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Autore: Redferne    19/12/2017    3 recensioni
A cosa pensa un uomo durante gli ultimi istanti della sua vita?
A che pensa, mentre si trova sul punto di morire?
Genere: Drammatico, Sportivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Danpei Tange, Joe Yabuki, José Mendoza, Sorpresa, Yoko Shiraki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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CAPITOLO 6

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non ci credeva.

Lo aveva preso.

CAZZO, LO AVEVA PRESO.

IN PIENO.

Lo aveva percepito chiaramente. Anche se da quella parte non vedeva più nulla, ormai.

All’inizio aveva sentito una sorta di ostacolo. Di resistenza contro la parte anteriore del guantone. Come se avesse urtato contro qualcosa, all’improvviso. Una vibrazione gli era partita dalla punta delle nocche e gli aveva attraversato come corrente alternata la mano e l’avambraccio, fino a raggiungere la parte corrispondente del collo, per poi sciogliersi in un intenso brivido lungo l’intera colonna vertebrale, in ambedue i sensi, dall’encefalo fino al coccige.

Per un decimo di secondo era rimasto perfettamente immobile, nella posa plastica in cui si trovava. Come in una fotografia o in un libro illustrato.

E poi di nuovo quel pensiero. E quella sensazione. Di stupore.

LO AVEVA PRESO, CAZZO.

IN PIENO.

PER LA PRIMA VOLTA.

 

...Ma come?

 

Non aveva avuto nemmeno il tempo di rispondere a quella domanda. Perché il suo istinto di pugile aveva avuto immediatamente il sopravvento, e si era attivato all’istante. Perché era più rapido della mente, a dare ordini al corpo. E sapeva molto bene quel che c’era da fare, nei casi come quello. Il rigido e implacabile protocollo da applicare ogni volta che un colpo andava a segno. Ogni volta che si faceva centro. E cioé mettere in pratica seduta stante le raccomandazioni del vecchio. Che non mancava mai di ripetergli e ripetergli, ancora ed ancora, fino alla nausea, nonostante le conoscesse a menadito.

 

“TE LO DEVO RIPETERE OGNI SANTO GIORNO CHE IL BUON SIGNORE MANDA IN TERRA, RAZZA DI TESTONE CHE NON SEI ALTRO? METTITI DI PROFILO, COME UNA BELLA PORTA SPALANCATA, PER OFFRIRE MENO SPAZIO POSSIBILE AL TUO AVVERSARIO! E SPINGI BENE CON QUEI PIEDI, QUANDO TI DECIDI AD ATTACCARE! DEVI FARE COME SE AVESSI DUE BEI CHIODI! UNO INFILZATO SOPRA QUELLO DAVANTI E L’ALTRO CHE TI PUNGE LA PIANTA DI QUELLO DIETRO!! POI TI GUARDI LA PUNTA DEL NASO, CHE QUELLO E IL TUO MIRINO, FAI SCORRERE IL GOMITO ATTACCATO AL FIANCO PER NON DISPERDERE LA FORZA, TORCI IL PUGNO E...COLPISCI, CRISTO SANTO!! COLPISCI!! NON E’ POI COSI’ DIFFICILE, NO? E ALLORA PERCHE’ NON LO FAI, RAZZA DI IDIOTA?! TE LO AVRO’ DETTO MILLE E MILLE VOLTE, FINO A FARMI SALTARE LE STRAMALEDETTE CORDE VOCALI!! TI DECIDI O NO A DARMI RETTA E A FARE COME TI DICO IO, PEZZO DI IMBECILLE CHE NON SEI ALTRO?!”

 

IL PUGNO PER IL DOMANI NUMERO UNO.

Estratto dritto dritto dall’ABC del pugilato secondo Danpei Tange. Volume primo. Tecniche di base.

Alla fin della fiera era davvero poco quel che ti serviva davvero, nella Boxe. Potevi indorarlo e lucidarlo e ricoprirlo di patina finché volevi, ma gira che ti rigira sempre lì si tornava.

AL PUGNO.

Potevi inventarti mille varianti e mille tecniche difensive ed offensive con lui, con i blocchi e con le schivate e con il gioco di gambe e di tronco, ma...niente funziona meglio di una CASTAGNA BELLA SECCA. E DATA COME DIO COMANDA.

E così aveva fatto, senza nemmeno sprecare un istante a pensarci. Come sempre, la belva si era rivelata più veloce dell’uomo. Il suo intuito selvatico e primitivo aveva superato persino il pensiero, che si dice viaggi alla pari della luce.

Aveva piantato il piede sinistro a terra, premendo fin quasi a voler sfondare il pavimento per precipitarci dentro con tutta quanta la gamba, e aveva sollevato quello opposto fin sulle punte. Al contempo aveva roteato di un quarto di giro in avanti il busto e i fianchi, facendo compiere al polso uno scatto secco nella medesima direzione, mentre irrigidiva il braccio.

Sentì un altro rumore sinistro. Come quello che aveva udito quando gli era partito l’occhio destro. Ma che stavolta, alle sue orecchie, gli sembrò musica paradisiaca. Un suono simile a quello che fa un ramo secco e nodoso quando viene afferrato ad entrambe le estremità per poi spezzarlo in due parti. Era il collo di Mendoza che si piegava. E la sua testa che si girava all’indietro.

Che meraviglia.

Era da quel famoso giorno al Konaha Gym di Honolulu, quando lo aveva lasciato stecchito sul pavimento, che desiderava restituirglielo. Fino ad ora si era dovuto accontentare della sua immagine stampata su di un manifesto. Quel maledetto manifesto dove si pavoneggiava di aver battuto il povero Carlos, IL RE SENZA CORONA, al primo round e prima dello scadere di due minuti.

Se l’era sognato persino la notte, OGNI NOTTE SUCCESSIVA, di ridarglielo indietro.

E Joe Yabuki non lascia conti in sospeso con nessuno. NOSSIGNORE.

Diede un’ulteriore spinta con le anche, come a volerci passare attraverso, con tutto il suo corpo.

La sensazione di resistenza svanì di colpo. Poi si era spostato di un mezzo passo a destra e in avanti. E aveva visto con l’occhio ancora buono il messicano finire contro le corde , per poi rimbalzare e ripiombare verso di lui.

E di nuovo aveva esitato, per un istante. Con ancora quella domanda che continuava a ronzargli senza sosta nella parte razionale del cervello. Quella che si ostinava a voler trovare una spiegazione logica a qualunque cosa.

‘Fanculo. Non gliene era fregato più niente di niente, in quel momento. Una gioia selvaggia ed incontenibile gli era esplosa fin nel profondo del cuore.

Forse ci era riuscito per davvero. Forse, a furia di insistere, aveva finalmente spezzato un’ala al maestoso re dei rapaci.

Forse si, forse no. Nel dubbio, meglio continuare. Fintanto che il ponte levatoio era abbassato, con la fortezza rimasta sguarnita ed inerme.

Era partito quindi lancia in resta, gettandosi su di lui a corpo morto. E mescendo colpi a più non posso. E lo aveva centrato ancora. E ancora. E ancora. Al volto, alla mascella, al mento, alla milza e al fegato.

Era un sogno. Era fin troppo bello per essere vero. E il primo ad essere stupito di ciò doveva essere proprio il campione, a giudicare dall’espressione attonita assunta dal suo volto, che stava iniziando lentamente ma inesorabilmente a tumefarsi. E dalla sua bocca, da cui cominciava a scendere un rivolo scarlatto dopo l’altro.

E la manna aveva continuato a scendere copiosa dal cielo anche nella ripresa successiva. Tutti i colpi che Mendoza aveva evitato con somma maestria, almeno fino ad un momento prima, adesso se li stava beccando tutti che era una bellezza. E sembrava non poterci fare nulla.

Era tutto vero, dunque. Doveva avergli finalmente spezzato le ali, all’aquila reale. Non solo una, ma addirittura tutte e due. Non avrebbe più potuto volare, da ora in poi. Lo aveva costretto a scendere a terra, dove razzolavano i galli da combattimento come lui.

 

Era ora.

Benvenuto nel mio regno, José.

Stai iniziando a muovere i primi passi al suo interno.

Lascia che ti dia il benvenuto come si deve.

 

Continuava ad attaccare, senza sosta. Non si fermava più. Un destro, un sinistro, poi ancora un destro...e dopo un minuto circa dall’inizio della quinta ripresa, con un ennesimo terrificante diretto con cui gli aveva chiuso le labbra ancora spalancate in una grossa O di stupore, lo aveva messo al tappeto.

Giù. Down. IL SUO PRIMO DOWN.

Rincuorato dal risultato, aveva finito col perdere definitivamente ogni cautela e aveva rispolverato tutto il repertorio collaudato dello spaccone provetto, che tanto amava.

Dapprima aveva iniziato ad imitare spudoratamente la tecnica micidiale del messicano, avvitando i pugni. Copiare al volo le tecniche degli altri boxeur era la sua specialità. Proprio come aveva fatto con Carlos ed il suo GANCIO DI GOMITO A TRADIMENTO, durante il loro primo sparring. Gliene aveva piazzato uno proprio mentre lo aveva messo alle corde e lo stava gonfiando ben bene, centrandolo con l’ossicino sulla punta all’attaccatura della mascella, e lo aveva steso. Davvero micidiale, e al RE SENZA CORONA poco era servito indossare pure il caschetto di protezione.

Certo, nemmeno il grande impero romano s’era fatto in un sol giorno. Una tecnica così complessa e raffinata come il pugno a cavatappi non si impara dall’oggi al domani. Però sentiva di migliorare sempre più ad ogni ripetizione. Ogni volta che la eseguiva, i suoi colpi diventavano sempre più potenti e precisi.

E nel sesto round, al termine di un montante di sinistro seguito da un largo gancio destro, lo aveva mandato di nuovo col culo per terra.

E DUE. Ma non era ancora finita.

Non appena Mendoza si era rialzato, gli si era precipitato addosso e lo aveva bloccato per le spalle, poggiandogli sopra entrambi i guantoni a mano aperta. Josè aveva reagito all’istante, colpendolo con una serie di ganci corti e uppercut alle costole e alla testa. E lui se n’era rimasto lì, a ridersela di gusto. Totalmente incurante che il ripetuto impatto dei pugni e l’impeto dell’avversario lo stavano facendo vistosamente arretrare.

Gli era sembrato di rivivere una scena ben nota. Ma in prima persona. E dall’altro lato della barricata, stavolta.

Erano finiti contro le corde, con lui che continuava a tenerlo immobilizzato, mentre l’altro lo stava pestando peggio di una bistecca. Ma non aveva la minima intenzione di mollarlo. Anzi, aveva intensificato ancor di più la stretta, serrando le dita e i pollici attorno ai suoi muscoli lucidi e guizzanti sudore ed olio canforato. Non gli dispiaceva essere trattato come un colpitore imbottito da passata nel bel mezzo di un allenamento intensivo. Anzi, era proprio quel che voleva. Quel che cercava.

Per resistere, aveva iniziato ad estraniarsi dalla situazione corrente e a concentrarsi su altro.

Sulle sue reali intenzioni. E cioé di scimmiottare la pantomima che il campione aveva improvvisato quella sera alle Hawaii in occasione del loro doppio match. Quando a lui era toccato quel lungagnone di Pinan, mentre José aveva affrontato un promettente esordiente del posto che stava salendo alla ribalta per le sue notevoli doti di picchiatore, a quanto pareva.

Sam COMECAVOLOSICHIAMAVA.

Iaukea, forse. O qualcosa del genere. Uno della categoria piuma tra l’altro, visto che di avversari di pari peso disposi a fronteggiarlo non se ne trovavano più, nemmeno a pagarli oro.

Ancora se lo ricordava. Di come il messicano aveva irriso il suo contendente e la potenza dei suoi pugni, dimostrando a quest’ultimo e al pubblico tutta la sua schiacciante superiorità. Aveva afferrato il toro polinesiano per le corna o meglio, per la parte superiore delle braccia e lo aveva lasciato sfogare, facendosi menare impunemente senza battere ciglio. Poi, quando aveva capito che l’energumeno era rimasto senza benzina ed era talmente cotto a puntino da terminare al suolo per conto proprio, gli aveva inflitto il colpo di grazia.

Li conosceva molto bene. Sia la forza distruttiva di quelle mani che gli effetti di quella stretta. Perché li aveva già assaggiati, e molto prima di quel bestione. Sapeva di cosa erano capaci.

Chissà se anche a Sam COMECAVOLOSICHIAMAVA dovevano essere rimasti due bei trasferelli ad altezza deltoidi, come ricordo del match e della nottata. Come era capitato a lui quella sera durante il galà di KANTO TV, per festeggiare le sue prime e consecutive vittorie a livello internazionale. Quando si era ritrovato al suo cospetto per la prima volta. Prima di allora, l’unica immagine che aveva del detentore del titolo di categoria era il filmato di un minuto e mezzo circa. Quello di un incontro valido per la difesa della cintura, dove affrontava e sconfiggeva un promettente pugile venezuelano aspirante al titolo. Che lui ben conosceva.

In quell’occasione, IL RE gli aveva impresso il suo marchio sopra il suo corpo. LO AVEVA SCELTO. E poi, senza dire una sola parola, se n’era ritornato sul suo trono in cima al mondo. Sul trono del più forte del mondo. Ad attendere il momento in cui si sarebbe rivelato DEGNO. Se come nuovo successore piuttosto che come nuova vittima sacrificale, beh...quello sarebbe dipeso unicamente da lui.

A questo e ad altro pensava, mentre si poggiava sul bordo della corda più alta e teneva il messicano a debita distanza, ripagandolo con la stessa moneta e subendo colpi terribili per più di mezzo minuto, come un sacco pieno di sabbia e con una ghigna strafottente perennemente stampata in faccia.

Pensava al pubblico, ad esempio. Al fatto che le voci che prima lo schernivano ed ingiuriavano senza alcun ritegno, ora lo osannavano.

Toh. ERA CAMBIATO IL VENTO, AVEVAN CAMBIATO IL PARLAMENTO. Era propro il caso di dirlo.

 

“VAI COSI’, YABUKI!!”

“SEI GRANDE!!”

“ALLA BUON’ORA! TI ERI SCORDATO COME SI BOXAVA, PER CASO?!”

“FINALMENTE TI SEI DECISO, A DARTI UNA MOSSA! MA CHE STAVI ASPETTANDO, EH?!”

“CI STAVA PRENDENDO A TUTTI QUANTI PER I FONDELLI, QUEL BASTARDO! VE LO DICO IO!!”

 

C’era ancora qualche scettico, nonostante tutto.

Che manipolo di imbecilli. Si dovevano credere tutti quanti dei profondi conoscitori di pugilato. Ed ognuno si sentiva in diritto di dire la sua, facendo a gara a chi urlava più forte.

Era proprio vero quel che si diceva, certe volte. Che il miglior pugile é quello che non ha mai messo un solo piede sul ring, e che non ha mai tirato un solo pugno in vita sua. Così come il miglior giocatore di Baseball doveva essere quello che non aveva mai lanciato una sola palla. Né preso in mano e agitato una mazza di legno. O che il miglior lottatore di Judo in circolazione era quello che non aveva mai calcato un TATAMI.

Gretti ed ottusi, ecco cos’erano. Ma come diamine si faceva, ad essere così? Ad avere una visione così ristretta e limitata, per la miseria?

Avrebbe tanto voluto, a fine match, farli salire sul quadrato uno alla volta. O anche tutti quanti insieme, non faceva alcuna differenza. Tanto li avrebbe potuti stendere con una mano sola e con l’altra legata dietro alla schiena, pur stremato e conciato com’era. Ed era sicuro che anche Mendoza gli avrebbe dato più che volentieri un aiuto, se solo glielo avesse chiesto. Era convinto che il buon José la pensasse uguale, riguardo a certi idioti.

Ah, già...Mendoza. Dove era rimasto?

Si era talmente perso dietro a quel nugolo di cazzate da non accorgersi che l’intensità dei suoi attacchi era calata, seppur lievemente.

Stava tirando il fiato. Era il momento giusto.

Prima che un altro dei suoi ganci potesse raggiungerlo al volto, aveva steso entrambe le braccia e gli aveva dato una vigorosa spinta, buttandolo lontano da sé. Aveva deciso di accompagnarne lo slancio e lo aveva centrato con un combinazione da manuale: doppio jab di sinistro, diretto destro e poi un gancio di sinistro seguito da un ampia sventola con l’altra mano.

E di nuovo giù. UN ALTRA VOLTA ANCORA.

Ben la seconda nello stesso round. E la terza complessiva. Aveva pareggiato i conti, con gli atterramenti.

Eppure, continuava a non stare tranquillo, nonostante le grida di incitamento che provenivano dalle tribune e dal suo angolo. Sempre quel tarlo dentro che continuava a roderlo senza sosta. Senza pace.

Sempre la stessa domanda.

 

...Ma come?

 

Forse avevano ragione alcuni presunti esperti del settore, quando dicevano che si era CIVILIZZATO. Che crescendo e maturando, il lupo selvatico si era ammansito. E che la ragione aveva reclamato il suo spazio, prendendo posto dentro di lui insieme all’istinto, e in egual misura. Questo non stava a significare che si fosse indebolito, tutt’altro. Aveva solo imparato a dosare la sua rabbia. E a scatenarla solo al momento opportuno e a centellinarla, invece di prosciugarla tutta in un impeto della durata di una manciata di secondi. E ad analizzare e valutare la situazione nella sua completezza, prima di reagire. Aveva TROVATO UN METODO, modificando le proprie abitudini e scegliendone altre molto più redditizie nei confronti di sé stesso, senza alcun dubbio.

Bella sintesi, ma che lo aveva tutt’altro convinto. Per lui ragione equivaleva solo a trovare il lato negativo in ogni cosa, il che voleva dire trovare sempre una scusa per FRENARSI.

Eppure…

Eppure c’era qualcosa che non quadrava. Un dubbio gli si era insinuato nella mente. COSA ACCIDENTI ERA CAMBIATO NELLE ULTIME RIPRESE, RISPETTO A PRIMA?

Da parte sua, nulla. Dall’inizio del match non aveva fatto che mulinare braccia e pugni come un ossesso, e non aveva mutato di una sola virgola. Ma allora cosa…

Un dubbio gli si era insinuato nella mente. E i dubbi, come sosteneva in modo indefesso, contribuivano solo a BLOCCARLO. Negli ultimi trenta secondi si era fatto ancora sotto per stendere Mendoza per la terza volta e chiudere il discorso, ma la sua azione aveva finito col perdere il giusto mordente e José si era chiuso come a guscio, smorzando ed evitando i suoi attacchi, seppur di striscio.

Che coglione che era stato. Aveva perso un’occasione d’oro. O era forse che il campione…

Tutto ad un tratto, il quesito che lo assillava gli era apparso in tutta la sua completezza.

 

MA COME DIAVOLO HO FATTO A COLPIRLO?

PERCHE’ PRIMA NO E ADESSO SI?

IN FIN DEI CONTI NON E’ CAMBIATO NULL…

 

No. Si era sbagliato. Qualcosa era cambiato. Dentro di lui.

DENTRO AL SUO CORPO.

L’angoscioso dubbio si era tramutato in atroce certezza. Di colpo aveva capito perché il vento era cambiato. E la spiegazione era tutt’altro che piacevole.

Mentre faceva ritorno verso il suo team, al termine del round, aveva deciso di mettere il vecchio al corrente dell’amara verità. Ma forse ci era arrivato anche lui. Forse non era ancora del tutto rimbambito dalla demenza senile. Magari…

 

“AH, AH, AH!! GRANDE, JOE!! CONTINUA COSI’ CHE VAI FORTE!! MA MI DICI DOVE CAVOLO HAI IMPARATO IL COLPO A CAVATAPPI?! TI SEI ALLENATO DI NASCOSTO, EH?! GUARDA CHE A ME PUOI DIRLO!!”

 

Tsk. Figurarsi. Non aveva capito un cazzo, come al solito. Tutto entusiasmo e pacche sulle spalle. Sue e degli altri ragazzi. Meglio dargli la sveglia con una bella doccia gelata, come si fa con gli ubriaconi per fargli passare la sbornia. E SUBITO, ANCHE.

 

“Ascoltami, vecchio. Piantala di sgolarti inutilmente e stammi a sentire. STAMMI A SENTIRE BENE. IO NON CI VEDO PIU’ DALL’OCCHIO DESTRO.”

“C – CHE COSA HAI DETTO?!”

“Non fare il finto tonto, che hai capito benissimo. SONO CIECO DALL’OCCHIO DESTRO. CIECO COME UNA TALPA, MI HAI SENTITO? E’ successo alla quarta ripresa, quando mi ha sbattuto giù per l’ultima volta.”

“M – ma a – allora vuol dire c – che...”

“Adesso hai capito perché sono riuscito a colpirlo? Perché non ho più il senso della prospettiva. Vedo le persone senza profondità, come se fossero sagome di cartone. E quest’handicap mi dà un visuale sfalsata. Ecco perché Mendoza non é più in grado di prevedere con esattezza la traiettoria dei miei attacchi. Perché io penso di tirare in un punto e il pugno va da un’altra parte. Pochi millimetri, magari...ma sufficienti a mandarlo in confusione.”

“Dannazione...allora avevo ragione...”

“C – come?!”

“Vedi, Joe...dopo quel round, durante la pausa, mentre ti stavo rimettendo il paradenti in bocca dopo che Nishi lo aveva risciacquato...é accaduta una cosa strana. Mentre te lo infilavo mi HAI MORSO LA MANO, Joe! MI STAVI QUASI PER STACCARE UN DITO DI NETTO!! Io...io pensavo solo che ti fossi sbagliato per la fretta, ma invece...me lo sentivo, che c’era qualcosa che non andava...e...ed ora tu...tu mi confermi che...”

 

E bravo il vecchio Danpei. Forse non era ancora così rincoglionito come pensava.

 

“A – ascoltami, Joe...se le cose stanno davvero così...E’TROPPO PERICOLOSO, ANDARE AVANTI IN QUESTO MODO! TU NON PUOI AFFRONTARE UN AVVERSARIO DI QUEL CALIBRO CON L’OCCHIO IN QUELLO STATO! E’...E’ UN’AUTENTICA PAZZIA!!”

 

Lo aveva zittito dandogli una pacca a sua volta, su quelle spalle enormi e mezze ingobbite dall’età che si ritrovava.

 

“AH, AH, AH!! E DAI, ZIETTO! NON FARE QUELLA FACCIA!! ADESSO SONO UN BEL GUERCIO IN TUTTO E PER TUTTO UGUALE A TE, SOLO DALL’ALTRO OCCHIO!! NON SEI CONTENTO? MAGARI QUANDO ABBIAMO FINITO QUI MI CI METTO ANCH’IO UNA BELLA BENDA SOPRA E CI FACCIAMO SCRITTURARE AL CIRCO, O AL LUNA PARK!! METTIAMO SU UN BELLO SPETTACOLO DI PIRATI, CHE NE DICI? IO FACCIO MORGAN L’ORBO E TU IL PIRATA BARBANERA!! E POI PENSA ANCHE A JOSE’, POVERACCIO...CHISSA’ COME CI DEVE ESSERE RIMASTO, QUANDO HA VISTO CHE LA SUA INFALLIBILE TECNICA DI DIFESA DI CUI VA TANTO FIERO HA INIZIATO A FARE CILECCA!!”

 

Mendoza. Proprio lì stava il punto di tutta quanta la faccenda, l’ago della stra – dannatissima bilancia. Per ora era rimasto vittima della sua stessa perfezione maniacale. Il suo corpo, allenato da anni di pratica costante, ormai rispondeva in automatico agli stimoli. Pensiero e azione si svolgevano sullo stesso piano, ormai. Effettuava una schivata nello stesso momento in cui immaginava di eseguirla. Ma il suo inconveniente all’occhio aveva finito col stravolgere tutto. Col risultato che il messicano, da macchina di precisione qual’era sempre stato, si era trasformato in un burattino incapace di uscire dagli schemi. Ma quanto tempo ci avrebbe impiegato, prima di capire anche lui come stavano veramente le cose? Già quel che aveva visto negli ultimi istanti della precedente ripresa non gli aveva fatto presagire nulla di buono.

Quanto tempo aveva, quanto tempo gli era rimasto prima che quell’improvviso, esiguo vantaggio che aveva ricevuto inaspettatamente in dono da colui che almeno per quel momento, almeno in quell’occasione era il suo più acerrimo nemico si sarebbe tramutato in un’implacabile condanna?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!

Fortunatamente, sono riuscito a pubblicare un nuovo capitolo prima di Natale.

Ora mi prenderò una piccola pausa e poi, smaltito il pranzo (o meglio, i pranzi), sotto di nuovo a scrivere.

Dovrei anche aver risolto il problemino con il banner del quarto capitolo, che ora dovrebbe risultare perfettamente visibile.

Ringrazio intanto i sempre presenti Devilangel476, innominetuo e kyashan_luna per le recensioni all’ultimo capitolo. A loro in particolare auguro buone feste e tanta serenità.

Tanti auguri ed un grazie anche a chi leggerà la mia stori e magari vorrà lasciare un parere.

 

Buon Natale a tutti, ci sentiamo presto!!

 

See ya!!

 

 

 

Roberto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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