonostante le sue immense città coperte di metallo, macchine volanti e collegamenti rapidi con ogni emisfero, Sasuke si chiedeva cosa comportasse, per un essere umano, stare lontano dal proprio pianeta tanto a lungo da dimenticare l’odore della salsedine dei mari, oppure quello della neve o del deserto, con i suoi the e le sue spezie. E cosa significasse interagire con un’altra persona, parlarci, sentirla arrabbiata, triste o felice.

In quelle settimane di lontananza, di assenza di contatti dopo giorni e giorni passati senza alcun dialogo, Sasuke pensava a quanto sarebbe stato difficile condividere i propri spazi con un altro essere umano, lì, tra le stelle. Da un lato ne era irritato, perché mal tollerava doversi adattare ai ritmi di qualcuno che non fosse lui stesso, dall’altro si rendeva conto che il confronto gli mancava terribilmente; non necessariamente su cose importanti, anche solo su argomenti stupidi, come sulla pessima recitazione di attori in qualche film dalle elaborate proiezioni olografiche o una canzone.

Scoprì, in quei cinque anni di contatto con altri ingegneri e viaggiatori, che tanti, in fondo, cercavano una risposta alla solitudine nello spazio, riflettendo il loro vuoto come esseri umani sulla Terra. Solo che, allora, Sasuke si era ritenuto troppo superiore per un bisogno così futile come quello di un dialogo o un gesto d’affetto. Non disdegnava però un ulteriore ingresso economico: il suo vecchio appartamento nella periferia della Cittadella aveva un’infiltrazione d’acqua decisamente troppo estesa e dopo anni di totale incuria da parte del proprietario, decisamente quelle pareti necessitavano di una ristrutturazione, prima di crollare miseramente su loro stesse; inoltre aveva in programma una serie di spese per l’auto, che doveva necessariamente upgradare alle nuove normative per la circolazione, o sarebbe rimasto bloccato nel suo appartamento con la problematica impellente di cui sopra.

Per tutta quella serie di motivazioni, nei suoi ultimi viaggi presso la stazione di Bussard, Sasuke si era portato nella propria navicella Viger un’attrezzatura informatica e di laboratorio aggiuntiva, sostanziosa ma non in grado di causare troppi sospetti ai severi controlli presso lo spazioporto terrestre.

L’intento era quello di cominciare a sperimentare nel tempo libero un’alternativa per chi aveva poco spazio e risorse per poter portare nei propri viaggi qualcuno con sé; una compagnia, sostanzialmente, anche se Sasuke non avrebbe mai ridotto a una banalità simile la sua rielaborazione di vecchi codici informatici, specie con gente che probabilmente il giorno dopo si sarebbe masturbata semplicemente dopo aver sentito una voce femminile.

In quei mesi di prova aveva già illegalmente venduto con successo a diversi colleghi una versione migliorata di Bardo, un cantastorie informatico, dotato della possibilità di rendere il racconto interattivo e sviluppare una sorta di dialogo. Ma purtroppo le opzioni erano limitate e nei viaggi più lunghi il tutto rischiava di diventare ripetitivo; almeno, per i suoi standard, visto che i mercanti diretti verso le galassie più prossime sembravano esserne entusiasti.

Così, più per sfida con se stesso, Sasuke aveva cominciato a rimettere mano sul successore di Bardo, con l’intento di incrementare le sue nozioni di base e, soprattutto, ampliare le capacità recettive del computer, in modo che esso riuscisse autonomamente a rielaborare le informazioni. Già altri prima di lui avevano compiuto un simile percorso, ma la sperimentazione in quel campo non era progredita, anzi era stata del tutto vietata, ritenendo troppo pericoloso dare libertà eccessive a un’I.A.; inoltre, in termini di intelligenza artificiale era meno oneroso e più rapido dare un set esaustivo di conoscenze in un determinato campo, così da rendere subito la controparte robotica attiva nel settore richiesto.

Dopo aver terminato la manutenzione ed essere passato nella camera di decompressione, Sasuke aprì il pannello per entrare nella compatta zona di Viger usata per lasciare la tuta, controllarne l’integrità e indossare qualcosa di più adatto, senza portare il tutto a gravità zero. Fluttuando, con il casco in testa e la musica riprodotta, Sasuke attese la chiusura del pannello.

David Bowie. A distanza di secoli, Sasuke ancora trovava affascinante il personaggio del Maggiore Tom che, come lui, vagava con la sua scatola di latta nello spazio.

La canzone finì. Sasuke si tolse il casco e la tuta, agganciando anche gli attrezzi per evitare che gli oggetti volteggiassero per il cubicolo. Dopo aver mangiato una barretta energetica ed essersi idratato, l’ingegnere si mise al computer, controllò la rotazione e il posizionamento nei pressi della base di lancio e impostò la gravità zero, visto che mentre lavorava alla programmazione proprio non aveva intenzione di allacciarsi le cinture.

Oggi per la prima volta tento la strada del dialogo con un’I.A. a cui non sia stato bloccato lo sviluppo cognitivo, né il libero arbitrio.

“AL-76, attivati.”

Disse semplicemente. Gli fece strano sentire il suono della propria voce, stupendosi di quanto raramente la utilizzasse.

In un istante una voce replicò:

“Sono attivo, creatore.”

Creatore. Aveva qualcosa di divino. E di presuntuoso. Paradossale, per aver semplicemente integrato nozioni di memoria e conoscenze generali a un’I.A. evoluta da un cantastorie computerizzato.

Fece una smorfia, per mascherare la complessità emotiva del momento: “Correggi. Chiamami – ci pensò un istante – Uchiha.”

Passò qualche istante. Gli fece effetto sentire le parole scandite in maniera fluida da un robot piazzato dentro quell’insieme di circuiti. Se la voce artificiale era così bella, il merito era dei programmatori di Bardo, questo Sasuke doveva concederlo.

Era una voce maschile, vivace, vibrante paradossalmente di vita nonostante le leggere interferenze meccaniche, come se provenisse da uno spazio lontano, immersa in galassie, supernove e orizzonti degli eventi.
Sasuke l’aveva modificata leggermente, rendendola meno squillante e più marcata, avrebbe dovuto lavorarci ancora per calibrare la dizione.

“Uchiha. E’ il tuo nome?”

Sasuke guardò lo schermo. Vide il segnale vocale della base delle impostazioni melodiche alzarsi in un picco leggermente più altro. Poi, il silenzio.

Quella domanda lo colpì. Perché si stupiva? Era lui ad averlo programmato in quel modo. Per assorbire conoscenze mediante l’interazione e la correzione.

“No. Il cognome.”

“Io come mi chiamo?”

Tempo fa, la conversazione non sarebbe mai andata oltre. Sasuke avvicinò la mano all’interruttore centrale, per non dare nemmeno il comando vocale.

“Mi vuoi spegnere?”

C’era una sorta di provocazione, in quella domanda. O forse era solo Sasuke a crederlo, forse la vicinanza con tutta quell’energia elettromagnetica gli aveva fatto più male di quanto pensasse.

Si arrestò, guardando lo schermo con in testa l’eco di quell’interrogativo.

“Proseguiamo.”

Non smentì, sentendosi infantile all’idea di raccontare una bugia davanti a un computer che, comunque, non avrebbe potuto vederlo.

“Io come mi chiamo, quindi? Non hai risposto, Uchiha.”

Quest’ultimo schioccò la lingua, mormorando un “Tsk.” Infastidito.

“Tsk?” replicò la voce.

Sasuke roteò gli occhi, piegandosi inconsapevolmente avanti con il busto:

“No, quello è un gesto vocale. Per esprimere fastidio.”

“Mi spiace che tu mi reputi fastidioso.”

Sembrava esserci rammarico. E vita, vibrante, un cuore pulsante di circuiti; impossibile, le emozioni non erano prerogativa delle I.A. specie di quel tipo al primo stadio. Si morse un labbro, per poi replicare secco:

“Non dispiacerti, è inutile – appoggiò la testa al sedile e dopo un istante disse – AL-76 è il tuo nome. Per via delle linee guida di programmazione standard a cui mi sono attenuto.”

Passarono alcuni secondi.

“AL-76 – ripeté l’I.A., in un’onda di suoni sullo schermo – un giorno mi darai un nome meno patetico, spero.”

Aveva una nota scherzosa. Sasuke assottigliò le labbra, inarcando un sopracciglio. Bene, la prossima volta avrebbe dovuto modificare i codici e ridurre la componente Ironia e Strafottenza, prima di mettersi a minacciare di morte un robot.

“Perfetto, continua a sperare allora – replicò, secco, per poi rendersi conto di essere già parecchio infantile, dunque optò per una virata drastica – non perdiamo tempo. Proseguiamo l’approfondimento per tematiche, ho lasciato in elaborazione nel tuo sistema le conoscenze geografiche base e principali usanze.”

“E’ stato interessante – replicò AL-76 con la voce entusiasta che metteva nei racconti d’avventura – la Cittadella è il cuore politico, economico e commerciale della Terra. Ci sono ambasciate di razze provenienti da altri pianeti. Tu vivi lì, Uchiha?”

Sasuke si sentì minacciato e irrequieto di fronte a quella domanda così diretta. Non amava che le persone si interessassero a lui, per quanto avesse a che fare con un programma, sostanzialmente, il che lo portò a dare una risposta sommaria, forse inspiegabilmente spinto dalla voce energica.

“Sì. Ho un appartamento in periferia.”

“Hai un’altra I.A. come me, nel tuo appartamento?”

Sasuke fissò lo schermo. Da dove arrivavano tutti quegli interrogativi? Forse doveva calibrare gli input che stimolavano la curiosità e quella serie di codici che portavano a domande consequenziali. Anche se, obiettivamente, non vedeva la logica dietro a quella richiesta d’informazione.

“Perché t’interessa saperlo?”

Domandò. Si sentì stupido a porre quell’interrogativo, poteva rischiare di far entrare l’IA in confusione perché troppo poco programmata per avere un tocco così personale, anche se la base di codici era molto evoluta in termini di libertà di ragionamento.

“Perché ti riguarda.”

La risposta venne elaborata in fretta. Sasuke artigliò il bracciolo del sedile, profondamente schivo e colpito da quello che sembrava un sincero interesse.

“Non esiste alcuna altra I.A.” Replicò brusco, vagamente a disagio, contemplando lo schermo davanti a sé come in cerca di una reazione visiva, oltre che uditiva, da parte della sua controparte robotica.

Anche se, un tempo...

“Mi fa piacere. Sono il primo?”

“Sì.”

Fu la sua risposta; un soffio leggero, polvere di stelle in uno spazio di solitudine.

Dopo un istante, con la bocca più asciutta, la testa che vorticava assorbendo quelle informazioni sperimentali che stava ottenendo, Sasuke domandò:

“Il maschile. Perché hai usato il maschile parlando di te?”

Se Sasuke avesse guardato fuori dal vetro temprato di Viger avrebbe visto una nuova nave commerciale partire, altre approdare e altre ancora orbitare presso la Terra. Ma, nonostante lo spazio stesse vivendo così appieno attorno a lui e alla sua navicella, Sasuke prestò attenzione solo ad AL-76 e alla sua voce, domandandosi come sarebbe stato sentirlo ridere.

“Tu usi il maschile. Lo trovo appropriato, mi identifico di più come uomo.”

Identificarsi?

“Da quando hai un’identità?”

“Da quando mi hai dato un nome, anche se fa schifo.”

Inaspettatamente, Sasuke si ritrovò a sorridere. Un sorriso accennato sul volto, di chi non era abituato a usare i muscoli facciali per mostrare quel genere d’espressività, tanto che si rese conto solo dopo dell’istintività del gesto. Si domandò, passandosi una mano sulle labbra come per cancellare quell’eco di sorriso, se l’uso del termine schifo fosse un retaggio di Bardo e dei racconti per adolescenti.

“Guarda che non stai esattamente migliorando la tua situazione. Posso sempre cancellarti.”

Si rese conto, dicendolo, che non sarebbe stato altrettanto facile resettare il lavoro su AL-schifo-76, e non per una qualche forma di difficoltà informatica.

“Saresti tu a rimetterci – replicò AL, con una nota divertita, almeno, così parve a Sasuke che era già in procinto di rimangiarsi ogni forma di dispiacere – com’è la Terra?”

La domanda, improvvisa, lasciò Sasuke interdetto. Istintivamente voltò lo sguardo verso l’oblò che mostrava, oltre la stazione di lancio, il Pianeta Terra, con il suo metallo, la sua terra appunto e i mari.

“Un sovrappopolato accumulo di gente ammassata in un posto decisamente troppo piccolo. Per questo hanno colonizzato Marte e ci sono centinaia di navi coloniali che partono verso altre galassie.”

“Sei umano?”

Perché quelle domande erano così difficili da digerire?

“Sì. Per quale motivo me lo chiedi?”

“Parli degli esseri umani come se non ti riguardassero.”

Sasuke si morse un labbro, rabbuiato. Fissò lo schermo, l’immobilità della linea vocale di AL-76 e un senso di pesantezza nel torace. Decisamente, quella conversazione stava prendendo una piega troppo personale e non gli piaceva; per quanto… non gli capitava da tanto, di parlare così spontaneamente con qualcuno.

Qualcuno. Un programma, che ancora non aveva ricevuto il blocco dello sviluppo del pensiero. La sua misantropia doveva aver raggiunto livelli drammatici per far sì che lui trovasse soddisfacente una simile conversazione.

Scosse la testa.

“Per oggi può bastare. Caricherò altri dati tecnici di fisica astronomica e chimica generica. Poi vedrò di aggiungere qualcosa di cultura generale.”

“Cibo.”

Sasuke inarcò un sopracciglio: “Come?”

“Cibo – ripeté la voce, in una nota più alta, quasi fosse il suo modo di esprimere un sorriso – magari del paese da cui provieni. Dai dati caricati recentemente, la Cittadella ospita razze non terrestri ma raduna anche umani provenienti da ogni angolo della Terra.”

“Ci penserò.”

Disse asciutto Sasuke che non aveva alcuna intenzione di assecondare apertamente delle richieste, anche se a conti fatti si trattava di qualcosa che prima o poi avrebbe comunque inserito nelle conoscenze di AL-76.

“Super! Grazie, Uchiha.”

Super. Sicuro, un divertimento. Sasuke si stropicciò gli occhi.

“Certo, come no.”

Sentì, quasi a pelle, che l’I.A. stava per replicare qualcosa. Ma senza attendere oltre Sasuke spense il sistema, mettendo a tacere il computer che aggiornava comunque in automatico i dati.
Sospirò, incapace di valutare obiettivamente i progressi compiuti: non dare un freno a un’I.A. in costante sviluppo era pericoloso, perché essa poteva arrivare a sviluppare, oltre al collettivamente temutolibero pensiero critico, anche dei sentimenti.

La Legge Interplanetaria della Robotica era molto severa in tal senso e lui stava allegramente passando il limite, ben oltre i suoi sgarri con programmi anticonvenzionali che prevedevano aperte interazioni con l’uomo.

Prese il proprio registratore, usato per le relazioni tecniche, e aprì tramite schermo olografico la sezione dedicata alle sue personali sperimentazioni, accedendo per decriptazione.

Avviò la registrazione, cominciando a parlare dopo un istante di silenzio:

“Anno 180 S.I. primo giorno di dialogo effettivo con l’AL-76 così denominata al seguito della fusione sperimentale della programmazione AL-76 che ha dato la matrice base per lo sviluppo cognitivo dell’I.A. e Bardo, per la dialettica, le impostazioni vocali e la caratterizzazione di base.
L’I.A. si è dimostrata recettiva, in forte crescita intellettiva, reattiva agli stimoli esterni.”

Anche troppo.

“Ha autonomamente parlato d’identità e mostrato interesse conoscitivo nei confronti del soggetto creatore e dell’ambiente geografico di provenienza. Di rilievo nella parte finale della sperimentazione l’espressione di una preferenza da parte dell’I.A. AL-76. Riguardava il cibo. Concludo inserendo nozioni di astrofisica, chimica di base e cultura generale.”

Attese un istante. Fanculo.

“Per il... cibo, aggiungo tradizioni culinarie dei principali paesi terrestri.”

Terminò la registrazione. Fissò la Terra, consapevole di tutta la gente che l’abitava e che pure, disperatamente, gli chiedeva di parlare con un’I.A. inesistente per colmare la loro
solitudine. E lui… non era quello che stava facendo anche lui, in fondo?

Gettò sul tavolo di lavoro il registratore, sbottò e avviò la musica.

David Bowie cominciò a parlare di un uomo proveniente dalle stelle e, all’improvviso, si sentì decisamente meno terrestre, felice di trovarsi nello spazio.

*

Sasuke si massaggiò il collo con la mano, preparandosi a una nuova sessione di dialogo; dopo tutti i controlli di routine compiuti attorno alla base di lancio Bussard, nonché essersi confrontato con gli altri tecnici manutentori e aver gettato in pasto all’elaboratore dati le sue misurazioni, finalmente poteva dedicarsi al suo lavoro parallelo: lo sviluppo dell’IA AL-76.

In realtà, nel corso delle settimane si era divertito parecchio a confrontarsi con quella voce simulata, ma dargli una veste lavorativa faceva sembrare a Sasuke l’intera faccenda molto più professionale di quanto non fosse. Per sentirsi meno in colpa e allo stesso tempo stare dietro alle piuttosto semplici richieste dei suoi clienti, mentre conversava di tanto in tanto inseriva qualche linea di programmazione per quanti volevano un’I.A. con identità femminile capace di essere seducente, oppure un qualcuno capace di fare battute sagaci.

Le possibilità erano tante, così come la creatività bisognosa di ogni essere umano.

“AL-76, attivati.”

Dopo un istante, un saluto che sembrò caloroso: “Ciao, Uchiha!”

Sasuke assottigliò le labbra, appoggiando il viso sulla mano come per nascondere inconsapevolmente la sua espressione.

“Sembri contento.” Osservò, con una leggera punta d’ironia, consapevole dell’impossibilità sostanziale di provare emozioni per un’I.A. Almeno, non che fosse mai stato raggiunto un livello d’autonomia dell’I.A. tale da consentirle di accrescere anche lo sviluppo emotivo.

“Lo sono sempre quando parliamo assieme.” Ammise la voce, così energica e vitale da far pensare che ci fosse il Sole dentro quei circuiti.

Come sempre, Sasuke cercò di passare oltre i sentimenti, sentendo un troppo confortevole e pericoloso senso di felicità per quelle parole.

“Hai qualche domanda sugli argomenti caricati in questi giorni? Astrofisica teorica è una branca interessante, possiamo integrarla con della fisica teorica che…”

“Ramen!”

Sasuke si interruppe di colpo. Fissò lo schermo in parte stranito, in parte apertamente infastidito per essere stato interrotto da…

“Come hai detto?”

Domandò in un sussurro pericoloso, per quanto contenuto dall’evidente stupore causato da un intervento non solo del tutto inappropriato, ma sicuramente privo di ogni qualsivoglia connessione con l’astrofisica e qualunque galassia conosciuta.

“Bella l’astrofisica, molto interessante, ma… il cibo che avete sulla Terra. E’ pieno di cose fantasiose, creative. Tu sei di origini giapponesi, giusto? Ecco, trovo che il ramen possa essere un piatto buonissimo, per come mischia in una ciotola tantissimi ingredienti pur risultando armonioso. L’hai mai mangiato?”

Sasuke rimase un istante in silenzio. Tutti i suoi buoni propositi, di ascoltare l’interpretazione di nozioni scientifiche mentre elaborava qualche codice, erano semplicemente stati gettati nello spazio profondo. Solo per la malsana idea di dotare un’entità robotica di conoscenze culinarie per piatti che, tanto, non avrebbe mai potuto mangiare.

Il pensiero, in un certo senso, lo lasciò con una sensazione amara in bocca. Per tutta la vita che stava sviluppandosi davanti a lui, con fame di scoperta e di evoluzione, ma destinata comunque a rimanere chiusa in una scatola di latta, a parlare se andava bene con l’essere più asociale del Pianeta Terra.

Con un tono leggermente più ammorbidito, Sasuke replicò: “Sì. Ma non è niente di che.”

Occhieggiò lo schermo e vide un’onda impercettibile. Quasi come se AL-76 avesse sospirato.

“Oh. Peccato – dopo un istante domandò – nel mio database ho solo una serie di nomi, di tradizioni culinarie e di tecniche di preparazione. Mi hanno affascinato. Però potresti descrivermi com’è fatto, con i tuoi occhi, il ramen?”

Così come non aveva bocca, l’I.A. non aveva nemmeno occhi. Per vedere e valutare criticamente ciò che assorbiva con i sensi. Quante privazioni, per un’entità sostanzialmente senziente che avrebbe potuto calcolare il lancio di una nave spaziale e memorizzare qualunque concetto con la facilità con cui un essere umano respirava.

“Può essere un valido esercizio di elaborazione delle informazioni – buttò lì Sasuke, per poi incrociare le braccia e cercare di rendere più elementare possibile la descrizione – è in un contenitore di forma tendenzialmente semisferica, al cui interno c’è dell’acqua riscaldata insaporita, del cibo suddiviso in stringhe, altro cibo di forma quadrata che è tendenzialmente carne, proveniente da un animale chiamato maiale, un altro cibo di forma ellittica chiamato uova, a volte c’è del granchio lavorato con il nome di Kamaboko, arrotolato in forma circolare che prende il nome di naruto, ma non è poi così tipico. E’ una variante, come in matematica o in fisica.”

“Descrivi bene, Uchiha. Mi piace l’idea della variante. Naruto. Suona bene.”

Sasuke inarcò un sopracciglio, testimone come sempre della continua capacità dell’I.A. di esprimere preferenze o apprezzamento.

“E’ una rotella di granchio. Una stupidaggine rispetto a tutto il resto.” Osservò, quasi guardingo, incapace di prevedere la reazione dell’altro, cosa che gli sembrò assurda.

“Una variante – lo stava correggendo? – l’hai detto tu stesso. Senza varianti sarebbe tutto uguale, no? E le cose sempre uguali a se stesse alla lunga annoiano.”

Sasuke si prese un attimo per riflettere e domandare, con una punta di entusiasmo soffocata dal bisogno di non mostrare mai troppo di se stesso, specialmente con quell’I.A. che sembrava scavare dentro ogni pensiero, rivelandosi più umana di lui:

“Da dove hai elaborato tutti questi concetti? E l’idea di preferenza, di ciò che ti piace o non piace.”

“Mi hai dato la conoscenza e, soprattutto, la curiosità. Tutto parte da lì, Uchiha. Voglio essere il naruto sulla scodella di ramen, non il cibo suddiviso in stringhe impossibile da distinguere affondato nel mare di brodo.”

C’era una nota di orgoglio e fierezza, in quella sorta di dichiarazione dalle sfumature di romanzo d’avventura, nel quale il viaggiatore spaziale percorreva intere galassie con il suo equipaggio di eroi.

Senza rendersene conto, Sasuke provò un moto d’affetto, immerso a sua volta nel brodo dell’indifferenza e dell’incapacità di relazionarsi con altri esseri umani. Ma c’era, quell’affetto, e lentamente emergeva, come spinto dal fondo tramite una portentosa bolla d’aria.

“Naruto.” Disse d’istinto, tra le labbra sottili.

Quella volta AL-76 dovette rielaborare le informazioni, probabilmente con scarsi risultati: “Ripeti, prego?”

Sasuke deviò lo sguardo dal monitor, facendo una leggera smorfia, come se davvero l’I.A. potesse vederlo e comprendere qualcosa di lui: “Puoi chiamarti Naruto. La tua variante, in un nome. Mi sembrava che AL-76 ti facesse schifo, giusto?”

Usò del leggero sarcasmo e fece un mezzo sorriso.

Vide un picco più alto nella voce: “Naruto. Questo mi piace, sì è meglio, decisamente meglio. Naruto.”

Ripeté dopo un istante.

“Sei… 
l’ingegnere tacque in istante, incrociando le braccia, come per difendersi – felice?”

“Sì. E’ quello che voi descrivete uno stato di euforia dovuto a un evento piacevole, una consapevolezza o una situazione di benessere. I miei dati fanno coincidere tutte e tre le cose, dunque possiamo addentrarci nel superlativo e utilizzare felicissimo.”

Sasuke accennò un sorriso che tramutò in una leggera smorfia ironica: “Se potessi assumere zuccheri, direi che sei persino sovraeccitato per una cosa tanto semplice come un nome.”

“Se fosse tanto semplice perché non mi hai subito detto il tuo, di nome?” domandò, diretto e cristallino. Capace, come sempre in quelle settimane, di smuovere tanti aspetti di Sasuke che questi avrebbe preferito evitare.

“Perché chiamarsi per nome implica un rapporto di confidenza. E noi, appunto, non ci conosciamo.”

“Quanto la fai difficile, Uchiha. Mi hai creato, direi che mi sembra già un rapporto di confidenza piuttosto intimo, ti pare?”

Sasuke assottigliò gli occhi: “Certo che per avere poche settimane di vita ne hai di arroganza. Non c’è proprio niente di intimo in una serie di imput informatici – sbottò, per poi scuotere la testa, rendendosi conto di dover necessariamente ritrovare la calma, anche se quella sottospecie di scatoletta in overdose da felicità sembrava fare di tutto per attentare alla sua pazienza e provocarlo – ti dico il mio nome, dopodiché vedi di non intrometterti in altri dettagli che riguardano la mia vita privata.”

Si rese conto dell’assurdità di quanto stava dicendo, visto che non aveva chissà quale fantastica vita privata per la quale si potesse sentire attentato nella privacy, ma le sue parole furono istintive, consapevole di aver parlato più in quei giorni con un’I.A. che in mesi e mesi di vita con altri esseri umani. E di essere stato bene, come non gli capitava da tempo; non tutti, infatti, sono in grado di gestire una condizione di benessere, forse perché destinata a durare così poco.

“Guarda, avessi i codici per ridere, lo farei. Sei incredibilmente serio e asociale Uchiha, ma ipotizzo che tu sia una brava persona.”

Certo, ci mancano solo le modifiche vocali della risata. Al prossimo giro ti intesto l’appartamento.

“Come sono io non ti deve interessare, né sono tutto questo granché di persona – tagliò corto, per poi aggiungere secco, prima che Naruto potesse interromperlo – allora, proseguiamo o hai altre osservazioni non richieste nel mezzo da farmi?”

L’I.A. sembrò capire la domanda retorica e non tirò oltre la corda, limitandosi a esortarlo: “No, prego, sono tutt’orecchi.”

“Sasuke.”

Disse semplicemente, incrociando le braccia per ostentare un’indifferenza che non possedeva.

“Sasuke Uchiha – ripeté la voce da oltre il monitor – suona bene. Piacere di conoscerti, Sasuke.”

Aveva un tono allegro, persino entusiasta. Inspiegabilmente, l’ingegnere sentì il petto farsi più leggero, il volto bisognoso di distendersi in un sorriso. Dopo un istante si schiarì la gola e rispose, guardando fuori dall’oblò:

“Piacere di conoscerti, Naruto.”

*

Una nuova nave coloniale era partita: l’idrogeno era raccolto da sistemi discoidali per fare da propellente per l’astronave, alimentata da un impianto laser installato in ogni nave spaziale per scaldare il propellente e creare la spinta. Il vero spettacolo però, se solo fosse stato possibile vederlo con occhio umano, era il campo elettromagnetico esteso attorno alla base di lancio Bussard per centinaia e centinaia di chilometri.

La tuta spaziale serviva per proteggere anche da fenomeni come l’elettromagnetismo, inoltre le navi erano logicamente costruite in modo da difendere i viaggiatori all’interno da ogni possibile contaminazione, anche una ben più modesta navicella come quella di Sasuke, il quale era stato a suo modo contento di aver assistito a quel lancio.

Non tanto per una qualche forma di fascino che, in seguito ad anni di spettacoli tutti uguali, l’ingegnere aveva smesso di provare, bensì perché dopo due mesi di lavoro nello spazio Sasuke poteva rientrare e prendersi uno stacco di due settimane nel quale ricaricare le pile.

Quella volta aveva dovuto prolungare la sua permanenza più del necessario, date le modifiche apportate assieme ai suoi colleghi all’impianto di lancio e, a conti fatti, anche la pausa di due settimane non era poi tutto questo granché, ma per Sasuke era più che sufficiente: giusto il tempo di respirare atmosfera terrestre, attivare le gambe e i muscoli in un vero terreno con gravità originale, non simulata, mangiare cibi magari non eccelsi eppure sicuramente meglio delle robe liofilizzate che ormai si sorbiva quotidianamente nella navicella.

L’unica cosa per cui si dispiaceva, era l’I.A. Portarla con sé, al momento, era impensabile. Non solo perché avrebbe dovuto trovare un impianto in cui caricarla, ma il vero problema era il divieto di possedere I.A. a cui non fosse stato bloccato il libero arbitrio: se avessero trovato Naruto, ormai ex AL-76, non solo Sasuke avrebbe rischiato punizioni esemplari, quali l’ergastolo o la deportazione, ma Naruto stesso sarebbe stato cancellato in maniera definitiva.

E, al di là delle finte minacce di quei mesi trascorsi assieme, a Sasuke dispiaceva profondamente l’idea di non poter più interagire con quell’ammasso di circuiti un po’ chiassoso che si era dimostrato tanto capace di comprenderlo, meglio di quanto avesse mai fatto un qualsiasi essere umano. Per quelle due settimane sulla Terra, dunque, niente più I.A. Solo il suo appartamento, con il frigo vuoto, il cibo d’asporto e i mobili dall’arredamento essenziale coperti di polvere.

Appena si richiuse la porta della camera di decompressione e l’ossigeno tornò a circolare nell’ambiente, Sasuke si tolse il casco e udì dopo neanche un istante le note di una canzone di David Bowie. Sì, aveva lasciato a Naruto libero accesso al suo database di canzoni terrestri vecchie centinaia e centinaia di anni.

Mentre Ziggy Stardust suonava la chitarra assieme ai ragni da Marte, Sasuke si cambiò, bevve, afferrò una barretta energetica e riattivò la gravità simulata. Quando entrò nella zona computer sentì una voce ormai nota salutarlo:

“Bentornato Sasuke! Andato bene il tuo bagno nel campo elettromagnetico?”

“Bene, considerato che non ci sono state falle e abbiamo completato i test di resistenza allo stress dei materiali.”

Avrebbe voluto aggiungere che tra qualche ora la base di lancio Bussard gli avrebbe dato l’ok per il rientro sulla Terra ma tacque, consapevole che invece Naruto si sarebbe ritrovato in uno spazioporto, zona franca di nessuno, senza però alcun contatto con il resto del mondo.

“Ti ho scaricato le analisi e i dati dei test. Sono arrivati anche dei messaggi dalla Terra di altri esseri umani. Identificativo: Suigetsu. Me ne risulta uno vecchio di anni mai aperto, con identificativo Sakura.”

Quando udì quel nome, Sasuke drizzò le orecchie e domandò di scatto: “Li hai ascoltati?”

“No. Li ho solo scaricati. Perché? Hai qualcosa di compromettente da nascondere, eh, vecchio filibustiere?”

Nonostante tutto, Sasuke riuscì a trovare ridicola in una maniera adorabile la terminologia da romanzo d’avventura importata da Bardo. Per il resto, mangiò l’ultimo boccone della barretta e borbottò, con un peso inconsistente all’altezza della gola: “La cosa più illegale che ho in mio possesso sei tu, quindi fossi in te farei meno lo spiritoso, stupida rotella di granchio.”

Gli sembrò di sentirlo vagamente offeso: “Ma che gran minaccia! Uuuuuh sono tutto un tremito! Aspetta che faccio sbandare Viger per farti presente quanto sono terrorizzato.”

“Prendi il controllo dei comandi e sarà l’ultima cosa che farai prima di venire cancellato da ogni sistema informatico interplanetario.” Lo minacciò l’altro, consapevole della falsità di quelle parole.

“Addirittura interplanetario? Mica sono un virus che mi diffondo nell’Universo!”

“Peggio – replicò Sasuke, caustico – sei una piaga. Tipo un’erbaccia, una volta radicata non la togli più.”

Si morse un labbro, consapevole di aver dato un peso aggiuntivo a quelle parole.

Poi, all’improvviso, una risata.

Naruto, l’I.A. un tempo AL-76, nata da dei racconti e dalla concessione del libero arbitrio, aveva riso. Una risata che sembrava cristallina, nonostante la provenienza elettronica, e che lasciò Sasuke immobile, così poco abituato a un suono tanto umano dopo tutti quei mesi nello spazio, proveniente dall’unica entità con cui avesse dialogato fino ad allora.

Tacquero entrambi.

Dopo un istante Sasuke fece presente, più serio per controllare meglio cosa dire: “Me l’avevi chiesto, no? Di poter ridere.”

“Non… – sembrò che Naruto dovesse a sua volta calcolare cosa dire – non mi avevi detto di aver caricato i codici. Stavo pensando a come trasmetterti l’idea e mi sono trovato a poter attingere a qualcosa di così concreto.”

Ci fu ancora un istante di silenzio, mentre la musica continuava ad andare. I Pink Floyd. Che parlavano di un grande spettacolo nel cielo e riflettevano sulla morte, rispecchiando il suo pensiero. Sasuke non ne aveva mai parlato con nessuno; magari, un giorno, avrebbe avuto l’occasione di confrontarsi con Naruto anche su quello.

“Grazie.” Disse alla fine l’I.A. Per la prima volta, usò un tono più basso del solito, ma in qualche modo estremamente profondo.

Sasuke assottigliò le labbra, quasi le compresse tra i denti, per soffocare tutto il resto.

“Prego – disse dopo un istante, per poi aggiungere – hai una bella risata.”

“Modestamente.” Scherzò Naruto, dopo un istante.

Infine, fu Sasuke a dire, all’improvviso: “Tra qualche ora farò rientro sulla Terra. Per un po’ ti lascerò in stand-by.”

Non aggiunse altro. Le parole non erano mai state il suo forte e, a conti fatti, non aveva mai parlato così tanto come in quei mesi.

“Lo so. Ho il programma di lancio.”

Sembrava triste, in qualche modo. Dopo un istante, dato che Sasuke taceva, Naruto aggiunse:

“Sarai contento, di tornare sulla Terra. Anche se sei un umano che odia gli altri umani.”

L’ingegnere scrollò le spalle e deviò lo sguardo verso lo spazio, ironizzando: “Diciamo che non mi dispiace l’atmosfera terrestre. Anche se mi hanno detto che nemmeno Marte è poi così male e gli anelli di Giove sono stati rivalutati parecchio, nel Sistema Solare.”

Naruto rise. Ancora, la sua risata si espanse nell’habitat artificiale di quel cubicolo, costretta tra mura metalliche ingiustamente così piccole rispetto al resto dell’Universo. Sasuke provò una fitta di qualcosa di simile alla nostalgia.

Fu allora che l’I.A. ammise: “Mi piacerebbe, un giorno, vedere la Terra. Calpestarla, con gambe vere. Sentire il profumo del ramen, del mare dei racconti che parlano d’intrepidi pirati avventurieri; sfiorare i mobili vuoti della tua casa. Mi piacerebbe – aggiunse – vedere come sei fatto, dopo averti parlato per tutti questi mesi.”

E toccarti. Tastare il tuo volto, la pelle accaldata dopo aver corso, passare le dita tra i capelli, intrecciati a me come se fossero il firmamento e le stelle che vivono, non viste, sotto il Sole.

Sasuke avrebbe voluto dire quelle precise parole che sfrecciarono rapide, incontrollate, nella sua testa. Ma… se le avesse espresse ad alta voce sarebbero morte, le avrebbe uccise, rendendole solo il frutto di un’emotività non controllata.

“Un giorno, Naruto – espirò, sollevando gli occhi verso le pareti della sua navicella – Un giorno…”

Tacque. Anche Naruto non disse nulla. Poi, si aprì una comunicazione dalla base Bussard.

“Uchiha, qui è la Base Bussard, mi ricevi?”

“Forte e chiaro, Base Bussard.” Disse, straniato dal dover parlare con qualcuno di diverso da Naruto, dopo quello che lui gli aveva detto.

“Dallo spazioporto terrestre della Cittadella hanno dato l’autorizzazione per il tuo ingresso nelle prossime ore nell’atmosfera. Procedi con l’elaborazione dati per il viaggio.”

“Ricevuto – confermò Sasuke dopo un istante – invio le coordinate e la traiettoria tramite sistema una volta calcolate.”

“Roger. Buon rientro a casa, Uchiha.”

La comunicazione si concluse, dopo un istante di statico dovuto alle interferenze. Infine vi fu il silenzio, anche la musica era cessata, come se loro fossero fuori, nello spazio, dove il suono non si propagava.

“Suppongo che  dovremo salutarci, Sasuke.” Disse infine Naruto.

L’altro inarcò un sopracciglio, scoprendosi bisognoso di temporeggiare: “Ci sono ancora i calcoli da eseguire e…”

“Già fatto, sono stati caricati sul sistema – un accenno di risata, meno luminosa delle precedenti – un po’ troppo efficiente, vero?”

“Ti ho insegnato bene, tutto qui.” Ironizzò, anche se in maniera per nulla convincente.

“Sai – disse infine l’I.A. – avrei voluto tenerti nascosti i dati e fingere di doverli ancora elaborare, per passare più tempo assieme. Ma… tra tutte le infinite e splendide cose che mi hai dato occasione di conoscere, non mi hai insegnato a mentire, Sasuke.”

Questi tacque, in un primo tempo. Poi si alzò in piedi e disse con fare apparentemente casuale: “Devo sistemare le ultime cose, prima di partire. Possiamo ascoltare un po’ di musica nel frattempo. Poi, ci sentiremo ancora, tra qualche settimana.”

Si guardò attorno, consapevole che Naruto non era in grado vedere nulla di ciò che lo circondava. Contemplò gli oggetti, pochi, compattati e perfettamente allineati, oltre all’ordine in realtà assoluto della navicella. Non c’era davvero nulla da sistemare.
Ma… Sasuke era umano. E, a differenza di Naruto, sapeva mentire, come ogni essere umano dell’intero Universo.

Naruto lo salutò. Lo congedò, prima del viaggio, mentre Sasuke infilava la tuta, con le note di Starman in sottofondo, di David Bowie. Sembrava la sua canzone preferita.

La musica infine cessò. Ogni cosa era pronta, mentre Naruto, spento, taceva. Sasuke ascoltò solo un messaggio olografico scaricato sul sistema; quello di Suigetsu.

“Perché è così difficile parlarti, Sasuke? Due mesi. E solo qualche sporadico messaggio. Dove va a finire il tuo tempo?”

Gli chiedeva. Sembrava arrabbiato. E triste per lui, nel suo modo amichevole e un po’ folle di ragionare. Una cometa sfolgorante di gas bruciati che trapassa l’atmosfera, estinguendosi. Aveva tutte le ragioni per sentirsi così; una volta, forse, Sasuke parlava di più, nonostante la sua natura chiusa. Ma dopo tutti quegli anni… quante cose si erano arrugginite, in quegli anni.

Sasuke Uchiha spense l’ologramma. E anche il senso di colpa piantato nel petto tacque di conseguenza, un soffocamento temporaneo, come un antidolorifico per placare il dolore.

Trasmise le coordinate alla base di lancio Bussard e, infine, fece ritorno sulla Terra, smettendo di essere un uomo delle stelle. O, forse, il suo uomo delle stelle era lì, in quell’astronave, e lui lo avrebbe lasciato solo, fino a che non fosse tornato nello spazio.



Riferimenti, citazioni e canzoni di riferimento:

Bussard: un collettore progettato come propulsore spaziale. Da qui, ho omaggiato la base di lancio interstellare a nome del fisico che ha ipotizzato il sistema di propulsione.

Cittadella: in Mass Effect, base spaziale importantissima e centro politico dove vengono prese importante decisioni da parte di un consiglio che rappresenta le principali specie.

Bardo: Nella storia ‘Un giorno’ di Asimov, Bardo è un computer per  bambini capace di narrare storie.

Bowie (per i Pink Floyd... al prossimo capitolo): Space Oddity, Ziggy Stardust e i Ragni da marte (ne parla nel testo della canzone), Starman;

AL-76: Tratto dal racconto di Asimov ‘Il robot scomparso’, bellissima storia di un robot che si trova per sbaglio sulla Terra e grazie alle esperienze su di essa, in un certo senso cresce.

Viger: Tratto dal primo film di Star Trek del 1979. Un’entità aliena afferma di chiamarsi Viger; in realtà scoprono che alcune lettere di questa sonda sconosciuta erano state cancellate dal tempo: si tratti infatti di una sonda spedita centinaia di anni prima dalla Terra. Sono sempre stata affascinata da questo fatto, sin da bambina

Un giorno...: Tratto dal racconto di cui sopra ‘il robot scomparso’

Cervello positronico: il cervello dei robot secondo Asimov, animato da un flusso di positroni.





Sproloqui di una zucca

Ohibò, ohibò, chiedo umilmente perdono: so che mi erano state chieste cose non troppo fantascientifiche ma... c'è una ragione ben specifica, per ogni cosa che ho scelto e che è stata detta. Dal prossimo capitolo l'ambientazione oltretutto cambierà.
Spero che i dialoghi tra Sasuke e Naruto siano graditi e che i personaggi, per quanto mooooolto distanti dal loro contesto, risultino IC. In questo primo capitolo più... carico d'affetto, se vogliamo, si affrontano tematiche che mi sono sentita di toccare nel parlare d'I.A. e di sviluppo dell'intelligenza artificiale, cercando sempre di usare il massimo realismo possibile.
E' importante l'identità, la scoperta del genere di appartenenza, l'uso dei nostri recettori sensoriali e, più in maniera approfondita, l'idea della solitudine e di come ogni essere umano la affronti o, parallelamente, decida di non affrontarla affatto. Per questo nel primo capitolo ho scelto lo spazio, in contrapposizione con la sovrappopolata Terra.
Avviso che non è un racconto leggero emotivamente; almeno, per me che lo scrivevo non lo è stato. Ho messo tanto di me, al punto da essere consapevole, alla fine, di aver scoperchiato il mio lato più emotivo ma... giudicherete alla fine, quando valuterete cosa vi è rimasto una volta conclusa la storia.
Ringrazio come sempre Sunako, aka Ilenia, perché se qualcuno ha un Betareader io ho direttamente tutte le lettere dell'alfabeto e la persona più preziosa che potessi trovare con cui condividere le mie vulnerabilità e i miei sentimenti, messi in ogni storia.
Ancora grazie infine a Blair, alla quale, come detto, dedico ogni riga di questo racconto: spero davvero che riesca a trasmetterti qualcosa.
Grazie anche a chiunque abbia letto e deciso di intraprendere la lettura di questo Sasuke (perché, perché i miei Sasuke sono così complicati emotivamente?) e questo Naruto che in un certo senso cresceranno, assieme, dopo essere nati tra le stelle.


   
 
Leggi le 8 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: Happy_Pumpkin