Anime & Manga > Captain Tsubasa
Segui la storia  |       
Autore: Melanto    14/12/2017    10 recensioni
Nel bene e nel male, la vita è imprevedibile.
Capita che un minuto prima scherzi con gli amici e un minuto dopo ti ritrovi nell'incubo che non vorresti vivere; tanto vicino e tanto casuale da non credere che potrebbe capitare proprio a te.
Ma questa è una di quelle coincidenze universali che Mamoru si troverà davanti nel momento in cui la sua vita si fermerà per sempre in un convenience store.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Kumiko Sugimoto/Susie Spencer, Mamoru Izawa/Paul Diamond
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Mori no Kokoro - Il Cuore della Foresta'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Sonnet - Capitolo III

- III: Il prezzo di una vita -

«Di cosa hai bisogno?»

J e Kumi cercavano tra gli scaffali che non erano stati trascinati fino alla vetrina.

«Qualcosa per tamponare la ferita. E mi serve del ghiaccio.»

Kumi passava in rassegna tutto, e ciò che le poteva servire se lo faceva cadere tra le braccia.

«Ho trovato delle garze!»

«Prendile.»

Jin andava da una parte all’altra, imitando Kumi; in breve tempo anche le sue braccia furono piene.

«Ma non credo abbia del ghiaccio» disse infine, non trovando nemmeno quello secco usato per le contusioni.

Si fermarono uno di fronte all’altra, con Kumi che controllava sommariamente cosa avesse preso.

«Allora ci faremo bastare dei surgelati.»

Jin annuì, riversò tutto quello che aveva in un carrello lì accanto e poi aprì gli sportelli del frigo, tirò dentro un paio di confezioni fredde. In cuor suo sperava che la situazione si risolvesse il prima possibile. Che sarebbe andato in carcere, ormai, non c’erano dubbi, ma non voleva avere un ragazzo sulla coscienza; era solo un ladro non di certo un assassino.

«Non prenderle tutte!» Lo fermò Kumi. «Non sono molte e potrebbero servirci per dopo.»

Nel dirlo si sforzò di ricacciare indietro le lacrime.

«Mi servono dei sacchetti per surgelati»

«Che cazzo state facendo voi due, là in fondo? La spesa?» Tate si stava spazientendo. «Datevi una cazzo di mossa!»

Kumi e Jin si scambiarono un’occhiata prima di muoversi ancora più in fretta di prima.

«Mi dispiace.» J lo disse mentre Kumi metteva delle confezioni di sacchetti nel cestino e non erano visibili da Tate. «Non doveva andare così. Lo so che non è una giustificazione sufficiente e… non so che fare, ma mi dispiace.»

«No, non è sufficiente. La ferita che ha provocato il tuo ‘amico’… sta uccidendo il mio, e io… io non ho la minima idea di che cosa dovrei fare e come lo potrei salvare.» Kumi tirò su col naso, stringendo le labbra e rivolgendogli uno sguardo rancoroso. «Io vi odio a morte.»

Il cestino glielo strappò dalle mani con un gesto brusco e corse di nuovo dove si trovava Mamoru, con la voce di Tate che non faceva che sbraitare in maniera irritante.

Jin la seguì dopo qualche secondo, con la testa bassa e la consapevolezza che non poteva rimediare a quello che avevano fatto.

 

«Mamoru?...»

Mamoru abbassò il capo per trovare gli occhi di Yuzo che si aprivano e chiudevano adagio, con movimenti rallentati. Deglutiva a fatica e respirava anche peggio.

Lui lo guardava, in quella posizione capovolta, e sussultava per ogni boccata che prendeva.

«Dimmi? Ti sto facendo male?»

Yuzo scosse il capo, debolmente, stringendo gli occhi.

«Mi dispiace…»

«Di cosa?»

«L’idea di fermarsi qui è stata mia… Vi ho messo nei guai, a tutti e due…»

«Oh, maddai! Ma che vai a pensare, non fare lo scemo.» Mamoru sciolse la preoccupazione in un sorriso che voleva essere rassicurante, ma che non ci riusciva a dovere. «Pensa che avremo un’avventura da raccontare a Ryo, così non sarà sempre lui quello a cui capitano di tutti i colori.»

Sforzò una risata, ma aveva un suono talmente artificioso da ferire le orecchie.

Yuzo addolcì lo sguardo in segno di gratitudine: conosceva abbastanza bene Mamoru da capire il tentativo di stemperare la situazione. Il suo modo di proteggere gli amici stava anche in quello: li difendeva da loro stessi, a volte. Era una qualità che Yuzo aveva sempre ammirato.

Con fatica riuscì a sollevare un braccio per afferrare quello che Mamoru gli teneva appoggiato sulla spalla.

«Va bene…», gli disse, «…va bene così.»

E il sorriso di Mamoru si diluì fino a sparire, facendo emergere un’espressione affranta che con onestà rifletteva il suo reale stato d’animo.

«Io comunque resto.» Nell’ombra creata dai capelli che erano scivolati da dietro l’orecchio, il nero delle iridi di Mamoru riuscì a brillare per un riflesso dei lampeggianti che filtravano tra le barricate. «E ci resterò fino alla fine.»

«Mai messo in dubbio…»

«E poi mi hai promesso che avresti tenuto duro. Tu non dici bugie.»

«Invece ne ho dette tante anche io...»

«Non a me.» Mamoru ne era così convinto che sollevò leggermente il mento per darsi un tono, strappargli un sorriso, ma Yuzo lo spiazzò.

«Soprattutto a te…»

Il giovane non nascose la confusione. Per un attimo pensò che Yuzo non si rendesse conto di ciò che diceva, forse per il troppo sangue che stava perdendo. Volle credere che fosse così, per questo tornò a diluire la tensione.

«E allora… vorrà dire che quando usciremo di qui me le dirai tutte. Ok? Ci facciamo una serata confessioni che io potrò usare contro di te, ovviamente.»

Yuzo sussultò appena gorgogliando una risata, ma subito il viso si deformò a causa del dolore che gli fece stringere i denti e serrare gli occhi. Mamoru premette di più sulla ferita, lo tenne stretto.

«Scusa! Meglio evitare le battute.»

Kumi arrivò di corsa, lasciando cadere il cestino pieno con un tonfo.

«Cazzo, l’avevo detto che vi eravate messi a fare la spesa!»

L’esclamazione fuori luogo di Tate si attirò un’occhiataccia da parte di entrambi i ragazzi.

Kumi aprì le scatole di surgelati, mettendone il contenuto in un paio di sacchetti da freezer. Poi tirò fuori le bende, le garze e dei rotoloni di carta; si disinfettò le mani.

«Come sta andando?» chiese a Mamoru.

«Una meraviglia!» Izawa sorrideva all’amico, dall’espressione poco convinta. «Ce la stiamo cavando alla grande. Perché questo cretino di un portiere mi ha promesso che non mollerà.»

Kumi gli fece togliere la mano per sostituire la propria. Quando entrambi videro che era sporca di sangue, capirono che niente stava andando alla grande: il sangue aveva impregnato la sciarpa trasmettendosi attraverso i tessuti.

Nel ritirare il palmo, Mamoru lo guardò come fosse alieno e non più suo; il sangue aveva un colore così intenso da fargli venire un attacco di nausea che si sforzò di ricacciare indietro. La mano gli iniziò a tremare.

«Va tutto bene...» Yuzo attirò la sua attenzione; adesso era lui a sorridere e a cercare di rassicurarlo quando avrebbe dovuto essere il contrario.

Mamoru aggrottò le sopracciglia, annuendo.

Sì, va tutto bene, tutto bene.

Non me ne vado da qui.

«Farà un po’ male, Morisaki-kun.» Kumi avvisò prima di togliere la sciarpa e premere con le garze pulite.

Come prevedibile, Yuzo si tese in maniera spasmodica, stringendo i denti fino a farli sanguinare, la schiena arcuata quasi avesse voluto alzarsi, ma non poteva. Il dolore scivolava fuori dalla bocca in lamenti strazianti cui Mamoru avrebbe voluto essere sordo, tanto da desiderare di perforarsi i timpani. Visto che non poteva strinse i denti anche lui, e le labbra; lo tenne con forza a terra, contro le proprie ginocchia fino a che la tensione nel compagno non fu tanta da farlo crollare, sfinito.

Arreso al dolore, perché non poteva fare altro.

Dalla bocca aperta la sofferenza era una nota costante.

«Scusami, scusami, scusami…»

«È ok…» lamentò il portiere, serrando di nuovo gli occhi per non farsi sorprendere dalle lacrime proprio adesso.

Aveva sempre pianto troppo quando era piccolo, e si era detto che non lo avrebbe più fatto una volta adulto, perché doveva imparare a resistere. Si dimostrava di essere uomini anche nella capacità di trattenere i propri sentimenti dietro una serranda di ferro, e lui, che i suoi sentimenti aveva imparato a tenerli sotto almeno due giri di chiave con determinate persone, non poteva mettersi a piagnucolare.

«È tutto ok, tranquilla...»

Kumi prese i surgelati e glieli poggiò sulla ferita senza smettere di fare pressione. Il freddo anestetizzò il dolore anche se non sparì. E poi furono bende e strati su strati di carta, in modo da creare una pressione maggiore.

Inginocchiata e con una mano che continuava a premere, Kumi sorrise agli occhi nocciola che erano tornati a fare capolino da dietro le palpebre. Tentando di essere discreta si accertò delle sue condizioni generali toccandogli il viso e poi le mani, ma non trattenne una smorfia quando le sentì fredde, e anche la fronte dove un sudore gelido l’aveva imperlata.

Kumi sollevò lo sguardo su Mamoru che la fissava a sua volta: negli occhi bruciava il desiderio di voler essere rassicurato, ma lei non fu in grado di farlo. Anzi, fece per aprire la bocca, preferendo poi tacere e tornare a guardarsi le mani.

Dalle labbra di Yuzo scivolò uno sbuffo sottile che attirò l’occhiata di entrambi.

«A mentire siete proprio due schiappe… Potete dirmelo dell’emorragia interna, tanto lo so già. Troppe puntate di CSI…»

«Devi far entrare i medici!» esclamò Kumi, a un tratto, girandosi a guardare Tate. «È una ferita che deve essere operata, io non posso fare più di così!»

T sbatté velocemente le palpebre.

«Ma senti che carattere da leonessa, la signorina. Fino a due minuti fa ti nascondevi dietro la giacca di quel capellone e ora? Fai la coraggiosa?» La irrise agitando la pistola. «Qui non entra e non esce nessuno. Tu lo terrai in vita il tempo necessario a farmi tagliare la corda; e vedi che se lui crepa prima, crepi anche tu. Va bene così?»

«Sei un maledetto figlio di-»

«Mamoru!» Yuzo lo strattonò per il braccio. «Non provocarlo…»

«Sì, bravo. Non provocarmi. Anche se più morto che vivo, il tuo amico ha ancora più sale in zucca di te, idiota.»

Mamoru strinse i denti, ringhiando insulti che rimasero solo nella testa. Serrò gli occhi per far scivolare nella mente una serie di numeri contati fino a dieci e quando li aprì, quelli di Yuzo lo guardavano, preoccupati. Si rese conto che litigare con quel bastardo non sarebbe servito a niente se non a far sparare qualcun altro.

«Hai ragione,» disse rivolto al suo migliore amico. «Hai ragione tu.»

Il silenzio che si creò per gli istanti successivi venne rotto all’improvviso dallo squillare del telefono fisso del konbini.

 

– Chi cazzo sei?

Dal tono, Ryota capì che non si presentava bene. Giusto per non far andare neppure mezza cosa più liscia del previsto e fargli sudare fino all’ultimo ogni possibilità.

«Sono l’Ispettore Capo Himura. Immagino sia tu quello che comanda lì dentro.»

– Puoi dirlo forte, cazzo.

«Che ne pensi di iniziare facendo due chiacchiere?»

– Sì, e magari serviamo anche tè e biscotti, vero, sbirro? Ma vaffanculo.

«Bene, allora saltiamo al punto, visto che nemmeno a me piace perdere tempo. Voglio sapere se gli ostaggi stanno bene.»

– Questo branco di morti di fame sta benissimo, freschi come rose.

«E allora a chi hai sparato? Perché qualcuno l’ha sentito. Ti stupirai di quanti siamo, qui fuori. Dai un’occhiata, se non mi credi.»

Dall’altra parte Himura udì rumore di fruscii e un ‘se vi muovete sono cazzi’ detto lontano dal telefono. Gli fu chiaro che gli ostaggi erano tenuti sotto tiro. Guardò verso la vetrata e tra le scaffalature della barricata scorse una sagoma che si affacciava, sbirciava l’esterno.

– Per la puttana. Hai ragione. Avete messo su un bello show, facciamo cinquanta e cinquanta per i biglietti, sbirro?

«Facciamo che tu rilasci gli ostaggi e ti do anche il cento per cento.»

– Ah! Sei spiritoso, cazzo. Ma da qui non esce nemmeno una scoreggia.

Ryota inspirò con forza dal naso. «Parliamo di affari, allora? Ti faccio il riassunto stretto così che lo potrai capire anche tu: sei circondato, da qualsiasi parte proverai a mettere fuori il naso troverai uno di noi con le pistole puntate. Ora, parliamo di rilasciare gli ostaggi?»

– Forse quello che non ha capito sei tu, Ispettore Capo, e allora il riassunto te lo faccio io: posso uccidere sei persone a mio piacere se non mi farai avere una cazzo di macchina nel retro del negozio con il serbatoio pieno e senza un fottuto sbirro nel raggio di dieci chilometri. Perché se solo ne sento la puzza di merda, io sparo e qualcuno se ne va al creatore con biglietto di sola andata.

Ryota si masticò l’interno della bocca maciullando una serie infinita di imprecazioni che avrebbero fatto scendere pure Amaterasu in persona dal cielo per prenderlo a sberle, ma più quel bastardo dall’altra parte parlava, più era chiaro che la faccenda fosse sottile; era stato troppo ottimista a paragonarlo alla seta, quando aveva affrontato i genitori dei ragazzi, mentre ora gli appariva più come un filo di cotone mezzo sfilacciato. Il margine di movimento era limitato a pochi passi in direzioni stabilite e anche se lui aveva più uomini, quel criminale seguitava a mantenere il coltello dalla parte del manico. Un manico lungo a giudicare dalla sicurezza di sé che ostentava.

– E voglio soldi.

«Qualcos’altro? L’Imperatore che ti viene a stringere la mano no?»

– Non fare lo stronzo, so bene che qui ci sono due pezzi da novanta. Due calciatori della tanto famigerata Generazione D’Oro. Ullalà.

«Sono dei ragazzini.»

– E il cazzo che me ne frega non ce lo metti? Voglio i quattrini, soldo sonante.

«Taglia corto.»

– Voglio venti milioni di yen.

«Prego?!»

– Non dire che non sono onesto. Questi ne guadagneranno anche di più, ciascuno, e io ne ho chiesti venti per entrambi. Non mi sembra male, no? Sono un fottuto stronzo dal cuore d’oro, che devo dirti.

Ryota si portò la mano alla fronte, cercando di fare mente locale e capire in che modo fare un passo avanti. Senza alcuna sicurezza di rilascio, al Quartier Generale della Prefettura non avrebbero mai permesso di condurre la trattativa e la situazione avrebbe potuto dilungarsi anche più del previsto, e lui, che faceva quel mestiere da troppo tempo, sapeva che più tempo passava più c’era la possibilità che qualcuno degli ostaggi potesse farsi male – sempre se non se ne fosse già fatto. Doveva avere qualcosa in mano.

«Senza sapere che gli ostaggi stanno bene, non procederò con nessuna delle tue richieste.»

– Scordatelo, sbirro. So come funzionate, voi. Vi fate dire le cose dagli ostaggi. Mica scemi. Non se ne parla. Loro stanno bene, accontentati della mia parola

– Stanno bene?!

Ryota aggrottò le sopracciglia nel sentire l’intromissione di una seconda voce, diversa. D’improvviso fece dei conti e si rese conto che aveva parlato di sei ostaggi, quando avrebbero dovuto essere in cinque e i rapinatori in due. Qualcosa doveva essere andato storto.

– Perché non gli dici che hai fatto a Morisaki!

– Chiudi quel cazzo di becco, Jin! O ti pianto una pallottola in fronte, cazzo!

– Diglielo che gli hai sparato! Diglielo, porca puttana! Fai entrare i cazzo di paramedici!

L’esplosione di un secondo colpo di pistola fece sobbalzare tutti i presenti. Qualcuno gridò, i genitori si strinsero in un blocco compatto: gli sguardi puntati sulla porta chiusa del konbini e poi corsero dall’uno all’altro.

Che sarà successo?

Ommioddio, i ragazzi!

È Mamoru! Ci scommetto che ha fatto qualche cazzata delle sue!

Non dirlo nemmeno per scherzo, Hisoka!

Quel bastardo!

Che sarà successo?

Akio Morisaki gettò l’ennesima cicca a terra e partì alla carica con il passo del caterpillar.

«Te la prendi con dei ragazzini? Eh? Te la prendi con loro perché hai una pistola? Vieni fuori, bastardo senza palle, ché ti ammazzo di botte! Hai sentito? Ti ammazzo

Hisoka Izawa lo afferrò per le braccia, trascinandolo indietro, aiutato da Urabe e da Ishizaki.

«Morisaki, non peggiorare le cose! Stai calmo!»

«Peggiori di come sono? Pensi che si possa fare? Congratulazioni per l’ottimismo!»

Da dietro lo sportello della volante, Ryota gesticolò animatamente verso Kitakami per fargli capire di andare a occuparsi della faccenda e tenere buono il padre di Morisaki.

«Non sparare e parla con me! Parla con me!» gridava intanto al telefono, ma il tono del rapinatore era nervoso, pessimo segno.

– È chiara la faccenda, Ispettore Capo? Io sono quello che detta le regole!

«D’accordo, è chiaro, ma ora parla con me e smetti di sparare.» Poi abbassò il tono, infilando la testa nell’abitacolo della macchina per non farsi sentire. «Il tuo compare ha parlato di Morisaki, che cosa è successo?»

– Non è più il mio compare.

«Quello che vuoi, ma parlami di Morisaki!»

– Sia chiaro che io volevo sparare a quel moccioso del cassiere, ok? Il portiere si è messo di mezzo!

Gli occhi di Himura si chiusero con lentezza, mentre si portava una mano alla fronte.

«Merda», sussurrò.

– Ma è ancora vivo. Per ora. E se vi spicciate a darmi quello che voglio, magari lo sarà anche dopo. Quindi, tic tac, sbirro.

La comunicazione venne interrotta su quell’ultima frase, lasciando Ryota con il telefono muto accanto all’orecchio. Abbassò il braccio solo dopo qualche secondo di stallo.

Nozuki si affacciò e la tensione dell’Ispettore Capo si riflesse su di lui, che aggrottò le sopracciglia.

«Che ha detto?»

«Ha sparato al giovane Morisaki.»

«Accidenti… Kitakami sta facendo i diavoli a quattro per tenerne a freno il padre, se dovesse sapere-»

«Non lo deve sapere! Non ancora.»

Ryota sollevò lo sguardo con fermezza. Poi prese fiato, stringendo il pugno e facendo scivolare il pollice sul dorso delle dita, avanti e indietro, mentre elaborava ciò che andava fatto.

«Richiedi l’intervento di una squadra speciale e mettimi in contatto con il Quartier Generale della Prefettura. Svelto.»

Lui invece venne fuori dall’auto, sistemando il cappotto. A passo spedito raggiunse il gruppo dei genitori dove un Kitakami al limite della pazienza cercava di sedare le ire del signor Morisaki, invano. Le acque parvero calmarsi solo quando lo videro arrivare.

«Cos’è successo? Hanno sparato? E i ragazzi?» il padre di Sugimoto non sapeva più che chiedere e di cosa voler conoscere prima la risposta.

Lui sollevò le mani per far intendere di placarsi per un momento e di starlo a sentire.

«C’è stato un diverbio tra i rapinatori.»

«I ragazzi stanno bene?» chiese Rina Izawa con apprensione.

«Sono vivi,» disse, giocando con le parole affinché un po’ di calma si diffondesse tra di loro; averli tutti in tensione non sarebbe servito a nulla e non voleva generare allarmismi.

La signora Izawa sospirò, annuendo.

«Cosa vuole quel bastardo? Glielo ha detto?»

«Me lo ha detto, signor Morisaki, e gradirei che non rifacesse il panzer. Dovete lasciarci lavorare e mantenere la calma.»

L’uomo sbuffò il fumo di una nuova sigaretta e agitò la mano.

«Il problema è che sa chi sono i giovani Izawa e Morisaki, e quindi vuole un riscatto.»

«Pure?!»

«Lo so, signor Morisaki, mi creda.»

«Quanto?» chiese Hisoka Izawa.

«Dieci milioni di yen ciascuno.»

Akio allargò le braccia, furente.

«Ah! E dove diavolo pensa che li andiamo a prendere? Da sotto al materasso? Aspetti, adesso vado a scavare in giardino a cercare la pentola d’oro!»

«Morisaki, dannazione, falla finita!»

«Ma che pretendi, Izawa?» Si girò brusco contro il padre di Mamoru. Le sopracciglia aggrottate restituirono per la prima volta un’espressione di reale preoccupazione che sfiorava la paura. «È mio figlio. Non mi si può chiedere di stare calmo. Non ci riuscirei neppure se mi deste del valium!»

«C’è anche mio figlio lì dentro, lo sai. Ma dobbiamo rimanere lucidi e aiutare la polizia come possiamo.»

Hisoka gli poggiò una mano sulla spalla e Akio espirò a lungo, abbassando lo sguardo a terra.

«Potremmo far chiamare i direttori delle banche dalla polizia…» propose proprio il signor Morisaki, senza alzare la voce. «Vedere che cosa si può fare, ma anche così credo che ci vorrebbero delle ore.»

«Apprezzo i vostri suggerimenti, ma bisogna prima vedere se il Quartier Generale permetterà di cedere alle richieste,» tentò di spiegare Ryota, e il disappunto di Morisaki non si fece attendere.

Non gli gridò contro, ma nei suoi occhi c’era la precisa intenzione di non sentire alcuna ragione, non quella volta. La fermezza, mostrata con quella calma, era sinonimo di ‘realtà imminente’, e non uno scatto di collera guidato dall’istinto.

«Non me ne frega niente di quello che dice un burocrate in giacca e cravatta. Lì dentro c’è mio figlio e se per tirarlo fuori devo pagare, può star certo che sono disposto a rimanere in mutande e dare a quel bastardo ogni singolo centesimo che ha chiesto.»

«E io sono d’accordo con lui.»

Ryota osservò Hisoka Izawa incrociare le braccia nello schierarsi dalla parte di Akio Morisaki. A lui, ora, non rimaneva altro che mettere insieme tutti i pezzi di quel puzzle scombinato.

 

 

“Sinking faster than a boat without a hull, My Lord”

 

Sonnet – The Verve

 

 

 

Nota Finale: siamo in un momento estremamente delicato, quello che precede il capitolo finale della vicenda – e che sarà il più corposo di tutti perché non vi avrei mai fatto l’offesa di dividervelo ;).

Abbiamo tutti sul filo del rasoio, abbiamo T che spara di nuovo, i genitori che non riescono più a reggere tanta tensione e l’ispettore che cerca di trovare la strategia da usare per portare gli ostaggi fuori da lì il più in fretta possibile.

D’altra parte, abbiamo i nostri protagonisti in un punto che diviene sempre più critico, scivola piano piano, e delle cose iniziano a venire fuori a piccole macchie.

 

Spero di non aver messo troppe baggianate mediche, ho provato a informarmi su internet, leggere articoli relativi ai colpi di pistola, ai primi soccorsi quando non si ha molto da usare e non si può operare subito. Mi sono anche vista dei video sulla balistica dei proiettili e gli effetti di un calibro .45, una 9mm e un colpo di fucile .7,62 XD divertenti!

Ho cercato di fare del mio meglio per non scendere troppo in particolari che non conoscevo, spero mi perdonerete! T_T

 

E ora, la SORPRESA! *_*
La prossima settimana aggiornerò DUE VOLTE.

Perché se sono sadica con i miei personaggi, un po’ meno lo sono con i lettori e quindi non potevo lasciarvi con l’ultimo capitolo e poi far passare una settimana per avere l’epilogo (che è pure breve)! :) Almeno a Natale, anche un Grinch come me sa essere un pochino più buono. FORSE. XD

Quindi segnate le date: aggiornamento il 19 Dicembre e il 23 Dicembre (avrei voluto aggiornare il 18, ma sarò in viaggio per tornare al paese XD).

 

Sperando di farvi una cosina gradita, ci ribecchiamo al prossimo capitolo, ovvero quello che chiuderà la vicenda all’interno del konbini! ;)

PS: ah, 20milioni di yen sono circa 150mila euro XD Giusto per dirvi un po' le cifre in gioco. Sappiate che i calciatori giapponesi NON prendono quanto quelli del campionato italiano. Ma proprio NO. XD

   
 
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Captain Tsubasa / Vai alla pagina dell'autore: Melanto