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Autore: neversaythree    07/12/2017    1 recensioni
Harry ha 21 anni, gli ultimi 4 passati a viaggiare per gli Stati Uniti e, suo malgrado, ogni tanto gli capita di aver bisogno di un lavoro. Louis ne ha 23, è quasi tanto ricco quanto triste, e non assume di persona i propri dipendenti.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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4. White teeth teens
 
We wouldn't be seen dead here in the day, yeah
I guess you're lucky that it's dark now
And if I like it then we'll stay
Impress the empress, take a shot now
 

Louis Tomlinson è possibilmente destinato al successo. Il suo nome, la sua casa, le sue conoscenze, l’orologio che porta al polso, non sono altro che opportunità. Louis Tomlinson è nato in un mondo perfettamente proporzionato al palmo della sua mano, una pallina da golf che può rigirarsi tra le dita, un mero accessorio per la sua grandezza. Tutto è possibile per Louis; ogni strada gli si spiana di fronte dritta ed in attesa di una sua pigra alzata di spalle ed un suo primo disinteressato passo verso un obiettivo qualunque.

La solitudine è solo un possibile effetto collaterale. Ai Tomlinson è stato insegnato che se non c’è nessuno che ti invita nel suo castello, tu te ne costruisci uno. Louis ha il castello e pure la possibilità di darlo per scontato. 

Potrebbe lasciare gli studi, se lo volesse. Potrebbe rovinarsi la reputazione, farsi arrestare, correre a trecentodieci chilometri orari su una macchina sportiva e non temere niente, neanche la morte.

Louis è un gigante in un mondo troppo piccolo per darvi valore.

A volte è difficile crederci. Quando l’adrenalina finisce e le pacche sulle spalle diventano fastidiose, le risate assordanti. Allora Louis sceglie la prima stanza vuota che trova, per trovare un po’ di silenzio, per odiarsi un po’ in pace. A volte porta con sé qualcuno e fa finta che la solitudine sia solo intimità.

Anche adesso non è solo. La luce è troppo forte nella stanza, l’emicrania lo costringe a tenere gli occhi chiusi, e Louis più che vederlo riesce a sentirlo, ovunque intorno a sé. Lo precede il suo profumo, quello forte di Gucci per cui Louis lo prendeva sempre in giro. Sente le sue labbra sfiorargli l’orecchio, il suo respiro solleticargli il collo e, quando parla, la sua voce è quella di sempre, l’accento inglese sporcato dai soldi dell’East Side, il tono un po’ canzonatorio, un po’ adorante. Louis tiene le palpebre sigillate.

“Abbiamo troppe cose in sospeso” sussurra Zayn. Ed è vero. Louis accoglie le sue parole con un sospiro di sollievo, sente le proprie, di labbra, distendersi in un sorriso. Risolveranno anche questo. Zayn e Louis sono così, loro risolvono tutto. Louis improvvisamente si vede dall’esterno, si vede camminare svelto, con le mani in tasca, incazzato, di ritorno dalla villa dei Malik. Si vede trattenersi dall’urlare, dal prendere a calci i sassi sul selciato, giusto così, come valvola di sfogo. I Tomlinson non si scompongono.

Ma adesso è diverso. Adesso lui e Zayn risolveranno tutto, come sempre.
 

Quando apre gli occhi, la stanza è buia. Gli fa male la testa, e non riesce a mettere a fuoco niente per la mancanza di luce, così comincia a tastare con le mani il lembo di materasso al suo fianco.

“Zayn?” chiama. E c’è solo silenzio a rispondergli. Non ci sono odori a parte il copriletto pulito ed il fumo che gli si è impregnato nei vestiti. Non c’è nessuno. Si porta le dita all’orecchio destro, quello contro cui ha sentito la voce del suo migliore amico così distinta, così vera, chiedendosi distrattamente cosa pensa di ottenere. È freddo, un normalissimo orecchio.

Si tira su a fatica e sente la nausea rigirargli le viscere. Non ricorda neanche di essersi addormentato. Probabilmente era solo un’allucinazione. Può definirsi allucinazione, se avevi gli occhi chiusi? Può essere un sogno, se non stavi dormendo? Le gambe gli tremano, quando si alza. Accende la prima luce che trova, si avvicina allo specchio per soppesarsi. Gli ha sanguinato il naso. Ci passa sotto la manica della felpa sperando, senza troppa enfasi o interesse, senza neanche controllare, di non aver sporcato le coperte di Danielle. Dovrebbe smetterla di tirare cocaina. I capelli sono un casino, gli occhi vitrei, circondati da occhiaie scure. Gli piace guardarsi allo specchio, quando sa di ritrovare questo. Non il Louis delle giornate all’università o delle strette di mani importanti. Gli piace vedere quanto è facile buttarsi via.

“Sembri un fantasma” gli ricorda ancora nella sua testa la voce apprensiva di sua madre, quel poco che rimane della sua coscienza. Un’altra persona che manca. Ridacchia tra sé, come un completo idiota, imbarazzato dai propri stessi pensieri, finché il peso sullo stomaco si allevia un po’.

Si volta, dando le spalle alla superficie riflettente, e tira fuori il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans. Scrolla l’elenco dei contatti preferiti con aria assente. Non vuole parlare con Liam o Niall, non se la sente di avere a che fare con qualcuno che gli voglia bene. Eleanor e gli altri sono da escludere a meno che non si cerchi sesso o droga, e Louis ha avuto abbastanza di entrambi, per stasera. Preme il pollice contro il contatto di ‘Harry autista’ senza concedersi tempo per pensarci bene.

Risponde al secondo squillo.

“Louis?” La sua voce sembra lontana, un po’ soffocata dalla musica. Louis si pente quasi immediatamente di averlo chiamato.

“Ehi. Sei con Liam e Niall?”

“No, sono andati a cercare Danielle, penso vogliano andare via. Vuoi che te li cerchi?”

“No, no, lascia stare” si affretta a rispondere, per poi azzardare: “Aspettami fuori, ti raggiungo.”

Per qualche motivo immagina un secco No come risposta, perché all’effettivo sarebbe esattamente ciò che Louis stesso si risponderebbe, ma Harry deve essere molto annoiato o molto confuso, e si limita ad un “Perché?” atono.

“Che vuol dire perché?”

“Perché vuoi uscire fuori?”

Louis si stringe la radice del naso tra il pollice e l’indice, chiudendo gli occhi, e mette su il suo miglior tono beffardo: “Per fumare? Cos’è, hai paura che ti uccida? Se non vuoi uscire vado per conto mio-“

“No, no, esco” lo interrompe Harry.

“Bene.”

“Bene.”

“Arrivo.”

“Bene.”

Louis sbuffa: “Sei ubriaco o ti sei rotto?”

“Un pochino.”

Non fa in tempo a chiedergli quale delle due cose, che la linea cade.
 

 Lo trova in giardino, seduto a terra sull’erba umida, con la fronte poggiata sulle proprie ginocchia. I suoi arti sono evidentemente troppo lunghi perché una posa del genere sia efficace, ma in qualche modo c’è una certa grazia nella linea delle sue cosce lunghe, nel collo pallido e teso che emerge dal colletto della sua camicia da cinquantenne ad un barbecue. Louis è quasi affascinato.

“Hai delle gambe lunghissime” gli dice, perché evidentemente non è un buon momento per quella questione annosa del pensare prima di parlare: “Tipo una rana.”

Harry solleva lo sguardo su di lui. Ha gli occhi lucidi e le guance arrossate. Sorride, mostrando un paio di fossette: “Una rana?”

Louis gli si siede affianco, ma non tira fuori le sigarette. “Hanno le zampe lunghe, no?”

“Tanti animali hanno le zampe lunghe, perché una rana?”

Louis fa spallucce: “Perché no?”

“Non riesco a inquadrarti” dichiara Harry, ed è la classica frase a cui Louis non saprebbe come rispondere, perciò è quasi sollevato quando lo vede portarsi una mano alla fronte e corrucciarsi.

“Ti senti bene?” 

“No. Tu?”

Ci pensa un attimo, prima di rispondere: “No.”

Harry torna a guardarlo. Apre la bocca per dire qualcosa, poi sembra ripensarci e cambiare idea.

“È stata fichissima, la gara” fa, semplicemente. “Complimenti per la vittoria.”

“Fa tutto la macchina.”

“Ti dona parecchio, la modestia.”

“Sei ubriaco.”

Harry abbassa gli occhi mestamente, con aria come di preoccupazione: “Scusami, è che pensavo fosse più facile tenere il passo con Niall.”

Louis non è certo di cosa si stia scusando, perciò “È un irlandese” è ciò che si limita a dire.

“Liam ha detto che può lasciare la Porche insieme alla Lamborghini da Niall e poi passarci a prendere con l’Audi” fa Harry, in una sola emissione di fiato, prima di aggrottare le sopracciglia, gli occhi rossi fissi in quelli di Louis: “O forse non era così. Sono un po’ confuso.”

Ah, la questione dell’autista. Louis se n’era quasi dimenticato. È facile dimenticarsi che Harry lavori per lui, dopo averlo visto ballare per ore con i suoi più vecchi amici. Forse perché è più giovane di qualsiasi suo dipendente. O forse è semplicemente uno che si integra bene.

“Senti-“

“Oppure possiamo aspettare un pochino, tanto mi sta già passando-“

“Harry-“

“A meno che tu non abbia fretta, certo. Possiamo-“

“Harold” fa Louis, alzando un po’ la voce, sentendosi segretamente più divertito che esasperato: “Sta’ zitto un secondo.”

Se Harry fa caso al nomignolo, non lo dà a vedere. Fa con una mano il gesto di chiudersi la bocca con una chiave. Louis alza gli occhi al cielo.

“So guidare, in caso non l’avessi notato” si concede una nota di compiacimento nel tono della voce, giusto per rimanere nel personaggio, per restare comodo. “Lasciamo la Lamborghini da Niall. Liam prende la Porche, io guido l’Audi. Tu fai quello che ti pare. La domenica è il tuo giorno libero, dopotutto.”

Prevedibilmente, il giochetto della chiave non funziona: “Sono le tre del mattino, non è più domenica.”

“Ti piace trovare problemi pure dove non ce ne sono?”

L’arrivo di Niall e Liam gli risparmia una risposta. Louis li sente blaterare e cerca di concentrarsi sull’aria fresca per sentirsi un po’ meno uno schifo, visto che deve guidare. L’ha fatto in condizioni peggiori, ma domani ha due ore di diritto urbanistico ed un qualche pranzo sociale del cazzo con suo padre, quindi per quanto sarebbe il momento più conveniente per finire all’ospedale, non sarebbe certo quello più propizio.

“Eh, Tommo?”

Si riscuote, alza gli occhi verso gli altri. “Eh?”

“Andiamo?”

Louis accetta la mano che Liam gli porge, ci si fa leva per sollevarsi da terra.

“Andiamo.”

Raggiungono il parcheggio e Louis impiega qualche secondo per spiegare a Niall e Liam la situazione delle macchine, poi decidono tutti di camminare in prossimità della Lamborghini e della Porche, parcheggiate vicine, prima che Louis raggiunga l’Audi poco distante. Liam e Niall cominciano a raccontare alcuni degli eventi apparentemente straordinari della serata appena trascorsa, con il contributo sbiascicato di Harry.

“E tu dove sei sparito, Lou?”

“Perché, ti sono mancato?” chiede lui, ed è un modo convincente e leggero di evitare la domanda, non come il fallimentare tentativo di Liam, che si finge occupato con la portiera della Porche per qualche balzana ragione. Finisce col sembrare solo un cretino, visto che l’auto ha la chiusura centralizzata e non è verosimile impiegare più di mezzo secondo per premere il pulsante di un telecomando.

“Sei a posto per guidare?” gli domanda, il tono così carico di sottintesi che se Louis non lo conoscesse direbbe che lo sta facendo di proposito.

“Non sono ubriaco.”

Niall, visibilmente stanco, gli dà una pacca sulla spalla e va a sedersi al posto del guidatore della Lamborghini. Harry, visibilmente ubriaco, rimane fermo dov’è.

“Sei stato via parecchio” fa Liam, con tono secco, passivo-aggressivo, e Louis ormai è abituato ad avere questi picchi di fastidio nei suoi confronti, ma al momento avrebbe comunque voglia di sbattergli la testa contro la portiera. Si sforza di rispondere con calma: “Ero a scopare.”

Non è completamente vero, ma non è neanche proprio una bugia. Si è imbattuto in Danny mentre vagava per il piano superiore e si è lasciato fare un pompino veloce nel bagno. Non è stato sicuramente questo ad averlo trattenuto.

Liam non sembra comunque trovare altro da dire.

“Principesse, io vado” annuncia Niall, attraverso il finestrino abbassato. Harry corre letteralmente a baciarlo sulle guance, sotto lo sguardo affettuoso e sorridente di Liam.

“Tommo, stronzo, non sparire.”

Louis annuisce e “Ciao, Boo. Guida piano” fa, facendoli ridere.

“Harry, con chi torni?”

“Col cavallo vincente, Liam, che domande.”

Louis ne è genuinamente sorpreso, ed il suo sguardo incontra quello di Harry, che chiede, come conferma: “Va bene?”

“Sì.”

Salgono in macchina e si congedano con Liam con un breve lampeggiare di fari. Louis lascia che Harry smanetti con lo stereo mentre lui esce dal parcheggio con una manovra disinvolta. Harry interrompe lo zapping sulle note di Hey There Delilah dei Plain White T’s ed a Louis, suo malgrado, scappa un involontario verso di sofferenza.

“Che c’è?” chiede Harry, “è un gran classico.”

“Brutti ricordi.”

Il suo tono si fa serio: “Vuoi che cambi?”

“No, è una cosa stupida. Tipo sei anni fa ho deciso di partecipare a una sorta di provino di canto, a scuola. L’ho completamente rovinata.”

“Davvero?”

“Mutilata e uccisa. Non l’ascolto d’allora.”

Harry sembra essere lieto per questa informazione: “Dimmi che ci sono testimonianze filmiche.”

“Ho fatto distruggere ogni prova.”

“Non ci credo.”

“Che ho fatto distruggere le prove o che ho cantato Hey There Delilah ad un provino?”

“Forse entrambe.”

“Perché?” chiede Louis, ed è quasi incerto di volerlo sapere.

“Perché sembri così… serio e composto, e questa sembra una cosa poco seria e composta da fare” parla cautamente, come se temesse di farlo arrabbiare, e per qualche ragione un accenno di rammarico si fa strada nello stomaco di Louis.

“Ero giovane.”

“Lo sei ancora.”

Eppure Louis si sente un centenario. Sarebbe facile smettere di rispondere, lasciare che la conversazione muoia, ma ha bisogno di qualcosa che lo distragga dal mal di testa.

“Portavo le bretelle, ai tempi.”

Harry scoppia a ridere e Louis, mentre svolta senza freccia per immettersi sulla superstrada, lo vede con la coda dell’occhio portarsi una mano alla bocca, in un gesto quasi timido.

“Io i papillon” ammette: “Tempi bui.”

“Ew.”

“Li mettevo sempre al posto della cravatta, con la divisa della Winchester.”

Louis si volta di scatto a guardarlo: “Andavi alla Winchester?”

“Sì.”

Quella Winchester?”

Harry sorride divertito: “Quella, sì.”

“Hai perso un po’ l’accento inglese.”

“Il tuo invece è forte e chiaro.”

“Hai avuto una borsa di studio?”

“No.”

Louis non sa assolutamente nulla su Harry, salvo il fatto che è una sorta di nomade, ma sa che per entrare alla Winchester bisogna essere notevolmente abbienti, oltre che estremamente dotati.

“E poi che è successo?” gli chiede, senza neanche pensarci, e per un attimo teme che Harry possa prendere le sue parole nel modo sbagliato e si affretta a pensare a qualcosa da aggiungere, ma lui fa solo spallucce, si scosta i capelli da davanti alla fronte.

“Poi me ne sono andato di casa.”

Il suo tono è come conclusivo, e Louis non chiede altro. Non saprebbe dire per quale motivo dovrebbe essere una rivelazione sconvolgente, non vuole che lo sia, ma da che ha memoria Louis è sempre stato ricco, ha sempre avuto amici ricchi, e non ha mai contemplato l’idea di poter rinunciare a ciò che ha, al punto da non credere neanche che fosse possibile.

Hey There Delilah lascia il posto ad un pezzo che neanche Harry sembra conoscere, e Louis si concede un po’ di tempo per pensare ai suoi anni in Inghilterra, a vivere con sua madre senza neanche un quarto di ciò che possiede adesso. Non riesce a ricordare, per quanto si sforzi.

“Ti prego, di’ qualcosa” fa Harry, ad un certo punto, a voce bassa, l’ombra di un sorriso nelle sue parole.

E Louis non ha niente di interessante o di particolare da dire, perciò con gli occhi fissi sulla strada ed il tono di voce casuale: “Ti va se acceleriamo un po’?” chiede.

“Sei serio?”

Louis si volta di nuovo a guardarlo. È già girato verso di lui, ha le sopracciglia sollevate, ma sta ancora sorridendo. Lui non risponde, semplicemente preme un po’ di più il piede sull’acceleratore, non abbastanza da permettere all’Audi di slittare in avanti, ma abbastanza affinché si senta il rombo del motore, come una promessa.

Vede Harry muoversi per allacciarsi la cintura di sicurezza.

“Ok.”

“Ok?”

“Sì.”

“Non sembri molto sicuro.”

“Vai, prima che ci ripensi.”

Louis sorride, cambia marcia, e va.
 


If you want we'll help tonight to split his schemes
Give the bruises out like gifts
You'll get the picture of your dreams
I won't be smiling but the notes from my admirers
Fill my dashboard just the same
 

 
“Dici che l’abbiamo presa, quell’autovelox?”

Harry si sente ancora come se gli mancasse il respiro. Hanno spalancato i finestrini a discapito dell’aria gelida, perché Louis ha detto che sarebbe stato più bello col vento in faccia. Aveva ragione.

“Probabilmente” gli risponde, e suona un po’ senza fiato anche lui. Hanno rallentato, in prossimità di casa, superata l’ultima superstrada. Harry fissa il profilo sorridente di Louis e gli sembra così strano e così giusto allo stesso tempo.

È ancora piuttosto ubriaco.

“Ti è piaciuto?”

Hanno raggiunto casa Tomlinson, e Louis si volta a guardarlo nell’attesa che i cancelli si aprano. Harry vede con la coda dell’occhio la T dorata e vorrebbe dire qualcosa, ma non sa cosa.

“Un casino.”

Il tono di voce di Louis è compiaciuto: “Sulla Lambo è un’altra cosa.”

Varcano i cancelli in silenzio. Il selciato sul viale scuote leggermente la macchina, ed Harry tiene gli occhi chiusi finché non la sente fermarsi.

Louis si è messo una sigaretta tra le labbra, lo guarda con espressione indecifrabile.

“Grazie” fa Harry, mentre esce dall’auto facendo particolare attenzione a non inciampare e morire. Louis, come sempre logorroico, annuisce senza dire niente.

 
Nella dependance, Harry recupera il cellulare dalla tasca dei jeans e si ritrova a guardarlo per qualche secondo, un po’ diffidente, un po’ rapito, prima di riporlo con delicatezza sul comodino, tra le bottiglie di acqua vuote ed un paio di libri. Fa a stento in tempo a spogliarsi, prima di mettersi a russare, con lo sfrecciare dei lampioni ed il rumore del vento ancora in testa.
 

***
 
La prima volta che Harry e Louis si scambiano un sms, è Harry a cominciare, ironia della sorte. Succede precisamente la mattina dopo la festa di Danielle, quando apre gli occhi con la raggelante consapevolezza di essersi dimenticato di mettere la sveglia. Questo è il primo pensiero di senso compiuto che la sua mente assonnata riesce ad articolare, quando recupera con un grugnito le coperte per infilarci sotto i propri piedi ghiacciati. Si solleva di scatto malgrado tutto, salvo prendersi qualche istante per fare i conti con le vertigini che seguono il movimento brusco. Quando dà un’occhiata disperata alla radiosveglia e vede brillare un minacciosissimo 9:56 in led rosso, si butta dal letto come se fosse in fiamme.

È piuttosto rapido a prendere atto del fatto che Louis lo ucciderà, e corre a fare pipì sorprendentemente disposto a lasciarglielo fare. C’è un forte margine di possibilità che Louis possa non meritarsi niente, in generale, ma Harry sa di essere nel torto, perciò si lava i denti in 0.3 secondi, si infila i vestiti sporchi della sera prima e va a cercare Liam.

Lo trova sotto il portico. Indossa gli occhiali da sole, ed ha tra le mani quello che sembra essere il New York Times. Lo abbassa per guardarsi intorno, evidentemente sentendo l’ansimare di Harry anche ai dieci metri di distanza che li separano.  

“Buongiorno” gli fa, quando Harry lo raggiunge.

“Buongiorno. Sono in ritardo.”

Liam sorride deliziato: “Oh, lo so.”

“Potevi svegliarmi.”

“Ho un sacco di cose da fare, stamattina.”

“Stai leggendo il giornale” gli fa notare Harry. Liam lo guarda come se non capisse il suo punto.

“Louis è a casa?”

“No, suo padre ha mandato una macchina a prenderlo un paio d’ore fa.”

Cazzo. “Sono licenziato?”

Liam si solleva gli occhiali sulla fronte: “No? È stato Louis a decidere di non chiamarti. Ha detto che ti avrebbe lasciato riposare.”

Harry sgrana gli occhi, incerto su cosa fare di questa informazione.

“Avete dei problemi di comunicazione, comunque” è ciò che dichiara Liam, per poi prendere il suo New York Times e rientrare in casa, lasciando Harry solo con la propria piccola e probabilmente immotivata crisi.

Il Primo Sms
viene inviato in queste circostanze, poco dopo.
 
Avresti dovuto svegliarmi, è ciò che scrive Harry, mentre si versa i cereali nella tazza della colazione. Fa in tempo a finire di mangiarli prima che arrivi la risposta.

Non “devo” fare niente, in realtà.

E ok, Harry non può neanche dire di essere sorpreso. A caval donato non si guarda in bocca, però, quindi si limita a digitare un casuale “Posso venire a prenderti da qualche parte più tardi?” mentre ripone il cucchiaio appena lavato nel cassetto delle posate, tutto sommato divertito.

No.

Prenditi il giorno libero.


Non è certo di cosa potrebbe farci, con un giorno libero. Sicuro?

Sì, tanto non torno prima di stanotte.

Allora buona giornata :) 
 

Louis, prevedibilmente, smette di rispondere.
 
 
***
 
I’ll let you in on something big
I’m not a white teeth teen
I tried to join, but never did
The way they are the way they seem
It’s something else, it’s in the blood

 
“San Francisco.”

Harry prende un sorso del proprio Margarita, si lecca via il sale dalle labbra: “Ci sono già stato.”

“Sei stato dappertutto, non è un fattore di scelta” sbuffa Taylor, le mani strette attorno alla sua tisana. Harry ha smesso di fare commenti a riguardo un paio d’ore fa. È ancora difficile.

“Ci sono stato anch’io, e ci ritornerei.”

“Non lo so, Ed.”

In realtà la decisione è già presa. Lo sa Harry, per cui un posto vale l’altro finché c’è compagnia; lo sa Taylor, che ha troppo tempo tra le mani e troppo cervello per starsene a casa di sua zia, nel Queens. Ed ha un contratto discografico tra le mani e la smania di libertà gli accende gli occhi. Lui lo sa più di tutti.

“Dai, l’ultima avventura prima che me ne vada a ‘fanculo.”

Harry alza gli occhi al cielo, divertito: “Dio, quanto sei tragico.”

Non ha bisogno di essere convinto, ma lascia che Ed ci provi lo stesso, perché gli piace starlo a sentire sempre, ma specialmente quando è così emozionato.

“Ci pendiamo un appartamento a Castro” propone, con una mano sull’avambraccio di Harry, “un mio amico ha un ristorante in zona, posso trovarvi un lavoro.”

Harry incontra lo sguardo di Taylor, che sta sorridendo.

È la parte che preferisce: la scelta, le proposte, le possibilità.

“Castro, eh?”

“Castro.”

Finge di pensarci su per tirarla per le lunghe, finisce il Margarita e controlla il cellulare per l’orario o per, che so, un sms di Louis. È ora di andare via e l’unica notifica è un messaggio whatsapp di Nick, l’emoji di una melanzana.

“Ok” dichiara, alla fine.

Taylor batte le mani, Ed scoppia a ridere: “Ok?”

“Appena ho finito dai Tomlinson.”

Ne conseguono le loro grida di giubilo, un abbraccio da parte di Taylor. Lei ed Ed sono amici d’infanzia, le prime persone che Harry ha conosciuto arrivato in America. Condividere una casa ed un altro pezzetto di vita con loro gli sembra sensato, se non entusiasmante.

Ne parlano finché non è ora di salutarsi. Harry continua a pensarci anche in macchina, di ritorno alla villa, si chiede se Niall si unirebbe a loro. Probabilmente no. Ha una vita piena a Brooklyn, un lavoro, degli amici, una ragazza. Magari, però, Ed e Taylor gli piacerebbero. Dovrebbe presentarli.

Impiega poco a tornare alla villa, perché quando Ed ha proposto di uscire, Harry ha accettato a patto che non facessero troppo tardi e che fosse un pub vicino, per compensare la giornata di lavoro saltata con un po’ di autodisciplina.

Ferma la macchina davanti al cancello, come sempre, in un gesto che è quasi diventato automatico, ma quando fa per sporgersi dal finestrino per suonare il citofono, vede un’altra auto accostarsi al posteriore dell’Audi. Harry assottiglia lo sguardo per assicurarsi che quello che vede attraverso lo specchietto laterale sia effettivamente un cavallino rampante e non un’allucinazione dovuta alla scarsa illuminazione. Chiunque sia alla guida spegne i fari e le portiere rimangono chiuse.

Harry è momentaneamente incerto sul da farsi. Potrebbe essere che Louis è tornato prima, o che sia suo padre, oppure Louis e suo padre insieme in una combinazione fatale e spiacevole, perché Harry lavora alla villa da quasi un mese e non ha mai conosciuto il Signor Tomlinson, né muore dalla voglia di farlo ora. Esce dalla macchina, però, per farsi vedere ed eventualmente annunciarsi.

Appena lo fa, succedono due cose. Primo, la posizione migliore gli rivela che sì, l’auto bianca e meravigliosa che vede è effettivamente una Ferrari. Secondo, ne esce l’essere umano più attraente su cui Harry abbia posato gli occhi in ventun anni di vita. Senza esagerazioni.

È vestito di nero, ha i capelli rasati corti ad esporre completamente gli angoli perfetti del suo viso, e gli si sta avvicinando.

“Ehi” fa, fermandosi a poca distanza, con qualcosa di bianco tra le mani: “sai se Louis è in casa?”

Non è formale né cortese, ma Harry non riesce a farci troppo caso. Cerca di darsi un contegno.

“Non credo, mi spiace. Dovrebbe esserci più tardi.”

Il tipo sospira, abbassa gli occhi sull’oggetto che tiene in mano. Sembra una lettera, o una busta.

“Peccato” dice soltanto, come a sé stesso.

“Volevi lasciargli qualcosa?” Harry sceglie con cura le proprie parole, cercando di non risultare indiscreto: “C’è la buca per le lettere, o posso chiedere al maggiordomo di prenderla.”  

Il tizio si riscuote, lo guarda. “Tu chi saresti, scusami?”

“Harry. L’autista.”

Quello sorride come se fosse divertente, ed è un sorriso così perfetto che Harry è in stato di shock.

“Ok, Harry l’autista. Digli solo che sono passato, ok?”

Lui appoggia con un gomito al muro adiacente al cancello, in un modo che spera sia fico ed attraente e non goffo come se lo sente addosso: “Chi sarebbe passato, esattamente?”

Il tizio riapre la portiera della Ferrari, prima di rispondere. “Zayn.”
 

Oh, cazzo. 




 
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NdA
In caso non lo si fosse notato, tutti i capitoli di OLAG prendono il titolo da canzoni dell’album Pure Heroine di Lorde, che ascoltavo ininterrottamente nel periodo in cui ho plottato questa storia. Quindi parecchio tempo fa, sì, perché poi è arrivato Melodrama a cambiarmi la vita XD
Oggi voglio anche prendermi un attimo per ringraziare Manu, la mia compagna di malefatte e di ansia sociale, che mi beta e sopporta il mio deplorevole e francamente ridicolo frignare. XD Love you, bitch.
Come sempre, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che vi vada di farmi sapere che ne pensate :3
In caso aveste voglia di contattarmi, farmi domande, o sclerare insieme per il fatto che su Mystic Messenger la route di V costa trecento clessidre, mi trovate su Tumblr ; Twitter ; e Facebook.
Ciao ♡
 
 
  
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