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Autore: belle_delamb    20/12/2017    0 recensioni
Natale, tempo di gioia e di dolcezza, ma non solo, perché a volte le storie natalizie possono racchiudere contenuti agghiaccianti. Ecco una serie di racconti che vi lascerà con il fiato sospeso. Regali misteriosi, inquietanti foreste innevate, e tanto altro ancora.
Storia partecipante a Christmas Challenge" indetta da Jadis_ sul forum di Efp.
Genere: Fantasy, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fuori la neve scendeva abbondantemente il pomeriggio in cui Sarah vide suo padre entrare in casa con il nuovo albero di Natale. Lo fissò sorpresa, non si aspettava una creatura così grande e maestosa, eppure così indifesa.
-Ti piace?- le chiese il genitore.
La bambina lo fissò un attimo sgranando gli occhi, quindi annuì, più per non deluderlo che perché le piacesse davvero. Quel grande albero suscitava in lei un vago timore, ecco la verità.
-Potrai addobbarlo con mille palline colorate- proseguì l’uomo, dandole un colpetto sulla testa –ma domani, adesso dobbiamo andare a mangiare- quindi sistemò l’albero ed uscì dalla stanza.

Quella sera Sarah andò a vedere il nuovo arrivato da vicino. Era così alto che sfiorava il soffitto. La bambina si avvicinò e sfiorò uno dei rami. Le rimase attaccata sulla mano una bizzarra polverina dorata e poi il ramo cadde. Lei sobbalzò spaventata, non avrebbe dovuto toccarlo, non sotto lo sguardo attento dei genitori. Subito s’inginocchiò, voleva recuperarlo e farlo sparire, lo aveva visto in un film, era quello che si faceva in casi simili, far sparire tutte le prove, prima che sia troppo tardi. Individuò subito il rametto e vide anche qualcos’altro. Sembrava un sfera, come se una palla di Natale fosse già stata attaccata, solo che la posizione in cui si trovava era oltremodo bizzarra, nascosta là sotto, dove non si poteva vedere. Allungò il braccio per toccarla. Era dura al tatto, ma anche viscida e poi sembrava di mille colori. Sarah sorrise, le piaceva molto. Guardatasi in giro afferrò la palla e la portò nella propria stanza. Decise di nasconderla in un vecchio scrigno in cui un tempo aveva nascosto il suo diario segreto. Il luogo più sicuro del mondo. Ora le era quasi parso che la palla fosse diventata calda. Chissà, forse era una sorpresa che le volevano fare i genitori. Ridacchiò tra sé.
- Sarah – la chiamò la madre.
La bambina uscì subito dalla stanza e corse da lei. –Eccomi- esclamò, allargando le braccia.
-Tesoro- rispose la donna, stringendola a sé –è ora di andare a dormire-
-Sì, mammina- disse la bambina, baciandola su entrambe le guancie.
-Domani addobberemo l’albero-
-Non vedo l’ora-

Quella notte Sarah fece degli strani sogni. Sognò di avere le ali e di volare sopra una strana città fatta di palazzi sospesi a mezz’aria ed abitata da piccole creature pallidissime e con lunghi abiti, come quelli delle principesse che si vedevano nei film. La neve le sfiorava la pelle, ma non era fredda, anzi, sembrava quasi bollente. E poi iniziò a sentire una voce.
-Tra poco nascerò a nuova vita, tra poco sarò di nuovo parte del mondo-
Sarah si svegliò di soprassalto ed abbracciò l’orsacchiotto che teneva nel letto, anche se ormai stava diventando un po’ troppo grande per giocare con un peluche. O almeno questo era ciò che le diceva il padre. Chiuse gli occhi nel tentativo di addormentarsi e le parve di sentire un ticchettio, come di qualcosa che sbatte dentro un contenitore. Si mise seduta e si guardò intorno, ma non vide nulla, la stanzetta era avvolta nelle tenebre. Si sdraiò nuovamente e si riaddormentò.

Quella fu solo la prima sera caratterizzata da strani sogni. Sarah si ritrovò a fare spesso sogni simili. Volava sempre su città e luoghi dall’aspetto bizzarro, popolati da creature che mai avrebbe immaginato che esistessero e poi sentiva sempre la stessa voce che le comunicava qualcosa, come il fatto che sarebbe rinata presto. Sarah era allo stesso tempo affascinata e terrorizzata da tutto ciò e non riusciva a capire come ciò fosse possibile. E poi una notte si svegliò e vide una strana luce provenire da sopra il comò, meglio ancora, la luce proveniva dallo scrigno dove aveva messo la palla ed il coperchio sembrava pulsare. Spinta dalla curiosità si alzò ed andò a vedere cosa stava succedendo. Con le mani tremanti sollevò il coperchio e restò a bocca aperta. Una piccola creatura alata, quasi una bambolina, stava rannicchiata tra quelli che parevano i resti di un guscio d’uovo. Il piccolo essere aveva i capelli lunghi e turchini ed indossava una strana tunica, che pareva parte integrante di essa, quasi fosse una seconda pelle. Alzò la piccola testa e fissò negli occhi Sarah.
-Finalmente ti vedo nel mondo reale- disse, con una vocina bassa e seducente, quindi si mise in piedi, rivelando un’altezza di circa sette centimetri.
-Chi sei?- chiese la bambina, attratta dalla perfezione di quella piccola creatura.
-Ho diversi nomi, ma tu chiamami Megan -
-Come la mia bambola!-
-Esatto- sorrise, con le labbra rosse come il sangue – Megan, un gran bel nome-

Da quel momento Sarah divenne indivisibile da Megan. La portava con sé ovunque, dentro lo zaino a scuola, dentro la tasca in casa, appoggiava lo scrigno dentro cui lei si rifugiava sul proprio comodino in modo tale di averla sempre vicina. La verità è che Sarah era una bambina molto sola e Megan era l’unica amica capace di capirla per davvero, a parte Jane, ma ora Jane passava un sacco di tempo con le altre, non era più sua amica come prima. Megan comunque la rimpiazzava ampiamente, era simpatica e soprattutto sapeva ascoltarla, insieme a lei pareva che il mondo avesse tutto un altro colore, un’altra consistenza. Era l’amica perfetta.

Un grigio pomeriggio Sarah stava giocando, sola come sempre, con la grande casa delle bambole che si trovava in fondo all’aula di ricreazione. Teneva tra le mani Megan che cercava di non attirare lo sguardo dei compagni di classe della bambina.
-Dove vuoi andare?- le chiesi Sarah –Vuoi ballare con Jacob?- e le mostrò un bambolotto piuttosto insignificante.
Megan scosse la piccola testolina, un movimento discreto.
-Niente Jacob allora, non piace neppure a me … che ne pensi di una bella cavalcata- afferrò un cavallino di plastica.
-Ehi stramba!- disse una voce alle sue spalle, una voce che Sarah conosceva bene –Il cavallo è mio-
-Scusa, Paul – disse, posando a terra il giocattolo, memore di quando lui l’aveva picchiata per aver commesso un simile errore.
-Niente scusa- e il bambino, grande e grosso, la prese per il braccio, tirandola con violenza indietro.
Alla piccola sfuggì un grido, tanto più che la fatina cadde a terra. – Megan – la chiamò, temendo che si fosse fatta male.
-Paura per la tua bambolina?- chiese il suo aguzzino, spingendola a terra.
Sarah si mise a singhiozzare, impotente. L’insegnante non era in aula e quando sarebbe tornata molto probabilmente l’avrebbe ritrovata sanguinante e in lacrime, non c’era nulla che poteva fare per salvarsi. Si preparò quindi a ricevere un pugno quando qualcosa dietro la testa di Paul le fece spalancare la bocca dalla sorpresa. Un attimo dopo il bullo era a terra e caldo sangue scorreva intorno alla sua testa che si era letteralmente rotta in due, come un melone. Diverse urla si levarono lì intorno, i suoi compagni chiamavano a gran voce la maestra, ma Sarah non riusciva a dire nulla, l’unica cosa a cui pensava era la pallida figura di Megan, immersa nel sangue, quasi lo stesse bevendo.

Paul morì prima dell’arrivo dell’ambulanza e tutti pensarono ad un tragico incidente, probabilmente era inciampato e si era rotto la testa. A nessuno in fondo dispiacque per la sua dipartita, era un bambino violento e probabilmente sarebbe diventato un vero sbandato da grande. Sarah però non poteva smettere di pensare a quella storia e soprattutto non poteva non guardare Megan con occhi diversi.
-Qualcosa non va?- le chiese la fatina una volta a casa. Non una goccia di sangue sporcava il suo bel viso.
-Sei stata tu ad ucciderlo-
-Ma io l’ho fatto per te, quel gradasso ti aveva aggredita-
-Non si possono uccidere le persone- disse Sarah, scuotendo la testa.
-Da dove vengo io sì se ti fanno del male- le sorrise, un sorriso animalesco e feroce su quei lineamenti da bambola –vuoi forse dire che avrei dovuto lasciarlo fare?-
-Era proprio necessario ucciderlo? Non potevi solo ferirlo?-
-Avrei potuto, certo, ma dove sarebbe stato il divertimento-
Sarah sentiva il cuore batterle così forte nel petto che temeva che le sarebbe esploso. –Devi andartene-
-Perché?- chiese la fatina, piegando lateralmente la testa –Credevo che noi due fossimo migliori amiche-
-Non in questo caso, se qualcuno scoprisse quello che hai fatto … non voglio neanche pensarci-
-Non lo scoprirà nessuno, tranquilla, e soprattutto tu non mi manderai via di qua, io non posso andarmene-
-Devi, non c’è altra scelta-
-Invece sì, se non vuoi che i tuoi adorati genitori facciano la fine di Paul, capito?-
Un brivido percorse la bambina. –Loro non c’entrano nulla-
-Lo so e non m’importa-

E così Sarah continuò ad ospitare Megan che nel frattempo diventava sempre più feroce. Non era raro infatti che la bambina trovasse tracce di sangue nel piccolo scrigno che era diventato il rifugio della fata e una volta le capitò anche di ritrovare all’interno di esso delle piccole ossa.
- Cos’è?- chiese inorridita.
-Non capiresti, voi esseri umani non potete capire-
Sarah si mise a piangere.
-Pensavi davvero che fossi una di quelle fatine delle fiabe? Io appartengo alla corte oscura, anzi, sono stata cacciata da essa, quell’uovo era la mia prigione, costretta a stare là dentro fino a quando qualcuno non mi avesse trovata e si fosse preso cura di me, io ti sono debitrice, Sarah, lo so bene e non me ne dimentico, ma tu non devi metterti tra me e la mia natura, ho cercato di combatterla, ma il sangue di Paul mi ha ricordato chi sono e non posso fingere di essere altro- e così il discorso si era concluso.
Sarah aveva paura di Megan ed allo stesso ne era affascinata. In fondo era sua amica, aveva ucciso Paul per lei. Ma lei non le aveva mai chiesto una cosa simile. Era una di quelle situazioni in cui non sapeva cosa fare.

Un giorno durante l’ora di ginnastica, uno dei pochi momenti in cui era liberata dalla presenza di Megan, Karol si avvicinò a lei. Karol era stata la sua migliore amica fino a poco tempo prima, quando le aveva preferito le altre compagne di classe, lasciandola da sola con i suoi problemi.
-Tutto bene?- le chiese.
-Non dovrebbe?- le rispose Sarah, chinandosi per raccogliere il peso da lanciare.
-Sei strana in questi giorni, c’è qualcosa che non va-
Sarah non parlò e provò il tiro. Il peso cadde a pochi centimetri da lei.
-Puoi parlarne con me … c’entra forse quella strana bambola che porti sempre con te?-
E Sarah scoppiò a piangere.
-Vieni- Karol la portò in disparte e rimase ad ascoltare tutta la storia sulla misteriosa ospite di Sarah.
-Io non so cosa fare-
-Devi parlarne con i tuoi-
-No! Lei gli ucciderà, hai visto cos’è in grado di fare-
-Allora dovremmo pensarci noi, ho letto da qualche parte che le fate sono allergiche al ferro-
La bambina ricordò di avere una scatola di quel metallo dove riponeva i giocattoli. E se l’avesse chiusa là dentro? Sembrava una buona idea, ma come farla entrare? –Ti prego aiutami-
-Ti aiuterò- esclamò l’amica, posandosi la mano sul cuore –la cattureremo, ora dobbiamo solo studiare un piano-

E quel pomeriggio le due lo misero in pratica. Sarah raccontò a Megan la storia di un lavoro di gruppo per ginnastica per il quale Karol avrebbe dovuto venire a casa sua nel pomeriggio.
-Quella Karol non mi piace- esclamò la fatina, incrociando le braccia.
-Non ne posso fare a meno-
-Certo- borbottò l’altra e volò via.
Karol arrivò puntuale, portando con sé un barattolo dentro il quale, c’era qualcosa a cui, secondo le leggende, le fate non potevano proprio resistere: latte. Il piano era semplice, quasi banale. Attrarre la fatina dentro la scatola di ferro usando proprio quella dolce bevanda.
-Mettiamo il barattolo aperto dentro la scatola, poi fingiamo di giocare, appena lei entra la richiudiamo- le sussurrò Karol all’orecchio.
-Speriamo che non se ne accorga-
-Un po’ di fiducia-
E le due cominciarono a giocare, lo sguardo puntato sulla scatola di ferro. Passarono minuti che a Sarah parvero ore e poi alla fine notò che Megan si era alzata in volo. La osservò, con il cuore in gola, avvicinarsi alla scatola ed alla fine entrarvi.
-Adesso- esclamò Karol e si gettarono entrambe sulla scatola. Non avevano però fatto i conti con la velocità di Megan che riuscì ad uscire un attimo prima di rimanervi imprigionata.
-Tradimento- urlò la fata con tutta la voce che aveva in gola –ed ora me la pagherete entrambe-
-Ti prego … - iniziò Sarah, ma Megan non aveva intenzione di perdonare.
-Ora dovete pagare-

La piccola Betty venne a conoscenza della morte delle compagne Sarah e Karol il giorno seguente, a scuola. Era scoppiato un incendio a casa di Sarah e nessuno si era salvato. Una vera disgrazia e proprio adesso che mancavano un paio di giorni al Natale! Betty stava pensando a queste cose quando vide una bambolina appoggiata nella casa delle bambole. Sembrava proprio la bambola che Sarah portava sempre con sé. Betty s’avvicinò tremendamente tentata a prenderla in mano, dopotutto era così bella, così perfetta, come una vera fata. Forse Sarah l’aveva dimenticata lì e dov’era ora, purtroppo per lei, non le sarebbe servita. Fu questo pensiero a convincere Betty ad agire. Prese la bambolina e la infilò nello zaino. Era certa che sarebbe nata un’ottima amicizia.
   
 
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