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Autore: Kseniya    23/12/2017    3 recensioni
[...]Il suo sguardo scivolò sulle mani di Julia.
Il tempo si fermò.
Avvertì i primi ed inconfondibili sintomi dell'infarto.
No, un momento... era troppo giovane per un attacco di cuore.
O forse no. Diamine, che importanza aveva?
SpecialGuests: Kai Hiwatari - Mao Cheng.
Genere: Demenziale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boris, Julia Fernandez, Yuri
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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~ . LE CINQUE FASI DI UNA GRAVIDANZA. ~
7.
Fase cinque: Il Fatidico Momento

 

«Yuri, sinceramente, vattene al diavolo!»
Capitava a volte – negli ultimi due mesi capitava spesso – che i coniugi Ivanov non riuscissero a comunicare. O meglio: Julia parlava, Yuri non capiva o non ascoltava neppure. E la cosa, di recente, si ripeteva per circa cinque o sei volte al giorno.
«Basta, non spreco più fiato!» sbraitò in tono tragico il russo, lanciando per aria i documenti del lavoro portati a casa controvoglia. Sì, perché se non avesse terminato la pratica entro quella settimana – a detta del suo capo – si sarebbe ritrovato costretto a cercare un nuovo impiego. Tutto nella norma, insomma. I datori di lavoro non privilegiavano gli impiegati, bensì gli schiavi – fossero loro statali, privati o in nero, non faceva testo; l'importante era che queste persone scattassero come soldatini ad ogni loro richiesta.
Quindi: no mutua, no ferie, no “mia-moglie-è-incinta-e-mi-sta-portando-all'esaurimento”. «Affari tuoi, Ivanov.» gli era stato detto con no-calanche. «Voglio la pratica pronta sulla mia scrivania entro lunedì. Il resto non m'interessa.»
E da lì era scoppiata la lite.
«Avevi promesso che avremmo cominciato a scegliere i mobili della cameretta del bambino!»
«Ed io ti sto dicendo che adesso non posso, che lo faremo più tardi.»
«Le cose che riguardano tuo figlio sono meno importanti del lavoro?»
Yuri non le rispose, deciso ad ignorarla. Prese una cartellina verde contrassegnata con il nome “assicurazioni 2017” e la posò sul tavolino di fronte al divano, aprendola e cominciando a sfogliarne i mille fogli contenuti in essa. Armato di calcolatrice e penna, iniziò ad immergersi nei redditi annuali di circa trenta clienti con richieste, esigenze e problematiche diverse.
«Sei incredibile!» esclamò Julia infine, allargando le braccia e guardando il russo con stupore. «Quindi è così? Il lavoro è più importante di tuo figlio?!»
«Il lavoro mi permette di dar da mangiare a te e a mio figlio! Quindi smettila!»
Perse il conto. Perfetto. Ricominciò da capo, sempre più nervoso.
Quelle pratiche erano state riordinate malissimo. L'idea di prendere tutti quei fogli e di farci un falò gli stuzzicò la mente. Documenti scomparsi, risolto il problema.
Ma la realtà, suo malgrado, era diversa ed offriva ben poche scorciatoie.
«Bene, allora continua pure a pensare al tuo lavoro.» concluse Julia, sedendosi sul divano a braccia conserte e guardandolo astiosa.
«E' quello che farò.»
«Benissimo.»
Silenzio. Si percepì solamente il suono emesso dai tasti della calcolatrice pigiati da Yuri. E nient'altro. Finalmente avrebbe cominciato a lavorare in santa pace.
Anche se...
Di sbieco, riuscì ad intravedere gli occhi della moglie puntati su di lui. Diede come l'impressione di volerlo perforare solo attraverso lo sguardo, di ridurlo in poltiglia.
Per la precisione Julia immaginò di trasformarlo in una polpetta e di mangiarselo.
Oh, come avrebbe voluto avere questo potere!
Lui sbuffò, seccato. «Perché non chiami tuo fratello? Oppure qualche tua amica?» susseguì a chiederle, sgarbato.
«Andrò a trovare Boris.» annunciò, alzandosi dal divano e raggiungendo la porta di casa. Abbassò la maniglia di quella conducente all'appartamento dell'amico ed entrò, non trovandolo. Così provò in camera da letto: la televisione lasciata accesa su un tipico reality americano, le persiane chiuse e il russo disteso tra le coperte a pancia in giù. Notò con estremo piacere che era solo, senza nessuna sconosciuta intorno.
Tirò un sospiro di sollievo, poi si sedette al suo fianco e cominciò a scuoterlo.
«Mh...» brontolò, girandosi su un fianco ed aprendo un occhio solo. «Julia, non adesso... ho fatto il turno di notte.»
Ma la madrilena non si arrese. «Ho litigato con Yuri.»
«Mh...» fece nuovamente, infilando la testa sotto il cuscino.
Lei glielo tolse, poi proseguì: «E' proprio uno stronzo, promette e non mantiene. Io capisco che il lavoro sia importante, che il capo lo stressi, ma a breve il bambino nascerà e non abbiamo ancora comprato neppure una culla.»
Le donne e il loro bisogno fisiologico di parlare...” pensò Boris, sbuffando e tirandosi su a sedere. Sbadigliò e si stiracchiò, cercando con le mani il telecomando sul letto ed abbassando il volume della televisione.
«Sei proprio una rompicoglioni, lasciatelo dire.» commentò acidamente poi, «Perché non vai a lamentarti con qualche tua amica? Io sono stanco, voglio dormire.»
«In Cina è passata la mezzanotte, a quest'ora.»
«E allora chiama l'altra... com'è che si chiamava? Ilaria? Hilary?»
«In Giappone è l'una di notte.»
Boris cominciò a rassegnarsi, quindi sbuffò ancora.
«Quindi sono io la tua vittima sacrificale?»
Il suo cellulare annunciò attraverso la consueta melodia l'arrivo di un messaggio; allungò una mano verso il comodino per prenderlo. Julia, incuriosita, sbirciò.
Non riuscì a credere ai propri occhi.
«Scherzi?!» strillò, allibita e confusa al tempo stesso. «Ma veramente???»
Lui, per contro, si irrigidì. Maledì lei e il suo essere così impicciona. Quando ci si metteva era davvero insopportabile.
«Ma la privacy sai che cosa sia?» si difese, svincolando l'attenzione della spagnola da un'altra parte. O almeno ci provò, sperando di riuscire nel suo intento.
Tutto inutile, ovviamente.
«Voi vi sentite!» esclamò, indicando il telefono. «Non mi ha detto niente!»
Boris si sentì inevitabilmente in imbarazzo. Non capirne la ragione lo innervosì.
«Non è quello che pensi.» borbottò, senza riuscire a guardarla in faccia.
«E allora cos'è?»
Dannazione.
Perché doveva insistere?
Si morse la lingua evitando di mandarla a quel paese senza troppi preamboli.
«Ogni tanto ci scambiamo qualche messaggio, tutto qui.»
«E..?» chiese lei con uno sguardo più che eloquente e un sorrisetto stampato in faccia che mandò in tilt il sistema nervoso del russo.
«E niente, Julia! Smettila.»
«Certo, come no... E' successo qualcosa quando era qui?»
Non le avrebbe permesso di minare il suo autocontrollo in quel modo. Mai. Quello che stava inspiegabilmente succedendo nella sua testa doveva rimanere segreto. E comunque non sarebbe riuscito a spiegarlo, perché persino lui si sentiva confuso in merito. E detestava quanto stava accadendo. Detestava Mao. Persino se stesso. Tutto quanto.
Senza volerlo ripensò al loro strano ed insolito saluto in aeroporto, al fatto che si fosse ostinato a volerla accompagnare lui personalmente senza una ragione.
A quella sua frase, ad impatto insignificante, pronunciata poco prima di andarsene, voltandosi verso di lui e cercandolo con lo sguardo.

«Boris.»
Lui alzò gli occhi. Rimase in silenzio.
«Il mio vero nome è Mei.»
[1]

Strinse i pugni e lanciò il cellulare alla rinfusa, in un angolo casuale del letto.
«Basta.» disse con voce bassa ed incrinata. «Chiudiamo qui il discorso.»
Julia percepì la tensione che prese dominio sul russo, così decise di non insistere ulteriormente. Per rispetto, perché sapeva che per lui – come lo era stato per Yuri tempo addietro – parlare dei propri sentimenti era doloroso. Dio, faceva male. Troppo male.
«Hai litigato con Yuri.» disse all'improvviso lui, come a voler fare mente locale. «Quindi cosa vuoi fare? Sfogarti?»
Lei scosse la testa, poi rispose: «Ora non più.»
«Guardiamo un film?»
Fece per accettare, quando un dolore acuto e lancinante le spezzò il respiro. D'istinto appoggiò le mani sul pancione, soffocando un urlo. Spalancò gli occhi: contrazioni.
E poi un'altra fitta, seguita da un'altra ancora. Infine sentì una strana sensazione di bagnato tra le gambe.
Oddio...” pensò, impallidendo.
«Mi si sono rotte le acque.»
Boris non riuscì più a muoversi: rimase pietrificato, come se le gambe gli fossero diventate tutto d'un tratto di marmo. La mente si trasformò in un subbuglio di pensieri sconnessi, privi di logica e caotici. Provò a dire qualcosa, ma delle sue labbra fuoriuscì un rantolo di parole soffocate e confuse. Sbiancò in volto, per quanto la sua carnagione chiara permettesse. Osservò Julia piegarsi su se stessa per il dolore, il suo viso arrossato e le mani tremolanti per l'agitazione.
«Fa qualcosa!» gli gridò, a denti stretti. Quel male la stava facendo impazzire. Era atroce.
«Che cosa dovrei fare?!»
Il russo avrebbe reagito prontamente dinanzi a qualsiasi problematica e situazione. Qualsiasi, ma non questa. La sua indole calcolatrice andò letteralmente a farsi benedire. Non riusciva a pensare, a ragionare, a fare alcunché. Ed il panico, inevitabilmente, lo attraversò come una freccia infuocata conficcata in pieno petto.
«Lavori sulle ambulanze, dovresti saperlo!» seguitò la madrilena, oramai fuori di sé.
«Io guido le ambulanze.» precisò lui, scattando in piedi e gesticolando nervosamente.
«In questi casi interviene la macchina con medico ed infermiere a bordo, noi non abbiamo le competenze.»[2]
«Devo... devo...»
Le contrazioni erano talmente forti da impedirle di esprimersi con chiarezza. Le lacrime le salirono agli occhi. La paura di non sopportare quanto stava per accadere la costrinse a sottomettersi ad una morsa agghiacciante che le aggravò sullo stomaco. Il respiro ridotto ad un sospiro. Si sentì morire.
«Aspetta qui, chiamo Yuri!»
E così dicendo, corse fuori dal proprio appartamento per raggiungere quello dell'amico. Lo ritrovò riverso su mille fogli con le mani tra i capelli, ignaro dell'imminente arrivo del figlio. Alzò lo sguardo in direzione di Boris, accorgendosi dell'agitazione che aveva preso controllo del suo corpo. D'istinto scattò sull'attenti, quasi come un soldatino. Il cuore gli mancò di un battito.
«Credo che stia per partorire.» disse solamente, «Dobbiamo portarla in ospedale.»
Yuri rimase in silenzio, incerto sul da farsi. Non riuscì a spiccicare parola.
I pensieri vorticarono nella sua testa come uno sciame d'api impazzite. Il mondo circostante gli diede l'impressione di muoversi a rallentatore. I suoni e i rumori ovattati, come se si fosse immerso nell'acqua gelida. Tutto distorto e lontano.
Stava annegando.
«Yuri, cazzo!»
Percepì indistintamente la pressione indotta dalla mano di Boris poggiarsi sul suo braccio. Il suo sguardo scivolò oltre, come se davanti non ci fosse stato nessuno.
Credo stia per partorire.
Dobbiamo portarla in ospedale.
L'eco della voce del russo risuonò con fare assordante.
Il battito cardiaco accelerato, incontrollabile. Non respirava. Avvertì la fama d'aria.
I muscoli si tesero, i nervi balzarono fuori ogni controllo.
Una voce dentro di sé gridò.
Stai per diventare padre.
Sarai all'altezza?
Sicuro?
Forse no.
Sì.
No.
Forse.
Buttati.
Oppure resta qui ad annegare.
Affoga.
«Yuri!!!»
Boris lo strattonò in sua direzione, scuotendolo più volte. Lui sembrò rinvenire.
Alzò lo sguardo, incrociando quello dell'amico di fronte.
«Sono qui.» disse in un sussurro appena percettibile. «Dov'è Julia?»
Ebbe come l'impressione di essersi appena svegliato da un lungo e traumatico sonno.
«Forza, andiamo!» gli ordinò Boris, trascinandoselo dietro. Yuri lo lasciò fare senza ostacolarlo. Quando intravide gli occhi colmi di terrore della moglie si sentì morire.
Lei, al contrario, prese coraggio, traendo forza dalla sua semplice presenza.
«Ci siamo.» gli disse, sforzandosi di sorridere. Lui annuì, insicuro.
Poi si voltò in direzione di Boris: «Guidi tu?»
«Sì, credo che sia meglio...»

Il tachimetro segnava i centosessanta chilometri orari su una strada urbana che ne imponeva un massimo di cinquanta. Boris teneva il piede fisso sull'acceleratore, senza mai spostarlo sul pedale del freno e riducendo la velocità all'occorrenza scalando solamente di marcia. Julia e Yuri erano seduti sui sedili posteriori: lei urlando in preda al dolore e lui zitto a subirsi gli insulti.
«E' tutta colpa tua!» strillò con le mani strette sul pancione. «La parte divertente l'hai avuta solo tu!»
Yuri alzò gli occhi al cielo, trattenendosi dall'impulso di buttarsi fuori dalla macchina in corsa. Gli scoppiava la testa, le tempie presero a martellargli violentemente.
Le contrazioni aumentarono d'intensità, spingendo Julia a gridare ancora più forte.
Strinse convulsamente una mano del russo, quasi al punto di stritolargliela. Questi, di conseguenza, sussultò. Le rifilò un'occhiataccia.
«Mi fai male.» le fece notare, attraverso un tono calmo e pacato. Era abituato a sopportare ben altro.
«Parli tu di male?!» sibilò velenosa lei, sostenendo lo sguardo del marito. «Tu non sai che cosa sia il dolore!!!»
Yuri evitò di spiegarle delle punizioni corporali subite al Monastero, di che cosa significasse dissanguarsi per giorni in attesa di morire. Preferì tenersi quel pensiero per sé, limitandosi e a voltarsi dall'altra parte e a fissare un punto casuale nel suo campo visivo.
«Dios mìo, che male!»
Boris, per alleviare la tensione, decise di intervenire: «Julia, vuoi che chiami qualcuno? Giusto per avvisarlo...»
Ma la madrilena non graziò neppure lui, rivoltandogli tutto l'inferno addosso.
«Ti sembra che io possa pensare a certe cose adesso?! Siete due imbecilli!»
«Chiama suo fratello.» rispose Yuri, al limite della pazienza. «E anche Mao, magari. Io avviso Kai.»
«Non so, vuoi avvertire anche Putin già che ci siamo?!» chiese con arroganza Julia, tramortita. Non ottenne risposta. Boris, nel frattempo, frugò nella tasca della giacca alla ricerca del cellulare – senza, però, distogliere l'attenzione dalla strada. Un cartello segnalava la presenza dell'ospedale principale di Mosca a dieci chilometri di distanza.
Mancava poco.
Fece per sbloccare lo schermo, quando un messaggio inviatogli da Mao lo costrinse a rimanere con gli occhi fissi sul testo da lei scritto per qualche istante.
Sai... a volte ripenso a quella notte. Vorrei riviverla, questa volta senza freni.”
Fu attraversato da un fremito. Non riuscì a capire se fosse felice o confuso.
«BORIS!»
La voce di Yuri lo riportò con i piedi per terra: volse lo sguardo dinanzi a sé, accorgendosi appena in tempo dell'automobile che aveva frenato senza alcun preavviso. Lui la evitò, invadendo la corsia opposta e rimettendosi in quella precedente.
«Cerchiamo di arrivare in ospedale VIVI, per favore!»
«Scusami, mi ero un attimo distratto.»
Senza perdere ulteriore tempo, avviò la chiamata al numero di Mao. Aspettò impaziente, imprecando tra i denti.
«Stavo dormendo, disgraziato!» rispose furente l'orientale, con voce chiaramente impastata dal sonno. «Non potevi rispondermi prima?!»
«Julia sta per partorire.» la informò, senza fare alcun riferimento al messaggio precedente. Di parlarne davanti a Yuri non se ne parlava proprio, non in quel momento almeno. «Non so come tu possa fare da lì, ma...»
Mao non gli diede il tempo di rispondere.
«Cazzo, sono le due di notte qui. Vado subito in aeroporto, vedo cosa riesco a fare.»
Chiuse la comunicazione, lasciandolo di sasso.
Quella pazza parte dalla Cina senza neanche rifletterci sopra...” pensò, ritenendola forse un po' troppo impulsiva per i suoi gusti. Lui, d'altronde, era abituato a calcolare e a pianificare ogni minimo dettaglio e questa sua indole gli rendeva incomprensibile ogni reazione dettata dall'istinto.
«Non ho il numero di Raul.» disse poi, rivolgendosi a Yuri. Questi gli fece segno di non preoccuparsi, prendendo il proprio telefono e digitando sullo schermo.
Svoltarono a destra, poi a sinistra e finalmente giunsero a destinazione.
Boris parcheggiò davanti all'ingresso del pronto soccorso, ignorando le lamentele del personale d'ospedale ed entrando attraverso le porte scorrevoli di corsa. Yuri e Julia lo seguirono, sebbene quest'ultima riuscisse a camminare faticosamente.
«Che dolore, che dolore!» piagnucolò, appoggiandosi ad una colonna in preda all'affanno.
«Respira e smettila di lamentarti, sprechi energie.»
Ivanov e la sua delicatezza.
La madrilena lo incenerì con lo sguardo, immaginando di ucciderlo con le sue stesse mani. Tese le dita in sua direzione, quasi a volergli agguantare il collo e stringerlo sino a strozzarlo.
«Non dirmi cosa devo fare! Non puoi capire cosa sto sopportando!»
«Se urli non è che migliori le cose, eh.»
E in un impeto privo di lucidità in preda al dolore, Julia conficcò le unghie sul petto del marito e cominciò a stringere – precisamente, riuscì a strappargli quei pochi peli che aveva. Contrasse il viso in una smorfia. Si morse la lingua.
«Cosa fai? Non urli?» lo schernì lei, sorridendo debolmente.
Un'altra contrazione. Le sembrò di avere un coltello piantato nel ventre.
Gridò, piegandosi sulle ginocchia ma pentendosene poco dopo: stare in piedi la faceva soffrire di meno.
Vide Boris avvicinarsi a loro, affiancato da due infermiere. Una di queste spingeva una sedia a rotelle, sulla quale la fecero sedere.
«Chi è il futuro papà?» chiese l'altra, sorridente. Yuri, in un primo momento, provò timore nel rispondere. Si scambiò un'occhiata incerta con Boris, come a chiedergli di farsi avanti per lui. Ovviamente, quest'ultimo, gli fece segno di non tirarlo in mezzo – non questa volta. Perché sapeva che non sarebbe riuscito a sopportare la vista del parto. Proprio no, lo inquietava.
Yuri sospirò, alzando una mano titubante. «Sono io.»
Si meravigliò di come risuonò bassa la sua voce. L'infermiera sorrise ancora, mettendolo ulteriormente a disagio.
«Bene, allora mi segua. Le darò l'occorrente per entrare in sala.»
«Dios mìo, Dios mìo...» mormorò Julia, chiudendo gli occhi e abbandonando il capo all'indietro. La donna alle sue spalle la rincuorò con un buffetto su una guancia, per poi cercare di distrarla parlandole del più e del meno: «Sei spagnola, cara? Sono stata a Barcellona il mese scorso.»
Iniziò a spingere la sedia a rotelle, in direzione di un ascensore. Yuri, prima di proseguire, si voltò e afferrò un braccio di Boris. Gli consegnò il proprio cellulare.
«Il numero di Raul è sulla rubrica. Avvisa anche Kai.»
«Sicuro? Non so quanto possa essere di conforto Hiwatari...»
«Boris, non è il momento!»
Alzò le mani in segno di resa, sforzandosi di non scoppiargli a ridere in faccia.
«Va bene, va bene...» rispose, «Ora va.»
Ma Yuri rimase fermo dov'era, senza dire niente. Non sembrò più un umano, ma una statua di marmo. Gli occhi fissi sul pavimento, immerso nei suoi pensieri.
Boris reagì d'istinto: lo trasse a sé, stringendolo in un caldo abbraccio.
«Forza, hai affrontato cose peggiori.»
«Non ne sono tanto sicuro...»
Yuri era rimasto con le braccia lungo i fianchi, senza ricambiare il gesto inaspettato dell'amico. Un po' perché a momenti neanche se ne accorse e un po' perché non gli riusciva lasciarsi andare a certe cose.
Boris si allontanò, lasciando però entrambe le mani appoggiate sulle spalle del russo di fronte e scrollandolo un poco.
«Reagisci!» gli ordinò severamente, «Questa è la cosa più bella che ti sia mai capitata. E poi sono ansioso di conoscere il mio nipotino... quindi, forza, fatti coraggio!»
Yuri annuì, ma non disse nulla. Fece per percorrere la corsia e raggiungere Julia – una delle due infermiere lo stava aspettando all'ingresso di una porta a due ante con su scritto “vietato l'accesso ai non autorizzati” -, quando Boris gli disse: «Ah, Yuri... mi raccomando: stai dietro.»
Lo guardò incapiente e confuso. «Perché?»
«Tu fidati di me.»

«Signora, buongiorno.» fece una donna entrando in sala, «Sono la dottoressa Borislava Novikova, l'assisterò io durante il parto.»
Julia si soffermò solamente al suo nome, rannicchiandosi sul letto e girandosi alla sua sinistra. «Non è il femminile di Boris?!» chiese, oramai preda del panico al marito al suo fianco.
«Sì, perché?»
«Presagio!»
La dottoressa, ignorando i deliri della madrilena, proseguì: «Ora controllerò la dilatazione, nel frattempo può richiedere l'assunzione di bevande o cibi zuccherini per aumentare le energie.»
Julia scosse la testa, più volte.
«Non voglio mangiare, voglio solo smettere di soffrire così.»
«Mh...» fece Borislava, arricciando le labbra. «Sei centimetri. Troppo poco.»
L'altra spalancò gli occhi, terrorizzata.
«Che cosa intende dire?!»
«Che è ancora troppo presto. Bisogna attendere che si dilati almeno di altri quattro centimetri.»
«Non sta dicendo sul serio...»
Yuri avvertì i muscoli tendersi: quanto ancora sarebbe durato questo calvario?
Mille paure si annidarono nella sua mente, spingendolo ad isolarsi dal mondo esterno e circostante.
«E' così. Cerchi di rilassarsi, tornerò tra poco a controllare.»
«No, no!» strillò Julia, «La prego!»
«Signora, si calmi! Non è la prima donna a partorire, andrà tutto bene.»

Boris passò in rassegna la lista dei contatti di Yuri salvati in rubrica.
Quando trovò quello di Raul, premette leggermente sullo schermo. Avvicinò il telefono all'orecchio ed attese una risposta. Si domandò come avrebbe reagito: lo ricordava come un ragazzo tranquillo, talvolta un po' troppo ingenuo per un modo maligno come quello... ma soprattutto aveva dimostrato di essere radicalmente legato alla sorella. Ipotizzò che fosse una questione naturale se si parlava di gemelli. In fondo loro nascevano ed abbracciavano la vita insieme, condividendo ogni primo momento contemporaneamente.
«¡Maldición!» risuonò una voce maschile dall'altoparlante, «Yuri, sono a lavoro!»
Il russo schioccò la lingua, irritato da quell'accento spagnolo che proprio non riusciva a farsi piacere.
«Veramente sono Boris.»
Una breve attesa, poi di nuovo: «¿Cómo? Huznestov?»
Roteò gli occhi, rimpiangendo di non essere rimasto comodamente a letto a dormire in santa pace come aveva programmato qualche ora prima.
«Cosa ci fai con il telefono di mio cognato?»
Silenzio. Ed infine il caos.
«Madre de Dios!!!» esclamò, palesemente agitato. «Mia sorella sta bene? Hanno avuto un incidente? Dios mìo, el niño!»
«Hey! Frena, non è succ...»
Ma il suo interlocutore non gli lasciò il tempo di spiegarsi.
«CHE COSA E' SUCCESSO???»
«Niente! Siamo in ospedale, perché...»
«In ospedale?! Dios mìo!»
Boris ci provò sul serio, ma la sua voce risuonò più aggressiva di quanto avesse voluto.
«Fammi parlare, cazzo!» esordì, seccato e al limite della pazienza.
Diverse persone si voltarono a guardarlo, chi incuriosito e chi, invece, sconvolto ed infastidito al contempo.
Raul, finalmente, si zittì.
«Tua sorella non ha avuto nessun incidente, sta per partorire.»
Non ottenne alcuna risposta. Controllò che non fosse caduta la linea, ma il countdown della conversazione continuava a proseguire indisturbato.
«Pronto? Raul?»
Nulla. Percepì un fruscio insolito, come se qualcuno avesse raccolto il telefono da terra.
«Ehm, sì...» disse una voce femminile, titubante. «Sono una collega di Raul, lui sembrerebbe svenuto.»
Boris si schiaffò una mano in fronte: era capitato senza accorgersene in un mondo popolato da deficienti.
«Gli dica di richiamarmi quando si riprenderà.»
E così dicendo, chiuse la conversazione.

Un'ora e mezza.
Julia aveva contato i secondi e i minuti, imprecando e scaricando la collera su Yuri.
Capì di essere arrivata allo stremo delle forze, che non sarebbe riuscita a sopportare quel dolore ancora per molto. Quella dannata dottoressa l'aveva lasciata lì, sola come una cretina a patire le pene dell'inferno. Non si sarebbe mai immaginata che il suo corpo fosse in grado di sopravvivere ad una simile sofferenza.
«Ho paura, Yuri. Ho paura.»
Il russo, inizialmente, non aprì bocca. La guardò negli occhi, riconoscendo il terrore che avidamente si era impadronito di sua moglie. Gli sembrò di rivedere lui diversi anni prima, ai tempi del Monastero. Trattenne il respiro, poi le strinse una mano.
«Sono qui, Julia. Sono qui con te.»
«E se non dovessi farcela?»
Il labbro inferiore di lei tremò; stava per piangere.
«Sei una donna forte, ce la farai.»
Una lacrima le rigò il viso.
«No, non lo sono...»
Yuri si chinò su di lei, baciandole la fronte ed accarezzandole il volto.
«Sì, invece.»
La dottoressa, finalmente, rientrò in sala.

Boris stava letteralmente impazzendo.
Il suo telefono continuava a squillare ogni secondo. Gli sembrò di essere in un call-center e non più in un ospedale. Mao lo stava bombardando di messaggi.
Guardò l'ora: erano trascorse due ore e ancora non aveva ricevuto notizie. Non poté fare a meno di preoccuparsi. Detestava aspettare e non sapere cosa stesse succedendo.
E se fossero sorte delle complicazioni?
No. Doveva mantenere la calma. Fasciarsi la testa prima di rompersela era contro produttivo. Si impose di tranquillizzare i nervi, rilassandosi sulla poltroncina in sala d'attesa.
L'ennesimo messaggio. Lesse il contenuto distrattamente.
Ci sei? Hai saputo qualcosa? Comunque ho trovato un volo, forse.”
Passò al secondo, il quale lo informava sull'orario d'arrivo a Mosca. Ed inevitabilmente lo sguardo gli scivolò su quello che tanto aveva catturato la sua attenzione durante il viaggio. Rimase a fissare lo schermo, rileggendo quelle parole come se celassero segretamente un significato ben preciso. Chiuse gli occhi, respirò a fondo. Poi il telefono vibrò ancora: questa volta lo stava chiamando.
«Hey, sei vivo?»
«Sì.» rispose, lapidario.
«Julia?»
«E' ancora dentro.»
Breve pausa. La sentì dire qualcosa in cinese, poi un rumore simile a quello emesso dalla portiera di una macchina richiudersi. L'eco di passi, qualcosa strusciava sul pavimento. Un trolley, forse.
«Mi sono fatta accompagnare da mio fratello.» lo informò con voce affannata.
Probabilmente stava correndo.
Allungò le gambe, provando a rilassarsi. Un peso gli aggravò in petto.
«Boris?»
Sembrava preoccupata.
«Dimmi.»
«Mi dici che cosa ti prende, per favore? Sei in pensiero per Julia?»
Esitò. Abbassò lo sguardo, strinse i pugni.
Che cosa gli stava succedendo?
Dannazione.
«No.»
Lei sbuffò, spazientita.
«E allora?!» domandò, alzando la voce. «E' per quello che ti ho scritto?»
Sentì una mano imprimergli un leggero peso; si scansò un poco, ritrovandosi Kai in piedi affianco a lui.
«Devo andare.» disse a Mao, terminando la telefonata.
«Sei bianco come un fantasma.» ironizzò il nipponico, facendo riferimento all'impallidimento del viso di Boris. Inoltre aveva un aspetto tutt'altro che allegro.
«Fatti i cazzi tuoi, grazie.»
«Rilassati.» lo ammonì, sedendosi al suo fianco. «Te l'ho detto perché sembri un becchino e metti paura.»
«Detto da te, suona quasi come un complimento.»
Sulle labbra di Kai prese forma l'accenno di un sorriso divertito. Dalla porta conducente alle sale operatorie uscì un medico, ma non sembrò interessato a parlare con loro. Difatti, dopo essere guardato intorno, si diresse con passi spediti vicino ad una coppia seduta poco più in là. Il viso dell'uomo lasciò presagire pessime notizie.
Boris si sentì sollevato e, in cuor suo, ringraziò di non essere nei panni di quelle persone. E alla fine giunse: il pianto disperato, l'urlo trattenuto fin troppo a lungo, ora liberato a perdifiato. Si irrigidì, serrando la mascella e distogliendo lo sguardo.
«Mi sembri teso.» commentò Kai, a braccia conserte e stranamente più pacato del solito. Chiuse persino gli occhi.
«Odio gli ospedali.»
«Capisco.»
Il medico ripassò davanti a loro, si fermò per un istante sulla soglia della porta. Boris si rese conto che le sue spalle stavano tremando, probabilmente scosse dai singhiozzi.
E se piangeva lui, c'era veramente da preoccuparsi.
Scattò in piedi, incapace di stare fermo. Kai lo squadrò da cima a fondo.
«Cosa c'è?» seguitò a chiedergli, inarcando un sopracciglio.
«Ma c'è da fidarsi di questo posto?»
Il suo telefono squillò ancora, per l'ennesima volta. La tentazione di romperlo in mille pezzi divenne irresistibile. Di nuovo Mao.
«Dimmi.» sibilò, teso come una corda di violino.
«Hey, Mr. Cortesia.» lo schernì lei, ridacchiando.
«
Mi sto imbarcando ora. Mi vieni a prendere tu quando atterro
Si accorse dello sguardo di Kai: aveva riconosciuto la voce dell'orientale.
Ri-dannazione.
Lo avrebbe torturato prendendolo in giro per il resto della vita. Se lo sentì. E il suo sguardo lasciava presagire quanto temuto.
Le sue remore divennero certezze.
«Vediamo...»
«Va bene, ho capito...» rispose lei, chiaramente offesa. «Ci sentiamo dopo.»
La comunicazione cessò.
Kai si schiarì la voce e Boris si preparò al peggio.
«Mao, eh...» imbastì, sorridendo sinistramente. «Allora Hilary aveva ragione.»
Il russo tornò a sedersi, oramai rassegnato.
«Cosa sa Hilary?» gli chiese, facendo intendere quanto poco propenso fosse di affrontare quel discorso. Tuttavia sapeva di non aver via di scampo.
«Ne ha parlato a lungo, ma io ho smesso di ascoltarla nel momento in cui ha pronunciato più di dieci parole consecutive. Comunque Mao le ha riferito che vi sentite spesso, che quando è stata qui avete avuto modo di stare un po' insieme in un contesto diverso dal sesso.»
A quel punto Boris impallidì ancora. E ancora.
Maledì Mao, Hilary e tutte le donne con la consueta e bruttissima abitudine di dover sbandierare ai quattro venti questioni che dovrebbero rimanere latenti e silenti.
Ma che bisogno c'era di dover parlare di tutto e soprattutto con tutti?
«Porca troia!» commentò, semplicemente.
Kai rincarò la dose: «E' così?»
«Lo vedi? Dovevo scoparmela e troncare il tutto la mattina seguente, esattamente come dieci anni fa.»
«Secondo me, superati i trent'anni, dovresti cominciare a trovarti una stabilità.»
Stabilità, ergo: guinzaglio ai coglioni.
No, era inconcepibile.
«Ma perché non chiude quella bocca una volta tanto?!»
«Se vuoi la mia disinteressata opinione, non ha fatto niente di male. Tutti si confidano.»
Boris lo guardò storto. Dovette correggersi: «Okay, va bene. Tutti tranne me, te e Yuri. Ma noi siamo diversi. Loro sono donne.»
Il moscovita puntellò i gomiti sulle ginocchia e si prese la testa fra le mani.
«Che disperazione...» soffiò flebilmente, strappando un altro sorriso ad Hiwatari.
Vederlo in quelle condizioni era uno spettacolo per gli occhi. Quasi percepì gli stessi ed inimitabili brividi dell'orgasmo.
«Ma perché ti vergogni così tanto ad ammettere che anche tu hai dei sentimenti?»
«Ti sbagli. Quelli se l'è portati via Vorkof. E poi parli proprio tu?!»
«Io perlomeno mi sono creato una relazione stabile, a prescindere da quello che possa provare per Hilary o meno. Tu neanche questo.»
«Avanti, Kai!» esordì Boris, mostrandogli un sorriso circostanziale. «Vuoi dirmi che stai con lei pur non amandola
E nel pronunciare quell'ultima parola, si avvicinò due dita alla bocca e simulò i conati del vomito.
«Non si parla di amore, Boris'ka. Si parla di sentirsi in pace con la persona giusta accanto.»
Il russo avrebbe preferito strapparsi le orecchie a mani nude pur di non ascoltare ulteriormente quella patetica conversazione. Non concepiva il bisogno di dover condividere necessariamente la propria quotidianità con una persona. Lui stava benissimo così, solo con i suoi spazi.

Julia era stremata, tramortita.
Non aveva più la forza neanche per gridare. La fronte era madida di sudore. I capelli si erano disordinatamente appiccicati al volto arrossato per lo sforzo.
Alla sua destra un'infermiera controllava i suoi parametri, alla sua sinistra – invece – Yuri le stringeva fortemente una mano. Era rimasto in silenzio per tutto il tempo, senza perdere di vista la dottoressa davanti al letto. Scrutava ogni suo movimento con meticolosa attenzione – come un lupo che cerca il punto debole di un estraneo intrufolatosi nel suo territorio.
«Forza, Julia! Spinga!» disse, incitando la spagnola a non arrendersi. «Ci siamo quasi, vedo la testa.»
Lei respirò a fondo, più volte, sino a farsi male. Contò mentalmente fino a tre, facendosi coraggio ed affrontando quel dolore che inesorabilmente la stava spingendo alla deriva. Era un'agonia. Gemette, poi trattenne il respiro. Pregò il proprio corpo di concederle la forza di non abbandonarla, di permetterle di mettere al mondo suo figlio. E fu proprio il desiderio di stringerlo tra le braccia, di accudirlo e proteggerlo che riaccese in lei un barlume di speranza.
Incrementò di forza la presa sulla mano di Yuri, poi strillò con tutto il fiato che aveva in corpo. Vide negli occhi del marito una scintilla, qualcosa che le fece capire che quella sofferenza era finalmente giunta al termine.
Ed infatti, poco dopo, udì il vagito di un bambino. Del suo bambino.
Lo vide, tra le mani della dottoressa, piccolo e bellissimo. Gli occhi chiusi, il naso all'insù ed arricciato dalla smorfia di pianto e le manine serrate in due minuscoli pugni. Scalciava e si dimenava.
Il colore verde e brillante degli occhi di Julia si sfumò dietro ad un velo di lacrime.
«Oh, mio Dio...» disse in un sussurro, sentendo il cuore scoppiarle di gioia.
Yuri nemmeno si accorse del sorriso che aveva preso forma sulle sue labbra; nemmeno si accorse di essersi avvicinato alla dottoressa per poter guardare più da vicino quella splendida creatura che sua moglie aveva messo al mondo. Volse lo sguardo in sua direzione.
«E' una femmina.»
 

Tre giorni dopo


«Ma che carina!» esclamò Mao, con due occhi completamente rapiti dalla bellezza della piccola Ivanov. «Ha i tuoi occhi, Yuri.»
Diana la guardava curiosa ed incapiente al tempo stesso, gelosamente protetta dalle braccia del papà. Questi le posò un delicato bacio sulla testa.
«Saluta la zia, Diana.» le disse poi, dolcemente.
La bambina, dopo aver cercato approvazione nello sguardo del padre, agguantò un dito di Mao. Gli angoli della sua boccuccia si curvarono all'insù, esibendo un sorriso che riuscì a far innamorare di lei tutti i presenti.
Yuri fece segno a Boris di raggiungerlo, poiché era rimasto in disparte a parlare con Julia e Raul. Quindi, seppur titubante, obbedì. Non bramava una particolare simpatia per i bambini, questo era risaputo; pertanto si era concesso di osservare la nipotina da lontano, senza oltrepassare un limite immaginario che si era imposto lui stesso.
Il motivo di tanto distacco era sconosciuto, sapeva solamente di ritenerli così fragili da aver paura persino di sfiorarli con una mano. Erano innocenti, non meritavano di intuire anche solo lontanamente l'inferno che lui si trascinava dietro da anni oramai. L'idea di esprimere anche solo l'accenno della sofferenza che dovette sopportare nella sua infanzia, lo terrorizzava. I bambini, certe cose, non dovevano saperle.
Ma quando fu ad un passo da quello che era stato il suo fedele capitano, sua ancora di salvezza e colonna portante, non poté fare a meno di sciogliersi.
Diana lo fissava con quei suoi splendidi occhioni azzurri, dedicandogli un sorriso che abbatté ogni difensiva del russo.
«Prendila in braccio.» gli disse Yuri, porgendole la figlia. Lui l'accolse tra le braccia con fare un po' impacciato, sentendosi teso e a disagio. Riferì un'occhiata all'amico che estraniò a pieno quanto poco convinto fosse.
«Non morde.» scherzò lui, «Non ha ancora i denti.»
«Sì, lo so...»
Il suo sguardo si incrociò con quella della bambina. Tutto sembrava sotto controllo.
Fece per tirare un sospiro di sollievo, ma...
Vide una manina muoversi con irruenza contro di lui. D'istinto chiuse gli occhi, attendendo il colpo. Ma questo non arrivò mai, perché Diana gli aveva appena fatto una carezza. Stentò a crederci.
«Visto? Ti vuole già bene.» proferì Yuri, gustandosi la scena. «Vuole bene persino a Kai.»
Il nipponico in questione, appoggiato al muro retrostante, si limitò a fare un cenno col capo in loro direzione.
«Bestia taciturna...» commentò sprezzante Boris.
E a quel punto Diana rise, scalciando contro il petto del russo e muovendo energicamente le manine.
«E le sei anche simpatico.» constatò Yuri, ritrovandosi a gioire della felicità della figlia. Non avrebbe mai immaginato di provare un'emozione così bella. Aveva finalmente avuto quanto di più bello ci fosse: una moglie, una figlia e l'appoggio delle persone a lui care. Proprio lui aveva ricevuto in dono quella meraviglia. Proprio lui, che da piccolo non aveva mai avuto niente; che era cresciuto nell'orrore e nelle atrocità, nell'incubo di morire ogni giorno. Ed adesso, quei ricordi, non erano solo lontani, erano divenuti irraggiungibili. Quel vuoto che aveva alloggiato nel suo cuore per anni, spingendolo a credere di essere solo al mondo, era svanito. Per sempre.
Boris tornò a rivolgere la propria attenzione a Diana.
«Moya malen'kaya russkaya kukla.»[3]
Lei, dopo aver appoggiato la testa al suo petto, chiuse gli occhi e si addormentò, sentendosi al sicuro. Mentre Julia, cingendo le spalle di Yuri, disse: «Abbiamo fatto un capolavoro, vero?»
Lui si girò un poco, quel che bastava per poter perdersi nella bellezza del volto della moglie. E alla fine, dopo anni di attesa e cogliendola di sorpresa, finalmente lo disse.
«Ti amo.»

 

[1]Questo è un punto del tutto inventato dalla sottoscritta. Nell'opera originale non vi è alcun riferimento ad un altro nome in merito al personaggio di Mao. Semplicemente ho immaginato che “Mao” in verità sia un soprannome dovuto al suo amore infrenabile per i gatti.

[2]Boris, in questa storia, è dipendente presso una pubblica assistenza.
Ora, non so come funzioni di preciso in Russia, così ho impostato la sua mansione secondo la funzionalità che vi è in Italia. In caso di codice rosso, l'ambulanza giunge sul target per soccorrere il paziente, ma il suo equipaggio viene affiancato da un medico e da un infermiere di turno su un'auto-medica.

[3]“La mia piccola bambolina russa”, in russo.


NdA: Non ci posso credere: siamo arrivati alla fine O_O''... faccio fatica a crederci!
Che dire? Voglio, innanzitutto, ringraziare tutti coloro che mi hanno seguita sin qui:
Quindi grazie a Red, a Blue, a Pinca, a Elysabeth, a LadyDiamond, ad Aky, a Pin e alla mia cara e dolce Padme86 che mi sostenuta dal primo all'ultimo capitolo di questa piccola long Ragazze, davvero... GRAZIE. Siete state tutte fondamentali, perché con le vostre recensioni mi avete dato la carica ideale per proseguire e trarre ispirazione.
Ringrazio anche i lettori silenziosi, nascosti nell'ombra, per avermi dedicato il loro tempo. Ringrazio chi ha inserito la storia tra i preferiti, dandomi modo di pensare che, forse, quello che scrivo non è poi così pessimo come credo XD.
Grazie di cuore a tutti!
Per chi fosse ancora intenzionato a seguirmi, a giorni pubblicherò un sequel che metterà in luce quanto sta accadendo tacitamente tra Boris e Mao. Sarà ambientato nello stesso periodo temporale di questa, ma incentrata su loro. Faranno la loro comparsa anche altri personaggi, come Rei, Sergey ed Ivan.
Come finirà, ancora non lo so... lo scopriremo insieme! :D
Nel frattempo, colgo l'occasione per porgervi i miei più sentiti auguri di Buon Natale e buone feste!
Alla prossima!
Un abbraccio,
Pich ora Kseniya.

   
 
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