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Autore: lalla124    16/06/2009    2 recensioni
'Era intenta a mettersi lo zaino sulla spalla, perciò non si accorse dei miei occhi sbarrati. Bella? Bella?! O mio Dio. Era peggio dell’orribile. Bella! Se mi fossi chiamata Isabella non mi sarei mai, mai, fatta chiamare Bella! Bella! Mi sarei fatta chiamare Lisa, oppure ancora meglio Easy, ma Bella no!'
Questa è una mia nuova fanfic basata su un'idea che mi era venuta già l'anno scorso. Racconta gli ultimi tre libri della saga dal punto di vista di un nuovo e strano personaggio (non fatevi ingannare dal titolo) che si trasferirà a Forks insieme a una famiglia fuori dal normale. Rimarrò piuttosto fedele al libro, ma d'altra parte ci saranno anche grossi stravolgimenti! È un esperimento che ho provato a fare e spero tanto che vi piaccia. Buona lettura!
Genere: Azione, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Jacob Black, Nuovo personaggio | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più libri/film
Capitoli:
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Secondo Capitolo

 

Vi ho fatto aspettare un po', ma ecco il secondo capitolo!

 

 

Secondo Capitolo

 

Ieri non avevo avuto il tempo di controllare se stava bene; era stata, insieme all’auto di mamma, l’ultima nostra proprietà ad essere rilasciata e avevo potuto solo superficialmente constatare se andava tutto apposto. Non avevo nemmeno acceso il motore.

Dopo aver finito di fare colazione mi precipitai giù in garage già con lo zaino in spalle per controllare con più attenzione il telaio. Non appena avevo visto il garage mi erano cadute letteralmente le braccia; enorme era troppo poco. Era una specie di distesa di cemento grande quasi tutta la casa, illuminata da una ventina di lampade al neon. Decisamente troppo per due auto e una moto.

Sospirai di sollievo; gli addetti al trasloco avevano fatto attenzione e non era stata scalfita in nessun modo. Misi casco e guanti prima di accendere il motore. Un piccolo attacco di adrenalina percorse tutta la colonna vertebrale. Anche il motore era intatto. Premetti la frizione e poi l’acceleratore. Via. Uscii dalle porte del garage che erano già state aperte dai miei genitori ed attraversai il vialetto che conduceva alla strada principale non più dei quaranta, per poi raggiungere i centoventi in dieci secondi. Andavo matta per le moto da corsa; insieme alla break dance e alla corsa. 

C’era una pioggerellina leggera che bagnava l’asfalto e ed il cielo non era cambiato molto rispetto a ieri; si poteva dire che quella era una buona giornata.

Sapevo che non sarebbe stata una buona idea arrivare il primo giorno di scuola con lei, avrebbe attirato troppo l'attenzione e avrebbe corso il rischio di essere rovinata da qualche deficiente, ma fino a che non mi procuravo un altro mezzo dovevo adattarmi. A Chicago non era un problema, a scuola si trovavano moto e auto ben più vistose di una KTM, ma qui a Forks invece era tutta un’altra cosa. 

Il rumore doveva essere giunto prima del mio arrivo; non appena apparve davanti a me la Forks High School tutti gli studenti che si trovavano in giardino avevano gli occhi puntati su di lei ed alcuni si erano anche sporti dalle finestre delle aule.

Mi fu difficile trovare un parcheggio, anche perché non c’era. Ero stata abituata troppo bene a Chicago. Mi limitai quindi ad occupare uno dei posti per le auto. Spensi il motore e scesi togliendomi il casco. Non sarebbe stata però una cattiva idea tenerselo in testa; tutta la scuola stava guardando chi me, chi la moto. Dovevo proprio sembrare un alieno a questi campagnoli dalla vita monotona. Erano proprio messi male se se si comportavano in questo modo esagerato per una moto. Non era piacevole, ma non ci potevo fare niente. Pazienza. Mi diressi verso l’entrata della scuola con scioltezza. Non mancarono i commenti idioti insieme ad un totale e sorpreso silenzio. Ma io adoravo i commenti idioti, perché poi ero indiscutibilmente costretta a ribattere. C’era però solo un mormorio indistinto e di pochi riuscii a sentire il contenuto.

“ma da dov’è uscita questa!” disse troppo rumorosamente un ragazzo dai voluminosi capelli ricci. Tirai avanti senza degnarlo di uno sguardo; non sembrava antipatico, non mi andava di ribattergli.

Continuai a far finta di niente fino all’entrata della scuola. Lì c’era un gruppetto di ragazze che avevano cominciato a squadrarmi da capo a piedi con un’espressione che sembrava anticipare un connotato di vomito.

“ma non si è guardata allo specchio questa mattina?” disse una brunetta del gruppetto all’amica bionda.

“secondo me nemmeno ce l’ha lo specchio, Rachel” Speravo che non avessero notato che le avevo sentite.

“Ciao, Rachel! Tutto bene?” le chiesi con un sorriso a trentadue denti e continuai a camminare dritto. Quando tornai a girare la testa verso l’entrata riuscii a sentire parte della loro conversazione.

“La conosci?!” La bionda era la perplessità fatta a persona.

“No…no…” E potevo immaginare il rossore sulle guance della bruna per la vergogna. Sul viso mi si dipinse il mio tipico sorriso sghembo.

 

Oltre la porta d’entrata la scuola non era ancora piena di studenti e riuscii a passare inosservata. Mi diressi verso la segreteria lì vicino per farmi consegnare l'orario delle lezioni. Al bancone c’era la stessa donna di mezza età che avevo visto spettegolare l’altro giorno sul marciapiedi. Il mondo era piccolo. Dall’auto non mi ero accorta dei tinti capelli rossi e degli occhiali spessi. Mi guardava interessata e sorpresa.

“Tu devi essere la nuova studentessa, Abigail Adams” La sua voce aveva un non so che di viscido. Guardai la tessera di riconoscimento che aveva attaccata al petto. Signorina Cope. Il signorina data l'età non era molto adatto. Ecco la prima di una serie di simpatiche zitelle pettegole. Io annuii con la testa. Mi porse un foglio.

“Questo è l’orario delle lezioni che hai richiesto” Me ne porse subito un altro “E questo lo devi far compilare ai docenti di questa giornata”

“Capito. È possibile avere anche una cartina della scuola?” Mi guardò dolente.

“Mi dispiace, cara. Non credo che siano più disponibili” Rabbrividii al cara. Alzai e riabbassai impercettibilmente le spalle; nessuna cartina, perfetto. Speravo solo di non perdere troppo tempo a distinguere le aule le une dalle altre ed arrivare in ritardo. Non era affatto un buon inizio.

“Non importa, me la caverò.” Tornai indietro ed aprii la porta d’uscita della segreteria. Mi fermai di colpo sull'uscio.

“Arrivederci” dissi girando velocemente la testa. L’educazione era la prima cosa per fare buona impressione.

“Arrivederci anche a te, cara. E buona fortuna” La segretaria sembrava contenta del mio saluto. Io invece non tanto per il “cara”. Quando uscii dalla stanza il mio sguardo era fisso sull’orario: vedevo ore di matematica, trigonometria, biologia, chimica e scienza della terra. Sorrisi involontariamente; erano le mie materie preferite. Nessuno avrebbe mai detto che fossi portata per queste cose; mamma mi diceva sempre che le persone tendevano a scambiarmi per una ragazza con la testa sulle nuvole. Le apparenze ingannavano da morire. Trovavo le materie scientifiche particolarmente interessanti, per questo avevo fatto in modo di inserire nell’orario molte loro ore. Guardai l’orario del giovedì: alle prime due c’era biologia. Perfetto. Ora il problema era trovare la stanza. Poi mi guardai finalmente attorno: ora era pieno di studenti che mi guardavano come se fossi un maiale blu.

“Ehi!” Mi girai verso il proprietario della voce. Era un ragazzo moro piuttosto magricello, con un bel po’ d’acne sul viso.

“Tu devi essere Abigail” Mi porse la mano ed io la strinsi.

“In persona”

“Ahi!” la ritrasse subito “Che forza!”

“Scusa” Era il primo studente che mi rivolgeva la parola e continuavo a ripetermi le parole “buona impressione”.

“Fa niente. Io sono Eric Yorkie del quinto anno. Tu invece frequenti il…?”

“Il terzo” Diventò all’improvviso impacciato e l’allegro sorriso che aveva svanì in un attimo, lasciando il posto ad uno insicuro ed imbarazzato.

“Ah… sei più piccolina” piccolina? Feci un respiro profondo. Buona impressione, buona impressione, buona impressione.

“Puoi aiutarmi?” dissi sviando subito l’argomento “età” per incalzare quello “aiutami”.

“Certo”

“Sai dov’è l’aula di biologia?”

“Ah… in segreteria non abbonda di piantine, vero?”

“Sì, ma solo quelle verdi…” proruppi io di botto in una delle mie pessime battutine. Mannaggia, mi veniva automatico. Lui fece una risata trattenuta.

“Divertente...”

“Eh già” Ora l’insicura ero io. La campanella suonò all’improvviso per tutto l’atrio, convincendo Eric a sbrigarsi a dirmi quello che volevo sapere.

“Comunque, l’aula di biologia la trovi finito questo corridoio a destra. Scusa, ma ora devo proprio andare. Ti accompagnerei volentieri, ma la mia aula è dall'altra parte. Ciao.” disse mentre si allontanava da me correndo. Gli risposi con un cenno della mano guardandolo scappare veloce e seguii le sue istruzioni. Anch’io arrivai in fondo al corridoio mantenendo un passo sostenuto e sperai vivamente che la lezione non fosse già cominciata, esaudendo così le mie peggiori prospettive. Feci in fretta a bussare ed ad entrare. Tutti erano già seduti al proprio posto e mi sentii per un breve momento particolarmente a disagio, che sparì non appena mi accorsi che il professore era distratto a trafficare tra un mucchio di fogli. Mi diressi verso di lui. Non alzò subito la testa per osservarmi, quindi ne approfittai per dare una veloce occhiata all’aula. Era piuttosto grande, con diversi cartelloni su cellule, meiosi e fotosintesi appesi alle pareti. Non male.

Finalmente alzò lentamente la testa e mi squadrò, come stava facendo tutto il resto della classe. Prese in mano il foglio che gli stavo porgendo, lo firmò con uno svolazzo. Stava per riconsegnarmelo, ma si bloccò con lo sguardo fisso sempre sul foglio.

“Signorina Adams, le devono aver dato l’orario sbagliato. Questo è il corso di biologia per il quinto anno.”

“Appunto” gli risposi. Gli presi il foglio dalle mani, mentre lui mi guardava in modo un po’ truce. Cavolo, “appunto” non doveva essere stata una risposta gentile.

“Può andarsi a sedere vicino a Swan” e tornò alle sue carte. Feci quindi scorrere lo sguardo per l’aula in cerca di chi potesse essere Swan. Non mi fu difficile capirlo, in quanto era l’unica persona vicina ad un posto vuoto. Andai verso di lei. Swan era una ragazza dai lunghi capelli neri con gli occhi scuri, semplice, non molto diversa dalle altre. Aveva una carnagione pallida, come tutte le persone che abitavano in un buco senza sole come Forks, e due occhiaie un pò marcate, dovute forse a notti passate in bianco. Le lanciai un'occhiata mentre mi sedevo sullo sgabello imbottito vicino a lei e mi toglievo lo zaino dalle spalle. Altra cosa, questa ragazza aveva la testa terribilmente tra le nuvole: non si accorse nemmeno che c'era qualcuno accanto a lei tanto era concentrata nei suoi pensieri. Avrei voluto presentarmi, ma il professore iniziò a parlare dell’argomento del giorno e decisi che era meglio evitare di irritarlo ancora.

Quella fu un’ora lunga, continua e noiosa. Il docente fece una breve introduzione sulla teoria darwiniana che avevo già studiato l’anno scorso e che era di una noia insopportabile. Mi limitai a prendere qualche appunto ed ad osservare di tanto in tanto Swan, cercando di evitare gli sguardi diretti a me e i leggeri mormorii provenienti dal fondo. Prendeva appunti come tutti e stava in silenzio, ma la sua espressione era persa in chissà quale mondo. Era piuttosto inquietante.

La campanella suonò ed il professore smise all’istante di parlare, mentre tutti i presenti nell’aula si alzavano dai propri banchi. Nessuno si fermò ad aspettare il mio vicino, che in breve si ritrovò sola insieme a me. Aveva riempito il proprio zaino e si era già alzata. Colsi l’occasione al volo.

“Io sono Abigail Adams, quella nuova.” Lei si girò verso di me all’improvviso e sobbalzò. Non si era davvero accorta di me. Cercai di sembrarle amichevole sfoderando il mio sorrisino sghembo, ma invece di farle una buona impressione sembrava che avessi avuto l'effetto opposto; mi stava guardando immobile.

“Ehi, tutto bene?”

“Sc…scusa, non ti avevo sentita" La sua voce era molto serena. "Ah... Tu quindi sei Abigial. Io mi chiamo Isabella Swan, ma preferisco Bella.”

Era intenta a mettersi lo zaino sulla spalla, perciò non si accorse dei miei occhi sbarrati. Bella? Bella?! O mio Dio. Era peggio dell’orribile. Bella! Se mi fossi chiamata Isabella non mi sarei mai, mai, mai, fatta chiamare Bella! Bella! Bella! Mi sarei fatta chiamare Lisa, oppure ancora meglio Easy, ma Bella no! E che cavolo: dai, Abigail, il nome era suo e poteva fare quello che voleva... Bella... Bella… No, non ce la facevo, era più forte di me.

“Scusa, ma ora devo andare.”

Questa volta fu lei a riportarmi sulla terra. Senza aggiungere altro si diresse fuori dall’aula. Io la lasciai fare; non volevo crearle ulteriori disturbi.

Diedi un’occhiata veloce all’orario delle lezioni. Matematica. Bene. Adesso dovevo solo trovare l'a…

“Bella!” la chiamai mentre stava uscendo in corridoio. Al diavolo i disturbi. Corsi veloce verso di lei e la fermai appena in tempo. La raggiunsi e uscii dall’aula salutando anche il professore, che mi rispose con un brontolio. Speravo vivamente di non avergli fatto una brutta impressione.

“Scusa, ma mi potresti dire dov'è l’aula di matematica?”

“Certo, è dalla parte opposta della scuola. Devo andare anch’io da quella parte. Ti accompagno se vuoi.” Era la frase più lunga che le avevo sentito dire.

“Grazie, mi faresti un piacere.”

Camminai accanto a lei per tutto il tragitto, cercando di non badare alle occhiate che mi venivano lanciate nel corridoio. Notai che era una ragazza piuttosto alta. Più di me sicuro. Tra me e lei calò il silenzio. Perché non parlava? Di solito lo si faceva ai nuovi arrivati e questo silenzio proprio non ci stava. Di solito in queste situazioni c’erano molte cose da chiedere: perché ti sei trasferita? Con chi? Da dove? Lei invece se ne stava zitta. Un momento, chi l’ha detto che le domande dovevono farle gli altri? Potevo benissimo dirigere io la conversazione.

“Sai mi sono trasferita da Chicago” Cavolo, forse ero stata troppo impertinente. Attirai però con successo la sua attenzione.

“Quindi sei già abituata a Forks” Nella sua voce sentivo una punta di interesse che mi convinse ad andare avanti.

“Già, non è stato una novità”

“Anch’io non sono di Forks”

“Davvero? Di dove sei?”

“Phoenix”

“Tutto l’opposto quindi. Ma…” La squadrai un attimo “Non l’avrei mai detto.” Le sue labbra si piegarono in un sorriso appena accennato.

“Non si direbbe nemmeno di te”

“Solo perché ho passato tre mesi estivi a San Lucas, in California”

“Con la tua famiglia?”

“No, in campo scuola” Mi piaceva il verso che stava prendendo questa conversazione. Che si interruppe subito.

“Questa è l’aula di matematica.” Bella si fermò per indicarmi l’aula. “La mia è quella vicina.”

“Va bene. Allora, ci vediamo” le dissi mentre entravo.

Lei si diresse verso l’aula vicina salutandomi con una mano. Non vedendo però dove metteva i piedi inciampò e cadde a terra. Sarebbe stata una scena comica e avrei sorriso se me la sarei aspettata. Le andai subito incontro per aiutarla.

“Tutto bene?”

“Sì, sì, non è niente. L’equilibrio non è il mio forte” disse mentre si rialzava.

“Tutto bene, Bella?” Una voce sconosciuta.

“Sì, Mike” Il Mike in questione aveva una faccia simpatica, tondeggiante, con due occhi azzurri e capelli paglierini tirati con una grande quantità di gel.

“Ah, tu devi essere quella nuova” Questa volta si rivolse a me. Mi stava studiato con interesse, ma la sua impressione non lasciava trapelare ancora alcun giudizio.

“Abigail, piacere” gli dissi salutandolo con la mano. La stretta di mano doveva essere riveduta.

“Io sono Mike” Sentii a pochi metri di me la porta della mia aula chiudersi.

“Ehm… devo andare. Piacere di averti conosciuto, Mike. Ciao.” Entrambi mi ricambiarono, mentre anche loro entravano in classe, incominciando a discutere di una certa uscita al cinema o in qualche altro posto.

Nell’aula di matematica il professore non era ancora arrivato e regnava un insopportabile cicaleccio. La Forks High School doveva essersi fatta in fretta l’abitudine di avermi dentro, visto che questa volta furono poche le occhiate che arrivarono. Appoggiai lo zaino su un banco vuoto in seconda fila, sperando che non fosse occupato da un qualche altro ritardatario.

“Abigail” Mi girai verso Eric.

“Ciao Eric”

“Abigail, ti devi essere confusa.” Era forse una leggera compassione quella nei suoi occhi? Se sì doveva sbrigarsi a farsela passare.

“Questo è il corso di matematica per il quinto anno”

“Lo so” mi limitai con un leggero sorrisino. Lui sembrava confuso.

“Frequenti il quinto anno di matematica?”

“Solo alcune lezione. Come anche per il corso di biologia.” Ora era davvero sorpreso.

“Ah. Quindi tu devi essere un piccolo genietto!” Ma i vezzeggiativi non potevano scomparire dalla faccia della terra?

“L’avresti mai detto? Non farti troppe illusioni però. Frequento stabilmente il corso di matematica e biologia del terzo. Queste sono solo ore che ho cercato disperatamente di togliere a inglese, storia e spagnolo.”

“Non ne vai pazza?” Gli era spuntato uno strano sorrisino divertito sulla faccia.

“Certo. Ogni volta che le studio lo divento.” Che freddura. Ma me ne erano uscite di peggiori, tutto sommato. Eric rise sonoramente.

“Sei simpatica!”

In quel momento il professore Varner entrò in aula ed Eric se ne andò a sedere al suo posto. Che era quello dietro al mio. Non era antipatico, solo che avevo l’impressione che si comportasse con me come se fossi la sua sorellina. Era uno strano e perverso atteggiamento che mi dava i nervi. Soprattutto se non ci conoscevamo nemmeno da un giorno. La lezione riuscì a passare molto velocemente e fu decisamente molto più interessante di quella di biologia. Mi alzai insieme agli altri al suono della campanella.

“Ehi, Abigail! Vuoi che ti accompagni in mensa?”

“Certo” risposi contenta che qualcuno mi avesse preceduto.

Zaino in spalla, uscii in corridoio insieme ad Eric. Era desideroso di parlare con me. Ovvero, di me; perché ti sei trasferita? Con chi? Da dove? e blablabla. Aveva però incontrato un ragazzo in corridoio con cui si era perso in una conversazione sulla nuova canzone di non-so-chi che lo coinvolgeva al punto da ignorami completamente. Non mi dispiacque molto e non me la presi. Attraversai il corridoio limitandomi a stare vicina a lui in silenzio. La conversazione finì che io avevo già il mio vassoio di cibo in mano.

La mensa della scuola era molto ariosa ed ampia. Molto bianca. Mi sarebbe venuta una crisi d’identità, ne ero certa. Gli scarsi quattrocento studenti della Forks High sembravano un centinaio lì dentro. Inoltre le finestre erano larghe ed entrava molta luce che illuminava l’ambiente. Per essere più precisi, entrava la luce quando c’era. I tavoli sembravano ben tenuti, come pure le sedie.

Già dall’inizio non mi aspettavo la crème de la crème in quanto a cibo; il cibo della mensa era per definizione un vero disastro alimentare. E così era anche per la Forks High. Per lo meno la frutta e la verdura sembravano fresche. La cosa non mi andava a genio per niente; avevo la fortuna, o la sfortuna, di avere un metabolismo da ragazzo, e questo significava che all’ora di pranzo mi ritrovavo ad avere una fame da lupo e pronta a sbranare un bisonte, senza però mettere sù chili su chili. Il fatto di provare un perenne desiderio di cibo era estremamente scomodo, soprattutto quando a pranzo il cibo non era commestibile. Non avrei retto le ore pomeridiane senza proteine.

“Mi dispiace, Abigail, non volevo escluderti dalla conversazione” si scusò Eric quando ebbe finito.

“Ma figurati”

“Che ne dici allora di sederti al mio tavolo? Ti posso presentare alcune persone” mi disse gentile. Colsi la palla al balzo.

“Sicuro"

Il tavolo dove mi portò era pieno e questo era un fatto positivo: più gente da conoscere. Ma mi domandavo con preoccupazione se avrei mangiato con il gomito del mio vicino nell’occhio, tanto lo spazio era poco.

“Ragazzi, fate posto per due!” disse Eric esuberante. I ragazzi del tavolo si girarono interessati verso Eric per osservare il volto del nuovo membro del loro tavolo. Tutti erano sorpresi, chi in modo positivo, chi in modo negativo.

“Lei è Abigail” mi presentò, inutilmente, visto che tutti in quel tavolo sapevano già chi fossi.

“Salve” risposi vivacemente sedendomi sulla sedia presa da un tavolo vuoto vicino che Eric mi porse. Lo ringraziai con un cenno. Lui ricambiò sedendosi accanto a me.

“Vediamo di presentarti un po’ di gente” disse Eric ancora allegro. Indicò due ragazzi vicini a lui “Loro sono Ben e Conner.”

Cercarono di salutarmi con un cenno della mano, ma Eric passò a presentarmi subito i prossimi.

“Jessica e Angela” disse indicandole, questa volta lasciandole parlare.

“Ciao” mi disse la prima. La seconda fu più formale.

“Benvenuta a Forks, Abigail” disse porgendomi la mano. Io gliela presi cercando di non stringere troppo.

“Grazie Angela” risposi educata.

“Lei invece è Lauren” continuò Eric. Lauren era la ragazza bionda di quella mattina, quella secondo cui non avevo specchi a casa. E la ragazza bruna vicino a lei era quella Rachel. Fu una piacevole sorpresa per me. Non altrettanto per loro.

“Piacere” Sembrava uno sgorbio più che una parola. Io invece sfoderai un sorrisone.

“È un piacere Lauren” dissi cercando di essere il più sincera possibile. Con gli altri le bugie mi venivano bene.

“E ciao anche a te, Rachel” dissi senza lasciare che Eric me la presentasse. Rachel arrossì dalla vergogna e Lauren mi guardò come se fossi una pazza.

“Allora un po’ di conoscenze te le sei già fatte.” Eric sembrava orgoglioso di me. Strinsi i pugni.

“Solo di vista” confessai in tono gentile fissando Rachel negli occhi. Se avesse potuto mi sarebbe saltata addosso, come anche Lauren. Mi sentivo soddisfatta; con questa le avevo fatto rimangiare tutti i commenti poco piacevoli di quella mattina. Eric poi mi presentò altri due ragazzi ed una ragazza, dei quali mi dimenticai subito il nome.

“Scusate per il ritardo. Ah! C’è una nuova!”  Mike e Bel... Bella si erano avvicinati solo in quel momento al nostro tavolo. Anche loro facevano parte del gruppo. Eric sbuffò alla vista di Mike.

“Abigail, questa bella ragazza e questo idiota sono…”

“Mike e Bella. Li ho già conosciuti” informai Eric.

Salutai entrambi con un cenno della mano e feci spazio a Bella che si sedette vicino a me lanciandomi un piccolo sorriso. Mike si sedette vicino a lei.

“Cos’è che hai detto? Ripeti, Yorkie” disse Mike, dando una spinta alla spalla di Eric che lo fece scontrare contro… contro…Tom? Non mi ricordavo già più i nomi.

“La verità Newton, la verità” stette al gioco lui.

“Sono dei bambini, ignorali” mi disse la ragazza che doveva chiamarsi Jessica.

“Chicago deve essere una bella città” disse Angela. Caspita, sapevano persino questo.

“Non molto diversa da Forks” mugugnai io “per il clima, ovvio” precisai. Tutti i presenti ora erano concentrati su di me. Eh già, il nuovo arrivato era l’attrazione del mese qua. Chissà se anche a Bella avevano riservato lo stesso trattamento.

“Dalla tua carnagione non sembra.”

“È perché ho trascorso tre mesi in California.”

“California, caspita” si sorprese… oh, accidenti… Tom?

“Come mai ti sei trasferita in un buco come Forks?” chiese interessato Mike. Bene, via con la messa in scena.

“Mio zio è un medico; gli hanno proposto il posto di primario che si è liberato di recente qui a Forks e lui ha accettato” ma in realtà questa che vi sto raccontando è una balla assurda. I miei genitori sono dei vampiri e se ce ne fossimo andati in California, in Florida o in qualche altro posto assolato, la luce del sole li avrebbe trasformati in due palle da discoteca anni settanta e non sarebbero di certo passati inosservati.

“Zio? Vivi con i tuoi zii?” continuò Mike. Ora veniva la parte più difficile.

“Sì. I miei… i miei genitori sono morti in un incidente d’auto” mormorai imbarazzata. Caspita, mi era uscita proprio bene. Ero stata davvero convincente. Tutti, comprese Lauren e Rachel, si erano zittiti e stava aleggiando un'aria da funerale.

“Mi dispiace, davvero. Non volevo… ” balbettò amareggiato Mike.

“Non lo sapevi, non fa niente” Il silenzio calò sul tavolo, che dall’inizio del pranzo era sempre stato vivace.

“E… da quanto è successo, se posso chiederlo…” domandò Angela. La guardai in volto. Sentivo dal suo tono che non era per pettegolezzo che me lo stava chiedendo, ma per preoccupazione. Fino ad ora si era dimostrata un’ottima persona.

“N… ” mi bloccai di colpo.

O cavolo. Non mi ricordavo da quanto tempo vivevo con gli zii. E adesso che faccio? L’avrei buttata sul vago. Intanto gli occhi di Angela stavano perforando i miei e non mi stavano aiutando a concentrarmi. L’unica cosa da fare era spararla.

“Non molto tempo fa” dissi con lo stesso tono. Angela sembrava convinta e tutti se l’erano bevuta. Di solito dire bugie così grosse mi faceva venire sensi di colpa che mi tormentavano l’anima in modo assurdo, ma questa era una grossa bugia per una grossa causa.

“Ma… non vivi a Forks” disse Eric per sviare totalmente l’argomento. La sua affermazione mi sorprese.

“Sì, vivo a Forks, perché non dovrei?” Gli altri sembravano essere confusi.

“Non c’è alcuna abitazione disponibile a Forks.”

“In realtà casa mia non si trova in centro, ma poco fuori Forks. È coperta dai boschi e non è visibile dalla tangenziale. Non so se voi la conoscete”

“Aspetta un momento!” Eric mi bloccò improvvisamente ed iniziò a guardarmi in modo strano e perforante.

“Fuori città hai detto? Non sarà…”

“Abiti nella casa dei Cullen?” Mi girai improvvisamente verso Bella in un sobbalzo. Non aveva aperto bocca per tutto il pranzo e mi ero per un momento scordata che era lì. Si era improvvisamente interessata al discorso. D’altra parte non avevo la minima idea di chi fossero questi Cullen.

“Non lo so. Non li conosco. Chi sono?” le chiesi. Quello che avvenne dopo fu parecchio inquietante. Bella si limitò ad abbassare lentamente lo sguardo, mentre il silenzio era di nuovo sceso. Alcuni dei presenti si erano persi a far altro, altri invece mi guardavano in un modo che non mi piaceva. Era evidente che non era stata una buona domanda, ma non riuscivo a capirne il perché. Era una specie di tabù che non riuscivo a cogliere. La tensione si ruppe al suono improvviso della campanella, che fece alzare tutti dai propri tavoli. Tutti i ragazzi del tavolo tornarono improvvisamente sereni come prima. Tranne Bella, che non perse tempo ad aspettare gli altri e uscì subito dalla mensa. Quella reazione era troppo strana. Quel nome, Cullen; chi erano? Dovevo cercare di saperne di più. Nonostante le persone che mi stavano superando riuscii a distinguere tra la folla Jessica, credo, una ragazza del tavolo. Spintonando riuscii a raggiungerla.

“Jessica!” Lei si voltò.

“Ehi, Abigail!” Mi era sembrata cortese prima e credevo fosse la persona giusta a cui domandarlo.

“Posso chiederti una cosa?”

“Dimmi” Avevo come la netta sensazione che sapesse anche lei dove volessi andare a parare. Intanto che parlavamo ci lasciavamo trascinare dalla folla fuori dalla mensa.

“Chi sono i Cullen?” Lei si morse il labbro.

“Scusa se abbiamo reagito in quel modo, ma non è un bel argomento davanti a…” si bloccò all’improvviso. Mi trascinò vicino alla parete e rallentammo il passo.

“Ti spiego: circa tre anni fa si sono trasferiti a Forks dall' Alaska i Cullen” parlava piano in modo da non farsi sentire. Tre anni fa? Non voleva mica raccontarmi tutta la storia?! Io avevo chiesto solo chi erano! Jessica però era così presa dal racconto che non riuscii a dirle che non erano quelle le mie intenzioni.

“Era una famiglia che dava un po’ nell’occhio: tutti i figli del signor Cullen, che era stato proprio il primario dell’ospedale, erano stati adottati, perché si diceva che la signora Cullen non potesse avere figli. La cosa più strana però” La sua voce si fece più accesa e si avvicinò a me.

“La cosa più strana è che i figli, anche se non erano fratelli consanguinei, stavano insieme.” Le ultime due parole le aveva dette con uno strano luccichio negli occhi spalancati, mentre stava sfoderando un sorriso smagliante. In quel momento mi sarebbe tanto piaciuto dirle che non me ne importava un bel niente solo per vedere la faccia che avrebbe fatto, ma mi trattenni.     

“Erano cinque e quattro di loro stavano insieme! Il bello però viene adesso; indovina con chi si è messo il quinto?” Era ufficiale: non la sopportavo. Dal suo silenzio capii che non era una domanda retorica. 

“Non lo so” dissi secca. Lei andò avanti.

“Con Bella!” esplose lei, poi però acquistò un po’ di contegno “Alcuni mesi fa se ne sono andati da Forks ed Edward Cullen, il fidanzato di Bella, ha dovuto mollarla. Sembravano davvero una coppia affiatata loro due. La loro storia è durata per più di un anno. Bella è stata male per mesi, ma ora si è un po' ripresa. Ha incominciato a vedersi con il figlio dell'amico di suo padre, o che so io...” Non si rendeva proprio conto che non me ne fregava davvero niente dei fatti di Bella? Non la stava ascoltando più. Si fermò un attimo per riprendere fiato.

“Quindi cerchiamo di evitare di parlare di loro davanti a lei. A parer mio il suo comportamento è del tutto esagerato. Sono passati quasi sei mesi da quando se ne sono andati e devo dire che...” Basta. O si fermava, o le avrei infilato un libro in bocca.

“Ah… ho capito. Devo andare ora. Grazie mille Jessica. ” mormorai secca allontanandomi da lei. L’aveva tirata per le lunghe, ma alla fine c’era arrivata. La ragazza aveva la parlantina facile, ma in quel momento non era la sua loquacità a disturbarmi. Avevo scoperto perché Bella aveva reagito in quel modo strano, ed anche il nome di questo perché, un certo Edward. Giustamente il ricordo di ex, anche dopo mesi e mesi poteva far male e non c'era modo di biasimarla, soprattutto se in mezzo c'era anche un trasloco. Ma era giunta l’ora di smetterla di pensare a problemi non miei, perché mi stavano aspettando due stupende ore di spagnolo. Mi fu inevitabile sbuffare. Inoltre non sapevo neppure dove si trovasse l’aula. Sbuffai due volte. Questa volta ero certa che sarei arrivata in ritardo.

 

Entrai in segreteria subito dopo il suono della campanella per riconsegnare il foglio firmato.

“Ecco a lei” mormorai alla segretaria. Lei si rivolse a me con un sorriso.

“Grazie. Come è andato il primo giorno? Sembri essere stanca” Stanca era un eufemismo. Affrontare due ore di spagnolo, la materia più bella di questo mondo, di pomeriggio, con una miseria di pranzo era molto più che stancante.

“Sì, solo un po’. Arrivederci” le risposi gentile e veloce. Sembrava simpatica quella segretaria.

“Ciao anche a te, cara” Mi morsi la lingua; non volevo pentirmi di quello che avevo appena pensato. Seguii la mandria di studenti verso l’uscita, lasciandomi trasportare automaticamente dalle mie gambe, mentre aspettavo che una boccata di ossigeno mi facesse rinsanare almeno un minimo. L’aria fresca infatti mi fece bene e mi diede lucidità. Mi diressi verso il mio mezzo e misi subito in moto. Bastò il rumore del motore per calmarmi del tutto. Feci un respiro profondo e premetti l’acceleratore per uscire dal parcheggio della scuola. Fui di nuovo sotto lo sguardo di tutti, ma presto avrebbero perso l’abitudine di fissarmi. In quel momento pensavo solo a sfrecciare veloce. Curvavo di tanto in tanto per superare qualche auto troppo lenta, ma la strada era quasi sempre dritta, finché arrivai al viottolo nascosto tra gli alberi che conduceva a casa. Arrivai in cinque minuti. Parcheggiai la moto in garage e tolsi il casco con un sospiro. Attraversai infine la porta che conduceva all’interno della casa, sollevata che quella giornata fosse finita. Vidi mia madre già in piedi, pronta ad aspettarmi. Si era tolta i vestiti da “maestra perfettina” ed ora vedevo davanti a me sola la mia dolce mamma. Aveva un sorriso bellissimo ed i denti perfettamente allineati e bianchissimi emanavano una luce più splendente di quella della lampada. Ogni volta che non la vedevo per molto tempo era come se la vedessi per la prima volta, la mia mamma sempre uguale. Ero molto legata a lei, forse più di mio padre. Forse dipendeva dal fatto che lui non fosse il mio padre biologico, mentre lei sì. Riposi anch’io al sorriso.

“Come è andato il primo giorno di scuola?” Era entusiasta. Aspettai un attimo prima di rispondere alla sua domanda.

“Non male” Comincia a dirigermi verso le scale che portavano al primo piano, ma mi fermai di colpo. Girai la testa verso mia madre guardandola dubbiosa.

“Quando sono morti i miei genitori?” Il suo sorriso si spense subito.

“Due anni fa” disse lei sconfortata.

“Ah… va bene” Mi sentii più risollevata: l’avevo sparata giusta. Lei sospirando si sedette sul divano.

“Abigail!” mi riprese lei.

“Che c’è? L’ho detta giusta! E sono stata anche brava. Tutti mi hanno creduto” Mi diressi finalmente verso camera mia per cambiarmi dai vestiti fradici.

“Dopo raccontami com’è andata!” la sentii gridare mentre io stavo già salendo le scale.

“Certo” risposi io normalmente, sicura che mi avrebbe sentita. Entrai in camera e mi liberai del casco che avevo in mano e dei guanti che indossavo. Mi tolsi poi i vestiti per indossare qualcosa di più comodo ed asciutto: una vecchia tuta grigia pesante e morbida. Il mio stomaco che dalle due di quel pomeriggio aveva iniziato a protestare incontrollabile mi obbligò ad andare in cucina. Attraversai il salotto e mamma era ancora lì, come un bambino impaziente di farsi raccontare la favola della buonanotte.

“Numero uno: la mensa fa schifo” cominciai ad elencare mentre aprivo il cassetto dei biscotti e del pane.

“Questo si sa, no?” Mia madre era seduta su una sedia. Trovai un pacchetto di crackers e subito lo presi.

“Ma lo sai come mangio a pranzo. Questo pomeriggio le due fantastiche ore pomeridiane di spagnolo sono state una tortura per il mio stomachino.”

Aprii il pacchetto e divorai subito il primo crackers. Lei sospirò.

“Ci sono circa quattrocento persone in quella scuola che mangiano alla mensa e sono ancora tutti vivi. Devi adeguarti.”

“C’è sempre una prima volta…” mugugnai io con la bocca piena. Mia madre mi guardò truce.

“… ma tenterò, tanto l’ospedale è vicino se subirò un avvelenamento”

“Poi?” disse cambiando subito argomento “Hai conosciuto qualcuno?”

“Sì, ho conosciuto un po’ di persone del quinto anno. Sono simpatici.”

“Le lezioni del quinto anno sono difficili? Non vorrei che avessimo fatto la scelta sbagliata a calarti le ore delle altre materie”

“Mamma, sono solo all’inizio e fidati se ti dico che avete fatto la scelta giusta.” sbottai io, forse sputacchiando anche qualche briciola.

“Poi?” continuò lei. Avevo finito il primo pacchetto e cominciai ad andare alla ricerca d’altro.

“Bé, mi è toccato un po’ andare alla cieca per la scuola, visto che piantine non ce ne hanno. Ma sono sopravvissuta lo stesso. I professori non sono male. Spero di aver fatto una buona impressione.” Presi il pane senza pensarci ed aprii il frigo.

“Certo che avrai fatto una buona impressione” mi rassicurò la sua voce calda. “Strani commenti?” Individuai subito la maionese.

“Un po’. Anzi, un po’ molti, soprattutto per la moto. Ma ho risposto nella giusta maniera.”

“Hai offeso qualcuno come tuo solito?” mi rimproverò lei. Stavo sgarfando tra le verdure in cerca dei sottaceti.

“No, solo il giusto.” 

“È stata quindi una buona giornata?” Trovati; li presi subito. Salame, tocca a te.

“Tutto sommato sì”

“Hai chiesto per il corso di break dance?” Mi diedi uno schiaffo sulla fronte. Cavoli, il corso!

“A quanto pare no.”

“Già, già... chiederò sicuramente domani...” Aprii il cassetto e presi il coltello per tagliare il pane. A Chicago avevo fatto per molto tempo un corso di break dance e l’insegnate mi aveva detto che ero pronta a diventarlo anch'io. Ed era proprio quello che intendevo provare a fare qua a Forks; non credevo che ci fosse già un corso che insegnasse break dance, ma volevo esserne sicura. O magari cercavano proprio un'insegnate. Inoltre avrei guadagnato anche qualche soldo.

“Ah! Quando andate a ricaricare le batterie tu e papà?” dissi mentre spalmavo la maionese. "Ricaricare le batterie" mi sembrava più gentile di “andare a dissanguare poveri animali innocenti”

“Il prossimo fine settimana pensavamo di andare ad esplorare la zona. Vieni anche tu?”

“Ovvio” Avevo aperto il barattolo nuovo di sottaceti senza difficoltà. Disposi i cetrioli sulla fetta di pane e ci misi sopra il salame. Mi sedetti e addentai con un morso il mio panino. Alzai gli occhi masticando. Mia madre mi stava guardando in modo strano e non staccava gli occhi dai miei. Voleva qualcosa, ma non capivo cosa. Oh, ora avevo capito.

“E a te come è andata?” Le si dipinse un grandissimo sorriso e gli occhi le si riempirono di dolcezza.

“O Abigail” La sua voce era miele

“Dovresti vedere come sono dolci. Sono stati tutti zitti, immobili ed attenti mentre parlavo.”

“Sarà perché avranno avuto una paura di te…” mormorai al secondo morso. Un ringhio di pantera uscì dalla sua bocca. Non mi spaventai nemmeno un po’. E come avrei potuto; era mia madre. La sua voce si rifece dolce e continuò trasognata.

“E poi sono così belli! Hanno tutti dei grandi occhioni e quando sorridono sono così belle le loro guanciotte piene. Soprattutto quelli delle prime classi. Sono così piccolini. Tanto erano belli che li avrei mangiati!” Tornò a guardarmi truce. “Nel senso buono, ovviamente” disse seria lentamente. La faccia che avevo fatto sentita l’ultima frase diceva molto più delle parole. Eravamo fatti così: i miei genitori mi prendevano in giro perché ero strana, mentre io li prendevo in giro perché erano dei vampiri. Un equo scambio di battutine biologiche. Superdaddy e Wondermummy erano gli scemi soprannomi che gli avevo dato da piccola, insieme a Normalgirl, che ero io, e che anche adesso usavo qualche volta. Lei continuava immersa e coinvolta nel suo racconto.

“Pensa, durante l’ora pomeridiana di disegno uno dei bimbi ne ha fatto uno per me. Guarda” Tirò fuori dal nulla un foglio bianco su cui c'era disegnato…

“Una lampada?”

“No, è una farfalla” disse acida lei.

“Ah… giusto…” tornai al mio panino. Lei continuò a parlare della scuola, dei bambini. Ed ancora della scuola e dei bambini. Mia madre aveva uno assurdo senso della maternità spinto all’eccesso. Non osavo pensare i livelli che aveva raggiunto la sua gioia quando ero una lattante. Io invece non avevo ancora sviluppato questo lato materno e attualmente vedevo solo la parte brutta dei bambini: urlavano, mangiavano, non dormivano, urlavano ancora. Ed era anche un bene, visto che avevo solo diciassette anni.

“… non trovi anche tu che non sia giusto?” Io la guardai sussultando. Mi aveva fatto una domanda.

“mmhh… già, è davvero ingiusto” affermai io improvvisamente interessata. Ero arrivata a metà panino. Lei mi guardò particolarmente male.

“Non mi stavi ascoltando” disse seria.

“Mi ero solo distratta un momento. Ho passato una giornata faticosa e sono davvero stanca.” Lei non abboccò. Avvicinai il panino alla mia bocca, ma i miei denti afferrarono l’aria. Guardai le mie mani vuote. Dov’era andato a cacciarsi il mio panino?! Guardai mia madre che stava osservando il soffitto con un’aria disgustata.

“Mi hai mangiato il panino” mormorai sconvolta. C’ero rimasta male un casotto.

“Che fa anche schifo. L’ho sempre detto che tu non sai cucinare”

“Mamma, certo che ti fa schifo! Ti deve fare schifo! Tu sei un vampiro!” mi alzai ancora sorpresa. Il mio panino…

“Tu sei un vampiro… io no… Cos’è questo razzismo biologico?” Mio padre era comparso all’improvviso in cucina e stava dando un leggero bacio sulle labbra a mamma. Anche lui non aveva più i vestiti da lavoro.

“Ha mangiato il mio panino!” risposi sconvolta indicando mia madre.

“Oh… l’hai fatto tu?”

“Sì” risposi secca. Non vedevo come potesse centrare questo.

“Ti ho sempre stimata per il tuo coraggio, Sophie” disse teneramente a mia madre.

“Ma si può sapere cosa diavolo avete! Siete vampiri, non potete sapere come cucino!” gridai tornando a prende di nuovo il pane mentre tra poco mi sarebbe venuta una crisi di nervi. Loro stavo ridacchiando divertiti. Io non ci trovavo niente di divertente invece.

“Come mai hai fatto tardi?” gli chiese mia madre.

“Sono andato a prendere questo” disse tirando fuori dalla tasca della tuta un biglietto della lotteria. “Mi sentivo ispirato.”

Non è da tutti avere una villa ed una Lamborghini; la mia famiglia era piuttosto ricca ed i biglietti della lotteria ed il gioco in borsa erano le principali fonti di questa prosperità. Erano attività rischiose basate principalmente sulla fortuna, ma mio padre ne aveva tanta di fortuna. Aveva una specie di sesto senso che si attivava di botto. Mi aveva spiegato una volta che cos’era; qualche volta l’istinto prevaleva di scatto sulla ragione e gli faceva fare “la cosa giusta”, diciamo. Come per esempio trovare i giusti numeri o puntare sulla giusta società. Ma non usufruivo molto di questo bottino; la moto era stata il regalo dei sedicianni, ma per il resto me la volevo cavare da sola. Non avrei potuto contare sempre sui miei genitori. Per questo i soldi per il corso di break dance non mi sarebbero dispiaciuti. Questo dono inoltre coinvolgeva anche il futuro; certo, non lo prevedeva o cos'altro, ma sapeva semplicemente se qualcosa sarebbe andata bene o male. E ci azzeccava sempre.

“E a lavoro come è andata?” Lui sospirò.

“Abigail, domani a scuola potresti tentare di investire qualcuno, così avrò da fare qualcosa” scherzò lui.

“Ancora meglio; domani persuaderò le cuoche a lasciarmi cucinare, così avrai quattrocento casi di avvelenamento” mormorai imbronciata.

“Abigail, stavamo scherzando” disse mia madre con un sorriso.

“Sì, lo so” mi girai più serena con il panino già fatto. Mio padre continuò il discorso.

“In una piccola cittadina sono pochi i pazienti. Non c’è molto lavoro. Ma meno gente sta male, meglio è.”

Il suo lavoro gli stava molto a cuore. Mi diceva sempre che riuscire a fare il medico era stata una delle sue più grandi fortune da quando era diventato vampiro; mi aveva detto che si sentiva ogni volta felice al pensiero che se non fosse stato un vampiro “vegetariano” avrebbe ucciso tante persone quante ne salvava ora.

“Il posto è abbastanza tranquillo e per esattezza” si rivolse a me in aria di sfida “sono state tutte le infermiere che ho conquistato”

“Così si fa!” gli dissi facendogli vedere il pugno, che lui colpì con il suo. Il suo viso poi si illuminò immediatamente, diventando quello di un bambino.

“E ho saputo una notizia fantastica” Da tempo non lo vedevo così entusiasta. “Questa casa prima era di proprietà di Carlisle Cullen!” Anche mia madre divenne radiosa.

“Davvero!” Annuì la testa sorridendo.

“Il dottor Cullen, con moglie e cinque figli.” Scosse la testa ancora dalla sorpresa. “Alla fine ci è riuscito anche lui.” I miei genitori erano entrambi commossi. Io invece no. Qualcosa non andava proprio. Non avevo la più pallida idea di cosa stessero parlando, inoltre sapevo chi erano i Cullen, ma questo Carlisle…

“Chi è Carlisle?” Mio padre si sorprese di nuovo.

“Non ti ricordi? Eppure te l’ho detto molte volte chi è...”

“Ah...! È quel vampiro che ti ha insegnato la dieta vegetariana?” Ora ricordavo. Papà lo stimava tantissimo. Diceva che non aveva mai incontrato un vampiro come lui.

"Sì" rispose lui. Aspetta, aspetta. Mi stava prendendo il panico. Cominciai a ragionare: se il signor Cullen era un vampiro vegetariano... doveva esserlo anche la sua famiglia. Quindi... Bella... si era innamorata di un vampiro. Un'espressione di terrore mi si dipinse in volto. Oh... I vampiri erano tutti bellissimi ed era una delle loro caratteristiche che usavano per attirare le prede e mangiarle. Bella stava per essere uccisa da un vampiro. Vegetariano, ma sempre vampiro era. No, no, aspetta... Jessica aveva detto che erano stati insieme per più di un anno. Non si trattava di questo, l'avrebbe già uccisa, Non può essere riuscito a resistere per un anno. Ma che...!

"Cosa c'è Abigail?" Sentivo le sopraciglia contrarsi. Guardai in faccia mio padre.

"È possibile che uno dei figli del tuo amico sia umano?" Lui scosse fortemente la testa.

"No, impossibile. La tua situazione è più unica che rara. Conosco Carlisle molto bene e non avrebbe rischiato. Perchè secondo te è così?"

"Perchè una ragazza che ho conosciuto a scuola era la fidanzata di uno dei figli" dissi in un sospiro. Entrambi i miei genitori ora avevano la mia stessa espressione.

"Sei sicura che ti abbiano raccontato la verità?" disse scettico. Non ci credeva nemmeno lui.

"Sì, perchè mentirmi?" Mio padre si prese il mento tra le dita: era la sua posizione del pensatore.

"Si possono essere innamorati davvero?" ripresi io. Anche mio padre aggrottò le sopracciglia.

"Non amore. È molto più probabile che sia infatuazione l'uno con l'altro. È quello che è successo a me a tua madre." Lo vedevo ancora molto dubbioso. "Ma sono molto più convinto che il vampiro in questione non si sia del tutto adattato alla dieta." Ovvero, voleva mangiarla.

"Sono stati insieme per più di un anno" precisai io. Spalancò gli occhi. Mio padre si sorprendeva abbastanza raramente e fui sorpresa anch'io della sua reazione.

 

olte vote chi è!"pure i nuovo,

esto Carlsile...ullen! l'il suo. dre ne aveva tanta di fortuna..- si sentiva appagato ogni volto"Per più di un anno?!" disse perplesso. Io annui sicura. Lui scosse la testa.

"No, è impossibile. Un vampiro non può reprimere il suo istinto per così tanto tempo. Forse ha molti secoli di esperienza alle spalle è riesce a resistere al sangue umano come me e Carlisle..." si fermò un attimo. Quando pensava gli capitava qualche volta di ragionare ad alta voce e lentamente, nonostante fosse un vampiro abituato a fare ragionamenti impossibili in millesimi di secondo.

"E' strano però, Carlisle non avrebbe mai permesso che uno dei suoi figli arrivasse fino a questo punto, indipendentemente dalla capacità di reprimere il proprio istinto." Fece un respiro profondo e mi guardò negli occhi sconsolato.

"Non ho mai sentito nulla del genere, Abigail. Non so proprio cosa pensare." Se lui non sapeva cosa pensare allora io avevo un terribile disordine in testa, molto peggio di quello che lasciavo in bagno dopo essermi fatta la doccia. Un vampiro ed un'umana, legati da nessun particolare legame parentale, PAM!, passano un anno insieme, come una dolce coppia di fidanzatini. Più che un dato di fatto assomigliava ad una barzelletta: ehi gente, sapete qual'è il colmo per un vampiro? Infatuarsi di un'umana e restare con lei per più di un anno senza mangiarla! Ah... ah... ah...

La mia malata fantasia si interruppe quando incrociai gli occhi di mia madre. Non aveva aperto bocca da allora. Lei era molto più obbiettiva di papà e prima di esprimere il proprio giudizio voleva conoscere appieno la situazione.  

"E' assurdo, ma effettivamente non c'è altro che lo possa spiegare." Riprese mio padre

"Cosa?" Mi stava tenendo sulle spine; questa storia assurda mi aveva dannatamente coinvolto.

"Non si può più trattare di semplice infatuazione o attrazione carnale, ma di qualcosa di molto più forte e molto più grande, a questo punto. E' possibile che ci sia stato davvero dell'amore. A dirla tutta, per quanto ne so, non è mai successo una situazione del genere, ma forse non è detto che non possa avvenire." Papà cominciò a fare piccoli passi per la cucina; si era fatto completamente prendere anche lui, mentre io cercai mi spremetti le meningi per seguirlo.

"Si spiega la capacità del vampiro in questione di reprimere la sua stessa natura e a resistere al suo sangue per così tanto tempo." Spalancai gli occhi. Poteva davvero accadere?! Un vampiro ed un'umana, insieme, per più di un anno intero. Più ripensavo a quello che aveva appena detto, più mi convincevo che era così. Anche se continuava a rimanere una totale assurdità. Sorrisi involontariamente, proprio io mi stupivo della assurdità? La mia vita era l'impossibilità fatta a persona. 

"In effetti... "

"...è molto probabile che sia così" finì mio padre per me. Si fermò e si sedette su una sedia della cucina; accavallò le gambe, incrociò le braccia e continuò a ragionare con lo sguardo perso sul soffitto bianco.

"Ipotizzando che questo sia vero allora quel vampiro deve avere avuto una forza di volontà poco comune. Mi chiedo come Carlsile abbia potuto gestire questa situazione..."

"E la ragazza?" Per la prima volta mia madre si univa al discorso.

"Una semplice ragazza, un po' taciturna. Quando però ho nominato i Cullen oggi a mensa il suo viso sembrava quello di un morto vivente" le risposi, consapevole solo troppo tardi che quello che avevo detto non era molto logico.

"Giusto, c'è poi anche la ragazza. Mi chiedo come abbia fatto a non sentirsi in pericolo vicino ad un vampiro; l'istinto porta gli umani a starsene lontano da noi..." Papà sembrava in un altro mondo.

"Può non sapere che lui fosse un vampiro" Fu la prima cosa che mi venne in mente.

"Assolutamente no. Dopo così tanto tempo lo deve sapere. Anzi, a parer mio lui glielo deve aver detto fin dall'inizio..." Sembrò poi tornare tra noi.

"Un vampiro ed un essere umano. Ne avevo sentite tante, ma questa mi era del tutto nuova..."

Dopo quest'ultima frase di papà calò uno strano silenzio su tutta la casa. Se era vero quello che aveva detto su quello che c'era tra quei due, allora Bella aveva tutte le ragioni di questo mondo per essersi comportata in quel modo. Se aveva rischiato la propria vita per stare con la persona che amava vuole dire che anche lei lo amava da impazzire. Sapere che non l'avrebbe più visto aveva dovuto ucciderla. Aveva davvero un carattere forte se era riuscita a non strisciare a terra agoninate. Almeno, a me non era sembrato...

"Quei due si amavano fino al punto da rinunciare alla propria vita e reprimere la propria sete" spezzai io il silenzio, riassumendo il punto della situazione. C'era però qualcosa che continuava a non quadrare. Alzai lo sguardo che nel frattempo si era perso nel vuoto.

"Ma allora perchè i Cullen se ne sono andati? Questo non ha alcun senso"
"Abigail, adesso credo che tu stia chiedendo troppo" mi interruppe mamma.

"Tua madre ha ragione. Effettivamente noi non c'entriamo niente con questa storia e per quanto ci riguarda un'ipotesi può essere più improbabile dell'altra. E anche quello che abbiamo dedotto può non essere vero. Inoltre i Cullen se ne sono andati; non ha più senso parlarne" concordò anche mio padre.

"Abbiamo quindi sparlato della famiglia del tuo amico fino ad adesso?" dissi io neutra. Lui si girò verso di me con un sorriso enigmantico.

"Sì, ma nel senso buono del termine." Io risposi al sorriso.

Avevano ragione, ma il fatto che un vampiro ed un'umana si era innamorati era tanto assurdo quanto il fatto che si siano lasciati. Perchè? Avevano rischiato tanto fino a questo punto, perchè improvvisamente lasciar perdere?

"Cerca di lasciar perdere questa storia, va bene?" La mano di mamma sulla mia spalla mi fece tornare alla realtà, come se mi avesse letto nel penisero. Ed in un certo senso ci riusciva. 

"Sì, certo, non è affar mio..."

Giusto, dovevo lasciar perdere questa storia. Finché non ne sapevo niente era come andare alla cieca. Era però un mistero davvero avvincente e poi centrava Bella. Avrei voluto fare qualcosa per lei, soprattutto adesso che conoscevo parte della storia; entrambe abbiamo avuto a che fare con i vampiri. Mi sentivo vicina a lei, nonostane l'avessi conosciuta solo oggi. Cercai però di non badarci più e pensare ad altro di più importante. Ammirai il mio secondo panino e gli diedi un morso.

 

 

 

 

Allora? Che ve ne sembra? Le cose si stanno facendo interessanti. Anche se procederanno un po' lentamente vi chiedo di avere pazienza.

 

X RiceGrain: Ciao! Sono contentissima che il primo capitolo ti sia piacciuto! Spero lo sia anche questo! Grazie tante per il commento! :)

 

 

 

 

 

 

   
 
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