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Autore: lucille94    21/12/2017    1 recensioni
Aprile 1199. Una tragedia piomba sulla Normandia, e molte altre ancora la seguiranno. Rebecca si trova straniera, sola, indifesa. Dapprima la paura, poi la prudenza guideranno i suoi passi: ma in gioco c'è un bene più grande...
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Dopo il mio sequel di Ivanhoe, "Paix entre Nous", pubblico ora il primo capitolo di "Je veux t'attendre", ulteriore prosecuzione della storia. Visto che sto ancora scrivendo, avviso da subito che pubblicherò i capitoli con intervalli piuttosto lunghi.
Genere: Avventura, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le strade erano fangose, i piedi ci rimanevano incollati. Il mondo sembrava tinto di diverse gradazioni di grigio: i muri erano grigi, il cielo era grigio e anche le poche persone che azzardavano uscire dalle case e sgusciavano via come topi, anche loro erano grigie. Non si sarebbe potuto dire se fosse giorno o notte, ma era sera ormai. Il campanile del monastero non lontano aveva scoccato il vespro. Lentamente, le vie si spopolarono del tutto. Il borgo brulicava solo di gocce che, fitte fitte, cadevano sul selciato turbando la superficie di innumerevoli pozzanghere. Una figura scivolò lungo un muro; un mendicante, forse l’ultimo, il ritardatario, si trascinava con la gamba zoppa verso il portone del castello. Colpì il battente con i pugni per farsi aprire e una guardia gli lasciò un varco sufficiente alla sua misera persona.
Circolavano voci da far accapponare la pelle: si diceva che Richard fosse morto. Ma lo si era detto tante volte e i più sollevavano le spalle e tracannavano vino. La guerra era guerra ed era il re a farla. Era plausibile che fosse morto, ma non certo. Quindi per il momento il re era ancora vivo. O meglio, era stato vivo fino a quella sera, quando l’arrivo di alcuni mercanti di passaggio aveva tolto ogni dubbio: Richard era morto a Chalus per una ferita infetta. Era sceso il silenzio nella sala ed era cosa così rara che anche i bambini avevano alzato gli occhi e teso le orecchie. Un pensiero era passato per la testa di tutti: e il signore? Che ne era stato di lui nell’inferno di quell’assedio? Perché le notizie erano misteriosamente cessate due settimane prima, proprio nel momento in cui il re spirava? E ora che il re era morto, chi sarebbe stato il suo successore in Normandia?
Terra contesa, teatro di scontri negli ultimi dieci anni. E i fieri normanni, conquistatori indomiti, si sentirono per la prima volta in balia di forze più grandi di loro. Re Philippe aveva alzato la voce, aveva occupato, assediato, razziato; Richard aveva risposto agli attacchi e aveva riacquistato all’Inghilterra un castello dopo l’altro. John non era stato tanto attento durante la reggenza e serpeggiava il sospetto che si sarebbe volentieri sbarazzato dei territori oltremanica. E Arthur di Bretagna, così giovane, sarebbe stato in grado di reggere l’urto della concorrenza?
Tante domande a cui nessuno avrebbe potuto dare risposta eccetto il fato. Maledetto Richard, c’era quasi da dire, maledetto per non aver lasciato un erede che fosse figlio suo. Il suo matrimonio si era dimostrato infecondo ed ora altri ne avrebbero pagato le conseguenze.
 
Rebecca dissimulò l’apprensione; chiese a una sua dama di compagnia di chiamare le serve con i panieri e si incamminò speditamente verso l’atrio dei poveri. Era un chiostro del castello separato dalla dimora padronale e da lei adibito a dormitorio per i poveri del borgo. Soprattutto uomini, ma non mancavano donne anziane e ragazzi orfani. Li vide schiacciati al riparo del quadriportico, accucciati ai piedi delle colonne che sostenevano gli archi a vela. Se non altro, le numerose rientranze riparavano dal freddo. La paglia era stata cambiata quel pomeriggio, prima che riprendesse a piovere, ed era ancora asciutta. Rebecca sospirò, promettendosi di provvedere presto ad un dormitorio più caldo e più accogliente: il grande salone in disuso che in precedenza era stato adibito a quello scopo era rimasto danneggiato da un incendio e quella era una soluzione di ripiego. I poveri tremavano, si stringevano gli uni agli altri e si coprivano con i mantelli. Quando vedeva un bambino, Rebecca sollevava gli occhi al cielo e bisbigliava un salmo in particolare, ma senza farsi sentire da nessuno. Era sola nel suo castello ed era l’unica ebrea per miglia e miglia. Nessuno le aveva assicurato che sarebbe andato tutto bene. Al suo apparire si sollevò il mormorio grato dei ricoverati. Pullularono mani da ogni involto di stracci: mani grandi e rugose, alcune con le vene sporgenti, altre piccole e incrostate di sporco, altre giovani ma logorate dalle condizioni del tempo e da lavori troppo duri. Spesso si trattava di contadini sfrattati, a volte erano soldati mutilati... ognuno aveva la sua storia di dolore. Rebecca scelse un pane da uno dei panieri e lo tese alla prima persona che vide: un uomo con la barba lunga e pochi capelli bianchi. Ne prese un altro e lo porse a un bambino che la guardava timidamente, sospinto dalla madre in ginocchio. Diede un pane anche a lei, sorridendo alle sue proteste di gratitudine. A loro, forse, non importava che fosse ebrea. Importante era che anche quella notte si stesse al riparo con un pane tutto per sé. Fame e freddo erano due spettri che in quel castello non avevano asilo.
Aveva già distribuito molti pani e le voci si erano assopite; quasi tutti spiluccavano la mollica con l’avidità di chi è abituato a conservare un misero pasto per lungo tempo. Le ultime preghiere furono esaudite e nessuno si mosse più dal proprio posto; Rebecca si congedò con un sorriso malinconico e accennò di portare il pane avanzato nelle cucine.
Solo le due dame più fidate la accompagnarono alla sua camera. Una le aprì la porta, mentre l’altra, seguendola da vicino, appena entrate cominciò a scioglierle i lacci sulla schiena. Rebecca prese qualche profondo respiro, quindi domandò: «Dormono?»
«Sì, signora» rispose quella che le aveva aperto la porta. Si sentì sollevata: forse non avevano capito quale grave notizia fosse giunta quella sera.
«E non ci sono novità, vero?» domandò ancora, nello stesso tono esausto. La seconda serva la aiutò a sfilare le maniche, quindi le slacciò la gonna che si afflosciò sul pavimento con uno sbuffo.
«No, signora» rispose ancora la prima dama. Era davanti a lei, ora, e rovesciava una brocca d’acqua in un piccolo catino d’argento. Rebecca, in sottoveste, si avvicinò e immerse le mani nell’acqua tiepida, quindi si spruzzò il viso e poi lo lavò più accuratamente. Asciugatasi, intinse il dito in una crema di sua fabbricazione e ne cosparse le guance e la fronte con un sottilissimo strato che presto fu assorbito dalla pelle. Solo allora si volse verso l’ampio letto. Un groppo alla gola le spezzò il respiro e gli occhi si appannarono di lacrime. Si lasciò cadere sul materasso di piume e si sdraiò quasi con fatica, come se il contatto con la morbidezza delle lenzuola le causasse un’enorme sofferenza. Le due dame le accomodarono le coperte e poi si coricarono a loro volta su due piccoli lettini da una parte. In condizioni di pace avrebbero dormito nella stanza adiacente, ma ora che era sola preferiva avere la loro compagnia.
Richard era morto, dunque. Il leone d’Inghilterra aveva dato l’ultimo ruggito; una ferita, forse banale, l’aveva portato via da questo mondo verso un altro che nessun vivente conosce. Forse lei avrebbe saputo curarlo; forse, se fosse stata là, l’Inghilterra non avrebbe pianto la morte prematura del suo sovrano e non avrebbe dovuto preoccuparsi di questioni dinastiche spinose. Ma in fondo non le importava nulla di queste cose: il suo cuore era turbato dal silenzio delle ultime settimane, dall’assenza di messi, dal ritardo delle lettere. Non aveva mai mancato una settimana: le scriveva di domenica, ogni domenica, perché di domenica i cristiani non combattono.
Si volse su un fianco e guardò nell’oscurità: se fosse stato lì... Accarezzò con la mano il cuscino dove avrebbe riposato il capo. Mancava da così tanto tempo che anche la stoffa aveva dimenticato il suo profumo. Due anni ormai. E pensare che fosse così lontano, che non fosse nemmeno in quella stessa Normandia straniera in cui lei aveva accettato di trasferirsi... Il respiro le si mozzò di nuovo e questa volta non fece nulla per frenare le lacrime. I suoi singhiozzi erano familiari alle due dame, le accompagnavano durante molte notti. Sempre al buio, però, perché la loro orgogliosa signora non voleva che la si vedesse piangere.
Rebecca riaprì gli occhi, le ciglia appesantite. Le voci non erano affidabili, viaggiavano su sentieri infidi e si armavano di conforto per fare breccia nel suo cuore; ed era raro che la notte trascorresse senza che queste dicerie facessero capolino almeno una volta nella sua mente. Così in quel momento: Rebecca ricordò che una serva aveva sentito dire dal cuoco, il quale era stato al mercato da un contadino che arrivava dai campi, che Bois-Guilbert era prigioniero dei francesi là a Chalus dove il re era impegnato in un assedio furibondo; ma poi le sovvenne di un mercante, giunto la settimana prima, che aveva sentito parlare di una missione molto delicata affidata al cavaliere, missione che l’aveva riportato in Inghilterra. Ma non le sembrava possibile che Richard si separasse da lui in un frangente di bisogno, e soprattutto che lo mandasse indietro in una terra dove ormai aveva più nemici che amici. E c’era un’ultima versione, la sua preferita, che infondeva in lei la speranza: Bois-Guilbert aveva ricevuto l’incarico di sorvegliare alcuni territori di recente riconquista ed era diretto lì. Da lì le avrebbe scritto, prima o poi, per confermarle che stava bene.
Ma era una speranza molto fragile, paragonata alle due opinioni contrarie; e alla luce degli avvenimenti – alla luce della morte del re – risultava quasi incredibile. Soffocò un grido di dolore e si contorse tra spasmi e sospiri, invocando la stessa sorte che era toccata al marito. Non sapeva quale, ma l’avrebbe accettata per amor suo. Rabbrividì al pensiero di quello che sarebbe potuto capitare a quel castello nei giorni successivi. La morsa si sarebbe stretta attorno ai vassalli francesi; si sarebbe fatta una scelta, Francia o Inghilterra. E si sarebbe rimasti a guardare chi l’avrebbe avuta vinta.
   
 
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