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Autore: Le VAMP    13/12/2017    0 recensioni
*19/03/2020 - Modificati quasi tutti dialoghi. Tagliate alcune scene.
"Io sono convinto, signore, che in questa casa le tragedie sarebbero nate anche se la sventurata Chloe Ardennes non fosse venuta a sconvolgerci la vita”
– Pierre d'Alembert"  
Il gatto nero narrò le pene d'una ragazzina, vittima d'amore cieco verso il suo signorino ("Ballata dell'Amore Cieco o della Vanità"), in verità già perso per quella sventurata pianista piena d'amor da offrire ("Bocca di Rosa"), e ch'egli continuò a desiderar finché l'ingordigia non rivestì di sangue e lacrime la dimora d'Alembert ("La canzone di Marinella"). Che meravigliose storie hanno da raccontare i demoni!
Così, si diede inizio al primo atto, e a seguirlo venne l'intermezzo, con ciò il racconto proseguiva!
Genere: Drammatico, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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III°Atto La canzone di Marinella

E c'era il sole e avevi gli occhi belli
Lui ti baciò le labbra ed i capelli
C'era la luna e avevi gli occhi stanchi
Lui pose le sue mani sui tuoi fianchi

-Prima fu una carezza ed un bacino,
poi si passò decisi sul pompino, e sotto la minaccia del rasoio
fosti costretta al biascico e all'ingoio[1]- (dalla vera storia di Maria Boccuzzi)

La prima notte andò che la giovane ebbe modo di rimanere sola in quel letto estraneo per buona parte del tempo, poiché l’altro non si ritirava, e nella camera c’era solo il suo gemello già coricato da un pezzo e che non ebbe modo di constatar che lei fosse lì. Era accostata vicino alla finestra, di tanto in tanto coglieva dei miagolii dal giardino; forse era anche per quello che non riusciva a dormire. D’altro canto quella fu una nuova occasione di rimanere sola con i propri pensieri. Chloé realizzò quanto fossero più soffici quelle lenzuola e calde le coltri –quasi avesse dimenticato le lenzuola familiari di casa sua–, e le confrontò con quelle della servitù, poiché fino a quel momento aveva condiviso i loro stessi letti, più duri e di cui dovevano lavar da sole le coperte e stenderle ogni mattina per ritirarle verso sera, quando il sole cominciava a calare. Si domandava se anche i letti delle inservienti che lavoravano per la sua famiglia fossero così. Perciò approfittò di quel cambiamento e si strinse nelle coperte, intenta a proteggersi, chiusa in posizione fetale.
Alla fine Michel arrivò quando i dodici rintocchi erano passati da un pezzo. Giunse quindi nella camera, vide che l’amica l’aveva accontentato e si trovava lì, a dormir tranquilla nel suo letto. Si accorse tuttavia che tranquilla non lo era affatto, si era chiusa lì come un bozzolo che non voleva saperne nulla del mondo esterno. Non era serena.
Prese a cambiarsi, e di tanto in tanto buttava lì un occhio sulla compagna: s’accorgeva che ella aveva cominciato a tremare e non sapeva se fosse per freddo, paura o vergogna, ma una cosa ora gli fu certa: era ancora sveglia, e questo lo turbò leggermente, anche quando rifletté su una ovvietà scontata, e cioè che probabilmente stava indossando quel leggero camice per star comoda, ma poi si convinse di non pensarci. Ignorò la situazione e terminò il tutto, poi quando stette per infiltrarsi anche lui sotto le calde coperte si rese conto che Chloé s’era voltata al muro e ora gli dava le spalle. Quindi la prima volta in cui dormirono assieme furono entrambi costernati dal dolore. C’era la diffidenza, e a comunicar furono solo le loro schiene.

Nel primo mattino la ragazza, che non aveva chiuso occhio, fu lesta ad alzarsi, come gli amanti indesiderati abbandonando presto i letti, e a lasciar quella camera; perciò corse a godersi l’alba alla finestra del dormitorio che l’aveva ospitata lì per un mese.

Così ecco che svilupparono un altro tipo di rapporto ancora: estranei alla luce ed estranei al buio, seppur più vicini di quanto non fossero prima. Più diffidente lei si mostrava, più egli tardava ogni notte un’ora in più, finché una volta non lo vide venire a letto e non lo ritrovò nemmeno il mattino all’alba; cosicché quando la andò ad ammirar alla finestra come suo solito si affacciò sul cortile e notò che il ragazzino s’era addormentato lì, poggiato alla parete, con le gambe stese sull’erba e le mani imbrattate di sangue vecchio.

La sera seguente i due fratelli s’erano ritrovati a provar insieme un brano dopo tanto tempo, per veder se ancora ci fosse intesa tra i loro strumenti, quindi ne fecero uno particolarmente vivace e complesso perché amavan guardar in faccia alle sfide.

Diedero uno sguardo, fu un attimo ed ecco che partì la melodia. Entrambi s’esprimevano con l’odio e la furia, l’uno era tornato a pigiar con forza i tasti del piano come a volerli distruggere, l’altro s’accaniva sulle corde del violino andando a sfregar quell’asticella che teneva fra due dita, ancora e ancor, inveendo come un folle, e queste rispondevano donando i loro suoni.[2]

«È da un po’ che non si vede Chloé in giro per la casa. Cosa succede mentre qui si dorme?» Pierre volle così provar ad interagire anche col dialogo, ma per lungo tempo non ebbe risposta.

«Nulla che non riguardi il riposo» continuò indifferentemente a suonare senza dar troppa corda a quelle domande che volevano andare a parare chissà dove. L’altro invece volle replicare, notando che in quei giorni non lo vedeva troppo bene: sapeva perfettamente quale fosse il motivo. Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe cresciuto così in fretta: il giorno prima impegnato nei suoi capricci contro il padre; e ora già dietro le donne, quel moccioso.
«Dimmi una cosa» insistette ancora, non avendo ottenuto nessuna risposta «perché non ammetti a te stesso che vorresti possederla?» e senza che se ne rese conto, impegnato a legger le note, ricevette un truce sguardo da parte del gemello; che poi chiuse gli occhi e parlò tra i denti, impegnandosi a dar colpi allo strumento.

«Come potrei farlo?» ed il braccio stette ad assecondare maggiormente il movimento eseguito dall’asticella passando di continuo sul manico. Uno e un colpo secco diede
«Come potrei ammettere che da quando quella volta venne a consolarmi, ad asciugare le mie stupide lacrime, è continuato a crescere...» due, e furono già due i colpi che col braccio andò a eseguir, infierendo sulle corde dello strumento
«Cosa?»
Tre e tre colpi secchi, poi accelerarono, e quell’asticella lasciva andava ancora a strofinarsi sulle corde piena di vita.
«La buona volontà di aiutarla a ripulirsi»
E lì fece un accordo che nessuno dei due riusciva a reggere: per la prima volta sbagliò note, quel suono strideva e doleva alle loro orecchie, come se mille anime avessero urlato dal fondo degli Inferi. Dopo quel colpo l’asticella gli stette quasi per scivolar dalla mano, inumidita dal sudore. 

S’arrestò per un attimo prima di ricomporsi: «Tu non…Non puoi capire…Non trovi che abbia gli stessi occhi di nostra madre?» e quindi, quando ripose l’asticella tra le dita mentre s’atteneva a confessarsi, realizzò che da quello squilibrio anche il gemello s’era interrotto.

Poteva davvero usare quelle parole per la madre che avevano perso quando avevano solo cinque anni? Il pianista fu scioccato.
«Quale fratello perverso ho che vede negli occhi di una ragazzina quelli di nostra madre» e da quel duro rimprovero il violinista abbassò gli occhi e gli si indebolirono le gambe.

«Sai, ho spesso creduto di aver esagerato quella volta a distruggere questa stanza. Ma ora inizio a pensare di non aver fatto nulla di male. Non ho mai ferito nessuno» constatando che non avrebbe suonato più Pierre decise d’alzarsi e rimetter a posto i fogli. Dopo aver sentito quei discorsi –e lui che pensava di sentir smielate confessioni– aveva compreso che quello con cui aveva parlato non era suo fratello, ma un qualche tipo di demone che ne aveva preso possesso.
Quando gli stette per voltare le spalle udì che Michel aveva fatto cascare a terra il violino e ne aveva spezzato l’asticella, e così il pianista tornò a guardarlo un’ultima volta per dirgli che quelle erano piuttosto costose. L’altro non gli rispose a lungo, prima di affermare la propria verità
«Non è mai stata violata in questa casa..» recuperata la propria identità di essere umano allora cadde in ginocchio, ma Pierre non poteva fare a meno di averne timore. Così si voltò definitivamente, e mentre s’incamminava verso l’uscita della sala, si fermò un istante e lo apostrofò ancora:
«A proposito, finiscila di ammazzare gli animali. Fanno impressione tutti quei cadaveri nel giardino» e quella fu una delle poche volte che gli occhi del violinista si riempirono di orrore, quando poi si rese conto di avere, tastando le tasche interne della giacca nera, riposto lì un coltello.

Un bel dì il giovane, col viso pulito e triste, andò dalla ragazzina a dirle di non preoccuparsi di fargli visita per quella notte se si fosse sentita costretta, perciò si sentì rasserenata. Prima di allontanarsi, inoltre, le chiese perdono con gli occhi bassi per la vergogna. Con ciò sembrava esser tornato quel fanciullo che la prima notte pianse e trovò rifugio nelle sue braccia, e Chloé lo riconobbe e questa volta s’andò a tuffar lei, con l’animo in festa, tra le braccia sue.
E quel cuore freddo si riscaldò ed il suo animo composto si sciolse: per un attimo Michel rimase interdetto, incapace di muovere un muscolo, ma poi mostrò come nei giorni passati un sorriso sincero, e chiuse le sue braccia che la protessero e cullarono il capo suo poggiato al petto, e allor, come quella prima volta che la salvò, le fu padre.

I giorni prossimi tornarono ad esser sereni, intenti a scherzar molto di più di quanto non lo fossero i primi in cui stavano a perder tempo nel cortile, e anche quando il sole calava le stelle presero a splendere in cielo. Infatti, durante quelle notti, in cui come tenesse a far permaner il rispetto, egli continuava a darle le spalle, e lei fu vinta dalla tenerezza di quel gesto e sorrise felice come non lo era da tempo. Così come in quel fanciullo si nascondeva un uomo che andava a invecchiare ogni giorno, in lei si nascondeva una donna che era il momento tornasse a convincerla di mostrarsi al mondo esterno: come il buon senso le aveva sempre detto, una situazione sgradevole era fatta per essere sistemata, e con questo principio avrebbe agito se fosse successo altro. Quindi rivelò nuovamente quell’istinto che le risiedeva nel petto e riprese da quella notte a carezzargli i capelli e la fronte; l’altro allor si girò mostrandosi in volto sereno e innamorato e l’abbracciò tenendosela stretta, lasciando che continuasse ad accarezzarlo per tutta la notte.

Il mattino dopo s’erano svegliati tardi: fu il gemello, dall’aria sempre più inerme e sempre più apatico, ad avvertirli che tra poco il padre si sarebbe svegliato e avrebbero dovuto nascondere nuovamente la ragazzina. I due rimasero assieme tutta la giornata, e la sera, quando s’abbassò la temperatura, si rifugiarono nella camera del caminetto a contemplare allegramente il fuoco.

Stavano ancor ridendo assieme, e vedendola un po’ assonnata egli la invitò ad appoggiarsi alla spalla, e questa, gioiosa d’amor, andò a posar un piccolo bacio sulla sua guancia.
La ammirò sorpreso, e poi sorrise:
«Sei così dolce» e, avvicinando sereno il volto al suo, un primo bacio fece incontrar le loro labbra. Chloé rispose a ciò ripetendo quello che era il suo gesto materno di andare ad accarezzar capelli; ma, poco alla volta, l’interesse dell’amico andò a spostarsi dalle labbra verso il basso, il viso, e poi il collo, senza neanche saper quello che combinava, e la ragazza ebbe un tumulto. Interdetta si interruppe, chiedendogli vagamente in imbarazzo cosa stesse facendo, e proprio perché la risposta non la sapeva nemmeno lui ecco che d’improvviso le prese le braccia dal suo capo per bloccarle ai fianchi ed impedendole così di muoversi ancora.

Inizialmente, nel sentirlo fremere nella sua insistenza, la pianista non riuscì a far altro che fissar il vuoto e mettersi a lacrimar silenziosa e sconvolta, per poi andar a far un folle e debole sorriso che le andava a ricordar di come si fossero realizzate quelle sue perverse fantasticherie di tempo fa, e credette che in fondo era stata accontentata. Crebbe ancor di più l'odio verso se stessa nel rimembrare la paura che aveva avuto tempo addietro, pensando che almeno stava venendo macchiata da chi amava, e a cui lei aveva per prima aveva sporcato l’animo: ora quello si voleva vendicar e le andava a imbrattare il corpo già insudiciato da quando era piccina. Si diede della stupida perché continuava a confondere tra loro il vecchio ed il fanciullo, perciò accettò la sua punizione col sorriso della rassegnazione, riconoscendosi come unica colpevole.

D’altra parte quel giovane, delle anime, non se ne curava più, ma pensava soltanto al timore di vederla nuovamente terrorizzata i prossimi giorni, e per non immaginar quei dolori che sarebbero sorti preferì errare e dedicarsi per una sola volta allo sfogo, quindi accontentò il capriccio di andar sfregar quelle pallide cosce, che lei invece andava a discostar, con le proprie. E ancora le stette addosso come un mollusco al suo scoglio, infine si appesantì e la gettò a terra; prese a slegarle lacci, sbottonar bottoni, così tanto impicciati tra loro che si ricordò che quei lavori erano in grado di farli solo le domestiche; e per la prima volta vide un corpo di donna, poi quando notò ch’ella non aveva smesso di sorridere, seppur con lo sguardo al muro e facendo come se fosse una bambola, premiò quel sorriso coprendole il viso di baci.

Intanto a quell’ora le inservienti stavano preparando la cena, e ce ne fu una alle prese con un pezzo di carne da tagliare, così prese il primo coltello che si trovò vicino e cominciò il lavoro. Quel coltello penetrò violentemente dentro e fuori, ma dato che non era carne fresca e quello non era l’utensile adatto sembrava che non si ottenessero risultati nemmeno dall’interno.
E allora si innervosì e cercò di tagliare sempre più veloce, sempre più veloce, poi si diresse ai lavelli e fece scorrere l'acqua calda, e poi fece ripenetrar il coltello, lavò ancora, e la carne ormai rossa e tutta zuppa cominciava a emettere strano suono quando il coltello l'andava a sezionare ancora, e la domestica con le mani continuava a tenerla ferma, costretta a stringer con le dita poiché l'altra mano, quella con cui faceva entrar lo strumento, diventava sempre più frenetica e violenta.

Quando si ferì e si lamentò, interrompendo ciò che stava facendo, il secondogenito del padrone era lì a cercar qualcosa da mangiare. Le chiese cosa fosse successo, e quella rispose stizzita che mancava il coltello per tagliar la carne.

Improvvisamente gli venne in mente suo fratello.

Infine Chloé fu marchiata da nuovo seme e poi lasciata in pace mentre il vecchio s’allontanava e riacquistava la ragione, perciò ritornava di nuovo bambino nel realizzar che aveva commesso un grave peccato. Ad esser terrorizzato fu lui perché la prima cosa che notò sulla pelle della sua cara amica furono tante, troppe macchie nere –chissà quante ancora si sarebbero generate per colpa sua–; e soltanto una era bianca, ma questa non era certo pura e andava a disgustar ancora di più quel povero fior già sgualcito da tempo.

E si portò le mani agli occhi, incapace di veder quell’immagine indegna, e le chiese scusa ancora dicendole che non voleva, mentre questa si risollevò da terra e gattonò debole fino alla parete ancora con l’affanno, e quasi scoppiò a ridere quando lo vide nuovamente in lacrime.
«Bugiardo!» gli urlò lei «Michel è un vero bugiardo, sì che voleva! Ammettilo, ammettilo!» e piangeva anch’ella non avendo nemmeno perso quell’isterico sorriso. Poi lui si ricordò di avere un coltello nella tasca.
Fu mentre stette per piantarselo nel ventre che volle guardarla un’ultima volta: priva del suo vestitino viola, stropicciato sul pavimento, portava addosso residui di quell'atto brutale testimoniato dalle sottovesti stracciate, e dal suo viso si vedeva il cuore ridotto peggio di quei cenci. Non si fidò più delle proprie braccia, né della propria anima, che sapeva, sarebbe stata condannata all’Inferno.
La piccina sobbalzò nel veder ancora tanta violenza, quando lui si conficcò la lama nelle membra come prima infierì sulle sue, e la carcassa cadde a terra. Era sconvolta, le ci volle un po’ per recuperare fiato, proteggersi il seno con le braccia e rendersi conto di quello che era appena accaduto.

Non poteva odiarlo, l’aveva infastidita soltanto com'egli si rifiutava di ammettere la realtà e aveva continuato a illuderla che fosse ancora innocente. Se avesse abbracciato la sincerità lei l’avrebbe amato comunque.
Infine si avvicinò al cadavere e gli passò un’ultima volta la mano tra i capelli, e poi gli si chinò sul capo e stette a farfugliare meccanicamente che “era tutta colpa di Cloé”; e nel mentre infilò la mano sotto il corpo e rintracciò il manico dell’oggetto, così lo estrasse facendo nascere un lago di sangue. Allora la pianista si fece indietro, e nel momento in cui sollevò l’arma, dalla finestra che si affacciava al giardino vide la figura di un gatto nero con una campanella al collo: Noir l’aspettava nell’Ade.
A conclusion di tutto la ragazza, ancor rimasta a petto nudo, conficcò lì la lama; ed il rosso vischioso poté così scorrere sulla sua pelle e purificarla dal bianco e dal nero di cui era macchiata, poi crollò anch'ella a terra facendo affondar maggiormente il coltello nelle carni e s'addormentò finalmente in pace senza che potesse vedere altre albe o tramonti.

Quando Pierre arrivò lì con le altre domestiche si ritrovò davanti ad un delitto che gli sarebbero costate mille spiegazioni da dare alla polizia e, prima ancora, a suo padre a cui era stato nascosto tutto fin dall'inizio.

Sapeva che una tragedia del genere sarebbe stata inevitabile, per questo cominciò a scriver con tale rassegnazione al capo responsabile delle indagini: “Con questa lettera voglio pregare alla polizia locale di credere agli eventi che riporterò riguardante i delitti avvenuti: mio fratello stava già perdendo la ragione da tempo…
Io sono convinto, signore, che in questa casa le tragedie sarebbero nate anche se la sventurata Chloé Ardennes non fosse venuta a sconvolgerci la vita”, e cominciò a narrare.

Effettivamente, essendosi la malasorte abbattuta sulla propria dimora, Michel non aveva mai avuto modo di confrontarsi con la realtà che la sua cara amica –ch’egli insistette nel veder come madre– aveva passato ogni giorno come figlia d’un padre che la desiderava e d’una madre che invece la detestava: com’era riuscita a far nascere in lei l’amore? Questo non lo seppe neppur il fratello sopravvissuto, e nemmeno le inservienti che lavoravano a casa d’Alembert, perché quel segreto era morto con lei e quel diario era rimasto abbandonato insieme ai cadaveri e alle bambole di pezza in quella che, nel frattempo, era divenuta per tutti la “Casa Stregata” in cui nessuno s’azzardava a metter piede.

 


[1]  Fabrizio De André - La Canzone di Marinella (Live - Bussola, 1975)
[2] “Bocca di Rosa – Danilo Rea Live”. Immaginare, seppur storicamente incorretto, la simbolica esecuzione di tale brano, come una dinamica conversazione tra il piano e il violino di tali giovani inquieti. L’interpretazione impeccabile di questa versione, vicina ai tipi di esecuzioni dei tempi della storia, potrebbe aiutare molto: è consigliato l’ascolto!

   
 
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