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Autore: lalla124    24/06/2009    1 recensioni
'Era intenta a mettersi lo zaino sulla spalla, perciò non si accorse dei miei occhi sbarrati. Bella? Bella?! O mio Dio. Era peggio dell’orribile. Bella! Se mi fossi chiamata Isabella non mi sarei mai, mai, fatta chiamare Bella! Bella! Mi sarei fatta chiamare Lisa, oppure ancora meglio Easy, ma Bella no!'
Questa è una mia nuova fanfic basata su un'idea che mi era venuta già l'anno scorso. Racconta gli ultimi tre libri della saga dal punto di vista di un nuovo e strano personaggio (non fatevi ingannare dal titolo) che si trasferirà a Forks insieme a una famiglia fuori dal normale. Rimarrò piuttosto fedele al libro, ma d'altra parte ci saranno anche grossi stravolgimenti! È un esperimento che ho provato a fare e spero tanto che vi piaccia. Buona lettura!
Genere: Azione, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Jacob Black, Nuovo personaggio | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più libri/film
Capitoli:
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Terzo Capitolo

 

Terzo Capitolo

 

 

Il giorno dopo l’arrivo con la moto attirò meno l’attenzione. La parcheggiai sul marciapiedi nello stesso posto. Faceva davvero freddo e ieri aveva persino cominciato a nevicare. Questo non andava affatto bene per lei: la neve rischiava di rovinare il telaio se si tramutava in grandine. E non credevo che qua ci fossero parcheggi al coperto. Dovevo trovare un altro mezzo alla svelta. Farsi portare da mamma e papà non se ne parlava nemmeno, soprattutto se uno aveva una Lamborghini e l’altra un’ Alfa Romeo da competizione. Pensavo ad un’auto di seconda mano, ma in realtà mi bastava solo che andasse avanti. Sarebbe però stato difficile trovarne una. Inoltre non avevo soldi a sufficienza, cioè, soldi miei; non mi andava di chiedere un prestito ai miei. E per avere soldi serviva il corso di break dance. Fu per questo che la prima cosa che feci entrata a scuola era cercare Eric, Mike, Bella, o qualcuno che conoscevo per chiedergli del corso.

Mi mossi ad entrare; oggi era pieno di studenti infreddoliti. Un gruppetto di ragazzi vicino a me stava parlando entusiasta di una prossima battaglia a palle di neve. Un brivido mi percorse la schiena e scossi la testa automaticamente. Odiavo la neve. Era fredda, bagnata, e si scioglieva. Ed era sicuro che “freddo più bagnato” era uguale per me a “febbrone da cavallo” ed io odiavo restare a casa ammalata.

Cercai con lo sguardo qualcuno che conoscessi, ma alcuni ragazzi parecchio alti mi ostruivano la vista. Sbuffai. La mia statura qualche volta era davvero detestabile.

“Ehi, Abigail” Mi girai di scatto. Eric si era avvicinato e mi stava camminando vicino.

“Ciao Eric

“Vogliamo organizzare una partita di palle di neve per quando ce ne sarà di più. Vuoi partecipare?” Il suo entusiasmo quasi mi convinse.

“Mi spiace, ma… io detesto la neve. E mi ammalo facilmente” Lui si dispiacque un po’.

“Perché ce l’avete tanto con la neve tu e Bella?” se ne uscì scherzoso. Per me la vera domanda era: perché diamine non ce l’avete voi con la neve.

“Magari assisto…” dissi io pensando già con rassegnazione che razza di campo di battaglia umido, bagnato e fradicio poteva diventare tra poco quella scuola. Speravo tanto che non nevicasse quel giorno, ma il tempo fuori dalla finestra sembrava dire tutt’altro. Cavolo, la moto! Come avrei fatto ad accenderla con questo freddo?! Non si prestava proprio ad essere una buona giornata per me. Soprattutto con due prime ore di inglese.

Eric decise di accompagnarmi fino alla fine del corridoio, non molto lontano dalla mia classe. Approfittai del momento di silenzio per domandargli del corso di break dance.

“Senti” cominciai “sai per caso se qui a Forks c’è qualche corso di break dance?” In quel momento per Eric io mi ero trasformata in un alieno. Era terribilmente irritante quando le persone mi guardavano come se fossi un maiale blu, cosa che accadeva spesso, ma non sarei mai riuscita a farmene una ragione.  

“Vuoi iscriverti ad un corso di hip hop?” mi disse guardarmi sorpreso ed incuriosito allo stesso tempo.

Break dance” corressi subito “e no, non mi voglio iscrivere ad un corso. Ne voglio creare uno io. Per questo ti sto chiedendo se ce ne già uno”

Ma va!” Credevo che la sua espressione di sorpresa avesse raggiunto la massima estensione, ma mi sbagliavo.   

“Sei davvero così brava?”

“A quanto dicono...” dissi a testa bassa. La sua faccia stava cominciando a mettermi in imbarazzo. Eric si fermò di colpo; eravamo arrivati alla fine del corridoio.

E sai fare quindi tutte quelle mosse strane…?” disse cominciando a fare con le braccia gesti parecchio strani.

“Sì” riuscii a dire io, nonostante non capissi quello che intendeva.

E sai fare anche quello strano salto all’indietro?” Ora stava esagerando.

“Sì” ripetei secca e monotona. E si chiama back flip!

“Cavolo! Che figata! Complimenti!” disse stranamente meno esaltato

“Grazie” Questa volta sembrava essere stato realmente sincero ed io mi sforzai di ricambiare allo stesso modo.

“Oh, giusto, il corso!” esclamò improvvisamente “Non ti preoccupare, hai via libera. Ancora un po’ e qua a Forks cominceranno a togliere la parola break dance dal dizionario. Mostrai il mio sorriso sghembo alla sua battuta.

E sai anche dove potrei trovare uno spazio adatto?” Mi rispose senza pensarci troppo.

“Non credo, l’unico decente può essere la palestra della scuola. Prova a chiedere in segreteria.” La campanella a quel punto suonò.

Be, ora devo andare…” disse Eric cominciando ad allontanarsi.

“A dopo!” gli risposi di rimando.

La mattina passò piuttosto in fretta ed il mio umore stava dondolando tra la felicità per il corso di break e la terribile ansia di trovarmi della neve addosso da un momento all’altro. La battaglia si svolgeva tra un’ora e l’altra ed avevo rischiato di essere colpita un paio di volte durante il tragitto da un blocco all’altro della struttura scolastica. Fui ben lieta quindi di raggiungere la mensa sana e salva. Mi misi in coda con calma e aspettai di prendere il mio vassoio e di riempirlo di un misero pasto. Mentre aspettavo riuscii a riconoscere la sagoma della persona davanti a me.

“Ciao Bella!” Lei si girò verso di me e ricambiò il saluto con un sorriso.

“Ciao, Abigail!” Oggi non sembrava avere la testa persa tra le nuvole come ieri. Improvvisamente la mia attenzione venne catturata da una strana cartellina gialla che portava in mano, bagnata un po’ qua e là, su cui erano visibili alcuni residui di neve. Capii che l’aveva usata per ripararsi dalle palle.

Che genialata!” dissi indicando la cartellina con un dito, ad occhi spalancati. “Avrei dovuto pensarci anch’io!”

“Ah…Questa?” fece lei, sollevando la cartellina, mentre lentamente raggiungevamo il bancone del cibo. “Bhediciamo che non vado matta per la neve”

“A proposito di pazzia, io l’ho sempre detto che è matta la gente a cui piace la neve” concordai con lei. Lei sfoderò un sorriso solare.

“Oggi siamo particolarmente felici” dissi, contagiata dalla sua felicità. Ero sempre stata così; una sorta di spugna di emozioni. Gli stati d’animo degli altri mi influenzavano quasi più dei miei.

“Già” rispose lei sempre con lo stesso tono. Mi ricordai improvvisamente della discussione di ieri e cominciai a guardarla con attenzione. Avevamo concluso di non dirle niente sul fatto che i miei genitori fossero dei vampiri, principalmente perché non sarebbe stata una buona idea farle ricordare brutti momenti. Per essere più precisi, presunti brutti momenti. E poi l’avrebbe scoperto da sola; sapeva quali erano le particolarità fisiche dei vampiri e le avrebbe riconosciute presto nei miei genitori non appena li avrebbe visti, cosa che sarebbe accaduta non appena sarebbe andata in ospedale, quindi, data la sua capacità d’equilibrio, molto presto. I suoi occhi che per un attimo le si illuminarono mi fecero portare alla realtà.

“Oggi io, Mike, Angela, Ben e un mio amico andiamo a Port Angeles a vedere un film, vorresti venire anche tu?” Prendemmo entrambe un vassoio e lo trascinammo sul bancone.

“Oh…” dissi dispiaciuta “Credo proprio di no. Ho un po’ di cose che vorrei sistemare entro oggi con il corso di break” Lei si girò sorpresa verso di me.

Break dance?” Ecco, il suo non era un “sorpreso-maiale blu”, ma più un “sorpreso-incuriosito”

“Eh già, voglio organizzare un corso di break dance. Tu credi che molti possono essere interessati?” Solo allora mi accorsi che la notizia ben presto sarebbe stato di vero dominio pubblico. Lei sembrò rifletterci un po’.

“Non so… è probabile di sì” disse mentre sollevò il vassoio dal bancone. “Ma io di sicuro non ci sarò” disse sarcastica.

Non serviva che chiedessi il motivo, perché non appena cominciammo a dirigerci verso il solito tavolo, lei inciampò. Io riuscii a prendere il vassoio in tempo, ma lei cadde a terra, sbucciandosi un ginocchio.   

 

A fine pranzo aveva smesso di nevicare e le nuvole si erano fatte più chiare. Tutti gli studenti erano piuttosto depressi, ma zitta zitta io stavo gioendo. Come avevo previsto, il mio corso di break dance aveva già raggiunto le orecchie di molti, soprattutto dopo che Eric lo aveva comunicato a tutto il nostro tavolo. Avevamo parlato principalmente tutto il tempo di quello, e tutti furono sorpresi. Era davvero strano che una ragazza facesse break dance? In cambio però avevo avuto la conferma che più di qualcuno era interessato. La mia felicità però per quel giorno era del tutto finita. Alle ultime due ore c’era ginnastica ed io la odiavo, per il semplice fatto che finivo sempre per far del male a qualcuno. Odiavo lavorare con qualcosa che non fosse il mio corpo e lanciare una palla non rientrava nelle mie facoltà. Sconsolata mi diressi verso la palestra, che avevo imparato dov’era. L’inizio cominciò già male; il professore di ginnastica, il prof Clapp mi aveva consegnato l’uniforme per le sue ore. E comprendeva pantaloncini corti. Me li misi con grande difficoltà; mi davano terribilmente fastidio e mi sentivo come se fossi nuda. La lezione andò peggio. Cominciammo le battute di pallavolo ed io riuscii a spaccare una delle lampade del soffitto, non particolarmente alto, oltre a colpire due teste. Con la break dance e la corsa avevo sviluppato forti muscoli, non esageratamente appariscenti, ma in grado di colpire molto forte. Ed io non sapevo gestire la mia forza con un oggetto. In cambio potei però constatare che la palestra era sufficientemente grande per le mie lezioni.

 

Alle quattro ero a casa, di nuovo felice. Avevo parlato con la segretaria ed ero riuscita ad avere l’autorizzazione per l’uso della palestra due ore a settimana.

“Buona sera a tutti” acclamai entrando dalla porta che dava al garage. Mia madre e mio padre erano in salotto. Lui stava leggendo, lei stava ammirando un mucchio di disegni di bambini delle elementari.

“Ciao, Abi” dissero quasi contemporaneamente. Portai la mano alla bocca e tossii.

“Vorrei fare un annuncio” Due bellissime teste, si girano lentamente verso di me.

“Da questo martedì cominceranno le lezioni di break dance dell’insegnante Abigail Adams!”

Uao!” esclamò mia madre entusiasta.

“Dammi il pugno!” disse mio padre porgendolo. Io lo colpì non troppo forte.

E quindi ho bisogno del computer per i volantini per diffondere l’incredibile notizia. Non vorrei fare lezione al muro.” dissi immediatamente.

“Certo, fai pure” disse lui, in quel momento la rilassatezza fatta a persona. Non persi tempo e mi diressi in camera mia per indossare qualcosa di più comodo.

Abigail! La cena e pronta per le otto!” sentii gridare mia madre mentre salivo le scale.

“Va bene” le risposi io.

Tempo dieci minuti ed ero già sul computer di mio padre, nel suo ufficio, mentre cercavo di richiamare alla testa tutte le mie conoscenze del corso di informatica dello scorso anno. Mi ci vollero pochi minuti per fare un volantino decente e stamparlo su cartoncino rosso, preso quell’oggi prima di tornare a casa; avrebbe risaltato e si sarebbe fatto notare. Ne feci una cinquantina di copie, sperando che potessero bastare. Guardai il mio lavoro soddisfatta ed andai giù in cucina per la cena.

 

Quello che seguì fu un weekend piuttosto tranquillo. Il sabato successivo mi alzai ovviamente ad orari indecenti e passai la mattinata a cambiare le gomme della moto con quelle invernali, almeno finché non avrei trovato un altro mezzo con la quale sostituirla. Il pomeriggio invece lo passai a spargere i volantini per ogni locale ed infrastruttura di Forks. Gli avrei attaccati anche ai pali del telefono, se la perenne pioggia non li avrebbe infradiciati e staccati. Ne diedi alcuni anche a mamma per portarli a scuola; i bambini, soprattutto i maschietti, adoravano rotolare per terra come dei palloni. Approfittai di questa “full immersion” di Forks per parlare con qualcuno degli abitanti e per farmi conoscere. Mi stupii del fatto che qui tutti si dimostravano disponibili e gentili; sembrava una grande e grossa famiglia fatta a paese. Incontrai anche Mike e sua madre, al negozio di trekking. Tutti mi chiesero della mia famiglia e della vita a Chicago, ma questa volta mi ero ripassata la parte e seppi rispondere/mentire bene.

Di tanto in tanto, inoltre, domandavo dove potessi trovare un’auto di seconda mano. L’unico risultato che ottenni era che macchine di seconda mano potevo comprarle dal meccanico del paese, un certo John Dowling, ma mi avvertirono che costavano comunque un occhio della testa.

A fine pomeriggio arrivai alla centrale di polizia, l’ultima mia meta di quel lungo tour. Scesi dalla moto ed entrai. Non faceva molto caldo, ma almeno si stava all’asciutto.

“Mi dica signorina” mi chiese un poliziotto al bancone dell’entrata. Era il tipico poliziotto che si vedeva nei telefilm, con qualche chilo di troppo e una ciambella in mano. Mi avvicinai sorridendo.

“Posso appendere un paio di questi?” dissi sollevando i volantini ed indicando la bacheca in sughero per metà piena lì vicino.

“Certo” mi rispose addentando un pezzo di ciambella. Mi diressi verso la bacheca e con le puntine che avevo portato da casa appesi i volantini che erano rimasti in bella vista, mentre il poliziotto simpatico del bancone mi guardava interessato. Pensandoci bene in una città con poco più di tremila abitanti era comprensibile che l’indice di criminalità non fosse alle stelle e che la noia era di giornata qui alla stazione. Sentii il poliziotto sghignazzare.

“Ehi, capo! Ti interesserebbe un corso di break dance?” Dalla stanza vicina uscì un altro poliziotto, lo sceriffo, da come era stato chiamato. Era più asciutto del primo, ma anche lui a pancetta non scherzava e la calvizie stava cominciando a farsi vedere. Lesse velocemente il volantino e sorrise anche lui.

“Ah, non credo che qui riusciresti a reclutare qualche coraggioso!” disse mentre sorseggiava il caffè che aveva in mano. Io feci spallucce sorridendo.

“Erano gli ultimi rimasti.”

“Ah bhe, se erano gli ultimi…” ironizzò il poliziotto simpatico, provocando piccole risa generali.

“Tu devi essere la nuotata arrivata, Abigail Adams, non è vero?”

“Sissignore”  

“Io sono il capo della polizia Charlie Swan, mentre lui è il sergente Jimmydisse mentre mi porgeva la mano. Io la strinsi.

“Piacere, signorina” disse Jimmy alzando la ciambella.

“Il piacere è mio”

“Mia figlia mi ha parlato un po’ di te.” Solo allora me ne accorsi: Swan era il cognome di Bella.

“Ah, spero che le abbia raccontato buone cose su di me…” Lo sceriffo contraccambiò sorridendo.

“Ehm… senta, potrebbe farmi una cortesia?” Volevo provare per un’ultima volta la domanda della macchina.

“Certo” mi rispose, facendosi serio.

“Sa dirmi dove potrei trovare un’auto di seconda mano? Che non sia da John Bowling?” tenni a specificare. Charlie ci pensò su per un po’, ma poi scosse la testa.

“Mi spiace, ma credo che l’auto di seconda mano più vicina che potrai trovare è a Seattle”

Ma, scusa un momento” disse improvvisamente Jimmy. Io mi voltai verso di lui.

“Che rimanga tra noi” iniziò guardandomi sottecchi “Con tutti i soldi che ha la tua famiglia, non puoi comprarti un’auto nuova?”

Jimmy! Smettila di ficcare il naso!” urlò lo sceriffo con voce possente.

“Fa niente” risposi io. Non era stato il primo che me l’aveva domandato.

Diciamo che voglio arrangiarmi da sola” Jimmy cominciò a puntarmi con l’indice della mano libera.

“Tu sì che farai strada, ragazza” Lo ricambiai con un sorriso, mentre allo sceriffo gli si illuminarono per un istante gli occhi.

“Senti, forse so chi potrebbe vendertene una. Sai dov’è la riserva di La Push?” Io scossi la testa; non l’avevo mai sentita nominare.

“È ad un quarto d’ora di macchina a sud -ovest da Forks. Lì c’è il figlio di un mio amico che costruisce auto. Mmmhhh… in gamba, il figliol prodigio.

“Magari se vi mettete d’accordo lui te ne può costruire una. Non garantisco niente, ma chiedere non costa nulla, no?” Prese carta e penna e cominciò a scrivere. “Questo è il suo indirizzo di casa ed il suo numero di telefono. Mi porse il foglietto di carta e lo guardai: Billy e Jacob Black. Chissà chi era il figlio e chi il padre.

“Lo chiamerò dopo per dirgli che sei interessata” mi disse con un sorriso

“Grazie, signor Swan” gli risposi cordiale prendendo il foglio. Mi trattenei alla stazione per ancora alcuni minuti. Tornai a casa piuttosto felice. Prima il corso di break, adesso l’auto. Le cose stavano andando davvero bene per me.

 

La mattina del giorno seguente mi svegliai abbastanza presto. Colpa di strani incubi che non riuscivo a ricordare. Il risveglio però fu uno dei più piacevoli, perché quella mattina c’erano meno nuvole del solito. Quella sì che era una bella giornata per Forks. Di domenica, poi, era il massimo. Di certo non sarei rimasta a casa a far niente. Andai quindi giù in cucina per la colazione.

“Come mai già sveglia?” chiese mia madre intenta ad addobbare e rimpinzare il salotto di fiori, come se la natura appena fuori alla porta non bastasse.

“Strani sogni che neppure ricordo” risposi mezza addormentata mentre aprivo il frigo per il latte e la mensola dei biscotti. Mi preparai la colazione in silenzio, aspettando che la nebbia nella mia testa si diradasse.

Dov’è papà?” dissi a mamma con la bocca piena di biscotti.

“È all’ospedale; questa settimana fa anche il weekend, così la prossima possiamo andare in perlustrazione” gridò lei dal salotto.

“Bene…” risposi io ,appoggiando la testa sul braccio e pensando come avrei passato quella sacra giornata di sole. Nonostante il sonno riuscì a venirmi il colpo di genio. La Push; sarei potuta andare a La Push. Era domenica e non credevo fosse una bella idea andare a disturbare il “figliol prodigio amico delle auto” e suo padre. Avrei potuto però vedere la favolosa riserva. La semplice idea riuscì a darmi un po’ di energie in più. Misi la tazza nel lavello e dalla sedia della cucina mi stravaccai sul divano del salotto.

“Mamma, oggi pensavo di andare a La Push” le comunicai la mia decisione. Lei non tolse lo sguardo dal vaso di fiori davanti a sé.

La Push? La riserva, dici?”

“Ne hai sentito parlare?”

“Sì, dicono che non abbia una brutta spiaggia per…”

“Spiaggia?! Con il mare, dici?!” Io adoravo il mare. Non importava se non c’era un sole che spacca le pietre, andava bene così. Avevo sempre vissuto a Chicago ed ovviamente il mare me lo sognavo, ma da quando ero andata a San Lucas quell’estate me n’ero innamorata. Certo, Chicago si affacciava sul Lago Michigan, ma personalmente detestavo l’acqua dolce dei laghi.

“Non lo sapevi?” chiese lei guardandomi questa volta negli occhi. Io scossi la testa. Non aspettai altro ed andai subito in camera a prendere il casco della moto. Il minuto dopo ero già in sella, direzione La Push.

Mi ci vollero solo otto minuti per raggiungere il cartello di benvenuto. La strada percorreva la costa alta e frastagliata e dava sul mare, mentre l’insieme di case che formavano la riserva dovevano trovarsi un po’ più là perché dalla strada non riuscii a vederle. Parcheggiai la moto vicino ad una scalinata che portava giù alla spiaggia. Gli scalini erano parecchio ripidi e dovetti fare altrettanta attenzione. Mi avvicinai al mare, attenta a non bagnarmi ed inspirai lentamente l’aria salmastra. L’odore mi inebriò le narici. Che magnifica sensazione. Mamma aveva ragione, la spiaggia era davvero bella. La sabbia era sostituita da piccoli sassi d’ogni colore e in qualche punto giaceva qualche tronco, portato dalle onde o disposto da qualche campeggiatore per un falò. Il mare non era di un azzurro brillante come in California, ma rispecchiava comunque quei pochi raggi di sole con un colore tra l’azzurro ed il grigio. Era un po’ mosso per il vento, e ad ogni onda che si infrangeva sentivo piccole gocce salate sul viso. Lo spettacolo era incorniciato da qualche scoglio solitario che spuntava ogni tanto all’orizzonte. Mi guardai intorno; strano, non c’era nessuno con questa giornata. Ero da sola, ma questo non mi spaventava, anzi, era meglio. Adocchiai un tronco bianco ed eroso dall’acqua e mi sedetti sopra. Tirai fuori l’mp3, mettendo a basso volume musiche rilassanti. Era troppo forte la sensazione di buttarmi in acqua; nuotare era bello tanto quanto correre. Non vedevo l’ora che arrivasse l’estate per poter fare qualche tuffo.

Mi sistemai meglio sul tronco incrociando le gambe.

Quando avevo lasciato Chicago ero un po’ depressa e sconcertata; credevo che qui a Forks mi ci sarebbe voluto parecchio tempo per sentirmi a mio agio. Invece tutto quello che era successo aveva superato le mie aspettative; avevo incontrato persone simpatiche, avevo organizzato subito il corso, stavo forse per combinare anche la macchina e cosa più importante di tutte c’era il mare! Sapevo che Forks si trovava vicino alla costa, ma il mio senso della distanza non era dei migliori.

Chiusi gli occhi per qualche minuto. Forks era davvero una città strana. Mi piaceva l’idea di passare qua un po’ di tempo fino a quando la scusa non sarebbe più stata credibile, vivendo in pace e in tranquillità. Sorrisi tra me; vivere in pace e in tranquillità tenendo in conto due genitori vampiri. Aprii gli occhi di scatto; a pensarci bene la tranquillità era già andata a farsi benedire con lo scandalo di Bella. Quella dannatissima domanda che ero riuscita a rimuovere ora mi stava ritornando alla mente: perché diamine i Cullen se n’erano andati, lasciando Bella da sola? Forse non se n’erano proprio proprio andati. Forse avevano dovuto traslocare per il problema dell’età e la venivano a trovare qualche volta. Ma allora perché non se n’era andata anche lei con loro? Forse voleva finire la scuola oppure…

No, era inutile ipotizzare a caso. Se volevo scoprirlo potevo saperlo solo da lei, ma con che diamine di faccia tosta sarei andata da lei e le avrei chiesto di raccontare la storia della sua vita? E poi c’era anche Charlie. Lui lo sapeva che i Cullen erano dei vampiri?

In quel momento mandai tutto a quel paese, promettendo a me stessa che non avrei mai osato torturare in modo così crudele la mia mente. Fino a quando Bella non avrebbe scoperto che i miei genitori fossero dei vampiri, ovvio.

Una goccia sugli occhi mi fece tornare alla realtà. Acqua? Ero troppo lontana dalla riva per sentirla sul viso. In breve mi accorsi che non proveniva dal mare, ma direttamente dal cielo, che si era fatto di nuovo grigio e stava cominciando a piovere. Imprecai tra me e me. Era meglio se me ne andavo prima che cominciasse ad aumentare. Corsi verso la moto, misi il casco e partii.   

Svoltai solo un paio di volte e finalmente vidi i primi abitanti della riserva. Passai veloce accanto a loro e non riuscii a distinguerli bene, ma potei vedere il loro mastodontico corpo abbronzato coperto solo da un paio di bermuda, nonostante non fosse decisamente la stagione per il torso nudo. Il mio primo pensiero fu che fossero i soliti e dannatissimi fighetti pompati.

 

 

Il giorno dopo finii la propaganda dei volantini. La scuola era l’unico posto dove non avevo potuto appenderli perché durante il fine settimana era chiusa. Fu la prima cosa che feci non appena entrai. Bhe… in realtà fu quella di trovare la bacheca, ma non fu difficile; una grande tavola di sughero piena di volantini era posta sulla parete a sinistra dell’entrata. Cercai un posto in bella vista e ne appesi uno. Mi soffermai anche a guardare gli altri volantini. C’era proprio di tutto: dalla vendita di cd a quella di lettiere per gatti. Uno vendeva due vecchie moto, un altro offriva la possibilità di fare bungie jumping, un altro ancora vendeva tazze di ceramica antiche, un altro… Mi fermai di colpo e tornai indietro. Aspetta un attimo, bungie jumping? Staccai dalla parete il volantino verde in questione e lo lessi attentamente. Uno sport center a Port Angeles dava l’occasione di provare l’ebbrezza del bungie jumping a un prezzo che presi in grande considerazione. Era da parecchio tempo che covavo la voglia di provare a farlo e i miei me l’avrebbero permesso sicuramente. Il problema era il costo; non era eccessivo, ma dovevo risparmiare per la macchina. Decisi di prendermi un po’ di tempo per pensarci… tre… due…uno… va bene, lo faccio, la macchina poteva anche aspettare. Non potevo dire che non ci avevo pensato. Sul volantino c’era scritto che i giorni disponibili andavano dal lunedì al sabato e si svolgeva di pomeriggio. Prima era, meglio era; l’effettiva possibilità di poterlo fare aveva aumentato la voglia, perciò organizzai il tutto per mercoledì. La mia concentrazione fu brutalmente disturbata dal suono della campanella. Piegai il foglietto e lo misi nello zaino, mentre mi dirigevo verso l’aula di biologia.

Appena entrata mi sedetti al mio solito posto e salutai Bella. Lei mi rispose con un tono strano, quasi assente. La guardai bene in volto; aveva le sopracciglia aggrottate ed era tutta immersa nei suoi pensieri. Chissà a cosa stava pensando. Evidentemente a un qualcosa di molto più brutto che bello. Provai ad intavolare uno straccio di conversazione.

“Allora, come è andata l’uscita al cinema di venerdì?” cercai di chiedere con entusiasmo. Lei sbuffò e si prese la testa con le mani, come se avesse il mal di testa.

“Un disastro in tutti i sensi” disse quasi stanca.

Si interruppe all’arrivo del professore in classe. Le due ore seguenti passarono piuttosto lente, anche se la lezione era interessante. Bella non avrebbe aperto bocca per tutto il tempo, se non le avessi parlato io, un po’ chiacchierando sulla sua uscita al cinema ed un po’ blaterando. Quasi mi dispiacque di non essere andata quel venerdì; la grande compagnia si era ridotta a tre persone, lei, Mike ed il suo amico, il film poi era scadente e tutti e tre erano tornati a casa con uno strano virus intestinale. Pensandoci bene, forse era stata una fortuna non andare. Finita la lezione mi misi subito lo zaino in spalla.

“Vuoi che ti accompagni a spagnolo?” chiesi a Bella. Lei sembrò guardarmi per la prima volta.

“No, figurati, è dall’altra parte della scuola” Il suo tono però era abbastanza deciso.

“Va bene…” me ne uscii io, dirigendomi verso la porta.

Abigail, aspetta! Hai perso questo…” mi urlò Bella quando fui già arrivata alla porta. Mi girai verso di lei. Teneva in mano il volantino verde e lo stava guardando con attenzione.

“Oh, grazie!” dissi prendendolo. “Ci vediamo dopo!” Mi ero appena incamminata che mi fermò un’altra volta.

Abigial!” Si avvicinò a me. Eravamo una di fronte all’altra in mezzo al corridoio tra un mucchio di gente; non il posto perfetto per una discussione.

“Hai intenzione di darti al pericolo?” chiese indicando il volantino verde.

“Oh, sì, mi piacerebbe” le risposi mentre lo mettevo via.

“Ah… uau…” Io la guardai negli occhi; era esitante.

“Mi devi chiedere qualcosa?”

“…S- sì” mi disse dopo un po’. Perché stava tentennando in questo modo?

Ehmm….” mormorò lei “Mi piacerebbe molto anche a me” Ah, capito. Aveva paura di dimostrarsi troppo presuntuosa ad autoinvitarsi.

“Oh. Eh… vorresti venire con me?” la aiutai io. Lei mi sorrise.

Perché no?”

“Io pensavo di andarci mercoledì, ma se per te non va bene…”

“No, per me va bene” Sembrava aver riacquistato un po’ di solarità.

“Va bene. Comunque vedrò di telefonare oggi per sapere qualcosa di più o per prenotare, se si può.”

Ok. Magari vieni da me, così andiamo a Port Angeles insieme”

“Perfetto” L’inverso sarebbe stato assolutamente inadeguato. “Fatta?” Le porsi il pugno, che lei guardò per un attimo confusa prima di colpirlo.

“Fatta.”

 

“Allora, com’è andata la prima lezione?” chiese mia madre sedendosi sul divano vicino. La domanda di mia madre era irritante e sarcastica. In quel momento mi ritrovavo spiaccicata sul divano del salotto, con ancora il giubbotto addosso ed il casco per terra. Era stato un pomeriggio impossibile.

“Non ce la farò. Non ce la farò” blaterai a faccia in giù, mentre il materasso attutiva il suono della mia voce.

“Proprio tu che sei piena di energie?” ribadì mio padre in piedi. In tutta risposta rotolai distrutta per terra.

“Perché tu non hai idea di come sia gestire venti persone di età compresa tra i sette e i dodici anni!” Mi misi a sedere. 

“È stata distruttiva come esperienza” esclamai rispondendo alla domanda di mamma. 

“Devi solo abituarti…” disse lei rilassata.

“Devo” affermai alzandomi finalmente in piedi.

“E comunque scommetto che ti sei divertita” incalzò mio padre. Io cominciai a sorridere sotto i baffi e a ciondolare prima di rispondere. Non volevo ammetterlo, ma sì, era stata proprio divertente quella prima lezione di break dance. Quei bambini rotolavano come dei palloni e quella fu la prima volta che provai una sorta di felicità ed allegria a vedere dei bambini impazziti; non c’erano dubbi che il mio senso materno nascosto e sepolto si stesse risvegliando.

“Sì” ammisi alla fine “Anche se io mi aspettavo ragazzi più grandi” dissi con un po’ di delusione. Certo, alla fine quella lezione era stata un vero successone e non dovevo nemmeno lamentarmi tanto, ma mi dispiaceva che nessuno della scuola si fosse presentato, soprattutto dopo che ne avevano parlato così tanto e si erano dimostrati così entusiasti.

“Ma è solo l’inizio” mi rassicurò mia madre “Vedrai che se ne aggiungeranno ancora”

“No! Venti bastano ed avanzano!” sbottai io, dirigendomi dritta su per le scale. Stavo prendendo veramente in considerazione l’idea di percorrere Forks in lungo ed in largo per togliere qualsiasi volantino rosso. Se solo avessi saputo che fosse stato così difficile… inutile, l’avrei fatto comunque. 

Cosa vuoi per cena?”

“Niente, mamma, vado subito a dormire”

“Allora è stato più distruggente di quanto pensavamo”

“Sì, papà” risposi io a macchinetta, quasi un po’ scocciata. Non mi trattenei ancora per molto in salotto; non era il momento adatto per una felice conversazione famigliare. Andai dritta in bagno, mi feci una doccia e poi via sotto le coperte. Riuscii a dormire alla grande, preparandomi per il grande salto di domani.

 

 

 

 

Innanzitutto ringrazio inoltre in modo speciale tutti coloro che hanno messo questa storia nei preferiti o nei seguiti, oltre a tutti coloro che leggono questa fanfic! Riguardo alla ff….mmhhh… Le cose si stanno facendo un po’ noiose e lente, soprattutto in questo capitolo, me ne rendo conto, ma nel prossimo ci saranno un po’ più di dubbi ed un incontro un po’ particolare (eheh…). Inoltre sono un po’ corti, ma vedrò di rimpinzarli un po’ di più. Per il resto spero che come inizio vi intrighi e vi coinvolga. Commentate in numerosi! J

 

X RiceGrain: bhè… devi sapere una cosa, dopo un po’ divento parecchio noiosa e ripetitiva, quindi non sorprenderti se più di una volta ti ringrazierò usando le stesse identiche parole! J Sono davvero priva di fantasia in questo. Quindi ti scrivo che sono stracontenta che ti piaccia questa ff, ma soprattutto ti ringrazio per le tue opinioni ed i tuoi commenti, sempre ben accetti. Grazie ancora!  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                          

   
 
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