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Autore: LadyNabla    05/12/2017    4 recensioni
Eppure l'uomo, per quanto fosse riuscito a cogliere solo un lampo dell'immagine, era quasi certo di aver riconosciuto un volto femminile, giovane e incorniciato da una chioma folta e candida come fiori di cotone.
Che fosse...? Vide la mora sollevare ancora il calice e bisbigliare un "auguri", prima di svuotarlo.
Non resistette più.
Si alzò in piedi, raggiunse il bancone fingendo di attendere il ritorno dell'inserviente dall'aria ottusa, e intanto si concesse di mormorare alla donna:
- E così stamattina hai ammazzato quell'agente governativo per festeggiare degnamente tua madre, Nico Robin?-
L'altra non si scompose, né cambiò la sua posizione.
Si limitò a posare la bottiglia dopo aver nuovamente riempito il calice.
La sua espressione si era mantenuta mite come quell'umida notte di pioggia leggera, ma i suoi occhi chiari erano ora freddi, duri e taglienti come la lama di un pugnale.
- Veramente no- rispose infine, con un lieve sorriso impertinente ad incresparle le labbra -l'ho fatto solo perché me l'hanno ordinato. Non ne avevo neppure voglia.-
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Mugiwara, Nami, Nico Robin, Sanji
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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2                                                                                                     II. Darkness

                                                                                                                                         
         I'm holding on
                                                                                                                                          Why is everything so heavy?
                                                                                                                                    So much more than I can carry
                                                                                                                     I keep dragging around what's bringing me down
                                                                                                                                       
                                                                                                                                       

Isola di Kuraigana, rovine del regno Shikkearu

Allenarsi.
Battere le scimmie.
Dormire.
Assaltare il sakè trafugato da qualche nave mercantile distrutta da Mihawk.
Passeggiare tra i resti di quel posto desolato.
Ancora e ancora.
Mangiare.
Sopportare le stupide lagne della ragazzina con la testa di boccoli color caramella, che gli gironzolava continuamente attorno.
Zoro alzò lo sguardo del suo unico occhio buono al cielo cupo e nuvoloso di quel buco schifoso dove non si vedeva mai il sole, ma non distinse niente, tanto era scuro e coperto.
Sospirò, riprendendo a camminare senza meta, con le mani affondate nelle tasche, le spade al fianco e il sentiero irregolare davanti a sé.
Era così che andavano avanti le cose da circa un anno ormai, da quel giorno all'arcipelago Sabaody.
Sembrava già una vita fa, invece erano trascorsi a malapena tredici mesi (o forse quattordici? Non era tanto sicuro, ma tanto ci pensava la mocciosa a tenere il conto per rinfacciargli da quanto le toccava tollerare la sua presenza sull'isola).
Perfino uno della sua tempra, uno che non aveva mai attribuito la minima importanza a certe cose, sempre pronto a mettersi alla prova affrontando qualunque clima e qualsiasi ambiente selvaggio e inospitale, avrebbe gradito vedere un dannato raggio di luce, un po' d'azzurro, un'alba sul mare.
A volte gli sembrava di diventare pazzo.
Parlava poco e solo per estrema necessità con Perona (che d'altra parte blaterava per due o tre persone) , e non molto di più con Mihawk, sempre torvo e scontroso.
Non che gliene importasse un fico secco di conversare amabilmente con lui davanti ad un tè caldo, o giocarci a ramino tanto per ingannare il tempo, bastava che lo aiutasse a diventare più forte.
Si stava addestrando bene, o almeno così gli diceva ogni tanto quel pallone gonfiato dagli occhi dorati.
Solo quello, un ben misero premio per i suoi sforzi sovrumani, per tutta la fottuta fatica che si doveva caricare sulle spalle per avvicinarsi a lui di qualche passo, e per dover stare lì, in quell'inferno oscuro.
" Stai andando discretamente, Roronoa", oppure "puoi fare di meglio", o "ti manca ancora qualcosa".
A tanto valeva farsi il culo ogni giorno sotto la sua guida snervante.
Sempre meglio delle risatine acute della ragazzina e dei suoi immancabili commenti acidi su quanto fosse noiosa la vita con due come loro, rozzi e stupidi, capaci di pensare solo alle spade e di menare le mani.
Ma che ne potevano sapere quei due di lui? Non avrebbero capito in ogni caso il motivo per cui si stava dannando l'anima, per cui stesse resistendo dopo tutto quel tempo...senza di loro.
Il ragazzo serrò la palpebra.
In realtà non faceva molta differenza, rispetto a quando teneva l'occhio aperto.
Ecco, adesso che era abbastanza lontano da Mihawk e Perona, se si concentrava e tagliava fuori i pochi suoni di quel posto, lo sentiva.
Sentiva l'incessante rollio della nave sotto i piedi, ora lievissimo, ora insopportabile, e il liquido infrangersi delle onde contro i fianchi snelli della Sunny, gli schizzi di schiuma che nelle giornate ventose arrivavano fino al posto di vedetta, dove si appisolava sempre... lo stridio dei gabbiani, il sole che gli baciava la pelle, o il pallido chiarore della luna e delle stelle, e le loro voci.
Le urla e le risate di Rufy, Usopp e Chopper, simili a tre marmocchi pestiferi, i rumori confortanti della cucina e lo stupido cuoco che se la canticchiava, Nami che lavorava alle sue carte nautiche e ogni tanto controllava il log pose e lanciava ordini al timoniere sulla rotta da seguire, Robin che le stava vicino e leggeva con l'aria serena e divertita, Brook e le sue melodie, allegre o nostalgiche, ma sempre dolci, Franky che ogni tanto riemergeva dal suo laboratorio facendo un sacco di baccano, con qualche nuovo marchingegno incomprensibile tra le mani.
Lui nella coffa, mentre nell’aria risuonava il fruscio delle vele e lo schiocco del sartiame che gli conciliavano il sonno, e se ne stava lì con un sorriso pigro ad increspargli le labbra.
Gli sembravano lì, a due passi da dove stava, sentiva quasi il profumo salmastro dell'oceano, puro e aspro e forte, vedeva il luccichio della luce che danzava sul pelo dell'acqua blu e verde, sotto di lui, mentre il caldo della tarda mattina lo illanguidiva e all'orizzonte piano piano iniziava a stagliarsi la sagoma violacea e irregolare dell'isola seguente.


Ma poi il suo occhio si riapriva, e l'immagine piena di colori e di vita svaniva, come una bolla di sapone nel vento.
Era a Kuraigana, solo.
Lì l'aria sapeva di fumo, di sangue e di morte, il cielo era sempre plumbeo e il vento sembrava il lamento lugubre di una bestia in agonia.
Sapeva che la sua era una condizione temporanea, che prima o poi sarebbe ripartito e si sarebbe lasciato alle spalle e per sempre quell'isola lugubre e opprimente...o no? E se non ci fosse riuscito?
Anche Zoro, il temuto cacciatore di pirati, un uomo cinico che viveva ignorando la paura, al punto da sfiorare l'idiozia, a volte si svegliava di soprassalto nel cuore di quella che doveva essere la notte, scosso dai brividi e dal terrore di restare intrappolato lì fino alla fine dei suoi giorni, o di non ritrovare più i suoi compagni, e vagare disperato di mare in mare, di isola in isola, alla loro vana ricerca.
Eppure per lui non era certo una novità stare da solo, bastare a sé stesso, cavarsela sempre con le sue sole forze, senza avvertire mai il bisogno della compagnia di altri essere umani.
Ma quello era stato tanto tempo prima, quando ancora non aveva commesso l'errore di salvare una bimbetta dalle fauci del lupo domestico di un idiota figlio di papà, e non aveva ancora conosciuto uno strambo ragazzino con un vecchio cappello di paglia in testa e tanti sogni balordi, quando non si era ancora unito a lui in quella che sembrava più una barzelletta con due idioti come protagonisti, che l'inizio dell'avventura di una vita.
Zoro fece un ghigno storto.
Doveva resistere.
Anche se faceva male non essere con loro, non sentire le loro voci, non ricordare quasi più com'era navigare con i suoi amici.
Troppo male.

Angolo dell'autrice:

Saluto chiunque abbia letto e come sempre ringrazio di cuore chi vorrà lasciare un breve commento alla storia, oltre a ringraziare di nuovo e con simpatia chi mi ha così gentilmente recensito il primo capitolo, grazie grazie ancora *_* !

Approfitto inoltre di questo piccolo spazio per una precisazione: nel testo di questo secondo capitolo potrebbe emergere un elemento un po' strano, ovvero Zoro che teme di non riuscire a ricongiungersi con il resto dell'allegra brigata in quel di Sabaody; ebbene, non mi sono dimenticata che lui conosceva bene il luogo dell'appuntamento, ma diciamo che si tratta in gran parte di paure irrazionali e portate all'estremo dalle condizioni di deprimente isolamento in cui il nostro si trova a vivere, unite alla mancanza dei suoi amici e ad altri aspetti su cui non ho voluto soffermarmi (il senso di colpa per esempio).

Niente, mi sembrava giusto mettere in chiaro questo piccolo dettaglio, poteva effettivamente sembrare sbagliatissimo in rapporto a ciò che era stato detto a quel proposito nel manga :).

Grazie ancora per l'attenzione, mi defilo una buona volta con la mia pignoleria! XD

   
 
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