Non
importa quanto sono lunghe le tue gambe, se scappi io ti
seguirò
Sabato
pomeriggio significava finalmente un po’ di riposo. Gli
allenamenti settimanali
erano conclusi e la domenica Tsukishima poteva concedersi
un’intera giornata
senza dover uscire di casa, libero di studiare, leggere e ascoltare
musica come
invece non poteva fare il resto della settimana. Il programma di quella
sera
era cenare, fare un bagno, infilarsi a letto e dormire almeno dodici
ore.
Il
paradiso per uno come lui.
Peccato
che il destino avesse deciso di mettergli i bastoni tra le ruote.
“Ehi
Tsukki, quello là non è Kuroo? Che ci fa
qui?”
La
voce di Yamaguchi lo riportò bruscamente alla
realtà e fu con profonda
irritazione che constatò la veridicità di quelle
parole; d’altronde quegli
assurdi capelli neri a forma di cresta erano inconfondibili anche da
lontano.
“Tch…”
sbuffò e, senza dire una parola, accelerò il
passo. Oltrepassò i cancelli della
scuola e continuò a camminare imperterrito, ignorando la
voce del ragazzo di
Tokyo che lo chiamava.
“Non
dovresti rispondergli?” gli suggerì timidamente
Tadashi.
“No”
rispose lui, lapidario, mettendosi le cuffie per escludere qualsiasi
tipo di
conversazione, persino con l’amico d’infanzia. Si
salutarono al solito incrocio
e lui continuò a camminare, senza girarsi indietro per
controllare, ma non ne
aveva bisogno: vedeva davanti a sé l’ombra del suo
inseguitore.
Solo
quando arrivò davanti al cancelletto di casa si
fermò, rimise le cuffie attorno
al collo e si voltò a fissare il suo sgradito quanto
imprevisto ospite.
“Che
ci fai qui?”
Kuroo
valutò la sua aria impassibile, persino gelida, e il tono
impersonale con cui
aveva parlato. Trattenne un sospiro e cercò di non lasciarsi
abbattere.
“Per
vederti.”
“Bene,
mi hai visto, abbiamo persino parlato, ora puoi tornartene a
Tokyo.”
“Tsukki,
non dirai sul serio! Ho persino saltato gli allenamenti per venire qui
oggi
pomeriggio!” esclamò Kuroo scandalizzato, tanta
indifferenza era un record
persino per lui.
“Non
mi sembra di avertelo chiesto, è stata una tua decisione
autonoma e quindi devi
assumertene le conseguenze.”
Il
ragazzo di Tokyo puntellò una mano contro il fianco, mentre
con l’altra si
scostava il ciuffo scuro che gli copriva sempre l’occhio
destro e lo fissò in
silenzio. Sapeva che non sarebbe stato facile, quella volta Tsukishima
gliel’avrebbe fatta pagare cara, ma tutta quella freddezza
destabilizzava
persino lui che credeva di essercisi ormai abituato.
“Sì,
e proprio perché intendo assumermi le mie
responsabilità che sono qui. Sarei
venuto anche prima, se solo avessi potuto muovermi. Parliamo, ascolta
ciò che ho
da dirti e poi me ne andrò. C’è un
altro shinkansen stasera alle dieci, se vuoi
lo prenderò e non ti darò più
disturbo, ma almeno ascoltami.”
Kei
guardò quel ragazzo che si era fatto più di
quattrocento chilometri per vederlo
e sorbirsi le sue risposte acide. Osservò la sua postura
solo apparentemente
spavalda, in realtà vedeva che sotto la patina di sicurezza
Kuroo era nervoso;
ormai era piuttosto bravo a leggere le persone, non per niente le sue
capacità
a muro miglioravano ogni giorno che passava. Una parte di sé
si domandò persino
se non avesse esagerato, ma fu lesto a zittirla e vi parlò
sopra in modo da non
darle modo di riprendere a insinuare ipotesi assurde:
“Ok,
dimmi quello che devi dire e poi vattene.”
Kuroo
fece una smorfia con le labbra, per poi guardarsi teatralmente intorno,
salutando persino una bambina che, attaccata alle gonne della mamma, lo
fissava
incuriosita.
Tsukishima
sospirò e si aggiustò gli occhiali, arrendendosi
di fronte all’evidenza: non
potevano discuterne per strada, specialmente perché era
certo che
quell’invadente avrebbe tirato fuori argomenti inopportuni.
Ci mancava solo che
quell’impicciona della vicina, la signora Shimizu, si
mettesse a origliare;
avrebbe potuto presentarsi alle olimpiadi di orecchie lunghe. Quando
sua madre
stendeva i panni fuori era matematicamente certo che lei sarebbe stata
al di là
della staccionata; d’estate, con le finestre aperte, sapeva
persino cosa
mangiassero a ogni pasto o quale bagnoschiuma preferisse Tsukishima.
Una volta
aveva detto alla madre di comprarglielo perché lo aveva
finito, lei se ne era
scordata e il ragazzo poco dopo era andato ad aprire la porta,
ritrovandosi la
vicina con in mano proprio quello specifico bagnoschiuma, sostenendo di
aver
esagerato con le scorte e di non sapere che farsene.
No,
decisamente non poteva mettersi a discutere con Kuroo per strada.
Rassegnato,
aprì il cancelletto e poi la porta di casa senza dire una
parola. Si tolse le
scarpe all’ingresso e si mise le ciabatte, fornendone un paio
anche all’ospite
che avanzò a passi lenti, osservando ogni angolo della sua
abitazione. Non era
la prima volta che metteva piede in casa sua, ma rimaneva ancora
genuinamente
curioso di vedere il luogo in cui il suo Tsukki
viveva, sempre che potesse ancora definirlo così.
“I
tuoi genitori?” domandò, notando il silenzio.
“Sono
fuori per il fine settimana, Akiteru sta traslocando e gli serviva una
mano
anche per alcuni lavoretti nel nuovo appartamento.”
Fu
solo quando sentì il tono strascicato e cantilenante con cui
Kuroo disse “Ooooh,
caaapisco…” che comprese di aver fatto una
cavolata gigantesca rivelandogli di
essere praticamente solo, vicina impicciona a parte, ma nemmeno lei
riusciva a
sconfiggere le tende davanti alle finestre, il suo acerrimo nemico.
Tossicchiò,
cercando di apparire disinvolto, e si diresse verso la cucina senza
degnarlo di
uno sguardo, mentre l’altro pareva prendere le misure di ogni
cosa per il modo
sfacciato con cui osservava l’ambiente. Sempre più
irritato, Tsukishima si
tolse la giacca, posandola su una sedia e rimanendo in maglione color
panna,
per poi mettersi a preparare il the. Anche se voleva cacciare
quell’intruso, le
buone maniere e l’educazione ricevuta erano più
forti e poi, in fondo, dopo un
buon the sarebbe stato ancora più soddisfacente buttarlo
fuori.
Kuroo
intanto si era seduto al tavolo quadrato e lo osservava in silenzio, ma
quando
Kei gli mise davanti una tazza piena disse:
“Lo
sai che è la prima volta che ti vedo con
l’uniforme? Come è anche la prima
volta che ti vedo fare qualcosa di tanto semplice e quotidiano come
preparare
il the – gli fece quel suo sorriso largo, ammiccante
– mi piace.”
Tsukishima
rimase interdetto e l’unica cosa che riuscì a fare
fu sbuffare un ennesimo
“Tch” e sederglisi di fronte, giustificando il
lieve rossore sulle guance col
vapore dell’acqua bollente. Si aggiustò di nuovo
gli occhiali e fissò la
superficie calma della sua tazza, cercando di trarne forza
perché era sempre
più difficile tenere su il muro e respingere tutti quegli
attacchi. Le sue
gambe allungate sotto il tavolo finirono poi per intrecciarsi con
quelle di
Tetsurou, provò a tirarle indietro, ma era inutile: entrambi
erano molto alti
ed era impossibile non entrare in contatto in quello spazio limitato.
“Magari
avrei dovuto mettere anch’io l’uniforme, forse ti
sarebbe piaciuto vedermici
invece che con la solita divisa del club o con degli abiti
normali” lo stuzzicò
Kuroo per cercare di strappargli qualche reazione oltre al suo tipico
sbuffo
irritato. “Magari la prossima volta che vieni a Tokyo
anch’io ti preparerò il
the.”
Tsukishima
posò la tazza e incrociò le mani davanti a
sé, ben poggiate sul tavolo. Lo
fulminò con lo sguardo e parve fare uno sforzo per mantenere
tutta quella
calma, ma la sua voce sembrava normale, solo appena più
acuta del solito:
“L’unica
cosa che al momento mi piacerebbe, sarebbe saperti su quel maledetto
treno. E
non vedo proprio perché dovrei tornare a Tokyo, ne ho avuto
abbastanza di
quella città.”
Kuroo
sbatté con forza le mani sul ripiano, tanto da rischiare di
rovesciare le tazze,
e si mise addirittura in piedi, chinando il busto sopra il tavolo per
avvicinarsi a Kei.
“Assolutamente
no! Sei venuto solo due volte a trovarmi, ripartendo in giornata senza
nemmeno
fermarti a dormire, non hai ancora visto niente!
C’è…
c’è… sì,
c’è ancora il
museo nazionale da visitare, e poi Akasuka, perfetta per uno allergico
alla
gente come te, Akihabara ti piacerà con tutti i suoi negozi
di elettronica e
poi c’è ancora così tanto! Non puoi
dire di averne avuto abbastanza!”
Tsukishima
rimase sorpreso da quella reazione energica e inattesa: Kuroo era
sempre
pacato, pungente e ciarliero solo quando serviva, esperto tanto nel
saltare al
momento giusto a muro in campo, quanto nel parlare nel momento adatto
al di
fuori.
“Va…
va bene” mormorò Kei di rimando, fissandolo
sedersi e passarsi ancora le mani
tra quei capelli assurdi che tornarono nella stessa posizione di prima.
“Si
può sapere perché ti sei arrabbiato
così tanto da rifiutare ogni mia chiamata
in queste due settimane?” domandò Kuroo, tirando
finalmente fuori il motivo per
cui era lì, era ora di smetterla di girarci attorno.
Tsukishima
riguadagnò la sua compostezza dopo
quell’inaspettata esplosione da parte del
ragazzo e, col suo tono tagliente, replicò:
“Hai
persino il coraggio di chiederlo, gattaccio malefico?”
“Sì,
perché è evidente che quello che ho fatto ti ha
dato fastidio, ma non capisco
cosa. In fondo era una cosa normalissima, sei tu che hai
esagerato.”
Tetsurou
pareva aver riguadagnato la solita compostezza e lo osservava col suo
sguardo
attento, felino, mentre le gambe sotto al tavolo erano ormai diventata
una
selva intricata di tibie, peroni, caviglie e ginocchia. Kei provava in
tutti i
modi a liberarsi, avrebbe dovuto essere facile dato che le sue gambe
erano
sottili, coi muscoli allungati e nient’affatto gonfi, eppure
pareva che quelle
decisamente più muscolose di Kuroo non avessero alcuna
intenzione di rendergli
le cose semplici, di interrompere quello che a conti fatti era il loro
unico
punto di contatto.
Così,
mentre sotto il tavolo si combatteva una lotta continua, al di sopra i
busti
erano immobili, così come le loro facce, le emozioni e le
intenzioni.
“Esagerato?
Io? – sibilò Tsukishima, rabbuiandosi –
Sei tu che sei fuori di testa, ti
devono essere arrivate un po’ troppe pallonate
addosso.”
La
caviglia destra era quasi libera, ma ecco che un piede di Kuroo la
ritirava di
nuovo nel campo di battaglia, affatto intenzionato a dargliela vinta o
a
cedere. Allo stesso modo replicò alle sue parole:
“Sicuro
invece di non essere troppo represso tu, invece? – lo
stuzzicò – Avanti, dimmi:
cosa c’era di così mortale in quello che ti ho
mandato?”
A
quel punto Kei abbandonò del tutto la sua facciata di
impassibilità, smise
addirittura di lottare sotto al tavolo per esclamare:
“Cosa
c’era? Cosa c’era? Ma dico: si possono mai mandare
foto del genere?! Eri nudo!
Completamente nudo e… e con il…”
Le
sue guance erano rosse e non sapeva se per lo sforzo insolito o per
l’imbarazzo
nel ricordare quella foto assolutamente indecente. Una sera stava
tranquillamente
messaggiando con Kuroo, quando aveva ricevuto quella foto in cui il
ragazzo era
nudo, sul letto, con l’erezione in bella vista. Aveva creduto
seriamente di
stare per avere un ictus e solo per poco non aveva lanciato per aria il
telefono.
Non
gli aveva più risposto, né aveva voluto
richiamarlo, e adesso invece se lo
ritrovava faccia a faccia nella propria cucina, con l’aria
più serafica del
mondo.
“Eh,
quindi? Ti avevo scritto che avevo voglia di vederti e ti stavo
pensando, no?
Quello era solo il risultato.”
Tetsurou
appoggiò il gomito sullo schienale della sedia, in una posa
rilassata,
completamente a proprio agio con le gambe di Tsukishima intrappolate
tra le
proprie. Era venuto sin lì per una risposta e non se ne
sarebbe andato senza,
non aveva intenzione di cedere, farlo una sola volta con quel
quattr’occhi
avrebbe decretato la fine di ogni cosa. Doveva continuamente cercarlo,
stimolarlo, stuzzicarlo per fargli abbandonare quel comodo guscio di
apatia in
cui si rifugiava. A qualcuno sarebbe potuto apparire stancante, ma non
a lui,
non a Kuroo che amava le sfide e amava ancora di più quando
Kei, pieno di
riluttanza fino ai capelli, si lasciava andare. Cercava ancora di
fingere che
non gli interessasse, ma le sue braccia si stringevano sempre con forza
attorno
alle sue spalle e i baci, come le carezze, non erano a senso unico.
L’unico
grande problema era la distanza, per Kuroo non ne esisteva
nessun’altro, perché
qualsiasi muro Tsukishima avesse messo su, lui lo avrebbe smantellato,
insinuandosi nella sua difesa; non poteva vincere contro chi gli aveva
insegnato tutto. E adesso vedeva proprio una bella breccia nel viso
arrossato
di Kei, che continuava ad aggiustarsi freneticamente gli occhiali
nonostante
non ce ne fosse alcun bisogno.
“In
fondo non era niente che tu non avessi già visto, no
Tsukki?” lo incalzò ancora
Kuroo, quello era il momento di colpire con più forza per
far passare la palla
e mettere a segno il punto.
Il
ragazzo biondo distolse lo sguardo, la sua scorta inesauribile di
battute al
vetriolo, di occhiate superiori e indifferenza pareva essersi
prosciugata e la
sua mente si dibatteva come un pesce nel retino, ancora deciso a
combattere
anche se intrappolato.
“Non
vuol dire nulla” disse, ignorando il sopracciglio di Tetsurou
che si sollevava,
incredulo, e continuò “Non ti ho chiesto niente
del genere, non lo volevo… come
avresti reagito tu, se ti fosse arrivata una foto del genere?”
Kuroo
sorrise, quel sorriso grande pieno di denti, estremamente soddisfatto
per la
piega della conversazione, perché Tsukishima ancora non se
ne rendeva conto, ma
aveva ormai perso.
“Se
fosse stata una tua foto io ne sarei stato immensamente felice, Tsukki.
Sai, è
dura dover ricorrere ogni volta ai ricordi, specialmente se sono
vecchi, mi
piacerebbe quindi moltissimo avere una tua foto nudo per potermi
masturbare
ogni volta che vorrei che fossi invece tu a farlo.”
A
quella confessione tanto diretta e sfacciata Kei non poté
più resistere, sfilò
con forza le gambe dalla prigione di carne e ossa e si alzò
in piedi, con la
faccia più indignata che riuscì a mettere su.
“Come
ti permetti…” iniziò, ma venne bloccato
da Kuroo che lo aveva raggiunto con una
rapidità sorprendente, spingendolo contro il ripiano della
cucina.
Tsukishima
era solo un paio centimetri più alto, ma Tetsurou era
decisamente più grosso,
le spalle erano più larghe e le braccia muscolose, quindi
non aveva alcun
problema a tenerlo fermo. Il grosso gatto nero che aveva messo
all’angolo
l’uccellino tutto piume e ossa.
In
realtà in quel momento non stava usando la forza,
né gli interessava fare uno
scontro di quel tipo, stava semplicemente appoggiato contro Kei e lo
guardava
negli occhi, con l’espressione seria, sebbene quel piccolo
luccichio divertito
non abbandonasse mai il suo sguardo.
I
loro visi erano vicini e a Kuroo pareva quasi di sentire il profumo del
docciaschiuma usato da Kei dopo gli allenamenti, poteva odorare le sue
paure,
le ritrosie e la naturale inclinazione a isolarsi e respingere tutti,
ma ci
avrebbe pensato lui a intrufolarsi e farsi largo.
“Tsukki…
– cantilenò ogni sillaba del suo nomignolo
– perché ogni volta dobbiamo
ricominciare tutto daccapo? Abitiamo già lontani, ci vediamo
raramente e il
poco tempo che passiamo assieme non ho voglia di sprecarlo a fare finta
che non
ci interessiamo. Te l’ho già detto: tu mi piaci e
sono maledettamente serio.
Anch’io ti piaccio, altrimenti non mi avresti mai dato il tuo
numero di
telefono, non mi avresti permesso di baciarti, non saremmo mai finiti
nudi,
nello stesso letto, a masturbarci fino all’ultimo momento
disponibile.”
Sospirò
piano e gli sorrise mentre era lui quella volta a spingere gli occhiali
più in
su sul naso. Vedeva chiaramente la lotta all’interno di quel
ragazzo a cui non
voleva rinunciare, un combattimento tra la sua razionalità
estrema e
l’illogicità dei sentimenti; poteva comprendere
quanto fosse difficile per un
tipo come lui, per quello aggiunse “Ammetto di aver
esagerato, non avrei dovuto
mandarti quella foto senza chiederti il permesso, ma non intendevo
offenderti o
mancarti di rispetto. Semplicemente mi mancavi, Tsukki. È
tanto difficile da
credere?”
Il
ragazzo aveva lo sguardo puntato verso il basso, il collo lungo
leggermente
inclinato di lato, ma non aveva perso una sola parola di quanto detto.
“No
– si decise a rispondere alla fine – non
è difficile da credere.”
Perché
a volte accadeva anche a lui di provare insoddisfazione per quella
situazione,
per i lunghi scambi di messaggi o per le telefonate che sembravano non
bastare.
E gli dava fastidio, gli dava così maledettamente fastidio
rendersi conto di
non essere più autosufficiente, di non bastarsi
più.
Così,
inconsciamente, appena aveva visto una via d’uscita ci si era
infilato,
dicendosi che il comportamento di Kuroo era deplorevole, assolutamente
inadatto. Eppure quello stesso Kuroo era andato da lui, senza alcuna
certezza
di venire ascoltato, solo la speranza, e aveva detto le sue
verità ad alta
voce, senza tirarsi indietro.
In
quel momento la sua logica ferrea gli impediva di fuggire e di non
riconoscere
quello che provava nei suoi confronti: Tetsurou gli piaceva, altrimenti
non gli
avrebbe mai permesso di avvicinarsi così tanto.
Alzò
lo sguardo e trovò quel solito mezzo sorriso e gli occhi
nocciola dalle iridi
piccole che lo fissavano soddisfatti, placidi e assolutamente irritanti.
“Smettila”
sbuffò.
“Cosa?
Di essere felice? Non credo sia possibile” ribatté
avvicinando di più il viso,
ma decidendo di non andare oltre. Doveva essere Tsukishima a colmare
quella
breve distanza, anche lui doveva fare un piccolo passo verso di lui.
Kei
lo guardò, incerto, indeciso anche se la sua mente logica
gli suggeriva il naturale
passo successivo da fare; era evidente, logico, no?
Così
il centrale della Karasuno si spinse in avanti per posare le sue labbra
su
quelle dell’avversario, ma non ci fu nessuna lotta, nessuna
guerra, nessun
attacco e nessun bisogno di alzare un muro. Ci fu solo un bacio, lento,
accorto, scandito dai loro respiri e dalle mani che si andavano a
cercare per
intrecciarsi le une con le altre.
Kuroo
si allontanò di poco, con un sorriso completo, felice anche
perché Tsukishima
aveva ripreso a guardarlo in faccia, probabilmente sulla strada giusta
per
accettare del tutto i sentimenti che provava.
“La
prossima volta che vieni a Tokyo devi fermarti a dormire e ti
porterò in un
sacco di posti, ti piaceranno.”
E ti
piacerà anche
tutto il resto, perché ho intenzione di vederti di nuovo
nudo, voglio
imprimerti per bene nella mia memoria e forse,
chissà… non ci limiteremo a
toccarci, Tsukki. Non hai la minima idea di quanto ti voglia.
Kei
allontanò ulteriormente il viso, osservando un po’
incerto quel sorriso che era
diventato un ghigno ammiccante, ma non vi badò troppo, in
fondo era un marchio
di fabbrica del capitano della Nekoma.
“Ci
conto allora” si limitò a rispondere
perché ormai era inutile negare: lo
sapevano tutti e due che sarebbe tornato a Tokyo una terza volta, una
quarta e
poi ancora.
“Fidati
di me” disse Kuroo e non badò
all’espressione poco convinta che Tsukishima
sfoggiò, bensì gli diede un bacio veloce per poi
fare qualche passo indietro.
Sapeva
bene quanto Kei fosse più rigido di lui, più
giovane, poco avvezzo a gestire
certi tipi di sentimenti e relazioni, già il fatto che
riconoscesse l’interesse
nei suoi confronti era un passo da gigante. Per questo Tetsurou non
aveva mai
affrettato le cose, non lo aveva mai spinto oltre il punto di rottura,
rispettando i suoi tempi. Certo, rimaneva il passo falso della foto, ma
non era
mica perfetto, di sbagli ne commetteva eccome!
“Mi
accompagni in stazione? Tra un’ora e mezza parte il treno e
io devo ancora fare
il biglietto” propose.
“Assolutamente
no, non ne ho alcuna voglia” rispose Kei, freddo e
apparentemente inamovibile
da quella decisione.
Kuroo
spalancò la bocca, si portò le mani tra i capelli
e pareva essere rimasto a
corto di parole per la mostruosa insensibilità di quello che
avrebbe dovuto
essere il suo fidanzato, che solo fino a pochi minuti prima era rosso
come un
peperone. Non c’era che dire: aveva un enorme
capacità di ripresa. Tuttavia non
riuscì a mettere in parole il suo sdegno perché
Tsukishima lo prevenne:
“Sei
arrivato qui senza alcun preavviso, hai mandato all’aria i
miei programmi e non
intendo scombinarli ulteriormente. Devo cenare, fare il bagno e poi
andare a
dormire – gli lanciò un’occhiata prima
di voltarsi verso il frigo – se ti va,
ti accompagno domani pomeriggio. Se hai fretta di tornartene a Tokyo,
vai pure;
non ti trattengo.”
Kuroo
rimase ancora a bocca aperta per qualche istante, sbalordito dal modo
in cui quell’iceberg
biondo riusciva a mascherare un invito a fermarsi a dormire da lui con
tutta
quella patina di apparente freddo disinteresse. Non c’era che
dire: Kuroo aveva
trovato proprio una bella gatta da pelare.
Il
capitano della Nekoma ridacchiò, divertito, e poi si
lanciò ad abbracciare
l’altro, strofinando viso e capelli nel suo maglione chiaro.
“Facciamo
il bagno insieme, Tsukki?”
“Eh?
Cosa? No, scordatelo! Tu dormi sul divano… anzi, no, sul
tappetino fuori.”
“Tsukki,
sei cattivissimo!” si lagnò senza alcuna
intenzione di lasciarlo andare.
“Hai
ancora tutte e due le mani e dieci dita, quindi direi che sono fin
troppo
buono!”
Kuroo
lo fece voltare e lo guardò con la sua espressione sorniona,
con il viso sempre
troppo vicino, incurante degli spazi personali altrui.
“Sbagliato,
quello è per un tuo personale interesse: altrimenti come
farei a toccarti?”
Non
gli diede tempo di rispondere perché lo baciò di
nuovo, felice, deciso a non
fargli dire più alcuna parola per quella notte. Avrebbe
fatto giusto
un’eccezione se avesse invocato il suo nome, ma forse per
quello era ancora un
po’ presto: doveva ancora lavorare parecchio sul suo
scostante, freddo e
cocciuto fidanzato.
L’angolino
oscuro:
Kuroo, Kuroo, ma che combini? Non concordo con la versione che lo vede
tipo God
of sex, anche se a dire la verità l’ho ritrovata
soprattutto nel fandom
inglese, più che in quello italiano. Kuroo è
semplicemente un diciottenne
studioso, un po’ nerd, capace di essere serio quanto di
lanciarsi in
stupidaggini soprattutto assieme a Bokuto. Ha tutti gli ormoni al posto
giusto,
è un po’ sfacciato e sicuramente più
spigliato di Tsukishima (non che ci voglia
molto) quindi arrivati a un certo punto della relazione mi sembra anche
normale
manifestare desiderio sessuale. Da qui a renderlo capace di farti avere
un
orgasmo con uno sguardo c’è un bel po’
di differenza XD
Tsukki,
lui sta ancora cercando di dibattersi nel mare di sensazioni nuove e
scomode
che prova, tant’è che appena trova uno spiraglio
logico a cui aggrapparsi per
tirarsene fuori lo fa, però Kuroo non gli lascia scampo e lo
costringe ad essere
onesto. Che adorabile coppia di idioti che sono <3
Spero che anche questa shot vi sia piaciuta, non so se
riuscirò ad aggiornare di nuovo la raccolta prima di Natale,
ma ce la metterò tutta per farvi una sorpresa, alla prossima!