Anime & Manga > Fate Series > Fate/Stay Night
Segui la storia  |       
Autore: Arthalmia    23/12/2017    1 recensioni
Dieci anni fa, un incendio ha inferto al cuore di Fuyuki una ferita ancora aperta. Il Graal, col suo rovente abbraccio, ha lasciato al suo passaggio una scia di desolazione e morte… e parti di sé.
Uno di quei frammenti è finito in mano ai più grandi avversari dei maghi giapponesi: la Torre dell’orologio. Aiutati dagli Einzbern, che hanno visto l’occasione come una benedizione, gli inglesi hanno sfruttato la reliquia per creare il proprio Graal e la propria guerra. Cosa succederebbe dunque se sette nuovi Master, contemporaneamente a quelli di Fuyuki, combattessero per la coppa su suolo inglese?
Genere: Dark, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Emiya Shirou, Nuovo personaggio, Sorpresa, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Il rumore di brusii e continui mormorii degli studenti riempiva l'aria. L'atrio era sempre gremito il mattino presto e a quell'ora del pomeriggio, quando i ragazzi sprecavano gli ultimi minuti di libertà per fare due chiacchiere con gli amici o scambiare appunti coi propri compagni, e la colonna sonora di quei momenti, un parlottare sommesso ed uniforme, col tempo diventava rilassante alle orecchie di chi quotidianamente si ritrovava ad attraversare l'enorme stanza.
Sulla giovane figura slanciata e dai capelli corvini che si ritrovò ad entrarvi con signorile calma, invece, non sembrò sortire alcun effetto. Nulla avrebbe potuto renderlo più tranquillo o felice, quella mattina, e calcare l'antichissimo pavimento in pietra fu quasi come entrare in città in trionfo dopo una guerra.

- Buongiorno, professore - si rivolsero a lui un paio di ragazzi del secondo anno. Waver Velvet, o meglio come nell'intimo della sua coscienza si concedeva ancora il lusso di pensare a sé stesso, ricambiò con un cenno del capo e un abbozzo di sorriso.
Sì, è veramente un buon giorno, oggi.

- A voi - rispose pacatamente.

- Di cosa parlerà la lezione di oggi, se possiamo saperlo in anticipo?

- Questo lo chiederete al mio supplente, Reinhold. Mi spiace, ma oggi non sarò io a tenere la lezione - affermò, anche se in realtà non gli dispiaceva per niente. - Ho un grattacapo piuttosto importante ai... piani alti. Se volete scusarmi...

- Un'altra giornata con quel cadavere?!

Si voltò, lasciando ondeggiare i lunghi capelli neri al vento, il volto inespressivo.
Tom Reinhold non aveva tutti i torti a definire Bruce Wines in quel modo, visti i settant'anni abbondanti e l'incredibile capacità di non riuscire a spiccicare più di dieci parole al minuto. Ultimamente, gli stava quasi cedendo definitivamente la cattedra di conferente, ma i suoi studenti avrebbero dovuto pazientare un paio di settimane, nel peggiore dei casi.
Scrollò le spalle, divertito dalle lamentele del giovane allievo. Tutto sommato provava una punta di invidia per una vita da studente così caotica come quella dell'esuberante Reinhold, sempre con la battuta pronta e che riusciva a cavarsela negli esami grazie alla pura simpatia unita a un pizzico di bravura. Tuttavia, se aver speso gli anni migliori sui libri lo aveva portato lì, non poteva lamentarsi.
Oggi non era giornata per rimpianti e lamentele, del resto, ricordò a sé stesso mentre camminava a passo svelto per gli antichi corridoi della Torre dell'orologio. Oggi, dal passato non poteva che rievocare cose buone.

***** *****

L' "impegno ai piani alti" si rivelò una faccenda ben più breve del previsto.
L'ufficio di Rocco Belfeban, responsabile del dipartimento di evocazione, lo accolse con il suo abituale odore di vecchie carte pregne d'inchiostro. I libri erano in ogni dove: dalle mensole a loro predestinate, ai cassetti, alla scrivania del vecchio Rocco, arrivando persino a occupare i sofà. Waver dovette spostarne una grossa pila pur di sedersi.

- Come se fossi a casa tua - ironizzò il vecchio. Belfeban era un vecchio ricurvo, dal viso spigoloso ai cui zigomi la pelle in eccesso si appendeva come persone in procinto di cadere in un burrone. Sopra il lungo naso all'ingiù, due inquietanti e grandi occhi color dell'oro erano pronti ad accogliere incauti spettatori, anticipando una voce cordialmente gioviale. Tuttavia, nonostante le iridi feline, l'idea di nonnetto innocente che ci i poteva fare di lui al primo sguardo non era del tutto sbagliata; da che Waver ricordava, non lo aveva mai sentito alzare una volta la voce con uno dei suoi studenti.

- Nella speranza di togliere subito il disturbo - replicò, con lo stesso sarcasmo. - Ho preso un permesso a partire da oggi, ma vengo solo a controllare che tutto sia definitivamente in regola. - Belfeban si alzò dalla sedia girevole, dandogli le spalle e guardando fuori dalla finestra. Rimase così per qualche minuto, fin quando il giovane non iniziò a temere che si fosse addormentato in piedi.

- Un messaggio degli Einzbern è giunto qui stamattina - disse poi improvvisamente. - L'ultimo, suppongo, almeno l'ultimo che tu debba sapere... sempre che tu sia ancora intenzionato ad avere un ruolo in questa storia.

- Formalmente, non ce l'ho - gli ricordò Waver. - Il Master che il Graal ha scelto per gli El-melloi non sono io.

Rocco ridacchiò. Si girò di nuovo verso di lui; sorrideva appena, ma la pelle raggrinzita agli angoli della bocca formava già un'indistricabile ragnatela di rughe.

- Come ti pare. Ad ogni modo, la quarta evocazione è stata completata stamattina. Gli Einzbern ci tenevano solo ad annunciare l'entrata definitiva in guerra del loro partecipante. Molto gentile, da parte loro! 

- Hai voglia di scherzare, stamattina... - Waver prese a torcersi l'un l'altra le dita con fare nervoso. - Tutto qui? Nessuna complicazione?

- Quale complicazione vuoi che ci sia, con un lavoro svolto dai maggiori artigiani in questo campo? Il Graal minore funziona alla perfezione e non rischia certo di spegnersi come una lampadina rotta, mio giovane lord. - L'uomo dai capelli neri schioccò la lingua, ma il movimento frenetico delle mani si arrestò. - La guerra inizierà in un paio di giorni, le sole classi mancanti sono Lancer, Caster e Rider. Consiglierei alla tua adorabile moglie di sbrigarsi, se desidera un Servant in particolare. Ha già perso l'ottima occasione di accaparrarsi un Berserker.

- Siamo preparati - lo rassicurò Waver. - Venivo semplicemente ad assicurami di nuovo che tutto fosse a posto. Il supervisore inviato dalla Chiesa non è ancora arrivato?

- E' giunto qui ieri sera dall'Italia, anche se al momento non ricordo l'ubicazione della sua parrocchia. La comunicherò a tua moglie non appena avrà eseguito il rituale. D'altronde, per te che non formalmente non sei che uno spettatore sarà meglio evitare un altro grattacapo, no?

Ma che gentile, pensò. Non disse niente, però: si limitò a sospirare. Non era irritato, nonostante le conversazioni col sarcastico Belfeban non fossero i suoi passatempi preferiti. Nulla avrebbe potuto farlo arrabbiare, quel giorno, nemmeno essere schernito da Reines per un intero pomeriggio. Salutò dunque educatamente e lasciò per l'ultima volta quello statico ufficio in cui il tempo sembrava fermarsi, rendendosi conto che in realtà vi aveva speso tre quarti d'ora buoni quando controllò l'orologio digitale che portava al polso, unica nota moderna che stonava col suo formale completo da lavoro, per venire a sapere che erano le quattro di pomeriggio. Affrettò il passo; doveva sbrigarsi, l'energia magica di Charity raggiungeva il picco massimo fra le sei e le sette. Per una maga del calibro di sua mogli sarebbe stata abbastanza anche metà del mana, ma quel giorno voleva che tutto andasse bene. Non dovevano esserci errori. Non potevano permettersene.

***** *****

Nevicava pacatamente. Dalla finestra, poteva scorgere i fiocchi cadere con meno foga, quasi volteggiando nell'aria, come le fate della neve che la signorina Illya creava come famigli quando si annoiava. Era divertente quando gli chiedeva di aiutarla a farle danzare con un po' di vento o di giocare con lei: per qualche ora aveva la sensazione di essere davvero di famiglia.
Ma la signorina Illya era partita col suo gigante folle su un aereo diretto in Giappone la settimana prima, e lui dubitava che sarebbe mai tornata. Tutti al castello di affannavano a nasconderglielo, ma non era stato difficile per il ragazzino scoprire cosa fosse in realtà la sua sorellastra. Di notte, se il silenzio era perfetto, riusciva a sentire i gemiti di dolore del piccolo Graal fino alla sua camera, nell'ala opposta del palazzo.

Albwin von Einzbern si aggiustò il bavero dell'elegante completino blu scuro, sedendosi sul muretto e tornando a guardare fuori dal finestrone verso il mondo esterno. Illya non poteva recarvisi, ma a lui nessuno aveva proibito di farlo. La città non era così lontana, se le tormente perenni decidevano di essere clementi, ed aveva spesso accompagnato miss Sella al mercato o miss Leysritt in qualche bottega magica, pur di prendere aria.
Poteva andare anche da solo, volendo. Non era il ricettacolo del Graal, nessuno lo rimproverava se oltrepassava la barriera. Probabilmente sarebbe anche potuto fuggire, correre via attraverso le colline innevate e sparire.
Non lo aveva mai fatto. Ci aveva pensato, una volta, a cosa avrebbe potuto fare se fosse scappato. Tutto ciò che gli era venuto in mente era il vuoto. Aveva riso.

Scappare dove? Aveva fosse qualcuno che lo aspettasse?
Gli Einzbern erano probabilmente gli unici a considerare la sua esistenza.
Il ragazzo sospirò. Non si lasciava mai troppo andare, ogni sua emozione veniva espressa in modo contenuto per il semplice fatto che non si lasciava mai coinvolgere eccessivamente da niente. Era come se il gelido ghiaccio tedesco avesse eretto un muro magico al suo interno che attutiva ogni notizia, bella o brutta che fosse. Come la neve che ora scendeva al suolo, era stato un bambino pacato, silenzioso, il figlio che non chiedeva nulla ma proprio per quello riceveva tutto. Probabilmente si sarebbe aperto col tempo. Lo ricordava perché era una delle frasi che sua madre diceva più spesso. Probabilmente era vero.
Poi c'era stato l'assalto.
Di quello non ricordava niente per il semplice fatto che non lo aveva visto. Nelle sue memorie di piccolo di sei anni rintanato in un armadio c'era solo il suono delle grida di uno dei suoi fratelli, forse Jan. La sua famiglia aveva tanti figli, ormai aveva persino scordato i nomi di alcuni bambini.
Che erano stati i sicari, questo lo sapeva. L'assassinio di maghi scomodi, lo avrebbe appreso con gli anni, era ben retribuito. C'erano molte persone disposte a fare il lavoro sporco per un fascio di banconote in più, come se con esso avessero potuto pulire la loro lurida anima.
Albwin era rimasto in quell'armadio per ore, anche dopo che i rumori in casa erano cessati. Quando le ante si erano aperte, stava tremando. Una giovane donna dai capelli color della neve rubini al posto degli occhi gli aveva offerto una mano. Il nome dell'omuncolo era Sianna, quello non lo avrebbe mai scordato. Era venuta a mancare due anni prima; come tutti i domestici Einzbern, la sua vita durava un massimo sei. Albwin l'aveva persino seppellita in giardino, da solo, con la signorina che guardava silenziosa.

Si alzò, rabbrividendo per il freddo sebbene la camera fosse perennemente riscaldata. A chiunque sarebbe parsa una follia anche solo pensare di lasciare quella dimora, dopo aver visto la sua stanza: era grande quanto il salotto di una normale abitazione, e costruita su due livelli. Per raggiungere il letto a baldacchino, sul quale erano sempre posate morbide coperte di velluto vermiglio, bisognava salire tre scalini coperti di un tappeto anch'esso rosso. Il suo comodino era grosso quasi quanto un armadio, più alto di lui; l'armadio raggiungeva le dimensioni di una libreria a parete, composto di quattro sezioni (tutte semivuote, vista la scarsa passione di Albwin per il rinnovo del guardaroba).
Fu all'armadio che si diresse. Ne prese un mucchio di indumenti che buttò sul letto distrattamente, gettando poi uno sguardo alla valigia. Sebbene fosse incoerente, quella vista gli dava un minimo di sollievo.
Prima della partenza della signorina Illya, la sua vita era stata vagamente piacevole. Aveva trascorso otto anni da Albwin von Einzbern in cui essa s'era dimostrata estremamente gentile con lui. Sua sorella aveva sei anni in più, ma il fatto che le fosse stata rubata buona parte dell'infanzia la faceva sembrare più infantile, per cui si erano tenuti di buon grado compagnia a vicenda. Il Nonno non parlava spesso, se non quando lo addestrava. Essendo un aerocineta, un alchimista doveva lavorare abbastanza per ottenere risultati da un tale bambino. Non era tuttavia un cattivo mago, e forniva soddisfazioni alle volte. Poter lottare senza fare affidamento su un famiglio, ad esempio.
Era stato proprio l'addio della sorellastra a peggiorare tutto. Il vecchio Acht a stento gli rivolgeva la parola, ora. Non che lo odiasse, ma Albwin intuiva facilmente il motivo di tale comportamento. Illya era andata in Giappone non per partecipare alla Guerra, ma per vincerla. Era stata concepita col solo scopo di quella vittoria e lo sapeva. Lui sarebbe stato spedito a Londra semplicemente per non sprecare un'occasione. Sianna lo aveva portato al castello e accudito col permesso del Nonno semplicemente perché egli aveva visto in quel piccolo mago un'occasione per inviare un Master più competente in combattimento senza dover rischiare che il Graal minore venisse sconfitto. In poche parole, una ruota di scorta. Albwin ruota-di-scorta von Einzbern.
Da quando lo avevano adottato, naturalmente anche a lui era stato comunicato il suo ruolo. Illyasviel e Berserker avrebbero vinto il Graal in Giappone, quello era certezza. Ma se anche la statistica avesse fallito, lui avrebbe dovuto compiere il miracolo. E il Nonno non gli parlava semplicemente perché non aveva più bisogno di dire niente. Il suo stesso silenzio era abbastanza, poiché serviva a ricordargli un'ultima volta la sua missione e quale sarebbe stato il suo destino in caso di fallimento; meglio che non tornasse, se non era con il Graal.
Per questo avevano trafugato quella tomba in Francia e gli avevano dato il Servant.

Il Servant. Saber, d'Artagnan, il capo dei moschettieri. Non un Servant formidabile come il bestiale Eracle, ma un'ottima unità se sfruttata a dovere, così gliel'aveva presentata il Nonno.
Probabilmente ora era a fare un giro per il palazzo come Albwin gli aveva concesso. Lo avrebbe richiamato solo al momento definitivo della partenza, decise infilando gli ultimi abiti in valigia. Acht doveva ancora consegnargli il bagaglio più importante, quello che avrebbe dovuto sorvegliare ventiquattr'ore al giorno. Quello che lui aveva amabilmente sostituito otto anni prima.
Chiuse la valigia. Rimase per un po' sulla porta della camera che r così tanto lo aveva ospitato, chiedendosi se sarebbe mai tornato a rimettervi piede. Scosse la testa. Avrebbe vinto, indipendentemente da Illyasviel. Avrebbero reso il Nonno doppiamente fiero e forse loro due, una volta tornati, sarebbero potuti essere una famiglia. Lo pensò senza abbandonarsi a fantasie puerili, come un monito a non fare il minimo errore.
Gli servì  trovare il coraggio di chiudere a chiave quella porta e a portare l'oggetto con sé.

***** *****

La scalinata principale del castello gli apparve ancora più solenne quel giorno, immersa nella penombra azzurrata data dal portone ancora accostato. Solo un raggio di luce ne feriva trasversalmente i gradini alla base.
Jubstacheit von Einzbern lo attendeva alla base di quest'ultima, nella solita tunica bianca, come i suoi capelli. Aveva l'aspetto di un templare invecchiato. L'espressione solenne sul suo volto sembrava esservi stata scolpita al momento della nascita: non una volta Albwin ne aveva visto le rughe della fronte distendersi o gli angoli della bocca inclinarsi in un sorriso, nemmeno con sua nipote.
Il Nonno aveva sempre diretto la famiglia con la massima dignità, senza lasciar trasparire in alcuna occasione le proprie emozioni; in questo il ragazzino si sentiva di assomigliargli. Aveva sempre compiuto le scelte necessarie per il bene superiore degli Einzbern, mai per il proprio.

- Buongiorno, Nonno - salutò educatamente Albwin. Solo allora si concesse di guardare alla destra del vecchio, laddove si trovava la sua silenziosa accompagnatrice. Non fosse stato per gli eleganti vestiti arancioni che portava, nulla l'avrebbe differenziata dalle cameriere e dalle cuoche. Possedeva i tratti tipici di ogni abitante del castello: capelli candidi come neve e grandi occhi cremisi. Era bassa, magrolina e il giovane sapeva già che sarebbe stata di costituzione gracile e salute cagionevole, non avrebbe mai provato l'emozione di una corsa sfrenata né quella di giocare con i suoi coetanei. Dimostrava dodici o tredici anni, ma probabilmente non aveva più di dodici ore di vita. Sarebbe stata una maga eccelsa, ma mai una combattente. E soprattutto, sarebbe stata un Santo Graal.

- Buongiorno, Albwin. - La voce del Nonno riecheggiò per l'atrio in un rimbombo che faceva male alle orecchie.

- Buon...gior...no - esalò l'omuncolo con voce cristallina, rivolgendogli per la prima volta uno sguardo. - Fra...tel..lo.

- Sì... sì, fratello - le rispose lui, per essere educato. Scese i gradini e li raggiunse. La sua attenzione tornò ad Acht. - E' tutto pronto... posso chiamare il Servant e partire in ogni momento. - L'altro annuì:

- Prima che tu lo faccia però è opportuno scegliere la dama che accompagnerà te e tua sorella. - La piccola inclinò impercettibilmente gli angoli della boccuccia rosea, producendo un maldestro e tremolante sorriso.

- So..rel..la... sorella! Sì! - Esclamato ciò, sussultò e si strinse nelle spalle. - Yan...nah...

- Yannahviele - concluse per lei il Nonno. - Ho speso l'ultima settimana per crearla, ma deve ancora imparare bene a parlare. A parte questo, non dovrebbe avere problemi. Tuttavia, la qualità di Illyasviel non è raggiungibile da un omuncolo comune... appunto di ciò volevo parlarti prima di lasciarti partire. Mi pare scontato dirti che da questo momento Yannahviele sarà la tua più grande responsabilità, dopo il vincere la Coppa.

- Sì... ma certo.

- Per non gravare sulle tue spalle, ho scelto una domestica in grado di lottare per difenderla in caso di pericolo, se tu fossi impegnato. Tuttavia, se tu e il tuo Servant foste presenti in un momento del genere, mi sembra altrettanto scontato rammentarti che dovrai fare di tutto per combattere, anche sacrificare lo stesso spirito. Sono stato chiaro, Albwin? - Quell'ultima frase fece quasi tremare i muri.

- Chiarissimo, Nonno. - Abbassò lo sguardo, concentrandosi sui fronzoli della gonna di quella bambina. Era grato della concessione di una serva. Se per badare a quella ragazzetta avesse dovuto distrarsi dalla Guerra, non e lo sarebbe mai perdonato. Se avesse perso il Graal per causa sua l'avrebbe uccisa come lei avrebbe distrutto la sua, di vita. - Ordinerò a d'Artagnan di tenerlo a mente.

Tu, è ora. Hai finito la tua esplorazione?

Bastarono pochi secondi perché la risposta giungesse.
In una tenue luce azzurrata, un uomo di circa trent'anni comparve improvvisamente fra loro. I lunghi capelli castani ondeggiarono per poi ricadere sul candido mantello che copriva la divisa azzurra e gialla. Sopra di essi, su di un grosso cappello blu a falda larga, una piuma verde faceva bella mostra di sé.

- Cappel...lo! Che bello! - si complimentò Yannah. Charles d'Artagnan si inchinò al cospetto della giovane con signorile grazia. Ad Albwin piaceva. Non aveva un temperamento troppo esuberante, ma nemmeno era troppo simile al suo Master; sapeva essere un ottimo conversatore e vantava una spiccata simpatia ed un educazione impeccabile, ciò che ne amava maggiormente.

- Ciò mi lusinga. Qual è il nome della fanciulla che mi reca tanta felicità? - L'omuncolo sgranò gli occhi, confuso.

- Lu...sin...ga... cosa signi..fi... - Il Servant guardò Albwin, perplesso.

- Ho per caso esagerato, Master?

- Ha poche ore di vita. Non sa parlare - replicò lui. - E' la mia nuova sorella, Yannahviele. - Non gli piaceva quel nome, ma sapeva che non avrebbe potuto abbreviarlo davanti al Nonno. - A partire da ora sarai al suo servizio come al mio. Intesi, Saber? Non devono farle male per alcun motivo.

Jubsacheit von Einzbern annuì soddisfatto. Saber si inchinò nuovamente, stavolta al cospetto di Albwin.

- Eseguire gli ordini è per me un onore.

- In questo caso - riprese la parola il vecchio. - Direi che non abbiamo più nulla da dirci, Albwin von Einzbern. Che Dio ti sia favorevole.

Albwin a Dio nemmeno credeva, ma fece uno sforzo, per quella volta. Se non lo avesse aiutato Lui, dubitava avrebbe mai più avuto ragion di vita.

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Fate Series > Fate/Stay Night / Vai alla pagina dell'autore: Arthalmia