Sesto
capitolo:
<<
Non sto
scherzando Jazz. Te ne sarò infinitamente grata.
>> ringraziai il mio
salvatore per aver evitato per l’ennesima volta che accadesse
una catastrofe.
<<
Ma non ho
fatto niente stavolta, Grace. >>
<<
Su, andiamo.
Non essere modesto. >> sbuffò e
gettò la spugna.
Competere
nelle discussioni con me era come quando lo si faceva
con Alice: era praticamente inutile.
Quando
arrivammo, la nostra casa mi sembrò stranamente
più
accogliente del solito.
Com’era
quel vecchio detto? Ah, sì. “Casa, dolce
casa.”
Mai
un’affermazione fu più azzeccata.
Mentre
ero con Mirko, per la prima volta, non vedevo l’ora di
tornare a casa. Mi sentivo così in imbarazzo che sentivo il
bisogno di un posto
confortevole, che mi facesse sentire a mio agio. E quale posto era
migliore di
casa mia?
Cercai
di scrollarmi quelle strane sensazioni di dosso come se
cercassi di liberarmi da una morsa d’acciaio. Mi resi conto
che forse l’unico
modo per evadere da quegli stati d’animo era scrivere un
altro episodio della
mia vita, e pubblicarlo per i miei ingenui ammiratori.
In
quel momento pensare che avrei potuto fare fuori tutti i
lettori del mondo in un solo paio di secondi mi fece sentire
invincibile.
Come
se ce ne fosse stato bisogno. Certo che ero invincibile
rispetto a loro. Al solo pensiero potevo sentire il sapore del loro
sangue
sulla lingua e i loro profumi risalirmi, su, per le narici.
Erano
sapori e odori buoni quasi come quelli di Mirko…
Il
pensiero si stava facendo insopportabile, insostenibile.
Alice
mi fece tornare alla realtà.
<<
Tutto bene?
>> mi chiese.
<<
Sì, tutto
okay. Stavo solo riflettendo. >>
<<
Lo so.
>> si intromise Edward. << Non devi pensare
queste cose. Sei
vegetariana da ancora troppo poco tempo per poterlo fare. Cerca di non
pensarci
più su. >>
<<
D’accordo…
>> bisbigliai fra le labbra.
<<
Tuo fratello
ha ragione. Non occorre pensare a queste cose per un motivo
così banale.
>> sentenziò con voce saggia Carlisle.
Io
chinai il capo, mortificata per ciò che avevo pensato. Mi
sentivo
umiliata e in colpa, ma non capivo che cosa avessi mai fatto di
così grave.
Erano solo dei pensieri.
Tutto
qua.
Cosa
c’era di male?
Nel
pronunciare queste parole nella mia mente, mi resi conto che
mi sbagliavo. La mia famiglia aveva ragione.
Quelli
non erano dei semplici pensieri. Per me che ero da così
poco tempo vegetariana, potevano essere una fonte di distrazione o, per
meglio
dire, di tentazione.
I
miei sensi erano ancora troppo influenzabili e le tentazioni
andavano tenute lontane.
Io
che chiedevo a
Jasper di controllarmi, non appena lui abbassava la guardia io ne
approfittavo
per auto-stuzzicarmi? Non era assolutamente un atteggiamento maturo.
Improvvisamente
mi ritrovai a ripensare a Mirko, il che proprio
in quel momento non era
consigliabile.
Dato
che Renesmee dormiva, decisi che mi sarei davvero dedicata
alla scrittura. Stavolta, però, concentrandomi sulle storie
e non sui lettori……
“Mi
ricordo
perfettamente quella nottata.
Erano
le 3:15 am del
giorno 18 Ottobre 1939.
Mia
madre stava in
un istituto a causa di una strana malattia molto comune a quel tempo.
Era nota
come “tubercolosi”.
Stavo
tornando a
casa, a piedi, dopo averle portato da mangiare; era uno di quegli
istituti
economici dove non portavano cibo, e dove ti offrivano solo un letto
per
dormire e le cure necessarie. Le strade non erano molto illuminate,
anzi erano
quasi completamente buie.
Era
da qualche
minuto che sentivo strani rumori intorno a me. Continuavo a camminare
guardandomi inutilmente le spalle, ignara di
quello che mi capitava intorno.
Ogni
tanto sentivo
venire dal buio che mi circondava risate alquanto inquietanti.
Sembravano
appartenere a due persone diverse.
Dopo
aver guardato
bene dietro di me, accelerai il passo: volevo arrivare a casa il prima
possibile.
Improvvisamente
un
urlo squarciò l’atmosfera, contemporaneamente un
fulmine spaccò a metà il cielo
nero come la pece.
Cominciò
a piovere,
ed io, invece di accelerare verso casa, andai in cerca della persona
che in
quel momento stava agonizzando.
Cominciai
a correre.
Il lamento veniva da una traversa che ormai mi era vicina. Quando mi
inoltrai
nella stradina, mi resi conto che si trattava di un vicolo cieco.
Era
lì.
La
persona che stavo
cercando, la persona che aveva bisogno di aiuto era proprio
lì.
Ora
che ero più vicina
mi resi conto di quanto stesse soffrendo. Da quella distanza riuscii
anche a
capire chi fosse: era una ragazza alta, bionda, chiara di carnagione,
di
giovane età, forse mia coetanea.
Indossava
al collo
una catenina con un ciondolo che portava una breve scritta.
Sembrava
un nome. Mi
avvicinai e lessi “Marlene”.
<<
Marlene, che ti è successo? Sta
tranquilla, sono qui per aiutarti… >> tentai
di tranquillizzarla.
Cercai
di vedere se
attorno al suo corpo vi erano armi come un coltello, o vetri o un
bastone: non
trovai niente.
Ritornai
vicino a
lei per calmarla.
Si
contorceva come
se fosse in preda a delle convulsioni, e continuava a gridare a
squarciagola.
<<
Aiuto! >> gridai, <<
Aiuto! >>
<<
Non serve che tu gridi. Non può
fare niente nessuno. Tra poco sarà come me. >>
la risata di poco prima
riecheggiò nella notte.
<<
Cosa vorrebbe dire? Signore
dobbiamo aiutarla! Portiamola via, c’è un ospedale
qui vicino… >>.
<<
Non è necessario. >> mi
rispose dall’oscurità l’altra voce.
A
questo punto fui
sicura che fossero due persone diverse: un uomo e una donna,
più esattamente.
<<
La guardi! Rischia di morire!
>> insistetti, indicandola.
<<
Non morirà. Ho detto che a breve
diventerà come noi. >>
tornò
a dire la
prima voce, quella maschile.
Improvvisamente
capii
cosa volessero dire i due tizi misteriosi. Con
un gesto automatico mi voltai verso
Marlene, che ancora si dimenava per il dolore.
Le
spostai la mano
dalla gamba, cosa che non avevo pensato di fare prima. Rimasi a bocca
aperta,
sbalordita.
Adesso
capivo i
discorsi ambigui di quei due signori.
Non
potevo credere
ai miei occhi: erano davvero morsi quelli che vedevo?
Avevo
letto qualcosa
a riguardo, ma non lo credevo possibile, fino ad allora, almeno.
Volevo
scappare.
I
muscoli non
rispondevano a miei comandi.
Con
mia enorme
sorpresa i due signori se ne erano improvvisamente andati.
Approfittai
della
situazione e cominciai a correre. Piangevo per la ragazza che non avevo
potuto
aiutare, e piangevo per me, per la mia famiglia, per mia madre che
stava
morendo e che aveva solo me ad accudirla. Avevo paura che mi potesse
succedere
qualcosa.
Mentre
correvo più
veloce che potevo, i due soggetti di prima mi piombarono
improvvisamente
addosso facendomi cadere a terra.
Cercai
di rialzarmi
subito.
Non
appena fui in
piedi mi resi conto che loro mi guardavano poco distanti da me. Mi
sembrò di
vederli conversare muovendo le labbra impercettibilmente, ma non ne fui
sicura.
La pioggia non mi permetteva di vedere bene. Ripresi allora la mia
corsa contro
la morte. Fu allora che capii che i miei
“avversari” mi lasciavano correre per
qualche metro solo per il piacere sadico di darmi l’illusione
di una possibile
via di scampo, di una salvezza.
Non
sapevo allora se
correre o fermarmi, tanto per non dargli la soddisfazione di prendersi
gioco di
me.
Comunque
fosse, i
due mi raggiunsero in meno di un secondo. Io ricaddi per terra. Mi
sentivo una
stupida: non riuscivo nemmeno a reggermi in piedi. Scivolavo sulla
strada
bagnata.
Questa
volta non mi
diedero scampo. Ricordo solo che vidi per la prima volta i loro pallidi
volti
sul mio corpo, poi… il vuoto, buio.
L’unica
cosa che mi
rimase impressa nella mente di ciò che accadde dopo fu il
bruciore che mi
invase tutta.
Gridavo.
Gridavo
e mi
contorcevo per il dolore.
<<
Spegnetele! Spegnete le fiamme!
>> continuavo ad urlare.
E
loro? Ridevano
compiaciuti del loro operato.
Intanto
le fiamme si
facevano più vive, come i loro occhi rosso porpora, e io mi
sentivo mancare il
respiro.
Il
cuore batteva
all’impazzata. TUM TUM.
Mi
guardavo le mani
e le vedevo bruciare. Volevo solo morire, qualsiasi cosa era
più sopportabile
di quel dolore. TUM TUM.
Vedevo
la strada
ricoperta dalle fiamme e nel silenzio della notte sentivo solo le mie
urla e
quelle di Marlene, sempre più in lontananza. TUM TUM.
La
pioggia, che
avrebbe dovuto regalarmi sensazioni di sollievo, invece non fece altro
che
accrescere la mia sofferenza. Le gocce al contatto con la mia pelle mi
sembravano lingue di fuoco ardenti.
Il
mio cuore
continuò ad accelerare, finché non si
fermò definitivamente. TUM.
Mi
ci volle un po’
prima di capire che il fuoco che vedevo intorno a me in
realtà non c’era, ma
che era tutto merito dei miei nuovi occhi.
Mi ci volle un po’ prima di capire che oramai non esisteva più la Grace di una volta; e anche se continuavo a contorcermi e a urlare per il dolore sapevo che oramai era nata un’altra me: Grace la vampira.''
***Oo°°oOo°°oOo°°oOo°°oOo°°oO***
Lo
so, avete ragione ragazzi... scusate il ritardo è che non ho
avuto molto tempo per ricopiare il capitolo. Spero comunque che vi
piaccia,
così mi perdonerete...
Passiamo
a una cosa importante… i ringraziamenti.
Mi
spettano di dovere.
Un
infinito “grazie” a S1lv1a, BellaCullen88,
Edward_cullen e
Laura_Black per aver recensito gli ultimi chappy.
Un
altro “grazie” va a tutti coloro che hanno messo la
storia
tra i preferiti, ovvero:
1
- aras95
2
- bella95
3 - debblovers
4
- giulietta93
5 - Laura_Black
6
- lidiacullen
7 - _VampirE_CulleN_
Un
altro “grazie” va a quelli che l’hanno
aggiunta tra le storie
seguite: saskia79
e _VampirE_CulleN_.
Un
ultimo grazie generale a tutti quelli che hanno
semplicemente
letto!
Un bacioooooo! :*