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Autore: Sunako_7    13/12/2017    2 recensioni
Una raccolta di flash-fic e one-shot per raccontare momenti, avventure e problemi di questi due giovani ragazzi alle prese con una relazione a distanza. KuroTsukki
#1 - One touch: perché saper murare è un'arte
#2 - Our hands (1): le mani sono importanti
#3 - Our hands (2)
#4 - Our hands (3)
#5 - I think what you think: non siamo poi così lontani
#6 - Our hands (4)
#7 - Non importa quanto sono lunghe le tue gambe, se scappi io ti seguirò
#8 - Just this time
#9 - On my own
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kei Tsukishima, Tetsurou Kuroo
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non importa quanto sono lunghe le tue gambe, se scappi io ti seguirò

 

Sabato pomeriggio significava finalmente un po’ di riposo. Gli allenamenti settimanali erano conclusi e la domenica Tsukishima poteva concedersi un’intera giornata senza dover uscire di casa, libero di studiare, leggere e ascoltare musica come invece non poteva fare il resto della settimana. Il programma di quella sera era cenare, fare un bagno, infilarsi a letto e dormire almeno dodici ore.
Il paradiso per uno come lui.
Peccato che il destino avesse deciso di mettergli i bastoni tra le ruote.
“Ehi Tsukki, quello là non è Kuroo? Che ci fa qui?”
La voce di Yamaguchi lo riportò bruscamente alla realtà e fu con profonda irritazione che constatò la veridicità di quelle parole; d’altronde quegli assurdi capelli neri a forma di cresta erano inconfondibili anche da lontano.
“Tch…” sbuffò e, senza dire una parola, accelerò il passo. Oltrepassò i cancelli della scuola e continuò a camminare imperterrito, ignorando la voce del ragazzo di Tokyo che lo chiamava.
“Non dovresti rispondergli?” gli suggerì timidamente Tadashi.
“No” rispose lui, lapidario, mettendosi le cuffie per escludere qualsiasi tipo di conversazione, persino con l’amico d’infanzia. Si salutarono al solito incrocio e lui continuò a camminare, senza girarsi indietro per controllare, ma non ne aveva bisogno: vedeva davanti a sé l’ombra del suo inseguitore.
Solo quando arrivò davanti al cancelletto di casa si fermò, rimise le cuffie attorno al collo e si voltò a fissare il suo sgradito quanto imprevisto ospite.
“Che ci fai qui?”
Kuroo valutò la sua aria impassibile, persino gelida, e il tono impersonale con cui aveva parlato. Trattenne un sospiro e cercò di non lasciarsi abbattere.
“Per vederti.”
“Bene, mi hai visto, abbiamo persino parlato, ora puoi tornartene a Tokyo.”
“Tsukki, non dirai sul serio! Ho persino saltato gli allenamenti per venire qui oggi pomeriggio!” esclamò Kuroo scandalizzato, tanta indifferenza era un record persino per lui.
“Non mi sembra di avertelo chiesto, è stata una tua decisione autonoma e quindi devi assumertene le conseguenze.”
Il ragazzo di Tokyo puntellò una mano contro il fianco, mentre con l’altra si scostava il ciuffo scuro che gli copriva sempre l’occhio destro e lo fissò in silenzio. Sapeva che non sarebbe stato facile, quella volta Tsukishima gliel’avrebbe fatta pagare cara, ma tutta quella freddezza destabilizzava persino lui che credeva di essercisi ormai abituato.
“Sì, e proprio perché intendo assumermi le mie responsabilità che sono qui. Sarei venuto anche prima, se solo avessi potuto muovermi. Parliamo, ascolta ciò che ho da dirti e poi me ne andrò. C’è un altro shinkansen stasera alle dieci, se vuoi lo prenderò e non ti darò più disturbo, ma almeno ascoltami.”
Kei guardò quel ragazzo che si era fatto più di quattrocento chilometri per vederlo e sorbirsi le sue risposte acide. Osservò la sua postura solo apparentemente spavalda, in realtà vedeva che sotto la patina di sicurezza Kuroo era nervoso; ormai era piuttosto bravo a leggere le persone, non per niente le sue capacità a muro miglioravano ogni giorno che passava. Una parte di sé si domandò persino se non avesse esagerato, ma fu lesto a zittirla e vi parlò sopra in modo da non darle modo di riprendere a insinuare ipotesi assurde:
“Ok, dimmi quello che devi dire e poi vattene.”
Kuroo fece una smorfia con le labbra, per poi guardarsi teatralmente intorno, salutando persino una bambina che, attaccata alle gonne della mamma, lo fissava incuriosita.
Tsukishima sospirò e si aggiustò gli occhiali, arrendendosi di fronte all’evidenza: non potevano discuterne per strada, specialmente perché era certo che quell’invadente avrebbe tirato fuori argomenti inopportuni. Ci mancava solo che quell’impicciona della vicina, la signora Shimizu, si mettesse a origliare; avrebbe potuto presentarsi alle olimpiadi di orecchie lunghe. Quando sua madre stendeva i panni fuori era matematicamente certo che lei sarebbe stata al di là della staccionata; d’estate, con le finestre aperte, sapeva persino cosa mangiassero a ogni pasto o quale bagnoschiuma preferisse Tsukishima. Una volta aveva detto alla madre di comprarglielo perché lo aveva finito, lei se ne era scordata e il ragazzo poco dopo era andato ad aprire la porta, ritrovandosi la vicina con in mano proprio quello specifico bagnoschiuma, sostenendo di aver esagerato con le scorte e di non sapere che farsene.
No, decisamente non poteva mettersi a discutere con Kuroo per strada.
Rassegnato, aprì il cancelletto e poi la porta di casa senza dire una parola. Si tolse le scarpe all’ingresso e si mise le ciabatte, fornendone un paio anche all’ospite che avanzò a passi lenti, osservando ogni angolo della sua abitazione. Non era la prima volta che metteva piede in casa sua, ma rimaneva ancora genuinamente curioso di vedere il luogo in cui il suo Tsukki viveva, sempre che potesse ancora definirlo così.
“I tuoi genitori?” domandò, notando il silenzio.
“Sono fuori per il fine settimana, Akiteru sta traslocando e gli serviva una mano anche per alcuni lavoretti nel nuovo appartamento.”
Fu solo quando sentì il tono strascicato e cantilenante con cui Kuroo disse “Ooooh, caaapisco…” che comprese di aver fatto una cavolata gigantesca rivelandogli di essere praticamente solo, vicina impicciona a parte, ma nemmeno lei riusciva a sconfiggere le tende davanti alle finestre, il suo acerrimo nemico.
Tossicchiò, cercando di apparire disinvolto, e si diresse verso la cucina senza degnarlo di uno sguardo, mentre l’altro pareva prendere le misure di ogni cosa per il modo sfacciato con cui osservava l’ambiente. Sempre più irritato, Tsukishima si tolse la giacca, posandola su una sedia e rimanendo in maglione color panna, per poi mettersi a preparare il the. Anche se voleva cacciare quell’intruso, le buone maniere e l’educazione ricevuta erano più forti e poi, in fondo, dopo un buon the sarebbe stato ancora più soddisfacente buttarlo fuori.
Kuroo intanto si era seduto al tavolo quadrato e lo osservava in silenzio, ma quando Kei gli mise davanti una tazza piena disse:
“Lo sai che è la prima volta che ti vedo con l’uniforme? Come è anche la prima volta che ti vedo fare qualcosa di tanto semplice e quotidiano come preparare il the – gli fece quel suo sorriso largo, ammiccante – mi piace.”
Tsukishima rimase interdetto e l’unica cosa che riuscì a fare fu sbuffare un ennesimo “Tch” e sederglisi di fronte, giustificando il lieve rossore sulle guance col vapore dell’acqua bollente. Si aggiustò di nuovo gli occhiali e fissò la superficie calma della sua tazza, cercando di trarne forza perché era sempre più difficile tenere su il muro e respingere tutti quegli attacchi. Le sue gambe allungate sotto il tavolo finirono poi per intrecciarsi con quelle di Tetsurou, provò a tirarle indietro, ma era inutile: entrambi erano molto alti ed era impossibile non entrare in contatto in quello spazio limitato.
“Magari avrei dovuto mettere anch’io l’uniforme, forse ti sarebbe piaciuto vedermici invece che con la solita divisa del club o con degli abiti normali” lo stuzzicò Kuroo per cercare di strappargli qualche reazione oltre al suo tipico sbuffo irritato. “Magari la prossima volta che vieni a Tokyo anch’io ti preparerò il the.”
Tsukishima posò la tazza e incrociò le mani davanti a sé, ben poggiate sul tavolo. Lo fulminò con lo sguardo e parve fare uno sforzo per mantenere tutta quella calma, ma la sua voce sembrava normale, solo appena più acuta del solito:
“L’unica cosa che al momento mi piacerebbe, sarebbe saperti su quel maledetto treno. E non vedo proprio perché dovrei tornare a Tokyo, ne ho avuto abbastanza di quella città.”
Kuroo sbatté con forza le mani sul ripiano, tanto da rischiare di rovesciare le tazze, e si mise addirittura in piedi, chinando il busto sopra il tavolo per avvicinarsi a Kei.
“Assolutamente no! Sei venuto solo due volte a trovarmi, ripartendo in giornata senza nemmeno fermarti a dormire, non hai ancora visto niente! C’è… c’è… sì, c’è ancora il museo nazionale da visitare, e poi Akasuka, perfetta per uno allergico alla gente come te, Akihabara ti piacerà con tutti i suoi negozi di elettronica e poi c’è ancora così tanto! Non puoi dire di averne avuto abbastanza!”
Tsukishima rimase sorpreso da quella reazione energica e inattesa: Kuroo era sempre pacato, pungente e ciarliero solo quando serviva, esperto tanto nel saltare al momento giusto a muro in campo, quanto nel parlare nel momento adatto al di fuori.
“Va… va bene” mormorò Kei di rimando, fissandolo sedersi e passarsi ancora le mani tra quei capelli assurdi che tornarono nella stessa posizione di prima.
“Si può sapere perché ti sei arrabbiato così tanto da rifiutare ogni mia chiamata in queste due settimane?” domandò Kuroo, tirando finalmente fuori il motivo per cui era lì, era ora di smetterla di girarci attorno.
Tsukishima riguadagnò la sua compostezza dopo quell’inaspettata esplosione da parte del ragazzo e, col suo tono tagliente, replicò:
“Hai persino il coraggio di chiederlo, gattaccio malefico?”
“Sì, perché è evidente che quello che ho fatto ti ha dato fastidio, ma non capisco cosa. In fondo era una cosa normalissima, sei tu che hai esagerato.”
Tetsurou pareva aver riguadagnato la solita compostezza e lo osservava col suo sguardo attento, felino, mentre le gambe sotto al tavolo erano ormai diventata una selva intricata di tibie, peroni, caviglie e ginocchia. Kei provava in tutti i modi a liberarsi, avrebbe dovuto essere facile dato che le sue gambe erano sottili, coi muscoli allungati e nient’affatto gonfi, eppure pareva che quelle decisamente più muscolose di Kuroo non avessero alcuna intenzione di rendergli le cose semplici, di interrompere quello che a conti fatti era il loro unico punto di contatto.
Così, mentre sotto il tavolo si combatteva una lotta continua, al di sopra i busti erano immobili, così come le loro facce, le emozioni e le intenzioni.
“Esagerato? Io? – sibilò Tsukishima, rabbuiandosi – Sei tu che sei fuori di testa, ti devono essere arrivate un po’ troppe pallonate addosso.”
La caviglia destra era quasi libera, ma ecco che un piede di Kuroo la ritirava di nuovo nel campo di battaglia, affatto intenzionato a dargliela vinta o a cedere. Allo stesso modo replicò alle sue parole:
“Sicuro invece di non essere troppo represso tu, invece? – lo stuzzicò – Avanti, dimmi: cosa c’era di così mortale in quello che ti ho mandato?”
A quel punto Kei abbandonò del tutto la sua facciata di impassibilità, smise addirittura di lottare sotto al tavolo per esclamare:
“Cosa c’era? Cosa c’era? Ma dico: si possono mai mandare foto del genere?! Eri nudo! Completamente nudo e… e con il…”
Le sue guance erano rosse e non sapeva se per lo sforzo insolito o per l’imbarazzo nel ricordare quella foto assolutamente indecente. Una sera stava tranquillamente messaggiando con Kuroo, quando aveva ricevuto quella foto in cui il ragazzo era nudo, sul letto, con l’erezione in bella vista. Aveva creduto seriamente di stare per avere un ictus e solo per poco non aveva lanciato per aria il telefono.
Non gli aveva più risposto, né aveva voluto richiamarlo, e adesso invece se lo ritrovava faccia a faccia nella propria cucina, con l’aria più serafica del mondo.
“Eh, quindi? Ti avevo scritto che avevo voglia di vederti e ti stavo pensando, no? Quello era solo il risultato.”
Tetsurou appoggiò il gomito sullo schienale della sedia, in una posa rilassata, completamente a proprio agio con le gambe di Tsukishima intrappolate tra le proprie. Era venuto sin lì per una risposta e non se ne sarebbe andato senza, non aveva intenzione di cedere, farlo una sola volta con quel quattr’occhi avrebbe decretato la fine di ogni cosa. Doveva continuamente cercarlo, stimolarlo, stuzzicarlo per fargli abbandonare quel comodo guscio di apatia in cui si rifugiava. A qualcuno sarebbe potuto apparire stancante, ma non a lui, non a Kuroo che amava le sfide e amava ancora di più quando Kei, pieno di riluttanza fino ai capelli, si lasciava andare. Cercava ancora di fingere che non gli interessasse, ma le sue braccia si stringevano sempre con forza attorno alle sue spalle e i baci, come le carezze, non erano a senso unico.
L’unico grande problema era la distanza, per Kuroo non ne esisteva nessun’altro, perché qualsiasi muro Tsukishima avesse messo su, lui lo avrebbe smantellato, insinuandosi nella sua difesa; non poteva vincere contro chi gli aveva insegnato tutto. E adesso vedeva proprio una bella breccia nel viso arrossato di Kei, che continuava ad aggiustarsi freneticamente gli occhiali nonostante non ce ne fosse alcun bisogno.
“In fondo non era niente che tu non avessi già visto, no Tsukki?” lo incalzò ancora Kuroo, quello era il momento di colpire con più forza per far passare la palla e mettere a segno il punto.
Il ragazzo biondo distolse lo sguardo, la sua scorta inesauribile di battute al vetriolo, di occhiate superiori e indifferenza pareva essersi prosciugata e la sua mente si dibatteva come un pesce nel retino, ancora deciso a combattere anche se intrappolato.
“Non vuol dire nulla” disse, ignorando il sopracciglio di Tetsurou che si sollevava, incredulo, e continuò “Non ti ho chiesto niente del genere, non lo volevo… come avresti reagito tu, se ti fosse arrivata una foto del genere?”
Kuroo sorrise, quel sorriso grande pieno di denti, estremamente soddisfatto per la piega della conversazione, perché Tsukishima ancora non se ne rendeva conto, ma aveva ormai perso.
“Se fosse stata una tua foto io ne sarei stato immensamente felice, Tsukki. Sai, è dura dover ricorrere ogni volta ai ricordi, specialmente se sono vecchi, mi piacerebbe quindi moltissimo avere una tua foto nudo per potermi masturbare ogni volta che vorrei che fossi invece tu a farlo.”
A quella confessione tanto diretta e sfacciata Kei non poté più resistere, sfilò con forza le gambe dalla prigione di carne e ossa e si alzò in piedi, con la faccia più indignata che riuscì a mettere su.
“Come ti permetti…” iniziò, ma venne bloccato da Kuroo che lo aveva raggiunto con una rapidità sorprendente, spingendolo contro il ripiano della cucina.
Tsukishima era solo un paio centimetri più alto, ma Tetsurou era decisamente più grosso, le spalle erano più larghe e le braccia muscolose, quindi non aveva alcun problema a tenerlo fermo. Il grosso gatto nero che aveva messo all’angolo l’uccellino tutto piume e ossa.
In realtà in quel momento non stava usando la forza, né gli interessava fare uno scontro di quel tipo, stava semplicemente appoggiato contro Kei e lo guardava negli occhi, con l’espressione seria, sebbene quel piccolo luccichio divertito non abbandonasse mai il suo sguardo.
I loro visi erano vicini e a Kuroo pareva quasi di sentire il profumo del docciaschiuma usato da Kei dopo gli allenamenti, poteva odorare le sue paure, le ritrosie e la naturale inclinazione a isolarsi e respingere tutti, ma ci avrebbe pensato lui a intrufolarsi e farsi largo.
“Tsukki… – cantilenò ogni sillaba del suo nomignolo – perché ogni volta dobbiamo ricominciare tutto daccapo? Abitiamo già lontani, ci vediamo raramente e il poco tempo che passiamo assieme non ho voglia di sprecarlo a fare finta che non ci interessiamo. Te l’ho già detto: tu mi piaci e sono maledettamente serio. Anch’io ti piaccio, altrimenti non mi avresti mai dato il tuo numero di telefono, non mi avresti permesso di baciarti, non saremmo mai finiti nudi, nello stesso letto, a masturbarci fino all’ultimo momento disponibile.”
Sospirò piano e gli sorrise mentre era lui quella volta a spingere gli occhiali più in su sul naso. Vedeva chiaramente la lotta all’interno di quel ragazzo a cui non voleva rinunciare, un combattimento tra la sua razionalità estrema e l’illogicità dei sentimenti; poteva comprendere quanto fosse difficile per un tipo come lui, per quello aggiunse “Ammetto di aver esagerato, non avrei dovuto mandarti quella foto senza chiederti il permesso, ma non intendevo offenderti o mancarti di rispetto. Semplicemente mi mancavi, Tsukki. È tanto difficile da credere?”
Il ragazzo aveva lo sguardo puntato verso il basso, il collo lungo leggermente inclinato di lato, ma non aveva perso una sola parola di quanto detto.
“No – si decise a rispondere alla fine – non è difficile da credere.”
Perché a volte accadeva anche a lui di provare insoddisfazione per quella situazione, per i lunghi scambi di messaggi o per le telefonate che sembravano non bastare. E gli dava fastidio, gli dava così maledettamente fastidio rendersi conto di non essere più autosufficiente, di non bastarsi più.
Così, inconsciamente, appena aveva visto una via d’uscita ci si era infilato, dicendosi che il comportamento di Kuroo era deplorevole, assolutamente inadatto. Eppure quello stesso Kuroo era andato da lui, senza alcuna certezza di venire ascoltato, solo la speranza, e aveva detto le sue verità ad alta voce, senza tirarsi indietro.
In quel momento la sua logica ferrea gli impediva di fuggire e di non riconoscere quello che provava nei suoi confronti: Tetsurou gli piaceva, altrimenti non gli avrebbe mai permesso di avvicinarsi così tanto.
Alzò lo sguardo e trovò quel solito mezzo sorriso e gli occhi nocciola dalle iridi piccole che lo fissavano soddisfatti, placidi e assolutamente irritanti.
“Smettila” sbuffò.
“Cosa? Di essere felice? Non credo sia possibile” ribatté avvicinando di più il viso, ma decidendo di non andare oltre. Doveva essere Tsukishima a colmare quella breve distanza, anche lui doveva fare un piccolo passo verso di lui.
Kei lo guardò, incerto, indeciso anche se la sua mente logica gli suggeriva il naturale passo successivo da fare; era evidente, logico, no?
Così il centrale della Karasuno si spinse in avanti per posare le sue labbra su quelle dell’avversario, ma non ci fu nessuna lotta, nessuna guerra, nessun attacco e nessun bisogno di alzare un muro. Ci fu solo un bacio, lento, accorto, scandito dai loro respiri e dalle mani che si andavano a cercare per intrecciarsi le une con le altre.
Kuroo si allontanò di poco, con un sorriso completo, felice anche perché Tsukishima aveva ripreso a guardarlo in faccia, probabilmente sulla strada giusta per accettare del tutto i sentimenti che provava.
“La prossima volta che vieni a Tokyo devi fermarti a dormire e ti porterò in un sacco di posti, ti piaceranno.”

E ti piacerà anche tutto il resto, perché ho intenzione di vederti di nuovo nudo, voglio imprimerti per bene nella mia memoria e forse, chissà… non ci limiteremo a toccarci, Tsukki. Non hai la minima idea di quanto ti voglia.
Kei allontanò ulteriormente il viso, osservando un po’ incerto quel sorriso che era diventato un ghigno ammiccante, ma non vi badò troppo, in fondo era un marchio di fabbrica del capitano della Nekoma.
“Ci conto allora” si limitò a rispondere perché ormai era inutile negare: lo sapevano tutti e due che sarebbe tornato a Tokyo una terza volta, una quarta e poi ancora.
“Fidati di me” disse Kuroo e non badò all’espressione poco convinta che Tsukishima sfoggiò, bensì gli diede un bacio veloce per poi fare qualche passo indietro.
Sapeva bene quanto Kei fosse più rigido di lui, più giovane, poco avvezzo a gestire certi tipi di sentimenti e relazioni, già il fatto che riconoscesse l’interesse nei suoi confronti era un passo da gigante. Per questo Tetsurou non aveva mai affrettato le cose, non lo aveva mai spinto oltre il punto di rottura, rispettando i suoi tempi. Certo, rimaneva il passo falso della foto, ma non era mica perfetto, di sbagli ne commetteva eccome!
“Mi accompagni in stazione? Tra un’ora e mezza parte il treno e io devo ancora fare il biglietto” propose.
“Assolutamente no, non ne ho alcuna voglia” rispose Kei, freddo e apparentemente inamovibile da quella decisione.
Kuroo spalancò la bocca, si portò le mani tra i capelli e pareva essere rimasto a corto di parole per la mostruosa insensibilità di quello che avrebbe dovuto essere il suo fidanzato, che solo fino a pochi minuti prima era rosso come un peperone. Non c’era che dire: aveva un enorme capacità di ripresa. Tuttavia non riuscì a mettere in parole il suo sdegno perché Tsukishima lo prevenne:
“Sei arrivato qui senza alcun preavviso, hai mandato all’aria i miei programmi e non intendo scombinarli ulteriormente. Devo cenare, fare il bagno e poi andare a dormire – gli lanciò un’occhiata prima di voltarsi verso il frigo – se ti va, ti accompagno domani pomeriggio. Se hai fretta di tornartene a Tokyo, vai pure; non ti trattengo.”
Kuroo rimase ancora a bocca aperta per qualche istante, sbalordito dal modo in cui quell’iceberg biondo riusciva a mascherare un invito a fermarsi a dormire da lui con tutta quella patina di apparente freddo disinteresse. Non c’era che dire: Kuroo aveva trovato proprio una bella gatta da pelare.
Il capitano della Nekoma ridacchiò, divertito, e poi si lanciò ad abbracciare l’altro, strofinando viso e capelli nel suo maglione chiaro.
“Facciamo il bagno insieme, Tsukki?”
“Eh? Cosa? No, scordatelo! Tu dormi sul divano… anzi, no, sul tappetino fuori.”
“Tsukki, sei cattivissimo!” si lagnò senza alcuna intenzione di lasciarlo andare.
“Hai ancora tutte e due le mani e dieci dita, quindi direi che sono fin troppo buono!”
Kuroo lo fece voltare e lo guardò con la sua espressione sorniona, con il viso sempre troppo vicino, incurante degli spazi personali altrui.
“Sbagliato, quello è per un tuo personale interesse: altrimenti come farei a toccarti?”
Non gli diede tempo di rispondere perché lo baciò di nuovo, felice, deciso a non fargli dire più alcuna parola per quella notte. Avrebbe fatto giusto un’eccezione se avesse invocato il suo nome, ma forse per quello era ancora un po’ presto: doveva ancora lavorare parecchio sul suo scostante, freddo e cocciuto fidanzato.

 

 

 

L’angolino oscuro: Kuroo, Kuroo, ma che combini? Non concordo con la versione che lo vede tipo God of sex, anche se a dire la verità l’ho ritrovata soprattutto nel fandom inglese, più che in quello italiano. Kuroo è semplicemente un diciottenne studioso, un po’ nerd, capace di essere serio quanto di lanciarsi in stupidaggini soprattutto assieme a Bokuto. Ha tutti gli ormoni al posto giusto, è un po’ sfacciato e sicuramente più spigliato di Tsukishima (non che ci voglia molto) quindi arrivati a un certo punto della relazione mi sembra anche normale manifestare desiderio sessuale. Da qui a renderlo capace di farti avere un orgasmo con uno sguardo c’è un bel po’ di differenza XD
Tsukki, lui sta ancora cercando di dibattersi nel mare di sensazioni nuove e scomode che prova, tant’è che appena trova uno spiraglio logico a cui aggrapparsi per tirarsene fuori lo fa, però Kuroo non gli lascia scampo e lo costringe ad essere onesto. Che adorabile coppia di idioti che sono <3 
Spero che anche questa shot vi sia piaciuta, non so se riuscirò ad aggiornare di nuovo la raccolta prima di Natale, ma ce la metterò tutta per farvi una sorpresa, alla prossima!

   
 
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