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Autore: arsea    21/12/2017    0 recensioni
Ladone e Nicola sono due studenti che hanno scoperto da poco di essere maghi.
Il loro passato oscuro e sconosciuto li ha forgiati come fratelli, ma già il primo passo all'interno della scuola mette a dura prova le loro vite.
Ho scritto questa fic giocando/creando la Role su Facebook "Scuola di Magia e Stregoneria di Aradia"
Una scuola di magia in Italia, fondata da cinque maghi e streghe con intenti sconosciuti in un mondo Post-Saga di Harry Potter ancora più sconosciuto.
https://www.facebook.com/AradiaOfficial
Genere: Angst, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altro personaggio, Famiglia Black, Famiglia Malfoy, Famiglia Potter, Nuova generazione di streghe e maghi
Note: Otherverse | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
Capitoli:
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Lo Smistamento
 
 
Oreste si mise tra loro con la facilità dell’abitudine, prese i gomiti di entrambi come fossero due poppanti all’entrata dell’asilo e li trascinò - abbastanza letteralmente - verso il portone.
Nonostante l’irato sibilo nelle proprie orecchie, Ladone non poté fare a meno di trattenere il fiato quando mise piede nella Sala Grande, esattamente come fecero molti altri intorno a loro.
Certo, era stato sufficiente l’esterno per immaginare la sontuosità dell’interno, il parco immenso e la facciata in stile Rinascimentale tradivano un gusto impeccabile, esattamente come gli affreschi e i mosaici dell’atrio in cui erano stati poco prima, ma niente era paragonabile alla magnificenza dell’ambiente in cui sfociarono adesso.
La prima cosa che saltava all’occhio era lo spazio naturalmente, la stanza era abbastanza grande perché la folla intorno a loro ne occupasse forse un terzo.
Una volta che fossero rimasti solo gli studenti, forse nemmeno un quarto.
La pianta era vagamente rettangolare, seppur non vi fosse troppa differenza di lunghezza trai lati, ma il soffitto era molto più alto, almeno dieci metri, abbastanza perché l’immenso lampadario che vi pendeva al centro fosse sostenuto da una lunga e spessa catena.
Le pareti erano ricoperte per circa due metri da lucidi pannelli di legno minuziosamente decorati, mentre per il resto l’intonaco era ricoperto da sontuosi affreschi che avrebbero fatto l’invidia di Michelangelo stesso, solo che i soggetti non erano putti innocenti o rappresentazioni religiose, ma piuttosto creature fantastiche e spiritelli intenti in danze sinuose.
Lo spazio centrale era occupato da quelli che sembravano quattro enormi tavoli di marmo, ognuno diverso per colore, modellati e accostati l’uno all’altro a formare un cerchio perfetto, così che vi fossero quattro entrate e gli studenti potessero sedersi sia lungo la circonferenza interna sia su quella esterna.
Il centro del cerchio era vuoto, abbastanza ampio però perché i tavoli fossero a malapena ricurvi, sul pavimento di lucida pietra scura era riprodotto lo stemma della Scuola con le Case corrispondenti a ciascun tavolo e Ladone si rese conto che il marmo era del colore corrispondente.
Verde venato d’argento per i Serpeverde, rosso venato d’oro per i Grifondoro, blu con striature bronzee per i Corvonero e giallo macchiato di nero per i Tassorosso.
Sentì i suoi polsi ghiacciare, non ricordava l’ultima volta che aveva mangiato lontano da Nicola, ma ingoiò anche quello e continuò a camminare verso le figure ferme in linea davanti a loro.
Attraversarono il varco tra il tavolo blu e giallo, subito dirimpetto alla porta, e si fermarono a poca distanza dalla donna che Ladone sapeva essere la Preside Arrighi, una giovane strega che accolse tutti loro con un luminoso sorriso.
Indossava una lunga veste azzurro chiaro, viola sui bordi e nella cintura sotto il seno, aveva un volto accogliente e occhi luminosi.
Niente di strano per la responsabile dei Grifondoro.
Smise di ascoltare l’inutile discorso subito dopo il “Benvenuti”, gli bastò ascoltare la sua voce per capire che non avrebbe detto niente di interessante, e si preoccupò invece di osservare il resto dei presenti.
Subito alla sinistra della Preside stava un mago alto e magro, avvolto in una lunga veste nera, il suo volto e le mani unite educatamente davanti a sé erano l’unica traccia di colore sulla sua persona.
Sotto alle lenti di sottili occhiali rettangolari stavano due occhi neri cupi e attenti che passavano su ciascuna persona, e nonostante il distratto sorriso sul suo volto, Ladone era ben consapevole che niente in lui esprimeva simpatia o anche solo empatia.
Quello era lo sguardo di chi vede un taglio di carne e sta cercando di capire come cucinarlo.
Membrant, non c’era alcun dubbio, ed era perfetto per i Corvonero con quell’aria fosca.
Accanto a lui c’era l’essere meno vicino alla sua persona che esistesse: Lawsonia – perché quella doveva essere Lawsonia – sembrava vicina al punto di esplodere.
Il suo volto esprimeva felicità ed eccitazione genuine, sorrideva radiosa guardando i presenti, come se non vedesse l’ora di stringere la mano a tutti o persino – oh cielo – abbracciarli.
Si scrollò il fastidio di dosso spostando il proprio peso da un piede all’altro, muovendo lo sguardo verso il lato destro di Arrighi, e istintivamente non riuscì a reprimere un sorriso.
Guardare i due Serpeverde era come fissare una vipera a due teste.
Erano dolorosamente simili, per quanto assolutamente l’uno l’opposto dell’altra nell’aspetto, quella similitudine che hanno i fratelli, o gli amici, oppure, come pareva fosse il loro caso, quella di due persone costrette a passare troppo tempo a stretto contatto.
Madenego era inquietante, non c’era un altro termine per definirlo.
Non come Membrant, che sembrava semplicemente un personaggio appena uscito da un libro di narrativa gotica, no, Madenego irradiava timore come fosse qualcosa di fisico e concreto, quasi fosse il suo profumo.
Fissava ogni cosa con sguardo annoiato, il completo scuro ben stirato seppur la sua postura non fosse composta, dava l’impressione che fosse capace di mantenere la stessa faccia anche se per qualche ragione tutti loro avessero cominciato ad ardere vivi.
La donna al suo fianco non era nemmeno lontanamente più rassicurante.
Vestiva di un cupo verde, un abito aderente senza esserlo troppo, con un turbante nero intorno al capo e un lembo di stoffa corvina ad oscurarle il volto.
Di Makar non si potevano scorgere che gli occhi verdi, ripassati con una spessa linea di scuro ad accentuarne l’espressività quasi elettrica, ed era l’unica a portare la bacchetta vistosamente allacciata ad un bracciale sopra la manica sinistra.
Ladone per un attimo fu certo che lo guardasse, e nonostante non potesse esserne sicuro, fu comunque certo che ghignò.
Arrighi stava ancora parlando, non sapeva di cosa e non gli interessava, ben più preoccupato nel vedere i Fondatori di Aradia e le loro differenze così palesi.
Per la prima volta realizzò che le Case erano reali, che seguire i precetti e le linee guida di una o dell’altra poteva oggettivamente cambiare una persona, modellare una persona, e non poté impedirsi un’occhiata a Nicola.
Non voleva cambiare. Non voleva che lui cambiasse.
Erano perfetti così com’erano, funzionavano benissimo, avevano sempre funzionato benissimo, perciò non capiva perché dovessero rischiare così tanto per quella fottutissima scuola.
Mentre prendeva le redini della sua vipera e continuava a spingerla nelle profondità del suo essere, Oreste gli prese di nuovo il braccio e lo guidò lungo il bordo interno del circolo di tavoli.
Ladone si accorse allora che tutti i presenti avevano fatto lo stesso, lasciando il centro libero per far spazio ad un’unica sedia imbottita di pelle marrone e un enorme calderone d’argento purissimo colmo di quella che sembrava acqua.
Arrighi si avvicinò alla sedia brandendo un lungo pugnale dal manico nero e con il suo onnipresente sorriso lo posizionò alle spalle della sedia, sul pavimento.
Dopo di lei, con un luccichio placido e rassicurante nello sguardo, Lawsonia si avvicinò con un calice e lo posò a destra della sedia.
Membrandt teneva una lunga bacchetta di ossidiana e anche quella fu lasciata sul pavimento, sulla sinistra.
Non appena il Corvonero fu tornato al suo posto, Makar si avvicinò con una campana dall’aria antica, e piegandosi elegantemente la lasciò ai piedi della sedia.
Il tutto era stato compiuto nel silenzio, a malapena rotto dal sussurro di qualche maleducato, e Ladone sentì se stesso trattenere il fiato nel percepire il potere che quegli strumenti emanavano.
Arrighi fece un passo avanti e con grande solennità materializzò un foglio di pergamena davanti a sé: << Annetti Ernesto >> chiamò con voce chiara, e subito un giovane di non più di vent’anni si fece avanti e si avvicinò al calderone per sedersi sulla sedia.
Avvicinò la propria bacchetta al liquido all’interno, la immerse appena, e per un lungo momento non successe nulla, poi del fumo bianco cominciò ad alzarsi dal pentolone, solo che invece di disperdersi si compattò, in una sinuosa voluta grande come una palla che si allungò verso il ragazzo incuriosita << Mente vispa vedo! >> esclamò una voce dal nulla, femminile, e Ladone sentì il proprio cuore accelerare.
Era un mago, ma non per questo la magia smetteva di sorprenderlo ogni volta.
Il fumo danzò intorno al ragazzo borbottando come una vecchia caffettiera << Onesto nel nome e nel cuore, giovanotto: Tassorosso! >> esclamò, seguito da un entusiasta applauso di Lawsonia.
Una volta che si furono ripresi dallo shock della scena avvenuta sotto il loro naso, anche il resto dei presenti fece lo stesso, accompagnando così il giovane mentre raggiungeva il suo tavolo con un gran sorriso dipinto sul volto.
Era quel fumo a Smistarli?
Un incantesimo di analisi, forse? Era uno spirito senziente?
Il cervello di Ladone cominciò ad elaborare ipotesi ad un ritmo vertiginoso mentre gli studenti venivano chiamati uno dopo l’altro, gli insegnanti accompagnavano ciascuno al proprio tavolo prima di tornare al loro posto alle spalle di Arrighi, ma al decimo di loro si diede semplicemente dell’idiota.
Che senso aveva scoprire come funzionava?
Non poteva certo aggirarne il sistema nel breve tempo che aveva a disposizione.
Per un momento accecante odiò Nicola con tutto se stesso, ogni cellula del suo corpo lo pregò di cavargli gli occhi con le mani, perciò si sforzò di tornare a concentrarsi su quel che succedeva intorno a lui per non perdere la propria compostezza.
Fu il turno di una ragazza.
Bassa, non poteva essere più alta di un metro e sessantacinque, con voluminosi e morbidi capelli ricci e la pelle bianca come la sua.
Vestiva di nero, elegante ma comoda, e a differenza di chi l’aveva preceduta non cercò nessuno nella folla davanti a lei, come se non avesse nessuno che conoscesse a ricambiarla, si limitò a seguire la nube bianca con sospetto << Ingegno ne abbiamo, su questo non c’è dubbio >> fu il primo commento, ma non pareva particolarmente entusiasta, continuò a borbottare un po’ quando scese intorno al petto << Per certo c’è coraggio, e la pazienza del predatore, ma sei artiglio o sei veleno? >> ancora un momento d’indecisione, poi esclamò decisa: << Serpeverde! >> era la prima della Casa e i due Fondatori si scambiarono un’occhiata per decidere chi dovesse accompagnarla.
Alla fine Makar avanzò e la fece sedere al tavolo verde.
Ladone non era l’unico a fissarla. Tutti stavano facendo lo stesso e improvvisamente fu molto grato che il suo cognome fosse Minelli, perché questo dava tempo al fumo di trovare altri Serpeverde.
Non puoi saperlo.
Sbuffò ironico tra sé e sé mentre ripensava alle parole di Nicola.
Certo, come no.
Non c’era alcuna fottutissima possibilità al mondo che lui non fosse un Serpeverde!
Tutto in lui lo era, dalla punta dei capelli a quella delle scarpe, persino il suo cazzo di nome lo era!
Rilasciò il fiato in un lungo sibilo, probabilmente meno silenzioso di quel che aveva pensato perché il Cazzone si spostò dietro di lui e gli poso una mano sulla schiena << Invece di cercare di calmarmi, potresti imparare a fare in modo di non farmi incazzare sin dal principio >> gli sibilò contro, ignorando l’occhiataccia di Oreste che gli intimò di fare silenzio.
O di “moderare il linguaggio”.
In nessuno dei casi gliene fregava comunque abbastanza per dargli ascolto << È impossibile non farti incazzare >> ribatté Nicola, e anche se gli dava le spalle poteva facilmente immaginare il suo sorriso beffardo << Secondo te dove mi Smisteranno? >> quella domanda gli fece vedere rosso.
Impugnò la bacchetta con la sinistra, ma prima che potesse voltarsi e usarla come arma per pugnalarlo a sangue, quello lo circondò con le braccia per immobilizzarlo, stringendolo contro di sé in quello che a tutti sarebbe parso un abbraccio ma che per Ladone era la mossa di soppressione che era.
Avrebbe urlato se non fosse stato circondato di persone, sentì quelle braccia comprimergli la cassa toracica e il suo respiro uscire incompleto; non sapeva se per questo o per la rabbia divorante, ma invece di dimenarsi o cercare di sfuggire inutilmente, divenne immobile in quella stretta, vi si arrese come fin troppe volte era accaduto, e la costrizione diede un bersaglio alla sua ira e un altro giro di spire alla vipera nel suo stomaco << Andrà tutto bene >> sussurrò Nicola al suo orecchio << Non ci separeranno >> << Sì invece >> esalò Ladone stringendo i pugni dolorosamente << Hai paura di una cravatta, Lado? Pensi che un dormitorio separato mi fermerà? Un tavolo? >> si chinò un altro po’ e adesso le sue labbra erano quasi premute contro di lui, il suo fiato bollente sulla sua pelle << Abelardo ci avrebbe presi entrambi. Aveva accettato! >> << E ci avrebbe rilasciato dopo forse dieci anni di praticantato. Dieci! Non riesco nemmeno a immaginare come tu possa anche solo prenderlo in considerazione >> ribatté l’altro seccato prima di tornare dritto.
Non lo lasciò, qualcuno di coloro che erano più vicini cominciò a guardarli, qualcun altro a sussurrare, ma Ladone sapeva che non c’era speranza che il Cazzone capisse la situazione e lo lasciasse andare.
Naturalmente Oreste lo faceva fare come suo solito << Minelli Ladone >> il richiamo di Arrighi scosse tutti e tre, Nicola esitò un secondo ma alla fine indietreggiò rilasciandolo, e il giovane mago camminò fino alla sedia ignorando fieramente le occhiate a lui rivolte.
La bacchetta era ancora nelle sue mani – legno di ebano scuro, venti centimetri e mezzo, anima di cuore di drago – perciò si limitò a sollevarla un poco per immergerne la punta nel liquido trasparente del pentolone << Mmmmm.... >> fu il primo commento del fumo bianco, Ladone lo seguì con attenzione mentre gli girava intorno << Anima rombante la tua, ragazzo. E lingua affilata come spada, ma la tua mente... >> un’altra pausa meditabonda, abbastanza lunga perché Ladone sentisse distintamente il proprio cuore sbattere contro il suo pomo d’Adamo, poi: << Serpeverde! >> non che fosse questa grande sorpresa, naturalmente, ma sentì una parte di sé rabbrividire nel sentirlo a voce alta.
Madenego lo raggiunse e lo guardò come se considerasse un personale affronto il fatto che fosse costretto ad accoglierlo nella propria Casa, ma ovviamente era solo la sua faccia e Ladone era troppo occupato a sentire il proprio cuore urlare per curarsene davvero.
Sedette appena in tempo per vedere Nicola immergere la sua bacchetta – legno di salice, diciotto centimetri e venticinque, anima di piuma di fenice – e per un momento, un ultimo momento, pregò con tutto se stesso che qualcosa portasse suo fratello a sedere accanto a sé << Ah! >> non fu l’unico a trasalire quando il fumo urlò.
Arrighi fece un passo avanti preoccupata, ma la nube la ignorò, cominciando invece a vorticare intorno a Nicola più velocemente << Cosa alimenta il tuo cuore, ragazzo? >> domandò, la prima e unica domanda che aveva fatto quella misteriosa voce da quando lo Smistamento era iniziato, e Ladone non si illuse nello sperare che l’altro rispondesse con misericordioso silenzio.
Nicola attraversò mezza folla con gli occhi e conficcò quel deciso sguardo nocciola nel suo spalancato azzurro ghiaccio, trapassandolo da parte a parte e prosciugandogli i polmoni << Un serpente >> fu la risposta, quel sorriso lezioso a piegargli la bocca proibitiva, e Ladone ebbe l’impressione di trovarsi ancora ingabbiato tra le sue braccia << Grifondoro! >> urlò la nube, quasi inorridita, ma ovviamente Nicola non se ne accorse nemmeno.
Porse il braccio cavallerescamente ad Arrighi, che ridacchiò del gesto, e ignorò il pubblico ammutolito per raggiungere il suo posto.
Lo Smistamento scomparve agli occhi di Ladone, e anche alle sue orecchie, tutto quel che lo circondava annebbiò e perse d’importanza: rimasero lì, Serpe e Leone adesso, a fissarsi come se la distanza che li separava non esistesse affatto, a studiarsi come se stessero decidendo come fosse meglio attaccare.
Solo che nessuno dei due voleva farlo davvero.
Dopotutto da tempo, da molto tempo, l’uno era diventato preda dell’altro.
 
 
NA: Ho scritto questa Fanfic giocando/creando la Role su Facebook "Scuola di Magia e Stregoneria di Aradia". Alcuni personaggi sono pg giocanti, ma la storia non segue lo stesso filone di trama
https://www.facebook.com/AradiaOfficial
NA2: Recensioni o anche solo commenti sono non solo ben accetti ma anche graditi! Fatemi sapere che ne pensate <3
   
 
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