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Autore: Il_Signore_Oscuro    13/12/2017    4 recensioni
Il mondo si ricorda solo dei grandi personaggi, di coloro che hanno avuto un ruolo centrale negli eventi più importanti del suo tempo. Mentre il grande meccanismo della Storia divora tutto il resto, precipitandolo nell'oblio. Io però ho scavato e scavato, consegnando alla vostra memoria una storia diversa, una storia che era rimasta nell'ombra. Una guerra più profonda, e combattuta lontano dagli occhi dei molti...
Da oltre dieci generazioni i Cangramo sono i leali alfieri degli Argona, i potenti sovrani della costa orientale di Clitalia, la terra divisa fra i molti re. I Cangramo dominano su una piccola contea nell'estremo sud-est, una contea che comprende il Porto del Volga, la Valspurga alle pendici del Monsiderio e l'antica Rocca Grigia, costruita su un'altura a strapiombo sul mare. I quattro fratelli Cangramo cercheranno di ritagliarsi un posto in un mondo violento e insidioso, intessuto di amori, battaglie, inganni e segreti. Mentre lontano dagli occhi, un male a lungo dimenticato, antico e potente, getta la sua ombra sul futuro degli uomini...
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo VI
Fiori variopinti d’oriente
(Miranda)
 
 

Delle numerose sale che componevano Castel Cangramo, nessuna godeva del favore della luce del sole come la sala da pranzo, situata al primo piano della struttura. Fra la torre nord-est e quella di sud-est, quattro finestre a sesto acuto si affacciavano sulla sala. Al centro un grande tavolo di quercia dalla forma rettangolare, ampio abbastanza da poter ospitare due persone a capotavola e altre sei su entrambi gli altri lati. Le sedie erano foderate con cuscini di velluto sul sedile e lungo lo schienale, i bracci si arricciolavano in tondi ghirigori prima di ridiscendere in sinuose anse di legno lucidato. Sul pavimento di roccia era steso un tappeto rosso, reso tenue dal tempo e dall’usura, bordato d’ocra e con frange lanose che si protendevano come dita sgraziate in ogni direzione.
Sui muri erano appesi trofei di caccia: teste di animali imbalsamati, inserite in sobri scudi di legno, privi di ogni decorazione.
Quand’era più piccola, Miranda rimaneva inquietata dagli occhi solenni e senza vita dell’orso sulla parete nord, o da quelli scuri del cinghiatauro sulla parete ovest. E consumava il suo pasto con lo sguardo fisso sul piatto, lasciando la tavola non appena aveva finito. Adesso quelle teste poteva rimanere a fissarle per ore, senza che ciò le suscitasse la minima emozione.
Dalle finestre la luce del sole penetrava generosamente, posandosi sulla superficie in legno del tavolo, spezzandosi in barbagli d’oro sulle ricche posate d’argento ai lati dei piatti di fine porcellana. Di fronte a lei sedeva Vittorio Belgi, indosso portava un giustacuore di uno sgargiante verde foglia, con ricami floreali istoriati in oro e le maniche a sbuffo come petali di una margherita. Il mare giaceva placido alle sue spalle, oltre la finestra. A seguire, accanto al suo promesso c’era Arturo, e poi la cara Mowan, come sempre fuori posto nel suo nuovo abito. Sul lato del tavolo dove sedeva lei, il fratello più grande, Sebastiano, era vestito di un farsetto rosso vivo, con i risvolti ricamati in filo d’argento.
E infine, a capotavola, sul sedile più alto, con il primogenito sulla sinistra e il futuro genero sulla destra, sedeva Severo Cangramo, con indosso una tunica nera con bottoni d’argento e una cintura di velluto stretta intorno alla vita.

Miranda era raggiante, con gli occhi trasognati mentre le parole scivolavano fuori dalla bocca del suo promesso, accompagnate da una gestualità discreta delle mani. Come vele che si gonfiassero a sospingere la sua barca.
«È stato nei giardini di Ishtar che le ho vedute per la prima volta: canini grandi come la lama di una sciabola, tanto da sporgere ai lati della bocca. Un vello nero dello stesso colore della notte, percorso da striature rosse e arancioni, vive come una fiamma.» Il Belgi si rivolse al Conte. «Molto simili alle comuni tigri, ma più grandi! Più possenti!»
«E questo la dice lunga.» Ammiccò Severo.
«Sapete, anche lì vi sono uomini con il coraggio di affrontare simili fiere, proprio come succede nelle nostre arene. Ma si tratta di uomini liberi, uomini valorosi! È una vera disgrazia per la nostra società, che vi sia ancora un male arcaico come la schiavitù.» Il Belgi parve incupirsi.
«Un uomo libero devi pagarlo, uno schiavo fa’ quello che gli si dice e basta.» Sentenziò il Conte, senza guardarlo in viso, ma contemplando il suo calice di vino. «Non è qualcosa che apprezzo, ma che posso comprendere mio malgrado.»
«Forse è come dite.» la bocca del mercante si incrinò «Ma ritengo che la fedeltà di un uomo non si guadagni schiacciando la sua volontà, privandolo della libertà di cui dovrebbe essere il solo e unico padrone.»
«Pensate dunque che possa essere comprata?» Chiese Severo, lanciandogli un’occhiata inquisitoria.
L’espressione trasognante di Miranda andò in mille pezzi, mentre le palpebre si stringevano intorno agli occhi, fissi nel guardare suo padre. “Sai bene che non era questo che intendeva dire” avrebbe voluto dirgli “smettila di metterlo alla prova”. Ma il Belgi non batté ciglio, la sua espressione era quieta e serena.
«Niente affatto,» replicò «la fedeltà viene dal rispetto e dall’ammirazione.»
«E come credi che questo rispetto, questa ammirazione di cui parli, si possano ottenere, signor Belgi?»
“Ancora?!” pensò la ragazza, ad occhi sbarrati.
«Essendo giusti. Adoperare la forza e la clemenza seconda di ciò che richiede la situazione. Fare ciò che riesce a tutti gli uomini, e ciò che invece riesce solo a pochi. Mostrare d’essere ancora comuni e pure straordinari in un solo tempo.»
«Sono pochi gli uomini che sanno fare questo, caro Belgi.» Lo rimbeccò Severo.
«Come del resto sono pochi gli uomini degni di fedeltà» Replicò il mercante, bevendo un sorso del suo vino.
Il Conte mugugnò un assenso divertito e bevve anche lui, smorzando un’espressione compiaciuta. Miranda poté così tirare un sospiro di sollievo: suo padre era un uomo quanto mai difficile da compiacere. Era quel genere di persona che ama metterti alla prova, e da questo trarre le sue conclusioni sulla tua persona. Ma il suo futuro marito aveva scelto con oculatezza le parole da usare, era certo un uomo fuori dal comune, molto più di quanto non lasciasse intendere a un primo sguardo. Si scambiarono un sorriso, velato di un certo sollievo, quando i servi giunsero al tavolo con le prime portate.
Come di consuetudine il pranzo si aprì con un antipasto consistente in due vassoi di pane croccante. Su ciascuna delle fette era spalmato un pestato di prezzemolo e menta. L’odore di quella salsina le solleticò il naso e rinfrescò il suo palato, accendendo la sete. Una coppia di giovani coppieri versò del vino speziato nei calici d’argento che erano stati vuotati. Ad Arturo fu servita una bevanda a base di acqua, miele, arancia e limone.

Quando i vassoi furono svuotati per un terzo del loro contenuto, i servi li portarono via: gli avanzi sarebbero serviti a sfamare la guardia personale del Conte, la scorte del suo ospite e l’esercito di domestici di Castel Cangramo. Il Conte detestava ogni forma di spreco.
Mentre la bacinella per detergere le mani veniva accomodata dinanzi ai commensali, Vittorio Belgi lanciò un’occhiata ad Arturo, che la ricambiò espirando rumorosamente e accigliando lo sguardo. Miranda sapeva quanto il suo fratellino fosse riservato e gli sorrise, in un gesto di incoraggiamento.
«Porti su di te i primi segni di una battaglia a quanto vedo»
Arturo si affrettò a nascondere il braccio fasciato sotto il tavolo.
«Mi sono solo ferito durante l’allenamento,» sì affrettò a giustificare il ragazzo, poi scambiò un’occhiata fugace con suo padre «signore.»
Il Belgi sorrise, con aria comprensiva. Il ragazzo cominciò a tormentarsi le mani l’una nell’altra, Miranda lo intuì dalle spalle inarcate.
«Capita a tutti, non devi vergognartene.» Tentò di rassicurarlo.
Il Conte bevve un sorso, senza proferire parola. Mentre ‘Bastiano interveniva nella conversazione.
«Sai, Vittorio, il mio fratellino ama molto leggere. Pensa che ha solo tredici anni e ha già letto la metà dei libri custoditi nella biblioteca del Castello.»
Il mercante inarcò le sopracciglia stupito.
«Impressionante!»
« Vi ringrazio, signore.» Rispose Arturo, con le guance che si tingevano di rosso.
«Sai, nelle Terre del Fuoco ho potuto visitare la più imponente biblioteca mai eretta dall’uomo.»
Gli occhi del giovane si illuminarono, mentre la voce gli si alzava di un tono.
«Cleandria!»
«Esatto, la biblioteca di Cleandria. Ci sono scaffali alti come le mura della vostra Rocca Grigia. I bibliotecari nel corso dei secoli hanno raccolto manoscritti e pergamene di ogni tempo. Vergati in ogni lingua conosciuta dall’uomo, compreso l’Ellenico Arcaico e il Rimlico Antico. Gli scribi, laggiù, salvano dallo sfacelo del tempo tutto questo materiale, facendone nuove copie quando gli originali iniziano a deteriorarsi. Si dice che il sogno di Alessandro, il leggendario re fondatore della città e della Biblioteca, fosse quello di-»
«Raccogliere in unico luogo tutto ciò che è stato scritto da mani umane dall’alba dei tempi sino ad oggi!» Lo interruppe Arturo, ora che l’entusiasmo aveva avuto la meglio sulla sua timidezza. «Perché niente fosse dimenticato!» Concluse entusiasta.
«Un nobile intento,» riconobbe Severo, fulminando suo figlio con lo scocco di uno sguardo «io stesso sono stato a Cleandria per raccogliere storie sui nostri antenati. Una vera sfortuna che la cultura dei Kelta si tramandi per gran parte attraverso l’oralità. Eppure, nonostante tutto, qualcosa sono riuscito a trovarla.»
«Lasciatemi indovinare, rapporti degli antichi Rimli?»
«Risalenti alla prima colonizzazione e all’invasione della Franchia meridionale.» Confermò il Conte.
«E sappiamo bene quanto possano essere menzognere le parole di un uomo, quando questo parla dei suoi nemici.»
Severo non poté che convenire. Nel frattempo al tavolo veniva servito un trancio di tonno condito con olio e aceto di glassa scura. Come contorno era stato disposto un cerchio di gamberetti in salamoia, velati di pepe e spruzzati con succo di limone. Mentre il Conte si serviva, rivolse una domanda al suo futuro genero.
«Vi piace la caccia, signor Belgi?»
«Certo, mio signore» rispose, servendosi a sua volta «in Ghermandia ho accompagnato il Kaiser in persona nella caccia ai lupi della Steppa orientale.» Uno sguardo venne da Mowan, rimasta taciturna per tutto il corso del pranzo, ma solo Miranda sembrò notarlo
Nel sentire la risposta del Belgi il Conte esibì un ghigno.
«Non cacceremo lupi, Belgi, ma cinghiatauri.»
Per la prima volta il mercante parve esser stato preso alla sprovvista, ma ‘Bastiano non esitò a chiarire i suoi evidenti dubbi.
«Sono come cinghiali, amico mio» aveva una faccia divertita «ma due volte più grossi e tre volte più pericolosi.»
Vittorio Belgi mugugnò un assenso e la sua schiena si spallò alla sedia. Una fila di denti bianchi si aprì fra le sue labbra.
«Sono impaziente di vederne uno dal vivo!»
«Oh, ma lo vedrete, spero non troppo da vicino o dovrete fare a meno delle vostre gambe.» Lo stuzzicò il Conte.
«Andiamo Padre, non inquietate il nostro ospite.» Lo bacchettò Miranda. «Non temete, mio caro, le guardie che vi accompagneranno sono bene addestrate e i cani da caccia vi terranno al sicuro, non correte alcun pericolo.»
«Siete dolce a preoccuparvi.» Replicò il mercante, toccandole un attimo la mano.
Era morbida e asciutta. Calda al tatto, avrebbe potuto stringerla per una vita intera quella mano e se ne sarebbe sentita protetta. Ma dopo pochi secondi la sfilò via con gentilezza e si riempì il piatto. Con la forchetta immerse un gamberetto nell’aceto e nella glassa, lo portò alla bocca e il sapore che sentì le diede voglia di vuotare la sua porzione in fretta e furia, ma “Una signorina deve mantenere i suoi modi, che figura ci farei ad apparire ingorda?”.
Il pranzo continuò fra vivaci conversazioni e le prelibatezze offerte delle cucine del Castello: ai piatti a base di pesce seguirono polpette di cervo in salsa di zucca, con contorno di pancetta tagliata a cubetti; fette di manzo bagnate in acqua di cipolla rossa e funghi fritti; frutta fresca di Valspurga. Miranda adorò come i sughetti della carne le scivolassero nella bocca ad ogni morso e il retrogusto intenso della selvaggina, stemperato appena dalla dolcezza della zucca. La frutta non l’aveva mai gradita troppo, ma ne mangiò a sufficienza per rinfrescarsi la bocca in attesa del dolce.
Un dessert di sfoglie infarcite con crema e cioccolato fuso, che pareva sciogliersi sulla lingua non appena lo si prendeva dalla forchetta. I cuochi di Castel Cangramo stavano dando il loro meglio quel giorno.

Per finire, venne portato un piatto di noci, arachidi e nocciole già snocciolate, accompagnata da una tazzina di liquore scuro, a base di erbe. Persino al giovane Arturo fu concesso di berne un sorso dal suo bicchiere.
 
«Spero il pranzo vi sia stato gradito, signor Belgi.» Disse il Conte, pulendosi la bocca con un tovagliolo di stoffa.
«Raramente ho mangiato così di gusto, mio signore.» Rispose lui, con soddisfazione.
«Bene, immagino vogliate fare un giro per il Castello mentre io accomodo il necessario per la caccia. Sarà la mia dolce Miranda ad accompagnarvi.»
La ragazza sorrise, la pelle che avvampava un poco.
«Non posso immaginare una compagnia più gradita.» Accennò un inchino e porse il braccio alla ragazza, che vi si appoggiò leggera come una piuma.
Mowan, vedendoli avviarsi fuori dalla sala da pranzo, fece per seguirli, ma un’occhiata della sua compagna bastò per farla rimanere lì dov’era, con le mani giunte dinanzi al bacino.

Si inoltrarono attraverso il primo piano, lasciandosi alle spalle i servi intenti a togliere di mezzo le stoviglie e ripulire l’intera stanza. Doveva mostrargli il castello, eppure tutto ciò a cui riusciva a pensare era il fatto che fossero da soli, senza gli occhi del Conte addosso, o quelli della scorta di Pretoriani, al momento intenti a consumare il proprio pasto insieme con le guardie di suo padre.
«Avete vissuto una vita avventurosa, signor Belgi.»
«Chiamami pure Vittorio, mia dolce Miranda.»
Lei sentì le guance colorirsi.
«E sì, ho veduto molte delle cose che sono al mondo, ma so’ di aver soltanto grattato la superficie» Sorrise lui.
«‘Vittorio’, di sicuro avete veduto più di quanto vedrò mai io, che sono una donna» un velo di malinconia increspò le sue labbra «chiusa fra queste quattro mura».
Lui fermò il passo, e impresse il suo sguardo luminoso dentro i suoi occhi verdi.
«Mia cara, avete solo quattordici anni. C’è ancora molto tempo per vedere il mondo e le meraviglie che riserva.» La voce era gentile, premurosa al pari di quella di una madre.
«Ma ditemi, Vittorio, per quale motivo non avete mai accettato di sposarvi?»
Lui rimase un attimo interdetto, con gli occhi sbarrati e le labbra nascoste sotto i denti.
«Mio padre mi ha parlato di voi, sapete…»
Vittorio dissimulò la sorpresa con un diniego del capo.
«Vostro padre non si sbagliava. Ho incontrato donne di illustri natali, che più di una volta hanno chiesto la mia mano»
«Erano forse brutte?» Chiese lei, rimanendo cortese, ma con un pizzicore alla bocca dello stomaco.
«No, erano molto belle in realtà» disse lui, ammiccando «anche se mai belle quanto lo siete voi.»
Alla ragazza sfuggì un risolino. Dopo quella breve pausa ripresero insieme a camminare.
«Allora perché avete rifiutato ogni proposta?» Tornò a chiedere.
«Ebbene, perché avrebbero fatto di me un uomo con radici fin troppo legate alla terra, ed io, sapete, ho l’anima del viaggiatore.
«Dunque quando mio padre vi ha proposto la mia mano cosa c’era di diverso?»
“Forse sto esagerando con tutte queste domande, ma io devo sapere… voglio sapere!” si disse, abbassando un poco lo sguardo al pavimento di roccia levigata.
«Anche i Cangramo hanno radici profonde nella terra. La nostra famiglia è antica quanto e più di molte altre» aggiunse ancora Miranda.
«Questo è vero, mia dolce lady.» Ammise lui. «Ma le vostre radici si insinuano anche nel mare.»  I passi li avevano condotti ad una finestra che dava verso ovest, dove si estendeva la Selva, con il suo brulicante verde. C’era anche il Monsiderio che si intuiva pallido e monolitico in lontananza. «La vostra famiglia è differente dalle tante altre nobili casate di Clitalia: la ricchezza che possedete ve la siete conquistata all’ombra di una vela, come faccio anch’io. O sul filo della spada. Vostro padre ha viaggiato molto, conosce il mondo più di quanto lo conosco io, e so che può capirmi. So che potrà capirmi, quando io gli domanderò di partire in viaggio insieme con voi, una volta che saremo marito e moglie»
Le prese il viso tra le mani con un’attenta tenerezza. I denti erano bianchi come i cristalli di neve. Gli occhi mandavano barbagli di luce, infiammati dai suoi sogni.
«Ti mostrerò terre lontane, dipinte di colori che l’occhio umano può immaginare a stento. Sentirai l’odore di spezie sconosciute e profumi antichi, profumi lontani. Sfiorerai seta soffice come la carne di una nuvola e potrai specchiarti in gioielli il cui bagliore rivaleggia con il sole stesso. E tutto questo sarà per te» le palpebre ricaddero ad assottigliargli lo sguardo, attizzarne la fiamma «per noi!»

Fu allora che lui la baciò. Era la prima volta che un uomo la baciava. Lo conosceva solo per quello che suo padre aveva raccontato di lui, si poteva dire che non lo conoscesse affatto, ma le piacque comunque la sensazione. Si era chiesta spesso come una lingua andasse mossa in simili occasioni, ma tutto le venne inaspettatamente naturale quando fu il momento. Una voce dentro di lei le suggerì di chiudere gli occhi e lei lo fece senza esitare.
L’odore della pelle del Begli sembrò risvegliarsi in quel preciso momento e prendere a danzare in cerchio intorno a lei, turbinando di tutte le sue fragranze: sapeva di limoni d’estate; sapeva di mare, ma non quel mare maleodorante che si portano addosso i pescatori, no, sapeva di quel mare che la brezza ti fa assaggiare quando il grande blu lo vedi baluginare ai raggi del sole; sapeva di fiori variopinti d’oriente, qualunque profumo avessero simili fiori, lui ce lo aveva addosso, lui ce l’aveva dentro. Nella sua bocca avvertiva il sapore di erbe, non ancora fattosi stantio nell’alito.
Fu un bacio lungo, di quelli che rizzano i peli sul braccio. Fu un bacio umido, di quelli che fan sorridere una volta che ci si stacca. E lei sorrideva, sentendosi stupida e felice in egual misura. Gli teneva la mano, volle stringerla un po’ più forte prima di lasciarla andare, allontanandosi con il vestito che le ondeggiava lungo le gambe, accompagnando i passi. E lo sguardo che in tralice spiccava indietro, con un sorrisetto da bambina a sollevarle le gote.



NdA: Hola, sì, lo so che dovrei aspettare la domenica per aggiornare  ma la verità è che ho appena finito la stesura del capitolo IX e volevo festeggiare in qualche modo. Capitolo tranquillo e leggero quest'oggi, con un romanticismo un po' più classico del solito e tanto, tanto cibo (personalmente rileggendolo mi è venuta fame. Spero vi piaccia!
   
 
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