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Autore: koan_abyss    09/12/2017    5 recensioni
Autunno 1981: Severus Piton ascolta la Profezia di Sibilla Cooman e la riferisce al Signore Oscuro. Resosi conto che Voldemort intende colpire i Potter, Piton cerca Silente e lo implora di nascondere Lily e la sua famiglia.
Per una serie di circostanze fortuite, i Potter scelgono lo stesso Silente come Custode Segreto. Voldemort, deciso comunque a compiere la Profezia, cerca di uccidere il piccolo Neville Paciock, ma il bambino sopravvive.
Il Signore Oscuro è sconfitto, i suoi seguaci catturati e rinchiusi.
Piton, rimasto senza padroni, senza uno scopo e senza possibilità, lascia il mondo magico per lo squallido mondo babbano, ancora una volta non dalla parte dei buoni.
Ma chiudere definitivamente i conti con il passato è impossibile: i vecchi legami non sono mai del tutto recisi...
Genere: Angst, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Lily Evans, Severus Piton | Coppie: James/Lily, Lily/Severus, Remus/Sirius
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4, II guerra magica/Libri 5-7
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Capitolo 4


Giugno 1995


Piton aveva passato molte notti al laboratorio, sin dall’inizio della sua collaborazione con Martin Eggar (aveva smesso di considerarsi un dipendente da quando aveva ottenuto il suo laboratorio: era divenuto un socio), ma negli ultimi mesi vi passava quasi tutto il suo tempo.
Quel pomeriggio era riuscito a dormire qualche ora nel suo appartamento, ma nella prima serata si svegliato soffocando un urlo, artigliandosi il braccio destro.
Il Marchio lo tormentava da una settimana.
Visto che non poteva dormire, era tornato al laboratorio per concentrarsi sul lavoro.
Si materializzò nelle vicinanze dell’edificio. Sonny doveva già essere lì e da tempo aveva rinunciato a capire come Piton si spostasse anche quando non aveva a disposizione macchine o altri mezzi di trasporto.
L’entrata sul retro, vicino alla zona di carico, era deserta. Piton rallentò il passo. Possibile che fossero tutti dentro? Che nessuno fosse fuori a fumare una sigaretta, prima del lungo turno di mezzanotte?
Si avvicinò alla porta e la aprì restando al riparo dello stipite. L’interno dell’edificio era buio, ma la luce dei fari esterni era sufficiente per lasciar intravedere due sagome a terra.
Entrò cauto, con la bacchetta in pugno e una manica premuta sul naso. Alla luce fioca e incerta di una lampada di emergenza esaminò i due corpi, appartenenti agli uomini che avrebbero dovuto essere di guardia. Non vide segni di alcun genere. Togliere corrente poteva essere una misura di sicurezza nel caso di fuga di sostanze chimiche, e anche i corpi intatti potevano essere segno di qualche veleno nell’aria. Piton annusò fugacemente. Ma poteva anche trattarsi di qualcosa di peggio.
Si addentrò nelle stanze buie, incontrando qua e là figure senza vita. Il laboratorio era sotto sopra: i chimici erano riversi sul bancone da lavoro, sui vetri infranti dei becher. C’era odore di bruciato e di gas per i bunsen rovesciati. Un uomo era rivolto verso l’uscita, a faccia in giù. Simon aveva provato ad estrarre la pistola.
Piton allontanò la stoffa dal proprio naso, lentamente. Poi sentì gridare al piano di sopra.
“Non è così che lo attireremo…”
“Chissenefrega. Ormai avrà già capito che non può più uscire.”
“Allora combatterà.”
“Ah! Si faccia avanti! Niente mi darebbe più soddisfazione di fare a pezzi quel viscido traditore codardo…anche se forse dovrei mettermi in fila dietro a Bella…”
Le urla ripresero.
“Vuoi la tua occasione di saltare la coda, Mulciber?” chiese Piton.
Mulciber smise di cruciare l’uomo steso a terra a scagliò una maledizione verso Piton, prima di riuscire a distinguerlo nella fastidiosa luce arancione di emergenza.
Piton respinse la maledizione e colpì a sua volta. L’altro mago si affrettò a togliersi dalla linea di tiro.
“Non dovremo stanarti come un ratto, Piton. Bene.” Mulciber sorrise oscenamente.
“Siete venuti in due per me?” chiese Piton puntandogli contro la bacchetta. “Che cazzo di insulto.” Notò un movimento alla sua destra e colpì a terra, tra i piedi del terzo uomo. “Lucius.”
Malfoy gli sorrise: “Severus.”
“Siamo fin troppi per un patetico mezzosangue e i suoi amichetti babbani,” ripose Mulciber.
“Lo sapevo che eri un mago, John…”
Piton arrischiò un’occhiata alla sagoma a terra: era Sonny, scosso da spasmi muscolari come conseguenza del dolore inflitto della Maledizione Cruciatus.
“Il tuo tirapiedi ha la lingua lunga, e crede di averla abbastanza affilata per proteggersi. Come si sbaglia,” disse Malfoy.
Aveva estratto la bacchetta dal bastone e anche lui la puntava su Piton.
“Sei solo chiacchiere, Lady Oscar…” fece Sonny, faticosamente.
Malfoy lo fissò con disgusto, poi tornò a guardare Piton: “Che ci fai con questa feccia? Perché non sei venuto, quando Lui ci ha chiamato? Eri uno di noi!”
“È fuggito, come un codardo!” gridò Mulciber.
“Non sono fuggito,” ringhiò Piton.
“Non eri degno di prendere il Marchio, non lo sei mai stato. Eri e rimani inferiore…” continuò l’altro.
“Oh, no, affatto, Mulciber,” gli rispose Piton con tono pericoloso. “Nonostante il mio sangue, sarò sempre di molto superiore a te!”
La faccia di Mulciber si contrasse d’odio e si preparò ad attaccare: “Ava…”
“No, stupido!” gridò Malfoy, allungando un braccio.
Piton estrasse dalla cintura la pistola di Simon e sparò a Mulciber, tenendo Malfoy sotto tiro con la bacchetta.
Il rumore dello sparo assordò tutti per un attimo e coprì il suono che fece Mulciber cadendo, atterrato dall’impatto.
“Cervello e adattabilità. Sarò sempre superiore a te,” sibilò Piton al mago che si stringeva la spalla maciullata.
La sua bacchetta era volata chissà dove. Sonny rise.
“Perché non sei venuto, quando hai sentito il Marchio bruciare? Lui ci ha perdonati tutti, per averlo abbandonato…” gli chiese di nuovo Malfoy con un sospiro. “Pensavi davvero che non ti avremmo cercato?”
“No, sapevo che avreste cercato i traditori. Ma siete stati stupidi a venire da soli,” disse Piton, scuotendo la testa.
“Non sono soli, John,” fece Sonny, con urgenza.
Altre figure incappucciate emersero dal buio aranciato in fondo alla stanza, apparendo una per volta. Mulciber si affrettò a strisciare verso di loro. Malfoy rimase fermo.
Una figura più alta e sottile si fece avanti, tra i fruscii e i sussurri delle altre.
“Severus…”
La sua voce era come il sibilo di un serpente. A Piton sembrò che una lingua biforcuta accarezzasse ogni centimetro della sua pelle, assaggiando la sua paura.
La figura abbassò il suo cappuccio e Sonny mandò uno strillo rauco. Se fosse stato per il viso bianco come un osso, piatto e per gli occhi rossi dalle pupille lanceolate, o per il gigantesco serpente che si inalberò sulle spalle dell’essere, Piton non avrebbe saputo dirlo. Sentì le proprie braccia scivolargli lungo i fianchi.
“Mio Signore…”
Voldemort fece un passo avanti: “Mi chiami ancora ‘mio Signore’, Severus? Dopo avermi tradito, ed esserti messo al servizio di Silente?”
“Non vi ho tradito…”
“Bugiardo!” strillò una voce femminile.
Bellatrix Lestrange si aggrappò al braccio del suo padrone: “Dovresti ucciderlo, mio Signore, uccidilo ora.”
“Senza fretta, Bella.”
“Non vi ho tradito, mio Signore,” ripeté Piton, più forte. “I vostri ordini erano di spiare Silente. Gli passai delle informazioni senza importanza, per conquistare la sua fiducia…”
“Per evitare Azkaban!” sputò Bellatrix.
“È servito anche a quello scopo, lo ammetto. Ma non ho mai servito Silente,” disse Piton, gli occhi fissi sul viso mostruoso di Voldemort.
“E tuttavia, al contrario dei miei fedeli seguaci, non sei apparso quando sono rinato. Sei rimasto tra la feccia babbana. Anche ora, mi chiami ‘mio Signore’ indossando i loro abiti e impugnando un’arma ridicola di fronte alla mia magia, al mio potere…” Molti risero. “Severus, tu mi offendi. Dopo l’onore che ti ho concesso, la conoscenza che ti ho offerto, tu mi hai abbandonato.”
Piton chiuse gli occhi, cercando di continuare a respirare, aspettando il lampo di luce verde che lo avrebbe cancellato dall’esistenza. O il dolore che lo avrebbe accompagnato alla morte.
“Ma Lord Voldemort è misericordioso.”
Piton riaprì gli occhi, il cuore che gli batteva in petto in boati assordanti, la speranza che gli si agitava nello stomaco come un uccello impazzito.
“Mio Signore?” esalò.
“Guardati, Severus. Guarda che vita hai condotto, traviato dalla tua metà babbana: misera, meschina, fine a se stessa.”
Voldemort guardò sprezzante Sonny, che cercò di ritrarsi: “Non ti avvicinare…”
“Zitto!” gli ordinò Piton con collera.
“Ma se tu volessi il mio perdono, se fossi disposto a fare ammenda…potremmo parlarne. Ed eventualmente vedere se potrai ancora essermi utile,” disse Voldemort.
“Perdonarlo?” insorse Bellatrix. “È al di là del perdono! Deve soffrire, e morire, non puoi…”
Voldemort la guardò e lei arretrò, abbassando la testa.
“Io posso tutto. Le mie decisioni sono mie soltanto, Bella.”
Bellatrix franò in ginocchio: “Perdonami, mio Signore! Sono indegna di discutere la tua volontà, è vero! Perdonami…” continuò a cantilenare.
Voldemort sorrise, facendo accapponare la pelle a Piton, e le accarezzò la testa: “Ma certo. Lord Voldemort è generoso.” Tornò a fissare Piton: “Per questo, Severus, ti offro una scelta. Di cosa ti servirai? Di quella pistola…o della tua bacchetta?”
Come in sogno, Piton si vide osservare la pistola che impugnava nella mano destra. La sollevò appena e sganciò il caricatore. Al rumore metallico molti Mangiamorte sobbalzarono. Lasciò cadere l’arma sul pavimento.
“Eccellente!” disse Voldemort. Il serpente gigante scivolò dalle sue spalle e strisciò in circolo, circondando Piton e Sonny. “Ora fai ammenda, Severus,” sussurrò il Signore Oscuro. “Spezza ogni legame con questa vita, torna ad essere il mio fedele Mangiamorte.”
Piton fece scorrere lo sguardo su tutti i presenti. Tutti lo fissavano. Malfoy aveva rinfoderato la bacchetta nel suo bastone da passeggio e lo guardava con sollievo, come se fosse già tutto finito. Ma non era finita affatto.
Piton si girò verso Sonny, che occhieggiava con terrore il serpente. Poi notò Piton, che torreggiava su di lui con la bacchetta stretta convulsamente tra le dita.
“Cosa…? John, no, andiamo,” balbettò, accennando un sorriso. “Ti prego, John, non…non farlo. Sono io…”
Piton lo fissò, ripensando a circa tre anni prima, quando un’esplosione nel laboratorio aveva investito in pieno Sonny, nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Piton aveva spento le fiamme con la magia e mentre tutti fuggivano, si era chinato su Sonny e le sue terribili ferite. Mentre il ragazzo balbettava incoerentemente in stato di shock, Piton aveva cantato un incantesimo di guarigione.
Quando Sonny era ritornato in sé, il pericolo ormai scampato, gli aveva detto, ancora confuso: “John, ho sognato che morivo, e c’eri anche tu.”
Piton sollevò la bacchetta: “Il mio nome non è John.”
“Ti prego…”
“Avada Kedavra!”

Il lampo di luce verde fu accolto da grida di esultanza, ma Voldemort sollevò una mano, riportando il silenzio: “Ora torna da me…”
Piton si inginocchiò e mentre il serpente scioglieva il suo circolo, strisciò ai piedi di Voldemort.
Baciò l’orlo della sua veste sussurrando: “Padrone…”
“Alzati, ora.” Voldemort richiamò il suo serpente. “Andiamocene. Io e Severus dobbiamo parlare. Bruciate questo posto.”
I Mangiamorte cominciarono a smaterializzrsi.
Malfoy si accostò a Piton per guidarlo al luogo del ritrovo.
Apparvero in cima a una collina, vicino ai resti di un vecchio monastero abbandonato. Uno dei vecchi ritrovi, il posto in cui Piton aveva preso il Marchio Nero, a diciotto anni, chissà come ancora sicuro e ignoto agli Auror, mai svelato e mai tradito. Malgrado tutto, in qualche maniera distorta, era come tornare a casa.
Malfoy e Piton raggiunsero Voldemort.
“Lasciaci, Lucius. Codaliscia!” chiamò il Signore Oscuro. “Vieni anche tu. È ora che le mie spie si conoscano,” disse divertito.
“Codaliscia?” ripeté Piton, studiando la figura bassa e tozza, con una mano d’argento, che si era avvicinata in fretta.
Riconobbe Peter Minus.
“Non lo sospettavi, Severus?” chiese Voldemort, incamminandosi, il serpente gigante che strisciava tra i suoi piedi.
“No. I Vostri segreti sono ben custoditi, mio Signore. Ho creduto alla sua morte, come tutti,” rispose Piton.
Codaliscia sorrise compiaciuto, accarezzando la mano d’argento.
“Codaliscia mi ha servito bene. Mi ha avvisato che Silente aveva nascosto i Potter, ma non i Paciock. Ho creduto di poter compiere la Profezia uccidendo Neville Paciock.” Voldemort fece una pausa. “Come sapete, ho fallito,” riprese in tono gelido. “Ma Codaliscia si è reso di nuovo utile: ha portato Bella da me, dopo averla aiutata a fuggire da Azkaban e poi da Hogwarts, dopo che non era riuscita ad uccidere Paciock. E pochi giorni fa, ha partecipato al rito della mia rinascita.”
“È stato un onore, mio Signore,” intervenne Minus, con la medesima vocetta stridula di quando inneggiava al suo idolo, Potter, ai tempi della scuola.
Piton non poté non provare disgusto per lui, ma cercò di mascherarlo.
“Anche tu a suo tempo mi sei stato utile, Severus. Ma puoi esserlo ancora?”
Piton intrecciò le dita: “Il mio ingegno e la mia abilità con le pozioni sono a vostra disposizione in ogni momento, mio Signore…”
“È la tua Legilimanzia che mi interessa,” lo interruppe seccamente Voldemort. “Contavo di trovarti accanto al mio nemico, ormai in una posizione di fiducia, e invece scopro che hai passato quindici anni a impressionare babbani!” Voldemort si fermò e il serpente con lui. “Silente ha garantito per te, ti ha offerto il suo perdono e una seconda opportunità, non è vero? Perché hai rifiutato?” chiese, piantando i suoi occhi rossi in quelli di Piton.
Lui non abbassò lo sguardo: “Non sopportavo che avesse potere su di me. Non volevo concederglielo. Ho preferito lasciare il mondo magico.”
Voldemort rise: “Non volevi sottometterti a Silente! È curioso: non ti avrei mai creduto capace di orgoglio, Severus…” Rise ancora.
Minus si unì al suo padrone con i suoi odiosi squittii.
“Neanche Silente. Per questo non sospetterebbe nulla, se andassi da lui a chiedergli protezione da Voi…Se gli dicessi che mi considerate un traditore, e che ho bisogno di nascondermi a Hogwarts, mi crederebbe. E accetterebbe, perché ha bisogno di me: gli serve un nuovo insegnante di Pozioni, e un nuovo Direttore di Serpeverde,” continuò Piton, cercando di restare freddo, di usare un tono logico. “Si fiderebbe, pensando di potermi controllare con la paura di Voi e degli altri Mangiamorte. Coglierebbe l’occasione di tenere sotto controllo il mio Marchio e le Vostre mosse.”
Voldemort lo valutò attentamente: “Che gioco pericoloso ti proponi di fare, Severus…”
Piton si inchinò: “Mi avete chiesto di fare ammenda. E l’unica collera che temo è la Vostra.”
“Fai bene,” sussurrò Voldemort. “Non voglio rischiare che tu lo dimentichi. Crucio!”
Quando il dolore finì, Piton si ritrovò boccheggiante sull’erba, i lunghi capelli che escludevano dalla sua vista le due figure in nero sopra di lui e il mostruoso serpente che sibilava arrabbiato.
“No, Nagini. Non puoi divorarlo. Quest’uomo ci serve. Ma non dovrai aspettare a lungo, per il tuo prossimo pasto.”
Piton si affrettò a rialzarsi: “I tuoi ordini, mio Signore?”
Voldemort sorrise: “Riposa, questa notte. Contatta Silente il prima possibile. Convincilo. Servimi bene, Severus.” Piton si inchinò ancora più profondamente. “Aspetterò tue notizie. Codaliscia, congeda i miei Mangiamorte.”
Voldemort riprese a vezzeggiare il serpente, mentre Piton e Minus si allontanavano svelti.
“Ti rialzi sempre,” disse Minus all’improvviso.
Piton lo guardò con la coda dell’occhio.
“Non è vero, Severus? Anche con James e Sirius, non sei mai rimasto a terra…”
“Non ricordarmi come ci conosciamo, Minus,” ringhiò lui facendo schioccare i denti. “Specie ora che non puoi più nasconderti dietro le spalle dei tuoi amici!”
Minus si ritrasse da lui, poi lo fissò con astio: “Ho un amico molto più potente, adesso. Ho dato la mia carne per la sua rinascita,” sventolò la mano d’argento sotto il naso di Piton, “e né tu né nessun altro potete farmi nulla!”
“Come credi,” rispose Piton, assicurandosi che la sua bacchetta fosse al suo posto.
Continuò a frugare nelle tasche per un attimo, prima di rendersi conto che cercava le sigarette. Doveva averle perse.
Lucius gli si fece incontro, soddisfatto: “Dobbiamo trovarti dei vestiti.”
Piton roteò gli occhi: “Oh, sì, è proprio la cosa importante, adesso. Se vuoi farmi un favore, trovami della nicotina.”
Bellatrix lo fissava. Non vedeva l’ora di affrontare anche lei…
“Ti offrirò uno dei miei sigari migliori,” sorrise Lucius. “Siamo congedati?”
Piton annuì, cauto.
“Allora andiamo.”
“Dove?”
“A casa.”

Di nuovo, Malfoy lo guidò nella smaterializzazione. I cancelli di Malfoy Manor si stagliarono all’improvviso di fronte a loro e si spalancarono per il padrone di casa.
Malfoy attraversò sicuro il parco e il labirinto di siepi. Piton, faticando a restare incollato alla realtà, lo seguiva rischiando che i nervi gli saltassero ad ogni strillo di pavone. Entrarono nella splendida casa.
“Bentornato,” gli disse Malfoy, poi si rivolse a un elfo domestico: “La padrona è sveglia?”
“Certo che sono sveglia, Lucius! Come credi che potrei dormire...”
Narcissa, altera e preoccupata, si fece incontro al marito.
Si arrestò e portò una mano alla bocca, alla vista di Piton: “Oh, Merlino, Severus, sei tu?”
Tra tutte le conoscenze della sua giovinezza che aveva rivisto negli ultimi anni, Narcissa era quella che appariva più cambiata: ancora più magra, pallida ed eterea, nessuna traccia di quell’allegra sfrontatezza che usava contrapporre ai modi magniloquenti del marito. Aveva l’aria stanca e impaurita di chi non riposa da giorni. Almeno finché non gli corse incontro ad afferrargli le mani con piccoli singulti di gioia.
“Non ci credo…come sei cambiato, Severus!” esclamò, studiandogli il volto, poi fece un passo indietro, valutando la sua figura. Notò gli abiti babbani, ma non fece commenti. “Avevo dimenticato quanto sei alto,” fece deliziata, mentre Lucius rideva.
Piton la abbracciò con affetto, ricordando quanto erano stati uniti da giovani, soprattutto quando Lucius si era diplomato e la sua amicizia con Lily aveva iniziato a diventare difficile e dolorosa. Non c’era nessuno come Narcissa con cui scambiare qualche risata maligna. Non c’era nessuno come Narcissa con cui parlare della paura del futuro, perché nessuno come lei era bravo ad escogitare piani di riserva, in caso di eventuali fallimenti.
“Sei sempre bellissima,” le disse sottovoce, ricordando le sue sciocche paure di giovinezza, che Lucius potesse un giorno preferirle una strega più affascinante o più giovane.
“Sai, Lucius, quando eravamo a scuola e tu mi mancavi troppo per poterlo sopportare, chiedevo a Sev di abbracciarmi e far finta di essere te,” confessò Narcissa, appoggiando una guancia al petto di Piton.
Malfoy si finse incollerito: “Non sono sicuro di voler sentire il resto…”
“Era molto frustrante,” replicò Piton, “ma per amicizia…”
Narcissa sorrise e lo lasciò. Piton seguì i padroni di casa in quello che era sempre stato il salotto di Narcissa.
“Padre?”
Piton si voltò, i riflessi troppo rallentati per trasformare il gesto in un sobbalzo.
“Draco! Vieni avanti, c’è qualcuno che devi conoscere,” lo invitò Malfoy.
Un ragazzino pallido e biondo come i genitori avanzò nella stanza. Cercava di esibire un’espressione annoiata, ma era guardingo. Quanto aveva, l’ultima volta che Piton lo aveva visto? Meno di un anno, probabilmente.
“Questo è Severus Piton, un nostro vecchio amico. Non posso dire che ti tenesse sulle ginocchia quando eri piccolo…” Draco ne parve sollevato, “Ma è stato il primo a vederti appena nato, dopo la famiglia.”
Malfoy mise una mano sulla spalla di Piton e un braccio intorno alle spalle del figlio, quasi volesse spingerli ad abbracciarsi. Piton e Draco si limitarono a scambiarsi un’occhiata poco entusiasta e poi a guardare con sospetto Malfoy Senior.
“Credo sia sufficiente,” disse Piton dopo pochi secondi, sgusciando via.
Narcissa raggiunse il figlio e gli accarezzò i capelli.
“Avrete cose di cui parlare,” disse. “Vi lasciamo soli.”
Appena furono usciti, Piton si lasciò affondare in una poltrona: “Era proprio necessario?”
“Cosa?”
“La riunione di famiglia. Rischio di incontrare Bellatrix in corridoio, anche?”
Malfoy scosse la testa: “Finora è sempre rimasta al fianco del Signore Oscuro. Ma a volte dice che vuole conoscere Draco, rivedere sua sorella. Cissy ha avuto paura che lei si presentasse qui per quasi due anni. Ormai credo che voglia vederla.”
Piton grugnì qualcosa di indistinto.
“Come è fuggita, a proposito? Come ha fatto Minus a farla evadere?”
Lucius rise: “Ti piacerà! Minus è un animago.”
“Cosa?”
“Incredibile, vero? Può trasformarsi in un topo! Tutti lo credevano morto, e invece lui se ne stava a sgranocchiare formaggio in una famiglia di traditori del sangue vicini a Silente e ai suoi vecchi amici, sai, Potter, Black e quel Lupin. Ma è andato vicino a farsi scoprire, proprio da Lupin, così ha finto la propria morte ancora una volta. Ha deciso di cercare qualcuno che togliesse di mezzo i suoi amici. Ha rubato una bacchetta, messo sotto Imperius un Auror e l’ha costretto a consegnare la propria bacchetta a Bellatrix, durante la visita annuale di Caramell alla prigione.” Lucius sorrise e scosse la testa, come divertito dalla sfacciataggine della cosa. “Bellatrix è evasa. Facendo una strage, naturalmente, perché la mia cara cognata non è cambiata affatto, e poi ha raggiunto Minus. Ma il suo primo pensiero è stato cercare di uccidere Paciock a Hogwarts, entrando nella scuola con l’aiuto del piccolo roditore…”
“Ma hanno fallito.”
“Sono stati vicini a farsi catturare di nuovo, anche. Ma che abbiano fallito è stata una fortuna, per il Signore Oscuro: ha usato il sangue del ragazzo, per l’incantesimo che gli ha restituito un corpo.”
“Quando si dice la Provvidenza…”
Lucius studiò Piton: “Che ti prende? Pensavo che la cosa ti avrebbe divertito. E che ti avrebbe fatto piacere vedere la mia famiglia, invece li hai a malapena degnati di uno sguardo.”
Piton lo fissò a bocca aperta: “Mi prendi in giro? Credi che mi senta in grado di fare conversazione? Stasera siete venuti per uccidermi!”
Malfoy sorrise di nuovo: “No, affatto, Severus. Non ti voleva morto. Rilassati.”
“Non posso. Ho ucciso un uomo, un’ora fa,” gli rispose Piton, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e premendo la bocca sulle dita intrecciate.
“Un babbano!” sbuffò Malfoy, sprezzante.
“Un babbano della cui lealtà non ho mai dovuto dubitare. Sai di quanti maghi posso dire lo stesso?” replicò lui, con voce contratta.
Malfoy passeggiò nervosamente per la stanza: “Credi che ti abbia abbandonato?”
Piton reclinò appena la testa di lato.
“Non volevo abbandonarti! Ma con i processi in corso, il Wizengamot che mi stava addosso, le sanzioni del Ministero…Narcissa e il bambino…” Malfoy scosse la testa, impotente. “Non hai mai pensato che anch’io fossi nei guai?”
“Sì, ci avevo pensato…” rispose Piton.
“Mi sarei occupato di te, non ti avrei lasciato in mezzo a una strada. Ma quando ti ho cercato a Cokeworth, tu te n’eri già andato,” riprese l’altro con tono più sobrio.
“Non avevo alternative. Non c’era niente nel mondo magico per me. La scelta era tra andarmene e morire di fame,” disse Piton con amarezza.
“E una volta nel mondo babbano non volevi essere trovato.”
“Ovviamente.”
Malfoy si sedette: “Mi dispiace di non averti cercato prima. Ma neanche tu mi hai cercato, quando sei tornato a Diagon Alley…due anni fa, giusto?”
Piton lo scrutò: “L’hai detto a qualcuno?”
“No. Nessuno aveva vere notizie su di te. Il Signore Oscuro ti ha trovato attraverso il Marchio: sapeva dov’eri mentre ti convocava, ma poi abbiamo cercato di persona. Ti abbiamo visto in una…macchina…con quel babbano.”
Piton si rilassò contro lo schienale della poltrona.
“Resti comunque un pessimo amico,” disse guardando il soffitto.
Malfoy lo fissò con rimprovero.
“Mi avevi promesso un sigaro,” fece Piton e l’altro scoppiò a ridere.

La mattina dopo, grazie a qualche ora di sonno e a un po’ di tè, Piton trovò molto più facile godersi i suoi ritrovati amici.
Vedendolo in abiti da mago, anche Draco si era fatto molto meno riservato e Piton aveva scoperto che condividevano l’insofferenza per la celebrità di Neville Paciock.
In tarda mattinata, Piton e Malfoy si ritirarono sulla terrazza del salottino di Narcissa. Avevano appena finito di prendersi in giro a vicenda per una vecchia foto, scattata proprio in quella stanza, quando Narcissa aveva detto a Piton di essere incinta.
“Cosa conti di fare, ora?” gli chiese Malfoy.
Piton soffiò un po’ di fumo, lasciando vagare lo sguardo per il roseto sotto di loro: “Tornerò a Cokeworth. Poi organizzerò l’incontro con Silente.”
“Se tutto funziona, vedrai Draco a Hogwarts. Lo terrai d’occhio?”
Piton annuì.
Malfoy gli strinse la mano, poi fece un sorrisetto: “Al diavolo!” e se lo tirò contro.
“Non ricordavo che tuo marito fosse così appiccicoso, Narcissa,” disse Piton alla donna, appena uscita sulla terrazza. “Comincia a spaventarmi…”
Lei guardò il marito. Malfoy lasciò Piton e le passò la fotografia di loro tre.
Si affacciò dalla terrazza e chiamò il figlio: “Draco! Ti va di volare?”
Il ragazzino alzò la testa, stupito: “Non hai da fare, padre?”
“Non oggi!”
Draco si illuminò: “Certo che mi va!”
Malfoy baciò la moglie sulla guancia e rientrò in casa.
Narcissa distolse lo sguardo dalla foto.
“È sollevato,” disse a Piton. “Lucius è sollevato che tu sia qui, di non essere solo in questa…” Serrò le labbra. “Di non essere il solo che non sia pazzo, o fanatico, là in mezzo. E non sai quanto sono sollevata io, Severus.” Gli strinse il braccio, con un sorriso tremulo: “Non siamo soli.”
“No,” confermò Piton sentendo di nuovo il torace che si contraeva come la sera prima.
Narcissa accennò alla foto: “Tu ed io avevamo vent’anni…”
Piton guardò ancora la foto. Malfoy era raggiante, maestoso, adulto. Lui e Narcissa sembravano bambini, a confronto.
“Eri terrorizzata…” ricordò, buttando un po’ di cenere nel roseto.
“Già,” rispose lei, poi lo fissò accigliata. “Le mie rose!”
“Oh, scusa, avrei dovuto chiedere a un elfo di tenere le mani a coppa?” sorrise Piton.
“Sempre meglio che bruciare il mio giardino!” rise Narcissa.
Piton riuscì a sottrarsi ai suoi ospiti solo quella sera.
Si materializzò direttamente a Cokeworth e per la prima volta dopo dodici anni, tornò a casa.

Albus Silente, Preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, sedeva nel suo studio.
Gli studenti erano partiti da pochi giorni, ma c’erano molte cose da organizzare, con i suoi insegnanti e i membri dell’Ordine della Fenice. Per prima cosa, occorreva trovare una sede sicura per la loro attività.
D’improvviso, una grossa creatura argentata entrò dalla finestra che affacciava sul parco del castello. Con occhi pieni di meraviglia, Silente osservò la cerva di luce correre senza rumore per la stanza e fermarsi davanti a lui. Poi la creatura parlò, con la voce di Severus Piton: “Alla fine sono venuti per me. Non ho idea di come sia possibile, ma ha funzionato.”


Note:
Ed ecco l'incontro tra Piton e Voldemort. Ho il vaghissimo sospetto che ci sia davvero poco di originale, qui: tutto mi sa di già visto, come se fosse la rielaborazione di qualcosa che ho letto magari ai tempi, a ridosso della pubblicazione del quarto libro. Giuro che in quel caso è stato del tutto involontario:)
Spero che la spiegazione della fuga di Bellatrix fili e sia plausibile. E spero che sia comprensibile anche quello che l'ultimo paragrafo comporta: Silente non si è accontentato del no di Piton, e ha insistito ancora. Non aveva certezze che lui avrebbe seguito il piano, ma lo sperava.
Grazie a tutti quelli che leggono:)
A presto!
   
 
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