Cose
vecchie, cose nuove
Un
solo
istante, una ridicola manciata di secondi, minuscoli scatti della
lancetta di un
orologio. Cosa sono queste minuscole sciocchezze di fronte
all’enorme e
aberrante concetto di infinito? Eppure sono sufficienti per cambiare le
sorti
di una singola vita, di quella di più persone, di una
città, di uno stato, di
un continente addirittura. Non è necessario scomodare i
grandi signori del
tempo per scuotere le fondamenta, ma bastano pochi secondi per prendere
una
decisione definitiva, per togliere la spoletta a una granata, per
premere un
grilletto, per dire una parola e non avere più la
possibilità di tornare
indietro.
Perché le
granate non si possono disinnescare, le pallottole non possono tornare
a
dormire nei caricatori, le parole non possono essere rimangiate,
né fraintese.
Quella
sera era stato sufficiente un istante, una voce flebile e tutto era
cambiato.
Itachi
aveva lo sguardo puntato fuori dal finestrino dell’auto, era
preoccupato.
Il cugino
Ryuji, come anticipato, aveva fatto coming-out alla cena di capodanno,
davanti
alla famiglia riunita, con tutti i numerosi nonni, zii, cugini e
fratelli; così
tanti che ad ogni riunione non si sapeva mai bene quanti si fosse. Ogni
tanto
qualcuno era assente, qualche ragazzo giovane riusciva a trovare un
pretesto
per evitare quelle tediosi riunioni, o un parente più
anziano stava poco bene,
eppure quella sera era parso che ci fossero proprio tutti. E i loro
occhi scuri,
pieni di condanna, si erano puntati su Ryuji che aveva chiuso la bocca
e aveva
le mani che tremavano, ma continuava a stare in piedi e a fissarli a
sua volta,
deciso ad andare fino in fondo.
Non era
un tipo particolarmente brillante, a volte ci si dimenticava di lui nel
marasma
di cugini di vario grado ed età; aveva una voce pacata, modi
quieti e gentili,
era allergico a un sacco di cose e si spaventava facilmente, era il
bersaglio
preferito degli scherzi, eppure quella sera aveva dimostrato il
coraggio di un
leone. Aveva sparato la sua verità scomoda, in una famiglia
dove i segreti
erano la norma e – Itachi pensava – forse il
biasimo più grande era dovuto al
fatto di aver rotto quell’usanza, piuttosto che
all’essere gay.
A
preoccupare Itachi, mentre viaggiava in auto e guardava fuori dal
finestrino,
non era tanto la salute della nonna svenuta e per cui avevano dovuto
chiamare
un’ambulanza, tantomeno la sorte del cugino, minacciato dal
padre di essere
diseredato se non avesse acconsentito a un matrimonio con una ragazza
scelta da
lui il giorno seguente. Ryuji non si era scomposto: sempre con quella
sua voce
pacata e le mani tremanti, aveva fatto presente che era quasi
trentenne, aveva
un lavoro stabile al di fuori della famiglia Uchiha ed era
indipendente, non
aveva bisogno di eredità e cose del genere. Quel ragazzo se
la sarebbe cavata,
era più tosto di tanti altri adulti che invece facevano la
voce grossa.
A
impensierire Itachi, in realtà, era Sasuke.
Non lo
aveva perso di vista un attimo durante le fasi più
drammatiche della serata,
quando tutti avevano iniziato ad accusare Ryuji di essere uno sporco
frocio,
qualcosa di ben più disonorevole di un truffatore o un
assassino, oppure che
voleva rovinare la famiglia, che li avrebbe resi lo zimbello della
città, che
era contro natura, che, che… un’infinita e stupida
sequela di accuse ipocrite.
Sasuke,
come altri cugini e qualche adulto, era rimasto semplicemente in
silenzio,
senza denigrarlo, ma nemmeno prendendo le sue difese, a quello ci
avevano
pensato la madre dell’accusato, qualcuna delle sue sorelle e
quell’incosciente
di Shisui.
Itachi
era rimasto in disparte a sua volta, ad osservare il fratello e temere
che
quello spettacolo potesse turbarlo nel particolare momento emotivo che
stava
vivendo: come poteva Sasuke non immedesimarsi nei panni del cugino? Se
avesse
fatto coming-out, anche lui avrebbe ricevuto lo stesso trattamento.
Purtroppo
il caos generale e una casa affollata non erano le condizioni ideali
per
discussioni private, quindi Itachi si era limitato a chiedere al
fratello se
stesse bene, ricevendo una semplice risposta affermativa.
Quando
l’ambulanza era andata via e la situazione pareva essersi
calmata un po’, quasi
tutti erano andati via, Sasuke gli aveva detto che avrebbe raggiunto
Naruto e
altri amici. Lui era rimasto con Shisui che alla fine lo aveva convinto
a salire
in macchina, con la scusa che dovevano far svagare Ryuji, che sembrava
sul
punto di collassare dopo che era finita la scarica
d’adrenalina.
“Ah!
Grandioso! – rise infatti Shisui, esaltatissimo, prendendo
una curva troppo
stretta – Volevo dire anch’io che ero bisessuale,
ma quando è tornata un po’ di
calma non era rimasto quasi nessuno, e pretendo anch’io di
avere un pubblico
che mi ascolti! Mi rifarò alla prossima cena.”
“Dubito
che ce ne sarà un’altra molto presto”
affermò Ryuji, che conosceva già le tendenze
del cugino, anche se ignorava quelle di Itachi. “Piuttosto
dove stiamo
andando?”
“Oh, un
bel posto, non preoccupatevi, in fondo dobbiamo festeggiare capodanno,
non è
ancora mezzanotte, anche se i fuochi d’artificio li abbiamo
già fatti” rise
sguaiatamente, come se davvero avessero assistito a uno spettacolo di
cabaret e
non ad un dramma.
“Le tue
battute peggiorano di anno in anno” lo rimbeccò
infatti Itachi, girandosi
finalmente a guardarlo. Vide dipingersi sul suo viso un sorriso
malizioso che
lo lasciò perplesso, a domandarsi se davvero fosse
così sbagliato
sdrammatizzare in una situazione come quella. Di sicuro rimuginare e
isolarsi
nei propri pensieri non avrebbe aiutato nessuno, si rispose,
riscuotendosi
dall’apatia che lo aveva colto. Si rivolse a Ryuji che stava
sul sedile
posteriore:
“Non
preoccuparti, se c’è una cosa in cui Shisui
eccelle è la conoscenza dei locali
e della vita notturna, potrebbe scriverci una guida, ci
divertiremo.”
Pregò
solo che il cugino non avesse scelto un locale di spogliarelli o
qualcosa
simile ma, conoscendolo, non era da escludere. Sospirò,
riflettendo che avrebbe
potuto essere pericoloso per il suo segreto, ma dubitava che Ryuji
avrebbe
capito qualcosa e lui non aveva certo intenzione di confessarlo o
mettersi a rimorchiare
davanti a loro; in fondo era capodanno, tutti facevano qualche pazzia,
anche se
fosse entrato in un locale dichiaratamente gay non sarebbe successo
nulla alla
sua reputazione.
Per il
resto del viaggio parlarono di cose leggere, evitando di menzionare
nuovamente
la cena e Ryuji si rilassò; lo aveva mascherato bene
– d’altronde era un Uchiha
– ma la prova a cui si era sottoposto lo aveva lasciato
piuttosto scosso e
ferito.
Dopo aver
parcheggiato, si diressero verso un locale dall’entrata
discreta, ovviamente
decorata in tema festoso e, dopo essersi chiusi la pesante porta alle
spalle,
Itachi udì con sorpresa una debole musica
d’atmosfera e guardò sorpreso Shisui.
Questi scrollò le spalle e sorrise:
“Ho
pensato che questo posto vi sarebbe piaciuto. È un piano bar
e suonano dal
vivo, stasera c’è anche una cantante.”
Fece strada ai due verso un ragazzo sorridente che chiese
se avessero
una prenotazione e Shisui rispose affermativamente.
Itachi lo
guardò sorpreso e si diede dell’idiota. Sotto al
sorriso inossidabile, le
battute penose e l’aria rilassata e svagata, sapeva bene che
c’era un cervello
straordinariamente acuto e due occhi attenti; perché si
sorprendeva ancora?
Shisui aveva semplicemente previsto come sarebbe andata la serata,
così aveva
pensato a un modo per aiutare Ryuji e lasciarsi alle spalle
un’ambiente ostile
che lo aveva fatto sentire indesiderato e diverso. Quindi cosa
c’era di meglio
che portare un ragazzo che amava la musica, che aveva addirittura
sognato di
andare al conservatorio ed era gay in un raffinato e discreto locale
come
quello con musica dal vivo? Persino lui si sarebbe riuscito a rilassare
lì.
Dopo aver
lasciato i cappotti al guardaroba, si accomodarono al loro tavolino
rotondo,
con una candela al centro, simile agli altri circostanti.
Il locale
era piuttosto grande e veramente bello, con le sue pareti dai colori
caldi, le
tende ariose che dividevano l’ambiente, dando
l’impressione che ci fossero
tante sale invece di una unica. Le luci erano morbide, la musica non
era tanto
alta da impedire una conversazione e ogni cosa lì dentro
suggeriva atmosfera e
privacy, ma soprattutto relax. Si poteva allentare la cravatta,
togliere la
maschera dal viso e concedersi il lusso di essere chi si voleva.
“Grazie”
disse semplicemente Ryuji, con la voce sempre pacata ma con le mani che
ormai
non tremavano più.
Ordinarono
da bere e rimasero in silenzio, semplicemente ascoltando la musica
finché Ryuji
non si alzò per andare in bagno, lasciando i due da soli.
A quel
punto Itachi allungò una mano per prendere un cartoncino con
scritto “Riservato”
e lo lesse ad alta voce
mentre guardava il cugino.
“Non male
questo posto” aggiunse poi.
“Di’ la
verità: eri sicuro che vi avrei portato in un locale di
spogliarelli, vero?”
rise Shisui, divertito nel vedere l’espressione sorpresa
dell’altro.
“Sì, era
una delle ipotesi che mi è passata per la mente –
confessò Itachi posando il
cartoncino – e ammetto che stavolta ti sei superato. Penso
che fosse proprio
quello di cui Ryuji aveva bisogno, magari conosce anche qualcuno
stasera.”
“Non è
mica l’unico ad averne bisogno – lo corresse, serio
– tu hai qualcosa che non
va da giorni. Non è questo il momento adatto per parlarne,
ma una delle
prossime sere magari ti porto davvero a vedere uno
spogliarello.”
Itachi
rimase in silenzio, non sapeva se perché sorpreso da
quell’ennesima
dimostrazione di intuito da parte del cugino, o per lo sfoggio di
proposte
balorde. Semplicemente sospirò piano, poi si
stropicciò delicatamente le
palpebre con la punta delle dita:
“Che
cazzo di capodanno!”
“Puoi
dirlo forte!”
Un paio
di minuti più tardi tornò Ryuji, raccontando di
un ragazzo bellissimo che aveva
incrociato camminando e Shisui, curioso, gli fece un sacco di domande.
Itachi
ascoltava e basta, non che gli interessasse l’esatta
sfumatura di biondo dei
capelli di quel tipo, ma gli piaceva vedere il cugino a proprio agio,
un giorno
gli sarebbe piaciuto poter vedere Sasuke allo stesso modo, libero di
esprimere
pensieri e desideri con cui non essere più in guerra.
Sentì una
presenza al suo fianco e, con la coda dell’occhio, intravide
l’elegante gilet
nero di un cameriere, si voltò pronto a ricevere la propria
ordinazione e
ringraziare, ma quello che gli scivolò fuori dalla bocca non
fu un grazie.
“Gaara…?”
“Itachi?”
I due si
fissarono, in silenzio. Gaara aveva la divisa da cameriere, con
grembiule al
ginocchio, gilet, cravatta e tutto il resto, e reggeva un vassoio su
cui erano
posati i loro cocktail. Guardava l’Uchiha con gli occhi
sgranati, forse, se
avesse visto un salmone seduto al suo posto, sarebbe sembrato meno
sorpreso.
L’Uchiha
invece lo osservava con le labbra appena dischiuse e lo sguardo
attento, era
solo da pochi giorni che non si vedevano, ma sembrava passata
un’eternità e,
soprattutto, ora era tutto diverso.
“Da
quando lavori qui? In studio non ti piace più?”
domandò, ironico. Aveva
riacquistato l’abituale autocontrollo e la sua mente aveva
vagliato qualche
ipotesi e, nascosto dal sarcasmo, c’era un quesito reale.
Possibile che dopo il
loro bacio Gaara avesse deciso di cambiare lavoro? Quando si erano
salutati non
gli era parso sconvolto o turbato, ma le cose potevano essere cambiate.
Anche il
ragazzo si riscosse e, scuotendo appena la bella testa rossa, rispose:
“No, è
solo per stasera. Un cameriere si è ammalato e un mio amico
che lavora qui mi
ha chiesto di sostituirlo.”
Ricordandosi
appunto del ruolo che ricopriva, posò i bicchieri sul
tavolino e notò anche
Shisui, salutandolo.
“Gaara,
ma che sorpresa – replicò questi – ti
presento un altro nostro cugino, Ryuji.”
Il
cameriere gli sorrise, per poi guardare di nuovo Itachi:
“Se
continua così prestò conoscerò tutta
la tua famiglia.”
“Già”
replicò questi asciutto pensando al fratello.
“Beh,
devo andare, buona serata” si congedò Gaara
tornando verso il bancone del bar a
passo spedito, senza fare altre domande o osservazioni magari
inopportune, se
erano tutti in quel locale non era solo per la buona musica.
Infatti
Ryuji assottigliò gli occhi osservando il cameriere
allontanarsi e poi Itachi
che lo aveva riconosciuto:
“Voi
due…?” iniziò, incerto su come fare una
domanda simile proprio a quel cugino
tanto riservato e dall’aria algida e impeccabile.
“Ma no –
rispose questi con un sorriso morbido, nient’affatto nervoso
– siamo solo
colleghi in ufficio.”
“Ah ecco,
mi pareva strano!” replicò Ryuji, soddisfatto
della spiegazione logica con cui
risultò più chiaro anche il dialogo a cui aveva
assistito. Inconsapevolmente
aveva dato riprova di quello che il mondo pensava del primogenito di
Fugaku
Uchiha: uno splendido uomo che corrispondeva in tutto e per tutto agli
standard
della società.
Shisui
invece non si staccava dal suo cocktail, bevendone un lungo sorso e,
quando
posò il suo bicchiere ormai mezzo vuoto, iniziò a
parlare d’altro; almeno
sarebbe stato certo di non scoppiare a ridere.
La
mezzanotte era vicina e il locale era pieno, i camerieri camminavano
veloci,
estremamente affaccendati perché tutti volevano da bere,
divertirsi, staccare
la spina specialmente quella sera.
La fine
dell’anno porta con sé un ventaglio molto ampio di
sentimenti: c’è un po’ di
tristezza per il tempo che inesorabilmente scorre senza tregua,
rimpianto per
le cose non fatte, per le occasioni perse o quelle soltanto rimandate.
Nel
correre quotidiano spesso si perde di vista ciò che
è realmente importante, si
trascurano gli affetti, la famiglia, se stessi, giustificandoci con un “C’è tempo”
o “La prossima volta”.
Ma non
c’è poi così tanto tempo, le occasioni
possono essere limitate, e non è detto
che se noi siamo disposti ad attendere qualcuno o qualcosa anche la
controparte
faccia la stessa cosa. Per quello col nuovo anno si fanno tanti
propositi, c’è
sempre la speranza di essere più felici, più
aperti, più pronti, semplicemente
migliori.
Itachi,
mentre si stringeva nel cappotto e alzava gli occhi al cielo, non fece
propositi, non si augurò una vita lunga e felice,
né domandò altro per sé.
Mentre i fuochi d’artificio esplodevano nella notte e
coloravano il buio,
Itachi pensò a Sasuke e desiderò vederlo sereno e
realizzato, solo questo, non
voleva nient’altro. Girò appena la testa di lato e
osservò le luci colorate
riflettersi sul viso di Shisui.
Lui
sarebbe stato bene, non aveva bisogno di nulla.
Lo
spettacolo pirotecnico finì e la gente iniziò a
rientrare nel locale perché
nessuno voleva rimanere lì, a gelare senza alcun motivo, ma
Itachi fumò una
sigaretta in solitaria, bisognoso di un po’ di tregua da
tutto quel caos a cui
non era abituato. La sua vita era sempre scivolata sui binari oliati da
un
padre autoritario, poi, ad un certo punto del tragitto, aveva azionato
uno
switch, aveva cambiato direzione, dirigendosi dove aveva scelto lui, ma
non
c’era stato nessuno scossone degno di nota nemmeno allora.
Nell’ultimissimo
periodo invece si ritrovava a fare e pensare cose inaspettate, che poco
avevano
di quell’ordine familiare a cui era abituato. Forse Sasuke
non era l’unico a
cui avrebbe fatto bene uno psicologo.
Rientrò
nel locale piacevolmente riscaldato, notando che adesso la musica era
molto più
alta, i brani più ritmati e la cantante incitava i clienti a
seguirla, ad
alzarsi in piedi, ballare perché ehi,
è
capodanno, bisogna fare festa!
Itachi
non si lasciò irretire e tornò al proprio tavolo,
dove trovò però Ryuji intento
a chiacchierare con un ragazzo, con un’espressione ben
diversa da quella dello
zombie rassegnato e sconfitto con cui era entrato lì.
Lui si
mise a parlare con Shisui, ma il suo sguardo non stava mai fermo troppo
a
lungo, vagava a cercare nella folla una familiare testa rossa,
dicendosi che
era solo curioso di vederlo in un ambiente del genere. Gaara non stava
fermo un
attimo, tra le mani quel vassoio pesante pareva non svuotarsi mai,
sempre colmo
di bicchieri a volte pieni, altre vuoti, ma lui sostava al bancone
giusto il
tempo di poggiarlo e prenderne un altro per poi ripartire, un novello
salvatore
di tutte quelle gole riarse.
Quando
finalmente il ritmo si allentò un po’, Itachi lo
vide sedersi un attimo su uno
sgabello vicino al bancone e bere dell’acqua servitagli da un
barman, un tizio
alto coi capelli chiari portati all’indietro dal gel.
Notò anche la familiarità
con cui parlavano, i sorrisi tra di loro e infine le mani del barista
che
arruffarono la chioma rossa e Gaara che glielo permetteva senza
sottrarsi.
“A quanto
pare quel suo amico che lavora qui è Hidan”
sentì dire da Shisui.
Si voltò
verso di lui, nascondendogli la sgradevole quanto stupida sensazione di
colpa,
come un bambino lasciatosi sorprendere col cucchiaio nel barattolo di
cioccolata; non aveva alcun motivo di provare quella sensazione, si
disse.
“Conosci
quel tizio?” gli domandò invece, avvicinandosi per
non dover alzare troppo la
voce con la musica più alta.
“Sì, te
ne avevo anche accennato – gli confermò
– sta insieme a Deidara, il barman che
lavora in quel locale dove avevo visto Gaara, ricordi?”
Itachi
annuì, ricordando quella conversazione col cugino, i
sospetti su quanto
successo tra Sasuke e l’altro, le supposizioni e il suo
timore di non essere in
grado di aiutare il fratello in quell’occasione; certo che
ricordava tutto.
Shisui lo
osservò, bevve un altro sorso del proprio cocktail, infine
propose:
“Perché
non vai a salutarlo? Tra non molto penso che ce ne andremo, Riuji mi
sembra
felice all’idea di andarsene a casa.”
Indicò col mento l’altro cugino che era
ancora alle prese con il ragazzo di prima.
Itachi
guardò l’orologio, erano passate da poco le due,
il locale a poco a poco si era
calmato e la gente iniziava ad andare via per concludere la serata da
qualche
altra parte.
Itachi
annuì, in fondo non c’era niente di male nel
salutare il suo collega e fargli
gli auguri di buon anno. Si diede poi dello sciocco: da quando doveva
aver
paura di parlare con Gaara o trovare una giustificazione per farlo? Il
fatto
che fosse il ragazzo verso cui Sasuke provava un interesse non lo
rendeva tabù.
Vide il
cameriere riprendere il vassoio e andare verso i tavoli, ma quando
tornò verso
il bancone si alzò per andare da lui.
“La
serata è ancora lunga per te?”
“Itachi!”
esclamò Gaara, voltandosi. Non lo aveva sentito avvicinarsi,
niente di strano
con la musica e il frastuono generale, ma ritrovarselo
all’improvviso così
vicino lo aveva fatto sobbalzare. “Beh sì, ci
vorranno almeno le cinque prima
di andare via, ma lo sapevo già. Però adesso sto
per andare a fare una pausa –
gli rispose – tu stai per andare via?”
“Già,
però posso farti compagnia in pausa prima” disse
Itachi per poi mordersi le
labbra. Quella proposta gli era scivolata fuori di bocca con una
facilità
impressionante.
Gaara
sembrò soppesare le sue parole e, scuotendo appena la testa,
rispose:
“Avevo
intenzione di prendere una boccata d’aria fuori, non voglio
farti gelare.”
“È
un’occasione perfetta per fumare una sigaretta, qui dentro
purtroppo non si
può”
“Ah, beh
in questo caso… –
gli sorrise – C’è uno
spiazzo sul retro, con l’ingresso per i dipendenti, ci
vediamo lì?”
A Itachi
piacque quella specie di appuntamento improvvisato, ma non ebbe modo di
rispondergli perché intervenne quel barista che Shisui aveva
chiamato Hidan.
“E bravo
Gaara! Sei riuscito a rimorchiare, Yahiko ci rimarrà male
– rise sguaiato per
poi squadrare Itachi – ed è anche meglio
dell’ultimo palo in culo che ti sei
portato a casa!”
Nel giro
di pochi secondi Gaara passò dallo sbiancare come un
lenzuolo al diventare un
tutt’uno coi capelli, strinse forte il vassoio vuoto tra le
mani e sbottò:
“Stai
zitto, coglione! – poi rivolto a Itachi – Non
badare al mio coinquilino, hanno
dimenticato di fornirgli un cervello alla nascita.”
Il suo
sguardo però non riusciva più a sostenere quello
dell’Uchiha, ma si poggiava
nervosamente sul barman, come se avesse potuto comunicargli
telepaticamente
qualcosa o incenerirlo, probabilmente entrambe le opzioni lo avrebbero
soddisfatto.
Hidan
però sembrava sordo a tutto ciò e
replicò:
“Però mi
hanno dato un cazzo grosso, meglio così – poi tese
una mano a Itachi – sono
Hidan, il suo coinquilino, penso che ci rivedremo.”
Itachi
non si lasciò scomporre minimamente dai suoi modi o dalle
informazioni che
aveva involontariamente appreso su Sasuke e strinse la mano che gli
veniva
porta, dicendo:
“Sono
Itachi e credo di essere il fratello del palo in culo che hai
nominato.”
All’improvviso
sembrò che attorno al bancone fosse scoppiata una bolla di
silenzio e i tre si
guardavano, senza sapere che dire. Gaara era sbiancato nuovamente e
aveva
poggiato una mano sul bancone in cerca di sostegno. Itachi sapeva,
sapeva e…
“Beh, per
fortuna non è una cosa di famiglia.” Fu il
commento di Hidan che poi, con una
scrollata di spalle si rimise al lavoro, chiamato da un altro cameriere.
Lasciò i
due da soli e Itachi notò perfettamente il turbamento di
Gaara, immaginò cosa
gli stesse passando per la testa e per quello gli posò una
mano sulla spalla
dicendo:
“Tranquillo,
ci vediamo qui fuori tra un paio di minuti.” Si
allontanò e lo lasciò lì, da
solo, con un vassoio vuoto in mano e il cuore pieno di paure, affatto
tranquillo.
Gaara
si
strinse meglio la sciarpa attorno al collo, quella che gli aveva
regalato
Hinata; non usciva più di casa senza.
Guardò lo
spiazzo pieno di macchine dei dipendenti e ascoltò i suoni
della città che
ancora non aveva smesso di festeggiare. Anche lui aveva avuto quella
intenzione: prendersi qualcosa da mangiare, una birra e godersi in pace
la sua
più che meritata pausa.
Peccato
che di tranquillo in quel momento non ci fosse proprio nulla e non
aveva
nemmeno più voglia di bere o mangiare. Voleva solo capire
come diavolo fosse
possibile avere addosso un concentrato di sfiga così potente
perché,
seriamente, non c’era altro modo per definirlo.
Itachi
sapeva tutto. In fondo dopo il bacio che si erano scambiati non
c’era modo di
nascondere i loro orientamenti sessuali, ma non era quello il problema
quanto
Sasuke. Cosa avrebbe dovuto dirgli a riguardo? E poi perché
lo aveva baciato se
sapeva che erano stati assieme?
Troppe
domande a cui non poteva rispondere da solo.
Aveva
anche pensato di non presentarsi e continuare a lavorare, ma poi si era
detto
di non fare il codardo: lo avrebbe comunque rivisto in ufficio e tanto
valeva
discutere subito, quando potevano essere solo loro due.
Sentì un
rumore ed alzò lo sguardo dai propri piedi, vide Itachi
avanzare verso di lui,
ben coperto dall’elegante cappotto scuro. Gli si
fermò davanti e per Gaara fu
davvero difficile alzare la testa e non indietreggiare davanti ai suoi
occhi
tanto scuri e belli. Non c’era vischio quella volta, eppure
rimasero entrambi
immobili a fissarsi mentre l’aria attorno a loro diventava
tesa, pesante,
difficile da inspirare; probabilmente era colpa del freddo che gelava
anche i
respiri che uscivano dalle loro bocche. Eppure quegli sbuffi bianchi
non
impedivano ai loro occhi di celarsi, di impedire all’altro di
scrutare e
tentare di scoprire più verità di quella
raccontata dalle parole.
“Tu sai…”
iniziò Gaara, ma si morse un labbro, incapace di continuare.
Itachi
guardò i suoi occhi dal colore freddo quasi quanto il gelo
che azzannava la
loro pelle, ma vi vide agitazione, nessuna calma, nemmeno quella
apparente.
“Sì,
durante queste vacanze Sasuke mi ha confessato di essere gay
e… di aver avuto
un qualche tipo di relazione con te” gli spiegò,
vedendo la sorpresa prendere
il posto dell’agitazione.
Gaara
infatti schiuse la bocca dalle labbra sottili, le sopracciglia rade si
inarcarono e ci mise qualche istante a trovare delle parole da dire.
“Lui… lui
ti ha raccontato tutto?” domandò, ancora incredulo
nonostante tutto. Quello
psicologo doveva essere veramente un genio per essere riuscito a far
prendere a
Sasuke decisioni come quella di richiamarlo chiedendogli scusa, o
aprirsi col
fratello.
Itachi
allungò un braccio e gli carezzò una guancia
fredda con le proprie dita lunghe,
ma altrettanto povere di calore; non era riuscito a trattenersi. Gaara
era
spaventato, era più che evidente, e lui si rese
improvvisamente conto che
avrebbe voluto rassicurarlo, baciarlo
ancora e rassicurarlo, ma… non poteva.
“Non
proprio tutto, mi ha detto di non essersi comportato bene nei tuoi
riguardi e
non ho chiesto i dettagli, non ne avevo bisogno. So però che
ti ha chiesto di
rivedervi.”
Gaara
annuì piano per timore che Itachi spostasse la mano che
teneva sulla sua
guancia, un freddo ma morbido cuscino in cui affondare.
“Sì, ma…
non è il momento – inghiottì un blocco
d’aria – non so se lo sarà mai, io non
so se…” La sua voce sfumò fino a
perdersi nell’oscurità, facendo quasi dubitare
che avesse mai parlato.
Itachi
ritrasse il braccio e infilò le mani nelle tasche del
cappotto, sorridendogli:
“Lo
scoprirete insieme, credo che ci sia ancora un po’
d’interesse da entrambe le
parti, altrimenti gli avresti già detto di no. Tu non sei
uno che gioca con le
persone.”
“Come fai
a dirlo? Ci conosciamo da poco e fino a una settimana fa non sapevi
nemmeno che
ero gay o di tuo fratello… come puoi dire che non sto
giocando con lui?”
domandò Gaara, ma in realtà la domanda che gli
era rimasta incastrata in gola
era “Cosa pensi di me Itachi? Come
mi
vedono i tuoi occhi?”
Un
piccolo sorriso piegò le labbra dell’Uchiha, che
però non sembrava affatto
divertito:
“Ho un
po’ di esperienza, Gaara. Sono una persona curiosa e mi
piacciono i segreti, per
questo so che tu ne tieni qualcuno dentro di te, ma ciò non
fa di te una brutta
persona o qualcuno che vorrei tenere lontano da Sasuke, anzi forse
è stato
proprio fortunato ad incontrare te tra tutti.”
Gaara si
rabbuiò, perché era consapevole di portare dentro
di sé molta oscurità e non
era certo che ciò non avesse contagiato lui e le persone che
lo circondavano,
poteva davvero credere di non essere un veleno?
“E il
nostro bacio? Rimarrà anche quello un segreto?”
Sparò a
bruciapelo quella domanda perché aveva la sensazione che
Itachi stesse tirando
su un bel muro tra di loro, un muro di cui non avrebbe avuto bisogno se
non ci
fosse stato Sasuke. Non era certo che ciò gli piacesse.
“Beh, non
vedo perché dovremmo raccontarlo – rispose
l’avvocato, preso un po’ in
contropiede – era solo un bacio sotto il vischio.”
Gaara si
fece avanti di un paio di passi, gli strinse le mani attorno alle
braccia e
alzò il viso verso il suo, guardandolo a soli pochi
centimetri di distanza,
sentendo persino l’odore di alcool nel suo respiro, mischiato
a quello del suo
dopobarba e di sigaretta.
“Era
davvero solo un bacio sotto il vischio, Itachi? –
domandò, serio – Perché ho la
stramaledetta impressione di essere trattato come un pacco e di venire
scaricato a tuo fratello? Cos’è, ha il diritto di
prelazione?” concluse, con la
rabbia più che evidente nella voce.
“Non è
così” sospirò Itachi posando la fronte
contro la sua, cercando di zittire le
voci nella sua testa che strepitavano per baciarlo, per stringerlo e
fregarsene
delle conseguenze. “Ti trovo interessante, non lo nego, ma se
prima tu e Sasuke
non farete chiarezza non voglio mettermi in mezzo, perché
voglio bene a mio
fratello e non voglio rendergli la vita più complicata di
quello che è –
allontanò il viso per guardarlo meglio – non sto
dicendo che devi per forza
stare con lui, che sei destinato a lui o cazzate simili. Semplicemente
che
finché non chiarirete io sarò solo Itachi, il tuo
collega, il tuo amico e il
fratello di Sasuke, non puoi essere arrabbiato per questo,
Gaara.”
Il
ragazzo chiuse gli occhi e sospirò profondamente, cercando
di processare quelle
informazioni, quell’esempio di amore fraterno mai
sperimentato. Perché un
fratello maggiore si tira indietro piuttosto che fare qualcosa che
potrebbe
ferire il minore, giusto? Si rese conto una volta in più di
quanto fosse
sbagliato ciò che aveva fatto Kankuro a lui, e Itachi aveva
ragione: non poteva
proprio arrabbiarsi.
“Sasuke è
uno stronzo fortunato ad averti come fratello” rispose, ma
aveva un mezzo
sorriso sulle labbra ad ammorbidire un insulto forse più che
meritato.
“Oh beh,
punti di vista” rise Itachi, certo che l’altro non
si sarebbe professato così
fortunato tanto facilmente. Guardò di nuovo Gaara che adesso
gli sorrideva e
sembrava aver accettato le sue ragioni senza rancore, e
pensò di non essersi
sbagliato: quel ragazzo era cristallino e pulito quanto i suoi occhi.
“Sono
felice di averti visto stasera, a capodanno, e di aver parlato con te
come
prima cosa dell’anno nuovo.”
“È un
punto di vista – replicò Gaara, ironico
– è stata una coincidenza bella grossa,
non avrei mai immaginato di vederti qui stasera.”
“Già, è
stato un capodanno atipico.”
Aveva
assistito a un coming-out disastroso, consolato un cugino a terra, e
infine
aveva chiarito con la fiamma del fratello; insomma una serata
rimarchevole.
Peccato che dentro di sé non fosse tutto in ordine.
“Ho persino conosciuto
anche il tuo coinquilino… a proposito chi è
Yahiko? Devo mettere in guardia
Sasuke?” scherzò, spostando l’argomento
su argomenti più leggeri e ironici.
Gaara
fece una smorfia e si infilò le mani più a fondo
nelle tasche:
“Oh, di
quello che dice Hidan dovresti ascoltarne solo un 10% e scremarlo dalle
parolacce ovviamente – disse visto che aveva definito Sasuke
un palo in culo,
non che avesse tutti i torti in fondo – e vale anche per
Yahiko. È solo un suo
amico che ogni tanto ci prova con me, niente di che. Ormai è
più un’abitudine
che un reale interesse.”
“Oh, e
come mai non hai mai ceduto a questo inossidabile ammiratore?
È così brutto?”
domandò interessato. Gaara aveva dimostrato di avere
standard piuttosto alti: di
Sasuke si potevano dire molte cose ma non che fosse poco affascinante o
sgradevole.
“Ma no,
no – rise Gaara – semplicemente perché
è contrario all’idea di fare il passivo
e io pure. Siamo incompatibili” gli rivelò e vide
perfettamente il momento in
cui le sue parole andarono a segno. Infatti Itachi sgranò
gli occhi per poi
aggrottare le sopracciglia e aprire le labbra in una domanda muta,
limitandosi
a fissarlo.
“Incompatibili,
certo…” mormorò dopo un po’.
Con Sasuke invece erano stati più che compatibili
e ciò voleva dire solo che… che era Sasuke ad
essere passivo e quel pensiero
continuava a rimbalzargli nella testa come una pallina da tennis
impazzita.
Forse per la prima volta in vita sua Itachi aveva scoperto un segreto
che
avrebbe preferito che rimanesse tale.
“Beh,
dopo questa penso che farò meglio ad andare prima che
congeliamo e diano te per
disperso – disse, dopo essere riuscito ad accantonare quelle
nuove informazioni
– ci vediamo a lavoro.”
“Sì, ci
vediamo a lavoro” lo salutò Gaara, ma nel momento
in cui l’altro si stava per
voltare e andarsene lo richiamò.
Itachi si
girò e Gaara si avvicinò a rapidi passi, gli
posò le mani sulle spalle e lo
baciò senza dire nulla. Semplicemente lo baciò e
l’altro lo ricambiò
passandogli le braccia attorno alla vita. Le loro bocche erano roventi
e
qualunque punto del viso dove le labbra si posavano sembrava
sciogliersi, come
se loro in realtà non fossero altro che stupidi pupazzi di
neve in attesa del
sole.
La città
continuava a festeggiare, a essere un calderone di rumori, di gente, di
vita e
loro invece erano lì, fermi in un piazzale pieno solo di
macchine vuote, a
baciarsi; semplicemente a baciarsi.
Lentamente
Gaara si sciolse dall’abbraccio, lasciò andare le
sue mani che aveva finito per
cercare e, guardandolo, disse:
“Non ti
avevo fatto gli auguri di buon anno nuovo. A Natale me li hai fatti tu,
adesso
era il mio turno – gli sorrise – ora siamo pari,
non trovi?”
Itachi si
passò un dito sulle labbra umide per quel bacio inaspettato
e bello, era
davvero un bacio di buon anno o piuttosto di addio?
“Già,
siamo pari – concordò – buon anno,
Gaara.”
“Buon
anno, Itachi.”
***
Sasuke
stava riscoprendo una passione sfrenata per le finestre. Non era una
nuova
forma di stravagante feticismo o di fissazione dovuta al lavoro, quando
di
necessità fisiologica. Nell’ultimo mese si era
trovato ad affrontare troppe
conversazioni difficili e a volte anche sgradite, così per
lui era diventato
automatico cercare con lo sguardo una finestra, una possibile via di
fuga, uno
squarcio sul mondo esterno che gli assicurava che non sarebbe morto
soffocato
tra le parole che faticavano a uscire fuori dalla gola.
Quel
pomeriggio era sulla solita poltrona nello studio dello psicologo, il
loro primo
incontro da prima di Natale e di cose da raccontare ce ne erano fin
troppe,
peccato che lui avesse i soliti problemi a iniziare a parlare di
sé.
Lo
psicologo non lo forzò, bensì iniziò a
fare discorsi generici a chiedergli cosa
avesse mangiato durante il cenone natalizio, o a raccontargli quanto
fosse
buono il dolce che preparava sua suocera. Era una strega, eppure quel
dolce era
meraviglioso, ma lei da buona strega intendeva portarsi la ricetta
nella tomba,
o forse era più indicato dire al rogo?
Sasuke
faceva una smorfia a quelle battutacce, che sarebbero calzate a
pennello anche
in bocca a Shisui, eppure a poco a poco si rilassava e si ritrovava a
partecipare alla conversazione fino a ritrovarsi ad essere
l’unico a parlare. E
ogni volta non sapeva se arrabbiarsi per essersi fatto raggirare da
simili
stupidi trucchetti, o essere felice perché l’altro
era in grado di farlo aprire
e buttare fuori ciò che lo aveva avvelenato per anni. Sasuke
aveva ancora le
idee confuse riguardo cosa fosse la cosa migliore per lui, per quello,
quando
gli raccontò di Gaara e della sua risposta alla proposta di
vedersi, si ritrovò
a dargli ragione.
“Certo,
ci sono rimasto male – ammise, anche se sentì lo
stomaco bruciare a quella
frase – però ho ancora delle cose da sistemare. E
poi in fondo ha detto lui
stesso che ci saremmo rivisti per lavoro, quindi non era proprio un no
secco.
Forse tra i due lui è il più lucido tra
noi.”
“O
forse
ha solo detto la cosa giusta al momento giusto. Non sopravvalutare gli
altri e
non sottovalutare nemmeno i problemi che possono avere, nessuno ha
tutte le
risposte in tasca, nemmeno tuo fratello. Per te le sue rivelazioni sono
state
una sorpresa, ma soprattutto sentirlo ammettere di avere commesso
errori;
pensavi sul serio che fosse infallibile?”
“Lei
non
conosce Itachi, tutto qui” sospirò, pensando che
gli aveva parlato del dialogo
con fratello ancor prima di quello con Gaara, forse era significativo.
“Lo
conosco dalle tue parole e, lasciati dire, che finora lo hai mitizzato
un po’
troppo. È un bene che tu riacquisisca una prospettiva
più umana nei suoi
confronti. Tuo fratello ha delle passioni, cose che odia e altre che
sopporta,
commette errori e non ha tutte le risposte, come ogni altra
persona.”
“Quindi
nemmeno lei ha tutte le risposte? E io allora perché dovrei
continuare a venire
qui?” lo provocò Sasuke. Il suo spirito di
autodifesa cercava sempre varchi e
aperture in cui intrufolarsi per ferire, stuzzicare e provocare,
perché proprio
non riusciva a rassegnarsi ad alzare bandiera bianca e lasciare che
Sasuke
vivesse senza la corazza di spine che si era costruito negli anni.
Lo
psicologo non si scompose, bensì sorrise e
accavallò morbidamente una gamba
prima di rispondere:
“Certo
che non le ho, Sasuke, altrimenti sarei Dio e di certo passerei il mio
tempo in
spiaggia a bere daiquiri – ignorò il sorrisetto
apparso sulle labbra del suo
paziente – io infatti non sono qui per darti
risposte, ma per aiutare te a trovare le tue, o meglio a tirarle fuori
da te
stesso. Perché le sai già, il problema
è ascoltarle e convincerti ad
accettarle, è per questo motivo che dovresti continuare a
venire da me.”
Sasuke si
sentì alla stregua di un palloncino bucato, un pezzetto di
plastica svuotata e
dimenticata sul pavimento. Si era gonfiato credendo di averlo colto in
fallo,
ma quello stupido uomo ogni volta rigirava la frittata e gliela
sbatteva in
faccia, facendogliela rimangiare condita da tutta l’arroganza
che lo
accompagnava sempre.
Aggrottò
la fronte e incrociò le braccia davanti al petto, tornando a
fissare la
finestra.
“Allora
mi aiuti, che diavolo di risposta dovrei trovare per quello che
è successo a
capodanno? Un mio cugino ha fatto coming-out davanti a tutta la
famiglia,
nostra nonna si è sentita male e abbiamo dovuto chiamare
un’ambulanza, suo
padre urlava che lo avrebbe diseredato, sua madre lo difendeva e altri
parenti
si mostravano schifati, guardando come se avesse una malattia mortale,
come se
fosse un rifiuto, una cosa sporca che non dovrebbe stare a tavola. Lo
hanno
accusato di essere contro natura, un disonore e… e avrei
potuto essere io
quello. Qual è la risposta a questo?”
“Che
il
mondo è pieno di ipocriti, Sasuke – rispose lo
psicologo con la sua voce sempre
controllata – o pensi che tutti i tuoi parenti siano
irreprensibili e nessuno
nasconda qualche segreto o due? Uno di quelli che a tutti piace
condannare per
sentirci migliori, perché è a questo che serve la
gogna. Ma parlami ancora di
come ti sei sentito, invece. Hai parlato con questo tuo
cugino?”
Il
ragazzo sospirò e si passò la mano tra i capelli,
bella domanda. Aveva sentito
addosso gli occhi di Itachi per tutto il tempo, sapeva che si stava
preoccupando per lui e, se da un lato la cosa da un lato lo aveva
indispettito
perché lo aveva fatto sentire un bambino bisognoso di essere
protetto,
dall’altro ne era stato felice, appunto perché
aveva suo fratello vicino,
pronto a lottare per lui. Era diviso a metà, ed era una
sensazione familiare,
perché gli pareva di vivere così ogni secondo
della sua vita, lacerato tra il
bisogno di essere il Sasuke che era sempre stato finora, quello
impeccabile che
corrispondeva agli standard della famiglia e della società,
e il Sasuke che premeva
per essere lasciato libero di respirare, quello a cui piaceva Gaara e
stare in
giro con gli amici a fare gli stupidi.
“No,
non
ho parlato con Ryuji, non l’ho difeso, né
l’ho accusato, avevo paura – confessò
– avevo paura che se fossi intervenuto in qualche modo gli
altri avrebbero
potuto leggere in me attraverso lui. Così sono stato in
disparte come un
codardo, mentre gli gettavano addosso valangate di merda e pensavo che
io non
avrò mai il suo coraggio. Anche se una parte di me avrebbe
voluto andargli vicino,
baciarlo davanti a tutti e mostrare quello che sono. Ero
così arrabbiato, ero
furioso, avrei voluto picchiarli tutti quegli ipocriti del
cazzo… non sono così
ingenuo, so bene che hanno tutti segreti.”
“Bene,
quindi rabbia, molta rabbia… e dove hai intenzione di
dirigerla questa rabbia?
Ora è questa la risposta da trovare, Sasuke. La rivolgerai
verso di te, ti
biasimerai per quello che sei, per i desideri che provi o continuerai
ad essere
arrabbiato con loro? Li disprezzerai, li eviterai; cosa
farai?”
Il
ragazzo lo guardò, con le unghie che affondavano nel
maglione morbido.
“Ho
solo
queste due opzioni?”
“Dimmelo
tu.”
Stavolta
Sasuke non tornò a guardare la finestra, ma puntò
lo sguardo sui propri piedi
che lo avevano condotto sino lì, nello studio di uno
psicologo, a chiedersi chi
diavolo fosse a ventitré anni.
“Non
lo
so, forse dovrei lasciare andare la rabbia e basta, ma…
– una pausa lunga,
difficile – io senza rabbia non so stare.”
“Cos’è
la
rabbia per te?”
“Tutto.”
Quella volta riuscì a rispondere subito, senza esitazione,
perché quella
risposta gli era molto chiara. “È ciò
che mi ha sempre dato la forza e
l’energia per andare avanti. La rabbia contro mio fratello
per essere tanto
superiore, la rabbia contro mio padre, colpevole di non considerarmi
abbastanza, la rabbia verso i miei amici meno intelligenti di me. La
rabbia è
il mio carburante e io senza non so come andare avanti, cosa sarei
senza? Come
farei senza? – lo guardò – Io non
conosco altro. Quando non sono arrabbiato mi
sento vuoto, come un teatro senza pubblico e senza attori. A cosa serve
costruire un teatro bellissimo, lussuoso, pieno di comfort se poi non
lo usa
nessuno? E io mi sento così, come quel teatro.” Si
stropicciò gli occhi,
vergognandosi per quelle parole, per quel paragone così
stupido, che diavolo
gli era venuto in mente di dire?
“Hanno
fatto l’inaugurazione?” domandò invece
lo psicologo, nient’affatto turbato.
“Eh?”
Sasuke lo
guardò, ripetendosi per l’ennesima volta che quel
tizio aveva davvero qualche
rotella fuori posto.
“Hanno
fatto l’inaugurazione? La gente sa che quel bellissimo e
capiente teatro è
aperto ed è pronto ad ospitare Shakespeare,
Molière, Sofocle? Se nessuno lo sa
come puoi pretendere che la gente ci entri?”
Sasuke lo
fissò, con un labbro che tremava appena. Se lui continuava a
respingere le
persone come poteva pretendere che queste continuassero ad avvicinarsi
a lui,
ferendosi nel tentativo di conquistarsi uno spazio, o almeno ad avere
un
accesso?
“No,
nessuna inaugurazione” rispose.
“Bene,
allora rimbocchiamoci le maniche, bisogna fare le pulizie, chiamare il
fioraio,
il servizio di catering, abbiamo un sacco di lavoro da fare”
gli sorrise.
Sasuke
sospirò e reclinò la testa
all’indietro, fissando qualche istante il soffitto
prima di sorridere all’uomo:
“Ok,
basta solo che gli ipocriti rimangano fuori.”
“Fare
gli
inviti è un tuo compito, Sasuke. Sei tu a decidere chi entra
e chi sta fuori –
lo rassicurò – sta a te, sta sempre tutto a te,
non dimenticarlo.”
L’angolino
oscuro: Miracolo di Natale, sono
riuscita ad aggiornare
e stavolta siamo alle prese con l’anno nuovo e il carico di
valutazioni,
speranze e buoni propositi che porta con sé. A quanto pare
tra Gaara e Itachi c’è
solo un arrivederci, un congelare le cose, in attesa di vedere in che
modo si
risolverà la situazione con Sasuke, mentre lui, come dice il
buon psicologo, ha
ancora molto lavoro da fare per fare l’inaugurazione del suo
teatro.
Come sempre
spero vi sia piaciuto, se vi va di farmi un regalo per Natale
lasciatemi
qualche parola per farmi sapere che ne pensate della storia XD a presto!