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Autore: Il_Signore_Oscuro    09/12/2017    4 recensioni
Il mondo si ricorda solo dei grandi personaggi, di coloro che hanno avuto un ruolo centrale negli eventi più importanti del suo tempo. Mentre il grande meccanismo della Storia divora tutto il resto, precipitandolo nell'oblio. Io però ho scavato e scavato, consegnando alla vostra memoria una storia diversa, una storia che era rimasta nell'ombra. Una guerra più profonda, e combattuta lontano dagli occhi dei molti...
Da oltre dieci generazioni i Cangramo sono i leali alfieri degli Argona, i potenti sovrani della costa orientale di Clitalia, la terra divisa fra i molti re. I Cangramo dominano su una piccola contea nell'estremo sud-est, una contea che comprende il Porto del Volga, la Valspurga alle pendici del Monsiderio e l'antica Rocca Grigia, costruita su un'altura a strapiombo sul mare. I quattro fratelli Cangramo cercheranno di ritagliarsi un posto in un mondo violento e insidioso, intessuto di amori, battaglie, inganni e segreti. Mentre lontano dagli occhi, un male a lungo dimenticato, antico e potente, getta la sua ombra sul futuro degli uomini...
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo V
I segreti di un conte
(Sebastiano)
 
 

«E muoviti idiota di un mulo!»
Lollo lo Sdentato assestò una sonora pacca sul culo dell’animale, che ragliò in segno di protesta. Ma pure riprese a camminare, tirandosi appresso il carro ricolmo di casse e barili del Belgi. La traversata della Selva si era rivelata un vero e proprio calvario: le ruote del carro si erano incagliate spesso a ridosso delle radici sporgenti, il carico era tanto pesante che il ciuco più di una volta s’era arrestato, rifiutandosi categoricamente di proseguire. Di minacce e tirate di muso ce n’erano state in abbondanza, ma finalmente la Rocca Grigia era in vista: il suo corpo di guardia si stagliava all’orizzonte, incassato nelle mura di roccia marina, con gli stendardi blu e neri che scivolavano sui lati.
‘Bastiano mandò al trotto il suo baio. Dalla guardiola il vecchio muso del Guercio fece capolino, strizzando i suoi occhi di differente forma e colore. Si rimestò la saliva nella bocca e lanciò un urlo da vecchia cornacchia spennata qual era.
«Aprite i cancelli! È Sebastiano!»
La grata di pesante ferro battuto si levò con un cupo lamento metallico, nascondendosi maglia dopo maglia nell’arco di ingresso. Il ragazzo sospirò, sollevato: finalmente quella marcia infernale era finita, poteva sgranchirsi un po’ le gambe giù da quella sella scomoda e dura. Affidò il cavallo al corpulento stalliere Sario, con il testone pelato e la tunica grigia sempre insozzata di qualche nuova macchia variopinta.
Non aspettò il resto del suo convoglio, i soldati sapevano già cosa fare senza che bisogno di impartire ordini a destra e a manca. Li avrebbe anticipati sulla via del Castello: lì avrebbe avuto finalmente un buon pasto caldo e un sedile imbottito su cui posare il culo.
Passò attraverso le baracche del popolo minuto, le strade erano pressoché deserte: i contadini e gli artigiani già mangiavano a quell’ora, una breve pausa per riunire le loro famiglie e ristorarsi prima di riprendere il lavoro. Dalle finestre proveniva l’odore di pietanze semplici, ben lontane dalla gran varietà di aromi speziati e materie prime delle cucine del castello: minestre di verdure scaldate alla fiamma del proprio camino, pasticci con gli avanzi dei giorni precedenti, brodo di pollo con fette di pane duro messe a mollo. Suo malgrado gli venne una certa acquolina, quella cucina senza troppi fronzoli aveva sempre esercitato una certa attrattiva su di lui.

Superate le baracche, fece per deviare verso i sette gradoni che precedevano le porte di Castel Cangramo, quando un cozzar di spade e scudi richiamò la sua attenzione. Nel recinto di terra e sabbia dove si allenavano le guardie, Mastro Villa osservava due imberbi armati, intenti a scambiarsi fendenti con un impaccio tale da sembrare due mocciosi che giocassero con i bastoni.
“Questa non me la perdo” pensò il ragazzo, poggiando i gomiti al recintato, a ridosso dei robusti bracci in legno che lo delimitavano.
Il Maestro d’Armi di Rocca Grigia aveva il cipiglio fiero dei vecchi soldati, un collo taurino e due braccia che avrebbero rotto in due il collo di un orso adulto. La sua faccia era un dedalo di pallide cicatrici che correvano a delimitare chiazze di barba color cenere, e le sue labbra erano tanto sottili da vedersi appena. Con i piccoli occhi di un ruvido grigio sapeva fulminare un uomo con un solo sguardo. Le sue sopracciglia seguivano l’arco della fronte sporgente, ed erano perennemente corrucciate.
Carlo aveva scommesso che l’attempato Villa fosse tanto ignorante di ogni altra espressione facciale da saperne adottare solo una, che tale rimaneva qualsiasi emozione provasse: che fosse felice, triste, arrabbiato o persino innamorato. Su quest’ultima eventualità suo fratello ci aveva messo su’ una canzone intitolata “La fanciulla e il corrucciato”. Era una fortuna che Riccardo Villa non l’avesse mai udita, o li avrebbe riempiti entrambi di legnate. Al pensiero non poté fare a meno di sorridere.
Lanciò un fischio, e il maestro si avvicinò al limitare del recinto, poggiandosi a uno dei pali conficcati nel terreno, senza cessare di squadrare ogni mossa delle reclute in azione.
Che fossero reclute non ci voleva gran occhio per capirlo: uno era uno spilungona con la pelle bruciata dal sole, che ‘Bastiano aveva visto su di un peschereccio non meno di qualche mese fa; mentre l’altro era un ragazzino senza la minima traccia di barba, né sopra il labbro, né lungo il mento “Ha la pelle più vellutata di mia sorella”. Indossava un elmetto cuneiforme più largo del suo capo, che quindi non faceva che scivolargli sugli occhi, coprendogli la vista.
«Come andiamo?» Chiese ‘Bastiano, con un sorriso all’angolo della bocca.
«Ho visto paraplegici combattere meglio. Lo spilungone del Valga sembra avere un dannatissimo ratto nei calzoni.» La sua voce si fece un tuono. «Punta quei cazzo di piedi quando attacchi!»
«E l’altro?» Chiese ‘Bastiano, sedando a stento una risata.
Il ragazzo aveva lo scudo troppo vicino al torace, e quando parò il fendente, il contraccolpo lo sbalzò in terra, facendolo cadere come un sacco di patate. Il giovane Cangramo, ormai incapace di trattenersi oltre, si sganasciò, beccandosi un’occhiataccia dal Maestro d’armi e una smorfia stizzita da parte del ragazzino.
«Vuoi farti una dormita già che ci sei?! Rialza il culo e combatti!» Poi, rivolto a ‘Bastiano. «Quello lì invece viene da Valspurga, debole e impacciato come una ragazzetta.» Sputò un grumo di muco e saliva sulla sabbia. «Farò di questi idioti dei soldati, a costo di spaccargli la schiena.»
«Non ne dubito, Maestro.» Replicò, lanciando un’occhiata al ragazzino che intanto s’andava rimettendo in piedi. «Con noi hai fatto un buon lavoro».
«Tu e tuo fratello siete venuti su’ bene. È il piccolo della cucciolata che mi preoccupo.» Il vecchio sbuffò in una smorfia di disapprovazione. «Troppo magro, troppo gracile».
«Carlo era più secco di lui alla sua età» rispose ‘Bastiano, facendo spallucce. «Crescerà e il suo corpo cambierà col tempo.»
«Sarà meglio per lui, o tuo padre lo spedisce dritto in monastero, non che me lo veda male il piccolo Arturo, con saio e la tonsura. Visto tutto il tempo che passa sui suoi dannati libri…»
«A nessuno piace quella vita. E neanche a lui piacerebbe.» Lo rimbeccò, Sebastiano.
Erano diversi, lui e Arturo, ma era un bravo ragazzo, con un animo gentile e forte in modi in cui ben poche persone sapevano essere.
«Già,» arretrò un attimo il Villa «a te no di sicuro.» Berciò, alleggerendo un poco i toni.
Gli occhi del Cangramo si posarono nuovamente sul ragazzo di Valspurga: lui sembrò notare il suo sguardo. I grandi occhi glauchi tremolarono e la sua faccia si fece paonazza, ma dissimulando il tutto tornò a concentrarsi sull’allenamento. ‘Bastiano rimase un attimo interdetto, ma scelse di non dare voce al suo disappunto.
«Infatti, non mi aggrada» si incupì un poco «ma neanche questa vita mi fa impazzire, con quello che mi aspetta.»
Un velo di tristezza attraversò per un attimo il viso del vecchio Maestro d’Armi di Rocca Grigia, ma il suo cipiglio fiero non tardò a tornare, quando si trattò di dare ordini ai soldati
«Basta così, sacchi di merda! Andate a darvi una ripulita, riprenderete dopo l’ora di pranzo!» Tuonò il Villa, con le braccia imponenti incrociate dinanzi al petto. Voltò poi il capo verso il giovane. «Tuo padre ti sta addosso per una ragione, ragazzo. Sei il suo primogenito ed è a te che toccherà portare avanti il buon nome della famiglia.»
«Lo so, lo so.» Tese la bocca in una smorfia irritata. «Ma capisci, non è una mia scelta. Pensi che me ne freghi qualcosa di buone maniere, precedenze e accordi commerciali?»
Riccardo oltrepassò il cancelletto in legno che li sperava, e poggiò una mano sulla spalla del ragazzo, addolcendo lievemente la perenne espressione corrucciata.
«Io la vedo in te, la furia del lupo. Quel che ti manca è il buon senso del cane.» la pesante mano si spostò dalla spalla al retro del collo «ma la verità è che un Conte ha bisogno di entrambe le cose, che ti piaccia o no. Non hai scelto di esserlo, però ogni uomo ha il suo fottuto posto in questo mondo e questo è il tuo.»
‘Bastiano non poté che arrendersi con un cenno di assenso, in fondo non sapeva se suo padre avesse scelto quella vita, se e quanto gli piaceva. Sapeva soltanto che aveva messo la famiglia al primo posto: sempre, in ogni occasione. Se per lui era una sacrificio, l’aveva compiuto senza mai lamentarsene. Lui doveva fare lo stesso: era la legge del sangue e della stirpe.
«Ti piace combattere, questo lo so, e vedrai che non mancheranno le occasioni per metterti alla prova. Guerre e tornei li hanno inventati apposta.» Gli calò una delle sue sonore pacche sulle spalle. «Ora fuori dalle palle, prima che il vecchio cane-lupo ti mandi a cercare.»
‘Bastiano si congedò con un rapido gesto del capo.

Il Maestro aveva ragione: tutto sommato di che poteva lamentarsi? Suo padre era uno stronzo, certo, ma era un fardello che tutti e quattro i suoi figli dovevano sopportare (tutti meno Miranda: per lei aveva sempre avuto un occhio di riguardo). Almeno nessuno gli avrebbe imposto di votarsi a un dio o a leccare il culo di qualche rampollo viziato. Sì, quando fosse stato Conte avrebbe potuto fare ciò che più gli piaceva. La pressione delle regole, le strigliate, i continui e reiterati ammonimenti erano solo un piccolo pegno da pagare. Ma sì, dai, quasi quasi non vedeva l’ora di posare il culo sullo scranno di Castel Cangramo e sentirsi chiamare “Conte” di qua e “Conte” di là. Eppure, rapido come quel pensiero gli era venuto, così lui lo respinse, perché esso aveva l’amaro retrogusto della morte e della tragedia.
Sì, perché ci può essere un solo Conte, un solo signore di Rocca Grigia e uno ne deve morire, prima che l’altro gli succeda: è la legge del sangue, è la legge della stirpe. Per quanto vi fossero contrasti fra loro, per quanto detestasse l’irremovibilità di certi suoi ragionamenti, ‘Bastiano amava suo padre come pochi figli amano i loro padre, e covava per lui una non-comune ammirazione. Perché, seppure severo e implacabile, egli era giusto, coraggioso e rispettato da chicchessia. Tutto ciò che Sebastiano Cangramo sarebbe voluto diventare, quando un giorno il tempo lo avesse traghettato alla veneranda età.
E con questi pensieri a vorticargli nella testa si diresse finalmente al Castello, i pollici inforcati fra la cintura e il bacino. Salì i sette gradoni spioventi, mentre le guardie di turno, riconoscendolo, spostavano i pesanti battenti del portale.

Il Castel Cangramo era in gran fermento quel mattino: una giovane serva ravvivava il focolare, gettando ciocchi di legno, tagliati di fresco, nelle fauci del fuoco, nel mezzo-tronco di roccia istoriata. Le fiamme sputavano fuori uno sprazzo di scintille arancioni, e guizzava come le chiome di un cavallo imbizzarrito. Altri servitori, sulla cima di scale a pioli, sistemavano gli arazzi sino ad allora serbati e lasciati impolverare nelle cantine, forse per ravvivare di colore il relativo grigiore della Sala Grande. Altri ancora passavano uno straccio inumidito sui corrimano che salivano ai piani superiori. Luigi, l’anziano attendente di suo padre, discuteva animatamente con sua moglie, Bice, la pingue sovrintendente alla servitù di Castel Cangramo e, in precedenza, balia di ‘Bastiano e dei suoi fratelli.
Quei due erano sposati da sempre, da prima che Severo Cangramo diventasse il Conte di Roccagrigia ed era diffusa convinzione che avessero iniziato a litigare dalla loro prima notte di nozze, e ancora, dopo tutti quegli anni, non avevano ancora smesso. Secondo Carlo anche quando dormivano, nel loro talamo nuziale, battibeccavano l’uno con l’altro parlando nel sonno.
Paolo intanto passava la ramazza per il pavimento, scostando la polvere, fermandosi soltanto per passarsi una mano ad asciugare l’ampia fronte grondante di sudore. Indossava umili abiti di feltro, con stivali in cuoio vecchi almeno quanto il Castello stesso, sulla sua testa tonda i capelli bruni lasciavano il passo a una calvizia incipiente. ‘Bastiano gli si avvicinò e lui gli lanciò una delle sue occhiate agitate e cariche d’ansia.
«M-mio signore.» Accennò una timida quanto sgraziata riverenza, con la sua voce balbettante.
Aveva un viso piccolo, con un paio di occhi grigio topo e un naso lungo e stretto come un chiodo. Dai lati della testa le orecchie si facevano largo in un paio di ampie sventole sottili.
«Hai visto mio padre, Paolo?» Gli chiese, lanciando un paio d’occhiate intorno a sé.
«È n-nelle s-sue stanze, m-mio signore.» Rispose, deglutendo a fatica.
«E il pranzo, per che ora si terrà?» Quella domanda parve metterlo ancor di più in agitazione.
«I-io non lo so, m-mio s-signore. Forse tra una mezz’ora da adesso.»
«Bene, allora ti lascio alle tue mansioni.»
«G-grazie, m-mio signore.» Rispose Paolo, grato di poter ritornare a dedicarsi alla sua ramazza..
“Forse avrò il tempo di rilassarmi un poco prima del pranzo” il Conte era stato chiaro quella mattina: “Dovrai avere un manico di scopa su’ per il culo, dobbiamo fare buona impressione”. Va bene, non aveva usato quelle parole esatte, ma il messaggio era quello. E la prima regola del bon-ton era di non far aspettare un ospite. ‘Bastiano si conosceva: avrebbe sicuramente perso tempo e fatto ritardo. “Meglio essere previdenti” si disse, avvicinandosi a Bice, che non si accorse neanche di lui, tanto era impegnata a sbraitare contro il suo segaligno consorte. L’attendente indossava un giustacuore rosso e un capello dalle forme morbide, la sua barba era molto ben curata. Mentre sua moglie raccoglieva i capelli grigi in una cuffia bianca e indossava un busto di cuoio lavorato seguito da una lunga gonna bianca di semplice fattura.
‘Bastiano si schiarì la voce.
«Bice».
«Me ne vado in convento io! Ma chi me l’ha fatto fare a me, per dar retta a quella buon anima di mio padre!» Urlò, agitando la vistosa pappagorgia sotto il mento, la fronte grassoccia incisa da rughe di espressione.
«Tu sei pazza, donna!» Gli rispose l’attendente, sbarrando gli occhi pallidi e alzando le braccia.
Gli anni di matrimonio avevano scavato in profondità le guance dell’uomo.
«Bice!»Ripeté ‘Bastiano, assicurandosi di farsi sentire questa volta.
«Eh?!» Chiese malamente la donna, voltandosi di scatto, mentre suo marito sgattaiolava via, profittando del diversivo.
Il ragazzo cercò di darsi un tono, assumendo un’aria che comunicasse autorità: spalle dritte, petto in fuori e sguardo fisso. Ma aveva dimenticato chi aveva davanti.
«Che c’è? Ho le mie cose da fare giovanotto»
«Ecco, io.» Sospirò un attimo. «Mandami a chiamare quando tutto sarà pronto.» Gli chiese.
«Lo farò e anche con un certo anticipo.» Esclamò, portandosi le braccia al cinto. «E fammi un piacere signorino, mettiti qualcosa di più vivace di questo farsetto tutto scuro scuro, messer Belgi ama i colori vivaci!» Consigliò, pizzicando con le dita un lembo di tessuto.
“Perché diamine dovrei sottostare ai gusti di un mercante?!” si chiese. Ma la risposta era fin troppo scontata e non tardò a uscire dalla bocca carnosa della sovrintendente.
«Vostro padre ci tiene che si faccia bella figura!»
«Se è questo che il Conte mio padre desidera, non lo deluderò.» Concesse.
«Bene, benissimo. Ora va’, va’, che di tempo ne tieni poco.»

Lo congedò con rudezza, agitando le mani e tornando a caccia del suo consorte. Tra tutti gli uomini, che fossero di basso o alto lignaggio, Severo Cangramo era l’unico per cui Bice nutrisse una qualche forma di rispetto e sussiego. Era una donna dal carattere forte, nessuna sorpresa che suo padre l’avesse decisa come balia per tutti e quattro i suoi figli. Se con ogni altra persona era sgarbata, impertinente, irascibile, con il Conte la sua voce si faceva più stridula ed era tutta una danza di inchini e riverenze. Solo un’altra persona riusciva a trasformare in quel modo il carattere difficile della sovraintendente, ed era Loredana Cangramo, la moglie del Conte.
‘Bastiano la ricordava ancora, la sua immagine vivida prendeva forma nei suoi sogni e nei suoi ricordi: rammentava gli occhi dal verde accesso che si posavano su tutto con gentilezza, la voce sottile che pure incuteva rispetto. La ricordava ancora gravida lasciare il Castel Cangramo per non ritornare mai più, l’ultimo bacio che lei gli aveva stampato sulla fronte.
Aveva dovuto attendere anni prima di sapere cosa ne era stato di lei, perché i suoi genitori fossero partiti senza fornire spiegazioni ad alcuno. Perché lei non fosse più ritornata da quel viaggio.
Sì, suo padre aveva aspettato anni prima di sputare il rospo e non aveva ceduto per le numerose volte in cui lui gli aveva posto quella domanda, no, ma solo perché “Ci sono segreti che il Conte di Rocca Grigia deve conoscere…”.
Bastardo… gli aveva fatto giurare di non parlarne mai con nessuno, neppure con i suoi fratelli “è importante che queste parole tu le serbi nel profondo del tuo cuore, chiuse nella chiave del silenzio”. Suo padre adorava usare le parole che si trovano nei libri che Arturo leggeva con tanta foga, ma soltanto quando doveva comunicare cose in cui col cuore non ci voleva entrare, perché magari avrebbe scoperto che anche lui poteva provare dolore in fin dei conti.
Che un uomo, per quanto coraggioso, per quanto forte e prode, soffre come qualunque altro. Aveva quasi sorriso quando se ne era reso conto, sì, quando si era reso conto che anche l’integerrimo Conte Cangramo era un codardo, in un modo tutto suo…


NdA Ogni tanto faccio una piccola ricomparsata qui sotto, alla fine di un capitolo. Spero che la storia vi stia prendendo, per quanto siamo ancora agli inizi, ma non temete: le cose si faranno presto più movimentate! Nel frattempo, prendendo spunto da morgengabe, qual è fino ad ora il vostro personaggio preferito? Chi è il Cangramo che più vi aggrada? E quello che meno sopportate?
Ringrazio morgengabe, Rory Jackson e deianirarouge per le loro recensioni, oltre a tutti gli altri lettori silenziosi che seguono questa storia.

Un abbraccio,
NuandaTSP


 
   
 
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