Videogiochi > Persona 5
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Autore: Lumen Noctis    11/12/2017    2 recensioni
«Adesso è la notte tra il sette e l’otto dicembre. Ti trovi a casa di Akira, nell’attico del caffè Leblanc. Hai dormito ininterrottamente per cinque giorni. Se senti dei pizzicori alla gamba destra, è normale, la dottoressa Takemi ha avuto il suo bel daffare a disinfettare la ferita e applicare le garze. Ha detto che sei stato molto fortunato, la pallottola non ha colpito nessuna vena o arteria e anche l’osso è intatto. Ad ogni modo, se il dolore dovesse diventare insopportabile diccelo subito, abbiamo degli antidolorifici…»
Che tipo di evoluzione avrebbe avuto la sua vita ora che, in qualche modo, era sopravvissuto a se stesso? Odiava ammetterlo, ma se era ancora in quel lurido mondo, lo doveva unicamente ai Phantom Thieves. Eppure forse la morte sarebbe stato un sollievo migliore degli antidolorifici che Akira gli dava la sera poco prima di dormire.
Spoiler: Novembre e Dicembre interni al gioco.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Goro Akechi, Ren Amamiya/Akira Kurusu
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 3.

Smooth poisoner.

 

Il ristorante di ramen era affollato come sempre all’ora di punta. C’erano persone che si muovevano lungo i corridoi tra le sedie e gli sgabelli, chiacchiere di ragazzi e grida per le ordinazioni che giungevano dalla cucina. Al di fuori della porta, la prima di una lunga fila di persone sbirciava all’interno oltre la tendina, dondolandosi da un piede all’altro. Ovunque, rumore di stoviglie, bacchette che tintinnavano contro i piatti, o il rumoroso risucchio dei più tradizionali appassionati di ramen. Schiamazzi e risa riempivano quel poco che rimaneva di aria serena e tranquilla. Eppure, nonostante la caoticità l’ambiente rimaneva caldo e accogliente. Trasandato, certo, e magari i proprietari avrebbero potuto prendersene più cura, ma il cibo servito restava buonissimo.

Non c’era da sorprendersi che il ragazzo al suo fianco amasse quel posto così tanto. Ryuji era esattamente il genere di persona sulla quale a prima vista nessuno avrebbe scommesso nemmeno mezzo yen, ma sarebbe bastato solo fare più attenzione per rendersi conto che per persone come lui sarebbe sempre valsa la pena di affaticarsi un po’, stare in fila anche tre ore, come quei poveri uomini fuori dalla porta in attesa che gli venisse assegnato un posto. Questo era quello che pensava Akira mentre si portava alla bocca lo spicchio di uovo sodo che galleggiava nel brodo e, accanto a lui, Ryuji mangiava con foga la sua porzione di ramen al manzo. Certo, continuò tra sé con un sorriso divertito, probabilmente l’amico non si rendeva conto di nulla e pensava unicamente al cibo buono.

Quando la fame si era placata e quel che rimaneva del ramen poteva esser mangiato in tutta calma, si sentì chiamare: «Ehi Akira, è da un pezzo che non ci alleniamo più assieme.» Il richiamo riportò in un attimo alla sua mente il sole caldo sulla schiena e il vento che gli sferzava in faccia mentre la schiena di Ryuji che correva davanti a lui si faceva sempre meno distante. Quando avevano appena iniziato ad allenarsi assieme, Akira aveva dovuto riconoscere le proprie scarse doti atletiche, ma col tempo era riuscito a raggiungere il suo amico in quelle corse nei giardini della Shūjin. Correre insieme era qualcosa che per primo Ryuji gli aveva insegnato.

«Già,» rispose con un sorriso malinconico, «Mi sa che sono passate almeno due settimane.»

«Anche di più, amico. Con tutto quel casino con la polizia, il finto suicidio, la reclusione in casa. Io direi che sono almeno tre.»

Il volto pallido di Ryuji si espresse in un sorriso un po’ tirato da un lato e Akira si sentì in colpa, anche se non sapeva per cosa precisamente. Coi suoi occhi marroni, il ragazzo fissava un punto indefinito sul tavolo. «Sai mi manca un po’,» fu la sua ultima spiegazione. Akira provò la spiacevole sensazione di ritrovarsi senza parole da dare, e si ritrovò ad agitare le proprie emozioni con le bacchette in fondo al brodo di ramen.

«Non è stato facile per nessuno, immagino,» riuscì a formulare.

Ryuji scosse la testa, «No, per un attimo abbiamo tutti pensato che fossi morto davvero. Ma dentro, in fondo in fondo, me lo sentivo che non poteva essere andata così. Insomma, tu, morto? Ma nemmeno se scende dio in terra.»

Ad Akira venne da ridere e lasciò andare le bacchette. «Siamo stati bravi. So che non dovrei dirlo, ma mi sono sentito proprio figo in quel momento.»

«Ma tu sei figo,» fece l’altro battendo un pugno sul tavolo, «Più di chiunque altro io conosca, di sicuro. Io me la sarei fatta sotto. Pensa se Akechi fosse davvero entrato nella tua stanza, avesse sorriso come il bravo ragazzo che finge di essere per poi puntarti una pistola alla testa e bam! sparare senza alcun rimorso, con te che ti sei visto passare tutta la tua vita davanti agli occhi come succede nei film.»

Akira rise, immaginando tutta la scena come sicuramente doveva essere andata. Una manciata di spaghetti sfuggì mentre riprendeva a mangiare e ricadde dentro la ciotola, provocando qualche schizzo.

«Chi ti dice che non me la sono fatta sotto?» continuò il discorso.

«Se mi dici che ti sei sentito figo, difficilmente te la sei fatta sotto.» La risposta di Ryuji aveva un certo senso. Akira si grattò la testa, pensando. Ricordava nettamente la sensazione terribile di vuoto e attesa che l’aveva torturato in quella stanza fredda e grigia, del dolore in ogni muscolo del corpo a causa delle botte che aveva preso. Non poteva dimenticare il modo in cui il suo cuore aveva smesso di battere al dischiudersi della porta e all’apparire del volto di Sae Niijima.

«Non pensi che potrei sentirmi figo e avere una paura folle allo stesso momento?»

«Beh,» Ryuji sembrò doverci ragionare su, come se la considerasse ora lui stesso una faccenda importante, che necessitava risposte serie, «Sai che? Non lo so. Ma se si tratta di te, probabilmente la risposta è ugualmente.»

Akira sorrise, lusingato, prima di esser portato oltre dai propri pensieri. «Sai, ritornando a quella volta che chiudemmo la faccenda di Yamauchi, quando mi dicesti che prima di conoscermi non facevi altro che trovare scuse al perché non riuscissi a stare al tuo posto, dando la colpa ad altra gente…»

«Woah, frena frena,» Ryuji l’interruppe tirando su un dito. Il ragazzo ingoiò l’ultima manciata di spaghetti risucchiandoli forte con le labbra e si pulì poi le labbra col dorso della mano, prima di rendersi conto che adesso avrebbe dovuto pulire anche quella sul tovagliolo. Quando fu a posto, si volse nuovamente verso di lui. «Come mai questo salto nel passato?»

«Ho ripensato a quella volta. A volte ho come la sensazione che tutti voi non facciate altro che ammirarmi incondizionatamente, come se ogni scelta che prendessi fosse quella giusta. Dite sempre che riesco a non farmi influenzare dagli altri, e cose così.»

«Ma è vero, o sbaglio?»

«Sì, è vero…» se non fosse stato per la profonda convinzione che aveva di star facendo la cosa giusta, non sarebbe più riuscito a rimanere fedele a se stesso né ai propositi che avevano spinto i Phantom Thieves così lontano. «Però mi interessa sempre sapere le vostre opinioni. Siete i miei compagni e i miei migliori amici.»

«Stai certo che se dici qualche cazzata te lo facciamo notare,» fece l’altro con nonchalance, «Onestamente non aspettiamo altro, amico.»

«Se le cose stanno così, non mi farò cogliere impreparato.» Akira sospirò silenziosamente e tornò a concentrarsi sul cibo. Ogni tanto, tendeva a dimenticare che non era il caso di addentrarsi in discorsi complicati con Ryuji. Non era tipo da ragionamenti lunghi e impegnativi e si perdeva dietro alle parole con lo stesso sguardo confuso di quando affrontava un’equazione. Ad Akira dispiaceva non poter affrontare con lui argomenti che spesso riteneva importanti, ma allo stesso tempo non poteva dire che non fosse un grande amico. Indirizzando il discorso in altra direzione, continuarono a conversare mentre si dedicava a finire il proprio ramen.

Una mezz’oretta più tardi stavano passeggiando fianco a fianco per la strada principale di Shibuya, entrambi diretti verso la metropolitana ma senza alcuna fretta nei loro passi. Ryuji stava giusto proponendo di fermarsi a metà strada all’arcade quando Akira si rese conto che presto sarebbe stata ora di tornare a casa. Notando il suo disappunto e mostrando un acume che Akira non si sarebbe mai aspettato da lui, Ryuji si allontanò dall’ingresso della sala giochi e smise di parlare di videogames per chiedere: «Com’è la situazione a casa?»

«Al solito, Akechi dorme. Morgana è rimasto indietro per coprirmi mentre uscivamo oggi,» spiegò con non molto entusiasmo. Iniziava a dovere troppi favori al loro amico a quattro zampe.

«Eh, che dorma così tanto è strano forte, se mi chiedi.»

«Se penso a quella volta in cui Futaba ha dormito per due settimane consecutive, non mi sorprendo più di niente,» Akira sorrise facendo spallucce. Alla fine, i due superarono l’arcade senza entrarvi. Il cielo era grigio e la strada gremita di gente, in un via vai continuo e instancabile. C’erano così tante persone affacciate alle vetrine, o che uscivano dai negozi. Un uomo vendeva del cibo in una piccola bancarella ambulante, un ragazzo in un vicolo distribuiva volantini per una nuova discoteca aperta nei dintorni. Akira ripensò alla sua città natale e alla tranquillità delle sue strade. L’esatto opposto di Shibuya.

«Senti…» la voce di Ryuji lo richiamò. Akira lo guardò con curiosità. L’amico stava insistentemente calciando via i sassolini che avevano la sventura di trovarsi sulla sua strada, incurante di dove finissero. Per una volta, il suo sguardo era indecifrabile.

«Dimmi.»

Dopo un attimo di silenzio, «No, niente. Lascia perdere.»

La risposta suonava decisamente inusuale per Ryuji, che non se ne stava mai zitto. Con sguardo severo, Akira insistette, «Non fare il timido, ti ascolto.» A quel punto, i loro occhi si incrociarono e Ryuji accennò una risata nervosa, poi si passò una mano tra i capelli.

«Non so come dirlo,» sospirò, «Sono preoccupato del da farsi e al tempo stesso non so che pensare della situazione con Akechi. Ci si può fidare? Dovremmo semplicemente lasciarlo al suo destino? Convincerlo a consegnarsi alle autorità? Se penso che il ragazzo è un pluriomicida, mi si gela il sangue nelle vene, è davvero il posto che gli spetta, la prigione. Però—»

«Però?»

«Ah!» esasperato, Ryuji calciò un sasso con più forza degli altri, finendo per colpire alla testa un uomo che camminava poco più avanti. Questi imprecò, prendendo a guardarsi intorno furiosamente. «Oh merda,» Ryuji fece per scattare ma Akira lo trattenne. «Aspetta, con calma…» I due continuarono a camminare a passo normale, e l’uomo finì per non trovare nessuno di sospetto su cui scaricare la rabbia. Senza dare nell’occhio, i due si mossero di lato e accelerarono il passo per evitare quell’aura di furia omicida. Non appena furono abbastanza lontani, si lasciarono andare a una risata.

«E anche oggi, il nostro eroe ne esce indenne,» lo punzecchiò Akira col sorriso sulle labbra.

«Fatto il misfatto, amico.» Ryuji alzò il pugno, Akira batté il proprio e si sentirono entrambi leggeri. Riprendere il discorso su Goro li fece nuovamente sentire come due animali in gabbia, ma mentre i loro piedi continuavano a guidarli a destinazione, entrambi nel loro intimo dovevano aver accettato la necessità di affrontare la faccenda.

Senza bisogno di incoraggiamento, stavolta, Ryuji fece del proprio meglio per spiegare: «Il mio problema è che non importa quanto ci provi, davvero, io non riesco a giudicare Akechi a cuor leggero. Ecco, l’ho detto. Non sto dicendo che dobbiamo perdonarlo per quello che ha fatto, ma capisci, come si fa a puntargli il dito contro e dire che si merita la galera? Non è come tutti gli altri adulti corrotti che abbiamo affrontato finora. Anzi, sotto certi punti di vista, è quasi peggio: ad esempio, Kamoshida non ha mai ammazzato nessuno, e nemmeno Madarame, né Okumura… anche se penso si possa dire che tutti e tre abbiano indotto al suicidio almeno una persona ciascuno. Ah, il punto è che non riesco a capire nemmeno io come mi sento.»

Akira quasi strabuzzò gli occhi di fronte al suo ragionamento. «Secondo me hai tutto il diritto di sentirti così, e non penso tu sia l’unico.»

«Non so, amico… A parte Haru e Ann, voialtri sembrate abbastanza convinti del da farsi. Stavolta è stato impossibile avere l’unanimità e dobbiamo rimetterci al tuo giudizio.»

Akira sospirò e aggiustò gli occhiali sul naso. Con le mani in tasca, continuarono a camminare in silenzio per un poco. «Sai, nemmeno io riesco a giudicare Akechi con facilità. Non so proprio cosa dovrei fare. Anche se ho deciso di non farlo venire in missione con noi, questo non significa necessariamente che io abbia le idee chiare. Ho solo preso la scelta che mi sembrava migliore per il gruppo, date le circostanze.»

I loro sguardi si trovarono e Akira non poté non notare una punta di sorpresa negli occhi marroni di Ryuji. Era così strano che anche lui a volte non sapesse che pesci prendere? Si pentì quasi subito di aver detto quelle parole, ma prima che potesse correggersi Ryuji gli rispose.

«Quindi non sono l’unico ad avere le idee confuse? Questo mi conforta molto, iniziavo a pensare di essere strano io.»

«Il fatto è che non è una cosa buona per me, dato che sono il leader.»

«Ehi, senti… Anche i leader possono avere dei dubbi, ogni tanto. Se non ne avessero mai, sarebbero dei robot, diventerebbero dei maniaci del controllo, brutti bastardi come Kamoshida che non ascoltano mai gli altri e non provano a capirli e non sono in grado di farsi un esame di coscienza. Tu stai già facendo tanto per tutti noi, fidati.»

«Grazie, Ryuji… davvero.» Poi, Akira semplicemente restò in silenzio, perché non provava più alcuna necessità di spiegarsi. A volte bastavano poche parole a far sentire la propria vicinanza a qualcuno e lui non era un grande oratore. Sebbene avesse imparato ad esser convincente in una discussione e avesse acquisito un certo carisma, restava di natura una persona silenziosa. Per una volta era piacevole trovarsi nel ruolo di chi veniva incoraggiato, piuttosto che dall’altra parte.

«Avremo tempo per pensarci,» gli disse infine, mentre raggiungevano i tornelli della metropolitana, «Adesso dobbiamo soltanto rubare il tesoro di Shido e chiudere la faccenda una volta per tutte.»

Ryuji annuì e sorrise allegramente, dandogli una pacca sulla spalla, «Hai ragione, non c’è motivo di romperci la testa adesso.»

Akira sorrise e ricambiò il mezzo abbraccio, «Ci vediamo presto, grazie del pranzo.»

«Ma ti pare? Sei troppo formale, Akira. E poi, mica te l'ho pagato io! Ci si vede presto.»

Si salutarono e Akira scese le scale fino a raggiungere la banchina del proprio treno. Come al solito, non dovette aspettare più di due minuti e, una volta su, dovette accontentarsi di stare in piedi vicino alla porta. La sua mente era un fiume in piena. Era uscito con Ryuji per cercare di non pensare e invece lui stesso gli aveva rimandato indietro tutto ciò che stava cercando di allontanare. Era anche riuscito ad avere una conversazione seria con lui. Senza dubbio, quel giorno sarebbe diventato una pagina da ricordare nel suo diario.

Fu d’un tratto che irruppe la sensazione di qualcosa che aveva iniziato a vibrare nella tasca destra dei suoi pantaloni. Passò un istante e la suoneria del telefono proruppe nella quiete del vagone, sovrastando facilmente il leggero chiacchiericcio dei passeggeri. E no, non era la breve, semi-innocua suoneria degli sms che ti metteva un po’ di imbarazzo e poi si zittiva. Era la suoneria lunga ed insistente di quando stava ricevendo una telefonata, quella che lo costringeva ad annaspare nei pantaloni come se non sapesse dove si trovassero le tasche.

Con un accenno di panico di fronte alle occhiatacce dei vicini, infine le sue dita raggiunsero il telefono e lo sfilarono per un angolo con presa precaria – pensò che il colmo sarebbe stato farlo cadere a terra e doversi abbassare per raccoglierlo, ma per fortuna ciò non accadde. Il nome di Sojiro risaltava in bianco sullo schermo nero e Akira fece scivolare il dito sull’icona verde con una certa impazienza.

«Pronto?»

«Kurusu, dove sei?» Akira sentì il sangue gelarglisi nelle vene. La voce dall’altra parte del ricevitore non era certamente quella bassa e profonda di Sojiro e non c’era modo in cui lui non l’avrebbe riconosciuta. Il cuore gli batté più veloce e per un attimo nella sua mente si fece vuoto totale. Le parole che aveva appena sentito gli sembrarono irreali e distanti, come provenienti da un altro mondo.

Finalmente

«Sulla metro,» rispose, cercando di non far trasparire la sorpresa. Goro si era svegliato e lui, improvvisamente, non sapeva cosa dirgli - accidenti, proprio oggi che Sojiro ha riaperto il bar.

«Stai tornando?»

Non riusciva a interpretare il tono della sua voce. Non sembrava arrabbiato, ma nemmeno spaventato o confuso. Piuttosto, avrebbe detto che era calmo e controllato come tutte le altre volte che avevano parlato - prima del loro ultimo incontro nel palazzo di Shido.

«Sì, sto tornando,» scandì piano e alle sue parole seguì un silenzio inaspettatamente lungo, amplificato da quello presente nel vagone, nel quale ad Akira sembrò di poter sentire il respiro di Goro contro il microfono.

«Va bene… Fai presto, per favore.»

La linea cadde impedendogli di rispondere e Akira rimase per un po’ ad ascoltare il suono ritmico del canale interrotto. Battendo gli occhi velocemente tornò con la testa alla carrozza della metropolitana, piena di gente e sguardi indiscreti. Volendo evitare di disturbare nuovamente la quiete pubblica, mise il telefono in modalità silenziosa per il resto della tratta.

 

 

Quando il treno si fermò alla stazione di Yongen-Jaya, Akira fu uno dei primi a scendere. Si accorse di aver intrapreso lo stretto vicolo che sbucava direttamente di fronte al Leblanc piuttosto che la via principale solo quando si trovava già a metà strada. Sulla porta non c’era nessuno e il cartellino era voltato su “Aperto”. Una parte di lui tirò un sospiro di sollievo: significava che Goro, svegliandosi, non aveva creato tutti i danni che si sarebbe immaginato. Non appena fu dentro, fu salutato da Sojiro con un che di amaro sulle labbra e uno sguardo che gli indicava le scale. Colse di sfuggita le sagome degli ospiti seduti ai tavoli e raggiunse l’attico salendo gli scalini due a due.

Lì, trovò Goro che sbirciava tra le sue cose sulle mensole e Morgana che gli stava accanto sul pavimento. Al suo arrivo, il ragazzo si voltò con un veloce movimento della testa. Teneva in mano la paperella giocattolo che Iwai gli aveva regalato dopo averla trovata per caso al parco. «Oh,» si affrettò a rimetterla a posto sul ripiano. Indossava ancora il pigiama che Akira gli aveva prestato, con le maniche lunghe blu e i pantaloni della tuta color grigio chiaro. I piedi erano scalzi.

«Scusa stavo solo… ingannando il tempo.»

«Figurati.»

Akira mise via la borsa e si abbassò il cappuccio. Poi si avvicinò all’altro e lo guardò dalla testa ai piedi, come aveva fatto molte volte nei giorni precedenti, con l’unica differenza che ora Goro era in piedi di fronte a lui piuttosto che steso incosciente nel suo letto. «Come stai?»

Goro aveva il viso pallido e i suoi occhi brillavano come se fossero lucidi. Akira pensò che probabilmente aveva ancora la febbre, ma si trattenne dal mettergli una mano sulla fronte perché sarebbe risultato troppo brusco farlo senza avvisare. Goro sembrò fare fatica a trovare le parole, «Mi sento… intontito, devo dire. Ma sto bene, davvero, ce la faccio.» Dal tono della sua voce sembrava quasi che non volesse parlarne. Non resistendo più, alla fine Akira sollevò una mano vicino al suo viso e istintivamente Goro si spostò, evitandolo.

«C-che fai?»

«Controllo la temperatura. Posso?»

L’altro non rispose ma alla fine annuì. Akira se lo fece bastare. Scostando i capelli dalla fronte, vi poggiò il dorso della mano. La pelle era calda, ma non così tanto da convincerlo. Cercando di ignorare il fatto che quella vicinanza dava tutta un’altra sensazione ora che Goro era sveglio, Akira poggiò sulla propria fronte il dorso dell’altra mano. Guardò altrove per concentrarsi meglio sulla sensazione e alla fine interruppe il contatto.

«Sembra che ti sia passata la febbre.»

«Ah, sì, meno male.» Una volta libero dal suo tocco, Goro si sistemò di nuovo la frangia sulla fronte. Una smorfia piegò la linea delle sue labbra mentre tra due dita si teneva una ciocca di capelli. Nel guardarla, incrociò un po’ gli occhi. Akira pensò di non avergli mai visto fare una faccia così buffa. Quando riportò l’attenzione su di lui, il ragazzo sorrise appena. «Morgana mi ha detto tutto… Mi dispiace aver abusato così a lungo della vostra ospitalità…»

«Sei troppo formale, Akechi.»

«E tu sei stato anche troppo gentile, Kurusu.»

«No, è stata la cosa più naturale da fare. Non potevo lasciarti lì, in quello stato.»

Goro continuò a sorridere e per un attimo Akira vide di nuovo il suo viso come l’aveva osservato tante volte alla tv, con un sorriso gentile, di cortesia, superficiale affabilità. In quel preciso istante, Akira non seppe dire se si trattasse di un gesto spontaneo o della solita maschera da bravo ragazzo. Dovette ammettere però che una parte non indifferente di lui avrebbe voluto prenderlo per le spalle e scuoterlo finché non si fosse arrabbiato. Voleva vederlo furioso come era stato l’ultima volta, sentire tutta la sua energia liberarsi e investirlo in pieno, ascoltare le sue grida e poter finalmente dire di aver visto il vero Goro Akechi.

«Senti,» iniziò poi il ragazzo, tornando serio e cancellando quel sorriso che tanto gli aveva dato da pensare, «Per caso hai una doccia qui?»

Akira scosse lentamente la testa, «No, mi spiace. Quando serve vado ai bagni pubblici qui di fronte o uso la doccia di Sojiro.»

«Capisco…» Goro guardò verso le scale, tenendosi il mento con una mano, «Pensavo di lavarmi… è come se non lo facessi da una vita. Ma non voglio disturbare il capo a casa sua.»

«Ci andiamo insieme,» propose Akira, «Ai bagni pubblici, intendo». L’altro sembrò poco convinto perché rise, visibilmente a disagio, e scosse la testa. «No davvero, sarebbe strano.»

Akira alzò gli occhi al cielo e non fece alcuno sforzo per nasconderlo, «Vieni, sediamo un attimo, vorrei parlarti.» Senza aspettare una risposta, andò a sedersi sul letto. Goro lo osservò in silenzio e restò fermò dove si trovava più a lungo del necessario. Quando si mosse verso il letto, fu chiaro che faceva fatica a camminare, perché anche se si trattava di fare appena due passi e per quanto cercasse di nasconderlo, zoppicava.

Quando Goro si sedette alla sua destra, Akira si sistemò meglio sul letto, volgendosi verso di lui. Per qualche motivo, si sentiva così emozionato che per un attimo sentì la nausea. Aveva così tante cose che avrebbe voluto discutere con Goro, ma ora guardandolo dritto nei suoi occhi vermigli si perdeva e non sapeva da dove iniziare. Si sentiva come una teenager che incontrava il proprio idolo per la prima volta: indescrivibilmente patetico.

«Ti fa male la gamba?» gli chiese infine.

«Sì, un pochino,» quel sorriso appena accennato aleggiava ancora sulle sue labbra. «Ma prima sono riuscito a farmi tutte le scale da solo e a camminare avanti e indietro fin fuori dal caffè, quindi direi che non è grave.»

Morgana si lasciò sfuggire una mezza risata, ma quando Akira gli domandò cosa avesse rifiutò dicendo che non era niente. Se non aveva visto male, Akira poteva giurare di aver colto un mezzo sguardo di rimprovero per lui da parte di Goro, che comunque tacque. Chissà cosa aveva combinato da poter desiderare di non farglielo sapere. Si immaginò una scena in cui Goro si svegliava e scendeva di sotto come una furia.

«Okay, meno male,» disse tornando a guardare il ragazzo. «Dimmi, qual è l’ultima cosa che ricordi?»

L’altro si passò una mano tra i capelli e poi sul collo, ritraendola poi di scatto. «Mi ricordo un lettino in una clinica… il soffitto bianco, odore di disinfettante. C’era… una signora coi capelli scuri a caschetto…» Goro si fissò la mano sinistra per un attimo, poi alzò lo sguardo verso di lui e aveva un po’ di esitazione negli occhi. «Poi nient’altro.»

«Ti ricordi di due notti fa?»

«Erano… due notti? Non so, io… Ho questa immagine del tuo viso nel buio e poi le mie mani sporche di sangue, e Morgana sul letto. Credo di averti parlato, ma non riesco a capire se quello che ricordo è un sogno o la realtà.»

Akira sorrise, «Sì, abbiamo parlato un poco.»

«Allora scusami,» improvvisamente Goro sembrò agitarsi ed Akira si rese conto che trovava inaspettatamente bello il modo in cui sobbalzava e sgranava gli occhi ogni volta che realizzava qualcosa. «Non è vero che ti odio. Mi dispiace… anzi, ancora non ho ringraziato nessuno di voi per non avermi lasciato lì. Io ero pronto a morire e a farla finita e— ma… alla fine sono grato…» Aveva gli occhi lucidi, questa volta di pianto, e verso la fine della frase la voce aveva finito per cedere sempre più, fino al silenzio. Il suo sguardo navigò altrove, dando senza volerlo un po’ di tempo da Akira per ricomporsi dal proprio smarrimento.

«Ehi… Non fare così, è tutto a posto.» Akira si sentì come se all’improvviso fosse tornato alla notte precedente, «Faremo andare le cose per il verso giusto, tutti insieme.» Poggiò una mano sulla sua spalla e Goro reagì mordendosi le labbra. In un battito di ciglia, Goro lo guardò, lasciò andare un respiro stentato e si portò le mani al volto.

«Scusami, io non posso ancora crederci. Non guardarmi, dammi un momento soltanto».

Di fronte alla sua richiesta, Akira annuì, «Certo, non sforzarti troppo.» Voltandosi di spalle, diede al ragazzo il tempo che gli serviva per calmarsi e per un attimo fu tentato di chiedergli se avesse bisogno di un fazzoletto, ma preferì riservargli la gentilezza di non indulgere sulle sue ferite aperte. Attese, ascoltando il respiro del ragazzo alle sue spalle, e infine fu Goro a poggiare con esitazione la sua mano sulla spalla di Akira. Nel suo viso non era cambiato molto, se non il fatto che la sua carnagione non era più pallida, ma aveva assunto quel colorito acceso di quando si piange. Goro doveva aver combattuto molto per non far uscire le lacrime, perché il suo viso era asciutto ma gli occhi brillavano ancora.

«Va meglio?» Akira cercò di offrirgli il sorriso più caldo che avesse. Goro annuì.

«Sì, grazie di aver aspettato.»

«Figurati, è il minimo. Comunque, cambiamo argomento per il momento, se preferisci.»

«Sei stato tu a dire che volevi parlare, quindi se non vuoi chiedermi altro, certamente.»

«Hai ragione, detective. Volevo sapere come stavi. E dirti che mi dispiace non essere stato qui quando ti sei svegliato.»

«Nessun problema. C’era Morgana,» e infatti, sebbene passasse del tutto inosservato perché stava silenziosamente lì ai piedi del letto ad ascoltare, Morgana non se ne era mai andato. «E poi anche Sojiro mi ha aiutato.» Goro sembrò arrossire e si schiaffò una mano in faccia, per poco tempo stavolta. Akira pensò che quello schiaffo doveva aver fatto male.

«Gli ho creato un sacco di problemi,» accennò il ragazzo. Akira guardò Morgana, chiedendo spiegazioni con lo sguardo. Saltando sul letto alla destra di Goro, Morgana si mise comodo prima di rispondere.

«Penso abbia fatto fuggire qualche cliente quando è corso di sotto. Era in uno stato di panico, non proprio come l’altra notte, ma c’è voluto Sojiro per riportarlo di sopra.»

«Io,» s’intromise Goro, «Volevo solo sapere che giorno era… E a tal proposito, Akira, vorrei parlare con te del palazzo di Shido. E di tante altre cose, a dir la verità. Sono così tante che non so da dove iniziare.»

«Io propongo di iniziare con un bel bagno,» fece Akira. Non che non volesse assecondare i desideri di Goro, ma preferiva non affrettare i tempi e lasciare che entrambi affrontassero le cose con più calma. Una conversazione simile, inoltre, sarebbe durata ore e non sarebbe stata delle più facili da sostenere.

Morgana gli diede manforte, sebbene in modo del tutto imprevisto: «Concordo, puzzi un po’ Akechi,» disse e anche se il tono era scherzoso sortì l’effetto di far arrossire il ragazzo fino alla punta delle orecchie.

«E-Ehi!»

«Sei cattivo, Mor. Se continua così diventerà un semaforo, o un peperone, a tutti gli effetti.» Il gatto lo guardò con uno sguardo di ghiaccio mentre Goro non aggiunse nulla. Probabilmente in quel momento avrebbe preferito sparire.

«Guarda che non hai tanto da tirartela, Akira. Pure tu puzzi, puzzate tutti. Il mio olfatto superiore è in grado di sentire gli odori molto meglio di voi. Scommetto che Ryuji stava masticando una gomma alla fragola mentre eravate fuori, perché ne hai l’odore addosso pure tu.»

Akira osservò l’amico con visibile sorpresa, perché era vero. Aveva anche rifiutato l’offerta di Ryuji nel momento in cui gli aveva offerto una delle sue gomme alla fragola in questione. Non pensava che un dettaglio simile avrebbe fatto tutta la strada con lui fino a Yongen-Jaya. Goro l’aveva guardato un attimo, attendendosi una risposta, ed il silenzio gli era chiaramente bastato.

«Allora?» li riprese Morgana, spostando lo sguardo dall’uno all’altro, «Che sono queste facce sconvolte?»

«Beh io… Devo dire che sono impressionato,» spiegò Akira.

«Anch’io,» fece Goro, «Ma è una qualità che potrebbe tornare inaspettatamente utile.»

Questo appunto catturò la loro attenzione. «Del tipo?» domandarono all’unisono Akira e Morgana, gli sguardi puntati su Goro, che si mosse sul posto come sotto pressione.

«Oh, ecco, ad esempio… se qualcuno provasse a rifilarvi del veleno in un bicchier d’acqua o nel cibo, riusciresti a sentirlo facilmente, immagino.»

Morgana l’osservò con attenzione, prima di rispondere «Se solo sapessi che odore ha, forse potrei farlo, in effetti.» Il sollievo che emerse dal sospiro liberatorio di Goro la diceva lunga sul fatto che non erano argomenti di cui parlava spesso con la gente. Non poteva biasimarlo.

«Sai, ti basterebbe entrare in una drogheria e imparare gli odori delle erbe più dannose se somministrate in alti dosaggi, non ci vuole molto.»

«Perché?» s’intromise Akira curioso, «Tu sai farlo?»

Nel voltarsi da Morgana a lui, sul viso di Goro si dipinse un sorriso elusivo e divertito, «Sei sicuro di volerlo sapere?» Akira si sentì come se qualcosa si fosse teso dentro di lui, un breve accenno di adrenalina. Forse, tra tutti i sorrisi che Goro era in grado di mostrare, Akira aveva appena trovato quello che gli piaceva di più. Quel sorriso gli ballava sulle labbra come un equilibrista su una corda tesa, non nascondeva la propria sicurezza e non se ne vergognava – ma era pericoloso e gli dava i brividi.

Entusiasta, Akira rispose, «In questo caso, deduco che sarebbe difficile fartela sotto il naso rifilandoti un pancake avvelenato.»

«Suppongo di sì,» sorridendo ancora, Goro si appoggiò al materasso tenendosi su coi gomiti. Per continuare a guardarlo, Akira si voltò di più e salì sul letto con la gamba destra.

«Che mi dici invece dell’acqua Tofana? Direi che con quella non puoi farci molto nemmeno tu.»

«Ah, non mi fido a bere cose offerte dagli sconosciuti, per chi mi prendi?»

«Ma da me ti sei fatto passare molti bicchieri di acqua senza fiatare, per non parlare di quello che ti ho presentato come una medicina. Cosa devo dedurne?»

Goro sospirò senza rompere il contatto visivo e scosse lentamente la testa. «Non ti saresti disturbato tanto a prenderti cura di me se avessi voluto uccidermi. Inoltre, piantarmi uno dei tuoi coltelli nel cuore sarebbe stato meno dispendioso, non credi?»

«E chi lo sa… Tutte le lenzuola sporche di sangue, poi come le spieghi in lavanderia?» Akira ridacchiò, facendosi più vicino. Allungata una mano sul cuscino, lo passò a Goro suggerendo che lo piegasse e ci poggiasse la testa. Lui accettò e poté così stendersi senza fare leva sulle spalle e sui gomiti. In questo modo riuscivano ancora a guardarsi in faccia senza problemi.

«E invece, dimmi, cianuro nascosto in una torta alle mandorle?»

«Passo, non mi piacciono le mandorle.»

«Cicuta e aconite non te le chiedo nemmeno.»

«E come mai, caro il mio Kurusu?»

«La cicuta si riconosce facilmente dall’odore e l’aconite si scioglie bene nell’alcol ma non nell’acqua. Non ti ci faccio a bere alcool e poi siamo ancora entrambi minorenni.»

Il sorriso sul viso di Goro continuava ad aleggiare in un angolo delle sue labbra. Morgana li guardava e ascoltava con interesse. Probabilmente si stava domandando in quale modo astruso Akira avesse imparato tante cose sui veleni, ma essere il capo di un’organizzazione criminale in incognito richiedeva qualche precauzione, no?

«Ottime deduzioni,» Goro era visibilmente divertito e soddisfatto. Era come se quello fosse il suo vero io e si trovasse perfettamente a proprio agio. «Potrei iniziare a chiamarti Watson.»

«Che ne dici della belladonna? Facile confonderla con qualche bacca.»

«Oh no, per gusti personali, devo declinare,» stavolta Goro si lasciò andare a una vera e propria risata e aveva rimesso un po’ di rosso sulle guance. Il sorriso di adesso era un po’ diverso da quello di prima, gli scopriva tutti i denti e sembrava quasi che Goro tentasse di nasconderlo. Eppure, non c’era modo in cui Akira non avrebbe potuto notare un sorriso simile.

«Che intendi per “gusti personali”?» s’intromise Morgana, spingendo il dito nella piaga. Akira doveva ammettere che lui stesso era incuriosito dalla reazione di Goro, che era decisamente sproporzionata al modo in cui stava correndo la conversazione e stuzzicava pensieri in cui non avrebbe dovuto indulgere.

«Oh, ma ovviamente, non mi piacciono le bacche e i frutti di bosco!»

Con un invidiabile colpo di reni, Goro si tirò di nuovo su a sedere e guardò l’orologio sulla parete. Akira fece altrettanto, scoprendo che erano le sette e di aver completamente perso la concezione del tempo dal momento in cui aveva ricevuto la telefonata in metro. Il brontolio di una pancia echeggiò nella stanza e senza dubbio non era stata la sua.

Senza alcuna timidezza, Goro lo guardò come se fosse divertito da se stesso: «Kurusu, mi dispiace interrompere la nostra conversazione, ma sto morendo di fame.»

«Oh, certo. Allora vedrò di prepararti un po’ di curry.»

«Finché non l’avveleni, lo mangerò molto volentieri.»

Alzandosi, Akira raggiunse la grande scatola nella quale teneva tutti i suoi vestiti. Accanto ad essa, su uno dei ripiani della struttura in legno che ospitava lo scatolone e le altre sue scarpe, in un involucro di plastica aveva tenuto gli abiti di Goro, portati a lavare e ritirati giusto un paio di giorni prima dalla lavanderia.

«Senti, qui ci sono le tue cose,» gliele mostrò e Goro le riconobbe a colpo d’occhio. «Vuoi indossare questi? O ti presto qualcosa di mio?»

Ancora sul bordo del letto, Goro sembrò pensarci un pochino, poi scosse la testa: «I miei vestiti vanno bene, grazie.» Akira allora tornò da lui e gli porse la busta. L’altro l’accettò ma subito la mise via sul letto. Fece un tentativo per alzarsi e dovette darsi una bella spinta con le braccia per riuscirci. Una volta in piedi barcollò dal lato della gamba fasciata e Akira lo sorresse prontamente.

«Grazie, scusa…»

«Tranquillo. Tutto okay? Hai bisogno di una mano a cambiarti?»

L’altro scosse la testa, «No grazie. Anzi, mi farebbe piacere un po’ di privacy.»

«Sicuro, noi andiamo giù. Inizio a tirar fuori le mie riserve di tallio…»

Dato che non si era ancora allontanato da lui, Goro gli diede una leggera spinta, «Ehi, ti sembro forse un topo io?»

Akira rise e si prese la libertà di scompigliargli i capelli prima di voltarsi e avviarsi con Morgana al piano di sotto. Fece appena in tempo a cogliere la sorpresa per il suo gesto negli occhi di Goro. Le sue ultime parole poi gli avevano fatto pensare che Goro, in effetti, era l’unico della squadra che Akira non aveva mai visto trasformato in topo nel palazzo di Shido.  Sospirò mentre scendeva le scale.

Era proprio un peccato che avesse deciso di non fargli metter piede lì dentro mai più.













Angolo dell'autrice.

Salve a tutti! Siamo arrivati al terzo capitolo e ho pensato finalmente di ricavare un piccolo angolo qui in fondo per salutarvi. Volevo ringraziare tutti quanti per le visite ai diversi capitoli, che non sono poche e mi rendono felice nonostante non ci siano molte recensioni. Spero vivamente che la storia vi stia piacendo! Ringrazio Lerenshaw in particolare che mi lascia sempre il suo parere. Il nostro confronto mi aiuta molto anche nel ragionare sui personaggi e su ciò che accadrà più avanti, quindi davvero grazie di questa occasione. Spero di poter sentire i pareri di altre persone su questa storia, sia che il racconto vi stia piacendo che no, ovviamente. Le critiche costruttive sono sempre bene accette. Il gioco mi ha appassionata moltissimo quindi mi fa sempre piacere parlarne con altri fan. Detto ciò, è un po' tardi quindi penso proprio che andrò a dormire! 
Grazie ancora, ci sentiamo presto!
Lumen Noctis

   
 
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