Fumetti/Cartoni americani > Dc Comics
Segui la storia  |       
Autore: Francine    13/12/2017    3 recensioni
Il potere dell’alcol è quello di sciogliere lingue e cuori, e il bicchiere della staffa è l’incantesimo più potente a sua disposizione. Specialmente quando hai appena salvato il mondo, Natale è dietro l’angolo e la neve fiocca senza pietà. Un cocktail micidiale, pensi, sorseggiando il tuo cognac. Si respira nell’aria la voglia di fare squadra, di conoscere meglio chi abbiamo accanto. O almeno provarci.
Cameratismo, lo definirebbe Alfred; vecchio, sano cameratismo d’una volta.
Le farebbe bene provare, Padron Bruce.
Sì, come no?, pensi. Eppure sei rimasto, perché quello del cicchetto – come lo definisce Jordan – è un rito piacevole. Un goccio di liquore riscalda e rinfranca permettendoti di arrivare a casa incolume e di crollare esausto sul letto.
Il bicchiere della staffa è quello che si beve prima di congedarsi dagli amici, un modo per prolungare ancora un po’ una serata in piacevole compagnia. E quando fai parte della gloriosa Justice League, le occasioni per farsi un ultimo goccetto non mancano mai.
Scommettiamo?
Questa raccolta partecipa all'iniziativa "Calendario dell'Avvento" (Ripopoliamo i Fandom) del gruppo facebook Il Giardino di EFP.
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Superman® Jerry Siegel e Joel Shuester , 1928.
Wonder Woman® William Moulton Marston, 1941
Green Arrow® Mort Weisinger e George Papp, 1951

 
Tutti i personaggi nominati in questa storia appartengono alla DC Comics - Time Warner – e a chiunque ne detenga i diritti legali. Questa storia è stata scritta per puro diletto personale; non ha alcun fine lucrativo. Nessun copyright si ritiene leso. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice (Francine) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.
 
 
3.
Dove nessuno è mai giunto prima


Casella: #3 /Prompt: A si ritrova bloccat* sotto la neve e B accorre in suo aiuto/ Luogo: da qualche parte nel Kansas
 


To boldly go where no one has gone before.
(Star Trek: TNG, Intro, 1987)
 


 

«Skatà

Non pensavi che anche in Kansas nevicasse. Passi Mosca, Parigi, Gotham City, Londra o qualche altro paesaggio da cartolina invernale, ma il Kansas? Con i suoi campi di granturco a perdita d’occhio? E invece nevica, nevica eccome, e tu ti ritrovi nel bel mezzo del nulla, tra cumuli alti mezzo metro e la batteria dell’auto a noleggio che è entrata in sciopero all’improvviso.

«Skatà

Avresti dovuto insistere perché Céline ti prenotasse una vettura della Wayne Rental Cars. Con il cambio manuale, e non con quell’infernale congegno automatico che ti hanno rifilato alla Speedy Rental Cars. Qualcosa ti dice che non ti avrebbe abbandonato sul più bello, dove i cellulari non prendono nemmeno a pagare.

«Skatà

Le minacce non servono. L’unica cosa che ti resta da fare è quella di aprire lo sportello e chiamare aiuto. Clark ti sentirà – Clark sente tutto – ma non ti alletta l’idea di passare una giornata di festa sotto lo stesso tetto con una Lois Lane imbronciata. Sbuffi. Ti toccherà fartela a piedi. Un po’ di moto ti farà bene. Hai un paio di chili da smaltire – il bottone in vita tira e no, non è perché ti devono venire le mestruazioni – ma stai indossando quegli stivali scamosciati con un tacco assassino che ti sono costati un occhio della testa.
Finirebbero in pattumiera per direttissima, pensi, stringendo tra le dita la pelle nera dello sterzo. Ma non puoi certo startene seduta nell’abitacolo di un’auto in panne mentre gli altri ti stanno aspettando. Con uno sbuffo – l’ennesimo – ti decidi ad abbracciare il tuo destino con stoica rassegnazione, quando lo sportello del passeggero si apre ed uno sconosciuto si accomoda a sedere accanto a te.
«Ehi!», protesti. Perfetto. Ci mancava solo lo stramboide di turno! «Che modi sono?»
«Chi l’avrebbe mai detto che da queste parti nevicasse così, eh?», dice, scrollandosi la neve dalla testa e sfilandosi un guanto. «Oliver Queen.»
«Diana Prince», rispondi, stringendo la mano che lui ti porge. Lo vedi sorridere, eseguire un baciamano perfetto e tentare di incatenarti gli occhi nei suoi. Verdi, scintillanti come quelli di Athena e provocanti come quelli di Eros. Inarchi un sopracciglio, lui capisce l’antifona e ti lascia andare le dita.
«Abbiamo la batteria scarica, eh?», domanda con un sorriso. E tu come lo sai?, vorresti chiedergli. Poi abbassi lo sguardo, e lo lasci proseguire. «Colpa mia, ma non posso dire che mi dispiace. Lo so, lo so. Non avrei dovuto farlo. È che ho un conto aperto con quel pallone gonfiato di Bruce Wayne. Mi accusa di averlo copiato. Capisci? Io avrei copiato lui! Ma scherziamo? Io non vado in giro bardato come un pazzo!»
«No?»
«Nossignore! Robin Hood potrebbe volere delle royalties da me, ma Robin Hood è morto e sepolto, sempre ammesso che sia mai esistito!»
Robin Hood. Hai percepito dei calli sotto i polpastrelli, gli stessi che ci si procura tirando con l’arco.

Allora, tu sei…

«Voglio dire, è vero che la Wayne Enterprises va forte, ma nemmeno la Queen Consolidates sta a guardare! Che diamine! Crede di essere il solo ad avere a disposizione costosi giocattoli elettronici?»
«Quindi?»
«Quindi, questa è una mia vettura», e Oliver batte le nocche sul finestrino del lato passeggero. «La Speedy Rental Cars è mia. Ho piazzato un rilevatore su quest’auto per seguirti da vicino. E arrivare con te alla festa dai Kent.»
«Perché?»
«Per far venire un travaso di bile al caro Bruce!», risponde col sorriso di chi ha appena raccontato la più fantastica delle storielle. «Lui sarà pure il più figo di tutti, ma sono io quello che è arrivato sottobraccio a Wonder Woman
«Tu sai chi sono e dove sto andando?»

Non ti sono mai piaciuti gli stalker, nemmeno quando superano il metro e ottantacinque, sono biondi come il sole e hanno un paio di scintillanti occhi verdi. E un discreto conto in banca, a giudicare dal cappotto di sartoria che gli calza a pennello.

«Ho anche io le mie risorse», dice.
«Sei seduto sul lazo di Estia», sibili, il fiato che si condensa davanti alla tua bocca. «Dimmi. La. Verità.»
«Te l’ho detta!», protesta lui, togliendosi il lazo dorato da sotto le chiappe. «Volevo solo fare un’entrata in grande stile, al tuo fianco. Non volevo metterti nei pasticci. Non più di tanto, almeno…»
«Maschi», sospiri, anche se l’intonazione si adatterebbe meglio ad un «Imbecilli». «Sai cosa dovrei fare, adesso?»
«Salire sulla mia auto e venire con me al cenone dei Kent?»
«No», sbotti, come se avessi a che fare con un bambino petulante. «Dovrei lasciarti qui, da solo, e prendere la tua auto per andare dai Kent! Sola
«Ma tu non sai la strada», ribatte, stringendosi nelle spalle.
«C’è il navigatore», dici, ticchettando con le unghie sullo schermo a cristalli liquidi.
«Questa zona non è nelle mappe.»
«È uno scherzo?»
«Nessuno scherzo», risponde, mostrandoti le mani, come a farti vedere che non ha nessun asso nascosto nelle maniche del suo smoking d’alta sartoria. «Qui ci sono campi di mais a perdita d’occhio, e nessuno ha ancora avuto la buona idea di piazzare uno o due ripetitori per coprire quest’area. Sai come sono fatti i bifolchi. Mi rovinate i campi, eccetera eccetera. Quindi, o conosci la strada…»
«Nemmeno google maps funziona?»
Oliver sorride. «Nemmeno google maps. Ma per controllare, dovresti avere campo...» Ti mostra lo schermo del suo smartphone. Nessuna tacca, nessun segno di vita.
«E tu come hai fatto a seguirmi?», chiedi, gli occhi che assomigliano a due mezzelune affilatissime.
«Te l’ho detto», dice Oliver togliendosi qualcosa dall’orecchio destro e mostrandotelo: un auricolare discretissimo che deve costare un occhio della testa. «Ho dei giocattolini molto, molto potenti…»
«Skatà!», esclami, dando l’ennesima manata sullo sterzo.
«Io ci andrei piano. Sia mai dovessero esplodere gli airbag…»
Lo incenerisci con lo sguardo.
«Senti. Abbiamo cominciato col piede sbagliato», ti dice, allargando le braccia e spendendo il più abbagliante dei suoi sorrisi.
«Concordo.»
«Possiamo rifarlo, se vuoi», dice, indicando l’esterno della vettura. «Come al cinema. Io esco, rientro, mi presento e ti chiedo se hai bisogno di una mano…»
«Io direi che è buona la prima», sospiri, guardando fisso davanti a te. Neve, neve, neve e ancora neve sotto un cielo di metallo da non avere nulla a che invidiare alle spade che si maneggiano a Themyschira.
«Ci stiamo avventurando dove nessuno è mai giunto prima. Posso darle un passaggio, signorina Diana Prince?»
«E va bene», dici, voltandoti verso di lui e incatenandogli gli occhi nei suoi. «Ma guido io, glaucopide», aggiungi, allungando la mano in attesa che lui vi depositi le chiavi.
«Nessun problema», ribatte, con un sorriso smagliante buono per la pubblicità del dentifricio. Sarà contento il suo dentista, pensi. «Le chiavi sono nel quadro. Cos’è un glaucoglaucopiquello
«Il mio borsone è nel bagagliaio.» Recuperi guanti, la borsa e il lazo e, scivolando fuori dalla vettura, ti dirigi di gran carriera verso l’auto che aspetta alle vostre spalle, tempestando il terreno con i tacchi degli stivali.

Senti Oliver chiederti qualcosa - «Non è un insulto, vero?» - e scuoti la testa. Entri nell’abitacolo, le chiavi sono nel quadro. E scopri che si tratta di un’automobile con il cambio manuale. Assottigli le palpebre.
Adesso te la do io una lezione d’umiltà, Oliver Queen.
Metti in moto, dai gas e lasci Oliver a fissare le luci posteriori della tua – sua – vettura mentre lo vedi sparire nello specchietto retrovisore, il tuo borsone da viaggio in mano e l’espressione più sbalordita che tu abbia mai visto sul viso di un uomo. Il serbatoio è pieno, l’autoradio riproduce un cd di Dizzie Gillespie, il sedile è riscaldato e la guida è un vero piacere anche con quel clima da lupi.
Bella invenzione, gli pneumatici da neve, pensi. Però è vero che non conosci la strada, e che il navigatore s’è perso anche lui, indicandoti una via che passa per il cielo. La prossima volta prendo l’aereo, pensi, prima di accorgerti che qualcosa si sta affiancando a te. Clark. Che ti saluta con la mano.
Abbassi il finestrino.

«Ciao!»
«Ciao», dice. «Temevo che vi foste persi.»
Vi? «Hai sentito tutto, vero?»
«Non sono riuscito ad impedirmelo», ammette, un sorriso soddisfatto che gli inarca le labbra.
«È la strada giusta?»
«Sì. Prosegui sempre dritto, all’incrocio gira a sinistra alla vecchia quercia. Un altro paio di chilometri e sei arrivata.»
«C’è un tuo ospite in difficoltà, Clark. Un certo Oliver Queen, con il mio borsone. Di Vuitton. Con dentro i vostri regali di Natale. Puoi pensarci tu?», dici – sussurri – e poco dopo lo vedi sfrecciare in direzione contraria. Lois non avrà alcuna obbiezione a che Clark voli a salvare un altro uomo, giusto?
Mi devi un favore, Bruce…

Note:
Skatà significa, letteralmente, merda in greco moderno. Nella mia testa malata, Diana è madrelingua greca, o di una qualsivoglia lingua derivata dal greco antico. È pur sempre un'amazzone, giusto?


Glaucopide è l'epiteto per eccellenza della dea Athena. Significa, letteralmente, dagli occhi glauchi, ossia scintillanti, o dagli occhi di civetta. La civetta è l'animale totem della dea - tant'è che il nome scientifico della civetta è, appunto, Athene Noctua - perché la sapienza permette all'uomo di vedere attraverso l'oscurità dell'ignoranza. Ma nella dea Athena è confluito il ricordo di una divinità preesistente, una divinità femminile dalle ali d'uccello e le zampe di rapace, che presiedeva ai culti di morte e rigenerazione. E no, il riflesso degli occhi di Athena non è azzurro, ma argenteo, lo stesso delle foglie dell'ulivo.
Oliver Queen ha gli occhi verdi, giusto?
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > Dc Comics / Vai alla pagina dell'autore: Francine