Anime & Manga > Naruto
Segui la storia  |       
Autore: Sunako_7    22/12/2017    1 recensioni
Sasuke e Gaara si frequentano da qualche mese, nonostante abbiano un dialogo quasi inesistente. Basterà questo per riuscire ad andare avanti o lo scontro con i problemi della vita e i fantasmi di un passato mai dimenticato li schiaccerà, costringendoli a separarsi? E se quel passato tornasse più reale che mai? E se altre persone entrassero nella vita dei due protagonisti? Un viaggio complicato e irto di ostacoli nella vita di questi due ragazzi chiusi, diffidenti, incapaci di comunicare eppure bisognosi di affetto e amore.
Questa ff è il continuo della mia one-shot "If I had a heart" anche se non è indispensabile leggerla per seguire questa long, ma alcuni dettagli potranno essere più chiari.
[GaaraxSasuke][Itachix?][accenni HidanxDeidara]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Itachi, Sabaku no Gaara, Sasuke Uchiha, Shisui Uchiha
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Cose vecchie, cose nuove

 

Un solo istante, una ridicola manciata di secondi, minuscoli scatti della lancetta di un orologio. Cosa sono queste minuscole sciocchezze di fronte all’enorme e aberrante concetto di infinito? Eppure sono sufficienti per cambiare le sorti di una singola vita, di quella di più persone, di una città, di uno stato, di un continente addirittura. Non è necessario scomodare i grandi signori del tempo per scuotere le fondamenta, ma bastano pochi secondi per prendere una decisione definitiva, per togliere la spoletta a una granata, per premere un grilletto, per dire una parola e non avere più la possibilità di tornare indietro.
Perché le granate non si possono disinnescare, le pallottole non possono tornare a dormire nei caricatori, le parole non possono essere rimangiate, né fraintese.
Quella sera era stato sufficiente un istante, una voce flebile e tutto era cambiato.
Itachi aveva lo sguardo puntato fuori dal finestrino dell’auto, era preoccupato.
Il cugino Ryuji, come anticipato, aveva fatto coming-out alla cena di capodanno, davanti alla famiglia riunita, con tutti i numerosi nonni, zii, cugini e fratelli; così tanti che ad ogni riunione non si sapeva mai bene quanti si fosse. Ogni tanto qualcuno era assente, qualche ragazzo giovane riusciva a trovare un pretesto per evitare quelle tediosi riunioni, o un parente più anziano stava poco bene, eppure quella sera era parso che ci fossero proprio tutti. E i loro occhi scuri, pieni di condanna, si erano puntati su Ryuji che aveva chiuso la bocca e aveva le mani che tremavano, ma continuava a stare in piedi e a fissarli a sua volta, deciso ad andare fino in fondo.
Non era un tipo particolarmente brillante, a volte ci si dimenticava di lui nel marasma di cugini di vario grado ed età; aveva una voce pacata, modi quieti e gentili, era allergico a un sacco di cose e si spaventava facilmente, era il bersaglio preferito degli scherzi, eppure quella sera aveva dimostrato il coraggio di un leone. Aveva sparato la sua verità scomoda, in una famiglia dove i segreti erano la norma e – Itachi pensava – forse il biasimo più grande era dovuto al fatto di aver rotto quell’usanza, piuttosto che all’essere gay.
A preoccupare Itachi, mentre viaggiava in auto e guardava fuori dal finestrino, non era tanto la salute della nonna svenuta e per cui avevano dovuto chiamare un’ambulanza, tantomeno la sorte del cugino, minacciato dal padre di essere diseredato se non avesse acconsentito a un matrimonio con una ragazza scelta da lui il giorno seguente. Ryuji non si era scomposto: sempre con quella sua voce pacata e le mani tremanti, aveva fatto presente che era quasi trentenne, aveva un lavoro stabile al di fuori della famiglia Uchiha ed era indipendente, non aveva bisogno di eredità e cose del genere. Quel ragazzo se la sarebbe cavata, era più tosto di tanti altri adulti che invece facevano la voce grossa.
A impensierire Itachi, in realtà, era Sasuke.
Non lo aveva perso di vista un attimo durante le fasi più drammatiche della serata, quando tutti avevano iniziato ad accusare Ryuji di essere uno sporco frocio, qualcosa di ben più disonorevole di un truffatore o un assassino, oppure che voleva rovinare la famiglia, che li avrebbe resi lo zimbello della città, che era contro natura, che, che… un’infinita e stupida sequela di accuse ipocrite.
Sasuke, come altri cugini e qualche adulto, era rimasto semplicemente in silenzio, senza denigrarlo, ma nemmeno prendendo le sue difese, a quello ci avevano pensato la madre dell’accusato, qualcuna delle sue sorelle e quell’incosciente di Shisui.
Itachi era rimasto in disparte a sua volta, ad osservare il fratello e temere che quello spettacolo potesse turbarlo nel particolare momento emotivo che stava vivendo: come poteva Sasuke non immedesimarsi nei panni del cugino? Se avesse fatto coming-out, anche lui avrebbe ricevuto lo stesso trattamento.
Purtroppo il caos generale e una casa affollata non erano le condizioni ideali per discussioni private, quindi Itachi si era limitato a chiedere al fratello se stesse bene, ricevendo una semplice risposta affermativa.
Quando l’ambulanza era andata via e la situazione pareva essersi calmata un po’, quasi tutti erano andati via, Sasuke gli aveva detto che avrebbe raggiunto Naruto e altri amici. Lui era rimasto con Shisui che alla fine lo aveva convinto a salire in macchina, con la scusa che dovevano far svagare Ryuji, che sembrava sul punto di collassare dopo che era finita la scarica d’adrenalina.
“Ah! Grandioso! – rise infatti Shisui, esaltatissimo, prendendo una curva troppo stretta – Volevo dire anch’io che ero bisessuale, ma quando è tornata un po’ di calma non era rimasto quasi nessuno, e pretendo anch’io di avere un pubblico che mi ascolti! Mi rifarò alla prossima cena.”
“Dubito che ce ne sarà un’altra molto presto” affermò Ryuji, che conosceva già le tendenze del cugino, anche se ignorava quelle di Itachi. “Piuttosto dove stiamo andando?”
“Oh, un bel posto, non preoccupatevi, in fondo dobbiamo festeggiare capodanno, non è ancora mezzanotte, anche se i fuochi d’artificio li abbiamo già fatti” rise sguaiatamente, come se davvero avessero assistito a uno spettacolo di cabaret e non ad un dramma.
“Le tue battute peggiorano di anno in anno” lo rimbeccò infatti Itachi, girandosi finalmente a guardarlo. Vide dipingersi sul suo viso un sorriso malizioso che lo lasciò perplesso, a domandarsi se davvero fosse così sbagliato sdrammatizzare in una situazione come quella. Di sicuro rimuginare e isolarsi nei propri pensieri non avrebbe aiutato nessuno, si rispose, riscuotendosi dall’apatia che lo aveva colto. Si rivolse a Ryuji che stava sul sedile posteriore:
“Non preoccuparti, se c’è una cosa in cui Shisui eccelle è la conoscenza dei locali e della vita notturna, potrebbe scriverci una guida, ci divertiremo.”
Pregò solo che il cugino non avesse scelto un locale di spogliarelli o qualcosa simile ma, conoscendolo, non era da escludere. Sospirò, riflettendo che avrebbe potuto essere pericoloso per il suo segreto, ma dubitava che Ryuji avrebbe capito qualcosa e lui non aveva certo intenzione di confessarlo o mettersi a rimorchiare davanti a loro; in fondo era capodanno, tutti facevano qualche pazzia, anche se fosse entrato in un locale dichiaratamente gay non sarebbe successo nulla alla sua reputazione.
Per il resto del viaggio parlarono di cose leggere, evitando di menzionare nuovamente la cena e Ryuji si rilassò; lo aveva mascherato bene – d’altronde era un Uchiha – ma la prova a cui si era sottoposto lo aveva lasciato piuttosto scosso e ferito.
Dopo aver parcheggiato, si diressero verso un locale dall’entrata discreta, ovviamente decorata in tema festoso e, dopo essersi chiusi la pesante porta alle spalle, Itachi udì con sorpresa una debole musica d’atmosfera e guardò sorpreso Shisui. Questi scrollò le spalle e sorrise:
“Ho pensato che questo posto vi sarebbe piaciuto. È un piano bar e suonano dal vivo, stasera c’è anche una cantante.”  Fece strada ai due verso un ragazzo sorridente che chiese se avessero una prenotazione e Shisui rispose affermativamente.
Itachi lo guardò sorpreso e si diede dell’idiota. Sotto al sorriso inossidabile, le battute penose e l’aria rilassata e svagata, sapeva bene che c’era un cervello straordinariamente acuto e due occhi attenti; perché si sorprendeva ancora? Shisui aveva semplicemente previsto come sarebbe andata la serata, così aveva pensato a un modo per aiutare Ryuji e lasciarsi alle spalle un’ambiente ostile che lo aveva fatto sentire indesiderato e diverso. Quindi cosa c’era di meglio che portare un ragazzo che amava la musica, che aveva addirittura sognato di andare al conservatorio ed era gay in un raffinato e discreto locale come quello con musica dal vivo? Persino lui si sarebbe riuscito a rilassare lì.
Dopo aver lasciato i cappotti al guardaroba, si accomodarono al loro tavolino rotondo, con una candela al centro, simile agli altri circostanti.
Il locale era piuttosto grande e veramente bello, con le sue pareti dai colori caldi, le tende ariose che dividevano l’ambiente, dando l’impressione che ci fossero tante sale invece di una unica. Le luci erano morbide, la musica non era tanto alta da impedire una conversazione e ogni cosa lì dentro suggeriva atmosfera e privacy, ma soprattutto relax. Si poteva allentare la cravatta, togliere la maschera dal viso e concedersi il lusso di essere chi si voleva.
“Grazie” disse semplicemente Ryuji, con la voce sempre pacata ma con le mani che ormai non tremavano più.
Ordinarono da bere e rimasero in silenzio, semplicemente ascoltando la musica finché Ryuji non si alzò per andare in bagno, lasciando i due da soli.
A quel punto Itachi allungò una mano per prendere un cartoncino con scritto “Riservato” e lo lesse ad alta voce mentre guardava il cugino.
“Non male questo posto” aggiunse poi.
“Di’ la verità: eri sicuro che vi avrei portato in un locale di spogliarelli, vero?” rise Shisui, divertito nel vedere l’espressione sorpresa dell’altro.
“Sì, era una delle ipotesi che mi è passata per la mente – confessò Itachi posando il cartoncino – e ammetto che stavolta ti sei superato. Penso che fosse proprio quello di cui Ryuji aveva bisogno, magari conosce anche qualcuno stasera.”
“Non è mica l’unico ad averne bisogno – lo corresse, serio – tu hai qualcosa che non va da giorni. Non è questo il momento adatto per parlarne, ma una delle prossime sere magari ti porto davvero a vedere uno spogliarello.”
Itachi rimase in silenzio, non sapeva se perché sorpreso da quell’ennesima dimostrazione di intuito da parte del cugino, o per lo sfoggio di proposte balorde. Semplicemente sospirò piano, poi si stropicciò delicatamente le palpebre con la punta delle dita:
“Che cazzo di capodanno!”
“Puoi dirlo forte!”
Un paio di minuti più tardi tornò Ryuji, raccontando di un ragazzo bellissimo che aveva incrociato camminando e Shisui, curioso, gli fece un sacco di domande. Itachi ascoltava e basta, non che gli interessasse l’esatta sfumatura di biondo dei capelli di quel tipo, ma gli piaceva vedere il cugino a proprio agio, un giorno gli sarebbe piaciuto poter vedere Sasuke allo stesso modo, libero di esprimere pensieri e desideri con cui non essere più in guerra.
Sentì una presenza al suo fianco e, con la coda dell’occhio, intravide l’elegante gilet nero di un cameriere, si voltò pronto a ricevere la propria ordinazione e ringraziare, ma quello che gli scivolò fuori dalla bocca non fu un grazie.
“Gaara…?”
“Itachi?”
I due si fissarono, in silenzio. Gaara aveva la divisa da cameriere, con grembiule al ginocchio, gilet, cravatta e tutto il resto, e reggeva un vassoio su cui erano posati i loro cocktail. Guardava l’Uchiha con gli occhi sgranati, forse, se avesse visto un salmone seduto al suo posto, sarebbe sembrato meno sorpreso.
L’Uchiha invece lo osservava con le labbra appena dischiuse e lo sguardo attento, era solo da pochi giorni che non si vedevano, ma sembrava passata un’eternità e, soprattutto, ora era tutto diverso.
“Da quando lavori qui? In studio non ti piace più?” domandò, ironico. Aveva riacquistato l’abituale autocontrollo e la sua mente aveva vagliato qualche ipotesi e, nascosto dal sarcasmo, c’era un quesito reale. Possibile che dopo il loro bacio Gaara avesse deciso di cambiare lavoro? Quando si erano salutati non gli era parso sconvolto o turbato, ma le cose potevano essere cambiate.
Anche il ragazzo si riscosse e, scuotendo appena la bella testa rossa, rispose:
“No, è solo per stasera. Un cameriere si è ammalato e un mio amico che lavora qui mi ha chiesto di sostituirlo.”
Ricordandosi appunto del ruolo che ricopriva, posò i bicchieri sul tavolino e notò anche Shisui, salutandolo.
“Gaara, ma che sorpresa – replicò questi – ti presento un altro nostro cugino, Ryuji.”
Il cameriere gli sorrise, per poi guardare di nuovo Itachi:
“Se continua così prestò conoscerò tutta la tua famiglia.”
“Già” replicò questi asciutto pensando al fratello.
“Beh, devo andare, buona serata” si congedò Gaara tornando verso il bancone del bar a passo spedito, senza fare altre domande o osservazioni magari inopportune, se erano tutti in quel locale non era solo per la buona musica.
Infatti Ryuji assottigliò gli occhi osservando il cameriere allontanarsi e poi Itachi che lo aveva riconosciuto:
“Voi due…?” iniziò, incerto su come fare una domanda simile proprio a quel cugino tanto riservato e dall’aria algida e impeccabile.
“Ma no – rispose questi con un sorriso morbido, nient’affatto nervoso – siamo solo colleghi in ufficio.”
“Ah ecco, mi pareva strano!” replicò Ryuji, soddisfatto della spiegazione logica con cui risultò più chiaro anche il dialogo a cui aveva assistito. Inconsapevolmente aveva dato riprova di quello che il mondo pensava del primogenito di Fugaku Uchiha: uno splendido uomo che corrispondeva in tutto e per tutto agli standard della società.
Shisui invece non si staccava dal suo cocktail, bevendone un lungo sorso e, quando posò il suo bicchiere ormai mezzo vuoto, iniziò a parlare d’altro; almeno sarebbe stato certo di non scoppiare a ridere.

 

La mezzanotte era vicina e il locale era pieno, i camerieri camminavano veloci, estremamente affaccendati perché tutti volevano da bere, divertirsi, staccare la spina specialmente quella sera.
La fine dell’anno porta con sé un ventaglio molto ampio di sentimenti: c’è un po’ di tristezza per il tempo che inesorabilmente scorre senza tregua, rimpianto per le cose non fatte, per le occasioni perse o quelle soltanto rimandate. Nel correre quotidiano spesso si perde di vista ciò che è realmente importante, si trascurano gli affetti, la famiglia, se stessi, giustificandoci con un “C’è tempo” o “La prossima volta”.
Ma non c’è poi così tanto tempo, le occasioni possono essere limitate, e non è detto che se noi siamo disposti ad attendere qualcuno o qualcosa anche la controparte faccia la stessa cosa. Per quello col nuovo anno si fanno tanti propositi, c’è sempre la speranza di essere più felici, più aperti, più pronti, semplicemente migliori.
Itachi, mentre si stringeva nel cappotto e alzava gli occhi al cielo, non fece propositi, non si augurò una vita lunga e felice, né domandò altro per sé. Mentre i fuochi d’artificio esplodevano nella notte e coloravano il buio, Itachi pensò a Sasuke e desiderò vederlo sereno e realizzato, solo questo, non voleva nient’altro. Girò appena la testa di lato e osservò le luci colorate riflettersi sul viso di Shisui.
Lui sarebbe stato bene, non aveva bisogno di nulla.
Lo spettacolo pirotecnico finì e la gente iniziò a rientrare nel locale perché nessuno voleva rimanere lì, a gelare senza alcun motivo, ma Itachi fumò una sigaretta in solitaria, bisognoso di un po’ di tregua da tutto quel caos a cui non era abituato. La sua vita era sempre scivolata sui binari oliati da un padre autoritario, poi, ad un certo punto del tragitto, aveva azionato uno switch, aveva cambiato direzione, dirigendosi dove aveva scelto lui, ma non c’era stato nessuno scossone degno di nota nemmeno allora. Nell’ultimissimo periodo invece si ritrovava a fare e pensare cose inaspettate, che poco avevano di quell’ordine familiare a cui era abituato. Forse Sasuke non era l’unico a cui avrebbe fatto bene uno psicologo.
Rientrò nel locale piacevolmente riscaldato, notando che adesso la musica era molto più alta, i brani più ritmati e la cantante incitava i clienti a seguirla, ad alzarsi in piedi, ballare perché ehi, è capodanno, bisogna fare festa!
Itachi non si lasciò irretire e tornò al proprio tavolo, dove trovò però Ryuji intento a chiacchierare con un ragazzo, con un’espressione ben diversa da quella dello zombie rassegnato e sconfitto con cui era entrato lì.
Lui si mise a parlare con Shisui, ma il suo sguardo non stava mai fermo troppo a lungo, vagava a cercare nella folla una familiare testa rossa, dicendosi che era solo curioso di vederlo in un ambiente del genere. Gaara non stava fermo un attimo, tra le mani quel vassoio pesante pareva non svuotarsi mai, sempre colmo di bicchieri a volte pieni, altre vuoti, ma lui sostava al bancone giusto il tempo di poggiarlo e prenderne un altro per poi ripartire, un novello salvatore di tutte quelle gole riarse.
Quando finalmente il ritmo si allentò un po’, Itachi lo vide sedersi un attimo su uno sgabello vicino al bancone e bere dell’acqua servitagli da un barman, un tizio alto coi capelli chiari portati all’indietro dal gel. Notò anche la familiarità con cui parlavano, i sorrisi tra di loro e infine le mani del barista che arruffarono la chioma rossa e Gaara che glielo permetteva senza sottrarsi.
“A quanto pare quel suo amico che lavora qui è Hidan” sentì dire da Shisui.
Si voltò verso di lui, nascondendogli la sgradevole quanto stupida sensazione di colpa, come un bambino lasciatosi sorprendere col cucchiaio nel barattolo di cioccolata; non aveva alcun motivo di provare quella sensazione, si disse.
“Conosci quel tizio?” gli domandò invece, avvicinandosi per non dover alzare troppo la voce con la musica più alta.
“Sì, te ne avevo anche accennato – gli confermò – sta insieme a Deidara, il barman che lavora in quel locale dove avevo visto Gaara, ricordi?”
Itachi annuì, ricordando quella conversazione col cugino, i sospetti su quanto successo tra Sasuke e l’altro, le supposizioni e il suo timore di non essere in grado di aiutare il fratello in quell’occasione; certo che ricordava tutto.
Shisui lo osservò, bevve un altro sorso del proprio cocktail, infine propose:
“Perché non vai a salutarlo? Tra non molto penso che ce ne andremo, Riuji mi sembra felice all’idea di andarsene a casa.” Indicò col mento l’altro cugino che era ancora alle prese con il ragazzo di prima.
Itachi guardò l’orologio, erano passate da poco le due, il locale a poco a poco si era calmato e la gente iniziava ad andare via per concludere la serata da qualche altra parte.
Itachi annuì, in fondo non c’era niente di male nel salutare il suo collega e fargli gli auguri di buon anno. Si diede poi dello sciocco: da quando doveva aver paura di parlare con Gaara o trovare una giustificazione per farlo? Il fatto che fosse il ragazzo verso cui Sasuke provava un interesse non lo rendeva tabù.
Vide il cameriere riprendere il vassoio e andare verso i tavoli, ma quando tornò verso il bancone si alzò per andare da lui.
“La serata è ancora lunga per te?”
“Itachi!” esclamò Gaara, voltandosi. Non lo aveva sentito avvicinarsi, niente di strano con la musica e il frastuono generale, ma ritrovarselo all’improvviso così vicino lo aveva fatto sobbalzare. “Beh sì, ci vorranno almeno le cinque prima di andare via, ma lo sapevo già. Però adesso sto per andare a fare una pausa – gli rispose – tu stai per andare via?”
“Già, però posso farti compagnia in pausa prima” disse Itachi per poi mordersi le labbra. Quella proposta gli era scivolata fuori di bocca con una facilità impressionante.
Gaara sembrò soppesare le sue parole e, scuotendo appena la testa, rispose:
“Avevo intenzione di prendere una boccata d’aria fuori, non voglio farti gelare.”
“È un’occasione perfetta per fumare una sigaretta, qui dentro purtroppo non si può”
“Ah, beh in questo caso… –  gli sorrise – C’è uno spiazzo sul retro, con l’ingresso per i dipendenti, ci vediamo lì?”
A Itachi piacque quella specie di appuntamento improvvisato, ma non ebbe modo di rispondergli perché intervenne quel barista che Shisui aveva chiamato Hidan.
“E bravo Gaara! Sei riuscito a rimorchiare, Yahiko ci rimarrà male – rise sguaiato per poi squadrare Itachi – ed è anche meglio dell’ultimo palo in culo che ti sei portato a casa!”
Nel giro di pochi secondi Gaara passò dallo sbiancare come un lenzuolo al diventare un tutt’uno coi capelli, strinse forte il vassoio vuoto tra le mani e sbottò:
“Stai zitto, coglione! – poi rivolto a Itachi – Non badare al mio coinquilino, hanno dimenticato di fornirgli un cervello alla nascita.”
Il suo sguardo però non riusciva più a sostenere quello dell’Uchiha, ma si poggiava nervosamente sul barman, come se avesse potuto comunicargli telepaticamente qualcosa o incenerirlo, probabilmente entrambe le opzioni lo avrebbero soddisfatto.
Hidan però sembrava sordo a tutto ciò e replicò:
“Però mi hanno dato un cazzo grosso, meglio così – poi tese una mano a Itachi – sono Hidan, il suo coinquilino, penso che ci rivedremo.”
Itachi non si lasciò scomporre minimamente dai suoi modi o dalle informazioni che aveva involontariamente appreso su Sasuke e strinse la mano che gli veniva porta, dicendo:
“Sono Itachi e credo di essere il fratello del palo in culo che hai nominato.”
All’improvviso sembrò che attorno al bancone fosse scoppiata una bolla di silenzio e i tre si guardavano, senza sapere che dire. Gaara era sbiancato nuovamente e aveva poggiato una mano sul bancone in cerca di sostegno. Itachi sapeva, sapeva e…
“Beh, per fortuna non è una cosa di famiglia.” Fu il commento di Hidan che poi, con una scrollata di spalle si rimise al lavoro, chiamato da un altro cameriere.
Lasciò i due da soli e Itachi notò perfettamente il turbamento di Gaara, immaginò cosa gli stesse passando per la testa e per quello gli posò una mano sulla spalla dicendo:
“Tranquillo, ci vediamo qui fuori tra un paio di minuti.” Si allontanò e lo lasciò lì, da solo, con un vassoio vuoto in mano e il cuore pieno di paure, affatto tranquillo.

 

Gaara si strinse meglio la sciarpa attorno al collo, quella che gli aveva regalato Hinata; non usciva più di casa senza.
Guardò lo spiazzo pieno di macchine dei dipendenti e ascoltò i suoni della città che ancora non aveva smesso di festeggiare. Anche lui aveva avuto quella intenzione: prendersi qualcosa da mangiare, una birra e godersi in pace la sua più che meritata pausa.
Peccato che di tranquillo in quel momento non ci fosse proprio nulla e non aveva nemmeno più voglia di bere o mangiare. Voleva solo capire come diavolo fosse possibile avere addosso un concentrato di sfiga così potente perché, seriamente, non c’era altro modo per definirlo.
Itachi sapeva tutto. In fondo dopo il bacio che si erano scambiati non c’era modo di nascondere i loro orientamenti sessuali, ma non era quello il problema quanto Sasuke. Cosa avrebbe dovuto dirgli a riguardo? E poi perché lo aveva baciato se sapeva che erano stati assieme?
Troppe domande a cui non poteva rispondere da solo.
Aveva anche pensato di non presentarsi e continuare a lavorare, ma poi si era detto di non fare il codardo: lo avrebbe comunque rivisto in ufficio e tanto valeva discutere subito, quando potevano essere solo loro due.
Sentì un rumore ed alzò lo sguardo dai propri piedi, vide Itachi avanzare verso di lui, ben coperto dall’elegante cappotto scuro. Gli si fermò davanti e per Gaara fu davvero difficile alzare la testa e non indietreggiare davanti ai suoi occhi tanto scuri e belli. Non c’era vischio quella volta, eppure rimasero entrambi immobili a fissarsi mentre l’aria attorno a loro diventava tesa, pesante, difficile da inspirare; probabilmente era colpa del freddo che gelava anche i respiri che uscivano dalle loro bocche. Eppure quegli sbuffi bianchi non impedivano ai loro occhi di celarsi, di impedire all’altro di scrutare e tentare di scoprire più verità di quella raccontata dalle parole.
“Tu sai…” iniziò Gaara, ma si morse un labbro, incapace di continuare.
Itachi guardò i suoi occhi dal colore freddo quasi quanto il gelo che azzannava la loro pelle, ma vi vide agitazione, nessuna calma, nemmeno quella apparente.
“Sì, durante queste vacanze Sasuke mi ha confessato di essere gay e… di aver avuto un qualche tipo di relazione con te” gli spiegò, vedendo la sorpresa prendere il posto dell’agitazione.
Gaara infatti schiuse la bocca dalle labbra sottili, le sopracciglia rade si inarcarono e ci mise qualche istante a trovare delle parole da dire.
“Lui… lui ti ha raccontato tutto?” domandò, ancora incredulo nonostante tutto. Quello psicologo doveva essere veramente un genio per essere riuscito a far prendere a Sasuke decisioni come quella di richiamarlo chiedendogli scusa, o aprirsi col fratello.
Itachi allungò un braccio e gli carezzò una guancia fredda con le proprie dita lunghe, ma altrettanto povere di calore; non era riuscito a trattenersi. Gaara era spaventato, era più che evidente, e lui si rese improvvisamente conto  che avrebbe voluto rassicurarlo, baciarlo ancora e rassicurarlo, ma… non poteva.
“Non proprio tutto, mi ha detto di non essersi comportato bene nei tuoi riguardi e non ho chiesto i dettagli, non ne avevo bisogno. So però che ti ha chiesto di rivedervi.”
Gaara annuì piano per timore che Itachi spostasse la mano che teneva sulla sua guancia, un freddo ma morbido cuscino in cui affondare.
“Sì, ma… non è il momento – inghiottì un blocco d’aria – non so se lo sarà mai, io non so se…” La sua voce sfumò fino a perdersi nell’oscurità, facendo quasi dubitare che avesse mai parlato.
Itachi ritrasse il braccio e infilò le mani nelle tasche del cappotto, sorridendogli:
“Lo scoprirete insieme, credo che ci sia ancora un po’ d’interesse da entrambe le parti, altrimenti gli avresti già detto di no. Tu non sei uno che gioca con le persone.”
“Come fai a dirlo? Ci conosciamo da poco e fino a una settimana fa non sapevi nemmeno che ero gay o di tuo fratello… come puoi dire che non sto giocando con lui?” domandò Gaara, ma in realtà la domanda che gli era rimasta incastrata in gola era “Cosa pensi di me Itachi? Come mi vedono i tuoi occhi?”
Un piccolo sorriso piegò le labbra dell’Uchiha, che però non sembrava affatto divertito:
“Ho un po’ di esperienza, Gaara. Sono una persona curiosa e mi piacciono i segreti, per questo so che tu ne tieni qualcuno dentro di te, ma ciò non fa di te una brutta persona o qualcuno che vorrei tenere lontano da Sasuke, anzi forse è stato proprio fortunato ad incontrare te tra tutti.”
Gaara si rabbuiò, perché era consapevole di portare dentro di sé molta oscurità e non era certo che ciò non avesse contagiato lui e le persone che lo circondavano, poteva davvero credere di non essere un veleno?
“E il nostro bacio? Rimarrà anche quello un segreto?”
Sparò a bruciapelo quella domanda perché aveva la sensazione che Itachi stesse tirando su un bel muro tra di loro, un muro di cui non avrebbe avuto bisogno se non ci fosse stato Sasuke. Non era certo che ciò gli piacesse.
“Beh, non vedo perché dovremmo raccontarlo – rispose l’avvocato, preso un po’ in contropiede – era solo un bacio sotto il vischio.”
Gaara si fece avanti di un paio di passi, gli strinse le mani attorno alle braccia e alzò il viso verso il suo, guardandolo a soli pochi centimetri di distanza, sentendo persino l’odore di alcool nel suo respiro, mischiato a quello del suo dopobarba e di sigaretta.
“Era davvero solo un bacio sotto il vischio, Itachi? – domandò, serio – Perché ho la stramaledetta impressione di essere trattato come un pacco e di venire scaricato a tuo fratello? Cos’è, ha il diritto di prelazione?” concluse, con la rabbia più che evidente nella voce.
“Non è così” sospirò Itachi posando la fronte contro la sua, cercando di zittire le voci nella sua testa che strepitavano per baciarlo, per stringerlo e fregarsene delle conseguenze. “Ti trovo interessante, non lo nego, ma se prima tu e Sasuke non farete chiarezza non voglio mettermi in mezzo, perché voglio bene a mio fratello e non voglio rendergli la vita più complicata di quello che è – allontanò il viso per guardarlo meglio – non sto dicendo che devi per forza stare con lui, che sei destinato a lui o cazzate simili. Semplicemente che finché non chiarirete io sarò solo Itachi, il tuo collega, il tuo amico e il fratello di Sasuke, non puoi essere arrabbiato per questo, Gaara.”
Il ragazzo chiuse gli occhi e sospirò profondamente, cercando di processare quelle informazioni, quell’esempio di amore fraterno mai sperimentato. Perché un fratello maggiore si tira indietro piuttosto che fare qualcosa che potrebbe ferire il minore, giusto? Si rese conto una volta in più di quanto fosse sbagliato ciò che aveva fatto Kankuro a lui, e Itachi aveva ragione: non poteva proprio arrabbiarsi.
“Sasuke è uno stronzo fortunato ad averti come fratello” rispose, ma aveva un mezzo sorriso sulle labbra ad ammorbidire un insulto forse più che meritato.
“Oh beh, punti di vista” rise Itachi, certo che l’altro non si sarebbe professato così fortunato tanto facilmente. Guardò di nuovo Gaara che adesso gli sorrideva e sembrava aver accettato le sue ragioni senza rancore, e pensò di non essersi sbagliato: quel ragazzo era cristallino e pulito quanto i suoi occhi.
“Sono felice di averti visto stasera, a capodanno, e di aver parlato con te come prima cosa dell’anno nuovo.”
“È un punto di vista – replicò Gaara, ironico – è stata una coincidenza bella grossa, non avrei mai immaginato di vederti qui stasera.”
“Già, è stato un capodanno atipico.”
Aveva assistito a un coming-out disastroso, consolato un cugino a terra, e infine aveva chiarito con la fiamma del fratello; insomma una serata rimarchevole. Peccato che dentro di sé non fosse tutto in ordine. “Ho persino conosciuto anche il tuo coinquilino… a proposito chi è Yahiko? Devo mettere in guardia Sasuke?” scherzò, spostando l’argomento su argomenti più leggeri e ironici.
Gaara fece una smorfia e si infilò le mani più a fondo nelle tasche:
“Oh, di quello che dice Hidan dovresti ascoltarne solo un 10% e scremarlo dalle parolacce ovviamente – disse visto che aveva definito Sasuke un palo in culo, non che avesse tutti i torti in fondo – e vale anche per Yahiko. È solo un suo amico che ogni tanto ci prova con me, niente di che. Ormai è più un’abitudine che un reale interesse.”
“Oh, e come mai non hai mai ceduto a questo inossidabile ammiratore? È così brutto?” domandò interessato. Gaara aveva dimostrato di avere standard piuttosto alti: di Sasuke si potevano dire molte cose ma non che fosse poco affascinante o sgradevole.
“Ma no, no – rise Gaara – semplicemente perché è contrario all’idea di fare il passivo e io pure. Siamo incompatibili” gli rivelò e vide perfettamente il momento in cui le sue parole andarono a segno. Infatti Itachi sgranò gli occhi per poi aggrottare le sopracciglia e aprire le labbra in una domanda muta, limitandosi a fissarlo.
“Incompatibili, certo…” mormorò dopo un po’. Con Sasuke invece erano stati più che compatibili e ciò voleva dire solo che… che era Sasuke ad essere passivo e quel pensiero continuava a rimbalzargli nella testa come una pallina da tennis impazzita. Forse per la prima volta in vita sua Itachi aveva scoperto un segreto che avrebbe preferito che rimanesse tale.
“Beh, dopo questa penso che farò meglio ad andare prima che congeliamo e diano te per disperso – disse, dopo essere riuscito ad accantonare quelle nuove informazioni – ci vediamo a lavoro.”
“Sì, ci vediamo a lavoro” lo salutò Gaara, ma nel momento in cui l’altro si stava per voltare e andarsene lo richiamò.
Itachi si girò e Gaara si avvicinò a rapidi passi, gli posò le mani sulle spalle e lo baciò senza dire nulla. Semplicemente lo baciò e l’altro lo ricambiò passandogli le braccia attorno alla vita. Le loro bocche erano roventi e qualunque punto del viso dove le labbra si posavano sembrava sciogliersi, come se loro in realtà non fossero altro che stupidi pupazzi di neve in attesa del sole.
La città continuava a festeggiare, a essere un calderone di rumori, di gente, di vita e loro invece erano lì, fermi in un piazzale pieno solo di macchine vuote, a baciarsi; semplicemente a baciarsi.
Lentamente Gaara si sciolse dall’abbraccio, lasciò andare le sue mani che aveva finito per cercare e, guardandolo, disse:
“Non ti avevo fatto gli auguri di buon anno nuovo. A Natale me li hai fatti tu, adesso era il mio turno – gli sorrise – ora siamo pari, non trovi?”
Itachi si passò un dito sulle labbra umide per quel bacio inaspettato e bello, era davvero un bacio di buon anno o piuttosto di addio?
“Già, siamo pari – concordò – buon anno, Gaara.”
“Buon anno, Itachi.”

 

***

 

Sasuke stava riscoprendo una passione sfrenata per le finestre. Non era una nuova forma di stravagante feticismo o di fissazione dovuta al lavoro, quando di necessità fisiologica. Nell’ultimo mese si era trovato ad affrontare troppe conversazioni difficili e a volte anche sgradite, così per lui era diventato automatico cercare con lo sguardo una finestra, una possibile via di fuga, uno squarcio sul mondo esterno che gli assicurava che non sarebbe morto soffocato tra le parole che faticavano a uscire fuori dalla gola.
Quel pomeriggio era sulla solita poltrona nello studio dello psicologo, il loro primo incontro da prima di Natale e di cose da raccontare ce ne erano fin troppe, peccato che lui avesse i soliti problemi a iniziare a parlare di sé.
Lo psicologo non lo forzò, bensì iniziò a fare discorsi generici a chiedergli cosa avesse mangiato durante il cenone natalizio, o a raccontargli quanto fosse buono il dolce che preparava sua suocera. Era una strega, eppure quel dolce era meraviglioso, ma lei da buona strega intendeva portarsi la ricetta nella tomba, o forse era più indicato dire al rogo?
Sasuke faceva una smorfia a quelle battutacce, che sarebbero calzate a pennello anche in bocca a Shisui, eppure a poco a poco si rilassava e si ritrovava a partecipare alla conversazione fino a ritrovarsi ad essere l’unico a parlare. E ogni volta non sapeva se arrabbiarsi per essersi fatto raggirare da simili stupidi trucchetti, o essere felice perché l’altro era in grado di farlo aprire e buttare fuori ciò che lo aveva avvelenato per anni. Sasuke aveva ancora le idee confuse riguardo cosa fosse la cosa migliore per lui, per quello, quando gli raccontò di Gaara e della sua risposta alla proposta di vedersi, si ritrovò a dargli ragione.
“Certo, ci sono rimasto male – ammise, anche se sentì lo stomaco bruciare a quella frase – però ho ancora delle cose da sistemare. E poi in fondo ha detto lui stesso che ci saremmo rivisti per lavoro, quindi non era proprio un no secco. Forse tra i due lui è il più lucido tra noi.”
“O forse ha solo detto la cosa giusta al momento giusto. Non sopravvalutare gli altri e non sottovalutare nemmeno i problemi che possono avere, nessuno ha tutte le risposte in tasca, nemmeno tuo fratello. Per te le sue rivelazioni sono state una sorpresa, ma soprattutto sentirlo ammettere di avere commesso errori; pensavi sul serio che fosse infallibile?”
“Lei non conosce Itachi, tutto qui” sospirò, pensando che gli aveva parlato del dialogo con fratello ancor prima di quello con Gaara, forse era significativo.
“Lo conosco dalle tue parole e, lasciati dire, che finora lo hai mitizzato un po’ troppo. È un bene che tu riacquisisca una prospettiva più umana nei suoi confronti. Tuo fratello ha delle passioni, cose che odia e altre che sopporta, commette errori e non ha tutte le risposte, come ogni altra persona.”
“Quindi nemmeno lei ha tutte le risposte? E io allora perché dovrei continuare a venire qui?” lo provocò Sasuke. Il suo spirito di autodifesa cercava sempre varchi e aperture in cui intrufolarsi per ferire, stuzzicare e provocare, perché proprio non riusciva a rassegnarsi ad alzare bandiera bianca e lasciare che Sasuke vivesse senza la corazza di spine che si era costruito negli anni.
Lo psicologo non si scompose, bensì sorrise e accavallò morbidamente una gamba prima di rispondere:
“Certo che non le ho, Sasuke, altrimenti sarei Dio e di certo passerei il mio tempo in spiaggia a bere daiquiri – ignorò il sorrisetto apparso sulle labbra del suo paziente – io infatti non sono qui per darti risposte, ma per aiutare te a trovare le tue, o meglio a tirarle fuori da te stesso. Perché le sai già, il problema è ascoltarle e convincerti ad accettarle, è per questo motivo che dovresti continuare a venire da me.”
Sasuke si sentì alla stregua di un palloncino bucato, un pezzetto di plastica svuotata e dimenticata sul pavimento. Si era gonfiato credendo di averlo colto in fallo, ma quello stupido uomo ogni volta rigirava la frittata e gliela sbatteva in faccia, facendogliela rimangiare condita da tutta l’arroganza che lo accompagnava sempre.
Aggrottò la fronte e incrociò le braccia davanti al petto, tornando a fissare la finestra.
“Allora mi aiuti, che diavolo di risposta dovrei trovare per quello che è successo a capodanno? Un mio cugino ha fatto coming-out davanti a tutta la famiglia, nostra nonna si è sentita male e abbiamo dovuto chiamare un’ambulanza, suo padre urlava che lo avrebbe diseredato, sua madre lo difendeva e altri parenti si mostravano schifati, guardando come se avesse una malattia mortale, come se fosse un rifiuto, una cosa sporca che non dovrebbe stare a tavola. Lo hanno accusato di essere contro natura, un disonore e… e avrei potuto essere io quello. Qual è la risposta a questo?”
“Che il mondo è pieno di ipocriti, Sasuke – rispose lo psicologo con la sua voce sempre controllata – o pensi che tutti i tuoi parenti siano irreprensibili e nessuno nasconda qualche segreto o due? Uno di quelli che a tutti piace condannare per sentirci migliori, perché è a questo che serve la gogna. Ma parlami ancora di come ti sei sentito, invece. Hai parlato con questo tuo cugino?”
Il ragazzo sospirò e si passò la mano tra i capelli, bella domanda. Aveva sentito addosso gli occhi di Itachi per tutto il tempo, sapeva che si stava preoccupando per lui e, se da un lato la cosa da un lato lo aveva indispettito perché lo aveva fatto sentire un bambino bisognoso di essere protetto, dall’altro ne era stato felice, appunto perché aveva suo fratello vicino, pronto a lottare per lui. Era diviso a metà, ed era una sensazione familiare, perché gli pareva di vivere così ogni secondo della sua vita, lacerato tra il bisogno di essere il Sasuke che era sempre stato finora, quello impeccabile che corrispondeva agli standard della famiglia e della società, e il Sasuke che premeva per essere lasciato libero di respirare, quello a cui piaceva Gaara e stare in giro con gli amici a fare gli stupidi.
“No, non ho parlato con Ryuji, non l’ho difeso, né l’ho accusato, avevo paura – confessò – avevo paura che se fossi intervenuto in qualche modo gli altri avrebbero potuto leggere in me attraverso lui. Così sono stato in disparte come un codardo, mentre gli gettavano addosso valangate di merda e pensavo che io non avrò mai il suo coraggio. Anche se una parte di me avrebbe voluto andargli vicino, baciarlo davanti a tutti e mostrare quello che sono. Ero così arrabbiato, ero furioso, avrei voluto picchiarli tutti quegli ipocriti del cazzo… non sono così ingenuo, so bene che hanno tutti segreti.”
“Bene, quindi rabbia, molta rabbia… e dove hai intenzione di dirigerla questa rabbia? Ora è questa la risposta da trovare, Sasuke. La rivolgerai verso di te, ti biasimerai per quello che sei, per i desideri che provi o continuerai ad essere arrabbiato con loro? Li disprezzerai, li eviterai; cosa farai?”
Il ragazzo lo guardò, con le unghie che affondavano nel maglione morbido.
“Ho solo queste due opzioni?”
“Dimmelo tu.”
Stavolta Sasuke non tornò a guardare la finestra, ma puntò lo sguardo sui propri piedi che lo avevano condotto sino lì, nello studio di uno psicologo, a chiedersi chi diavolo fosse a ventitré anni.
“Non lo so, forse dovrei lasciare andare la rabbia e basta, ma… – una pausa lunga, difficile – io senza rabbia non so stare.”
“Cos’è la rabbia per te?”
“Tutto.” Quella volta riuscì a rispondere subito, senza esitazione, perché quella risposta gli era molto chiara. “È ciò che mi ha sempre dato la forza e l’energia per andare avanti. La rabbia contro mio fratello per essere tanto superiore, la rabbia contro mio padre, colpevole di non considerarmi abbastanza, la rabbia verso i miei amici meno intelligenti di me. La rabbia è il mio carburante e io senza non so come andare avanti, cosa sarei senza? Come farei senza? – lo guardò – Io non conosco altro. Quando non sono arrabbiato mi sento vuoto, come un teatro senza pubblico e senza attori. A cosa serve costruire un teatro bellissimo, lussuoso, pieno di comfort se poi non lo usa nessuno? E io mi sento così, come quel teatro.” Si stropicciò gli occhi, vergognandosi per quelle parole, per quel paragone così stupido, che diavolo gli era venuto in mente di dire?
“Hanno fatto l’inaugurazione?” domandò invece lo psicologo, nient’affatto turbato.
“Eh?”
Sasuke lo guardò, ripetendosi per l’ennesima volta che quel tizio aveva davvero qualche rotella fuori posto.
“Hanno fatto l’inaugurazione? La gente sa che quel bellissimo e capiente teatro è aperto ed è pronto ad ospitare Shakespeare, Molière, Sofocle? Se nessuno lo sa come puoi pretendere che la gente ci entri?”
Sasuke lo fissò, con un labbro che tremava appena. Se lui continuava a respingere le persone come poteva pretendere che queste continuassero ad avvicinarsi a lui, ferendosi nel tentativo di conquistarsi uno spazio, o almeno ad avere un accesso?
“No, nessuna inaugurazione” rispose.
“Bene, allora rimbocchiamoci le maniche, bisogna fare le pulizie, chiamare il fioraio, il servizio di catering, abbiamo un sacco di lavoro da fare” gli sorrise.
Sasuke sospirò e reclinò la testa all’indietro, fissando qualche istante il soffitto prima di sorridere all’uomo:
“Ok, basta solo che gli ipocriti rimangano fuori.”
“Fare gli inviti è un tuo compito, Sasuke. Sei tu a decidere chi entra e chi sta fuori – lo rassicurò – sta a te, sta sempre tutto a te, non dimenticarlo.”
 

 

 

L’angolino oscuro: Miracolo di Natale, sono riuscita ad aggiornare e stavolta siamo alle prese con l’anno nuovo e il carico di valutazioni, speranze e buoni propositi che porta con sé. A quanto pare tra Gaara e Itachi c’è solo un arrivederci, un congelare le cose, in attesa di vedere in che modo si risolverà la situazione con Sasuke, mentre lui, come dice il buon psicologo, ha ancora molto lavoro da fare per fare l’inaugurazione del suo teatro.
Come sempre spero vi sia piaciuto, se vi va di farmi un regalo per Natale lasciatemi qualche parola per farmi sapere che ne pensate della storia XD a presto!

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: Sunako_7