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Autore: Red_Coat    24/12/2017    2 recensioni
Questa è la storia di un soldato, un rinnegato da due mondi. È la storia del viaggio ultimo del pianeta verso la sua terra promessa.
Questa è la storia di quando Cloud Strife fu sconfitto, e vennero le tenebre. E il silenzio.
Genere: Angst, Guerra, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cloud Strife, Kadaj, Nuovo personaggio, Sephiroth
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Più contesti
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- Questa storia fa parte della serie 'L'allievo di Sephiroth'
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«Victor. »
 
Una voce.
La Sua.
Sephiroth lo chiamò, e il Soldato riaprì all'improvviso gli occhi, fissando il buio attorno a sé.
Non c'era nessuno, ma lui lo sentiva. Sentiva la sua presenza, forte e chiara come la luce del giorno che subito dopo, non appena richiuse le palpebre in ascolto, esplose attorno a lui.
Rumore di passi. Appena percepiti, ma inconfondibili.
Felpati come quelli di un felino, marziali, precisi e lenti, calibrati.
Riemergendo dal buio Sephiroth gli apparve davanti, a pochi metri, sogghignando impercettibilmente.
I lunghi capelli sciolti dietro la schiena nuda, indosso solo gli anfibi e i pantaloni di quella che era stata la sua uniforme, un tempo.
Tagliò la distanza che li divideva avanzando sicuro e inginocchiatosi lo osservò con attenzione, imperscrutabile.
Quindi appoggiò delicatamente una mano sulla sua fronte, trovandola fredda e sudata.
Si scurì. Victor tremò, sussurrando con un filo di voce prima il suo nome e aggiungendo poi, per la prima volta consapevolmente, quel nomignolo che gli era ormai diventato famigliare.
 
«Niisan ...»
 
Un singhiozzo strozzato. Un sottilissimo mormorio tremante. A questo si era ridotta la sua voce sicura.
E il suo corpo non aveva neanche più la forza di muoversi.
Non era la prima volta che gli succedeva, ma questa.
Questa era diversa.
Molto più grave di tutte le altre, soprattutto per la sua anima quanto per il suo corpo.
Il Generale sorrise di nuovo, passando quella mano dalla sua fronte sui suoi occhi e poi appoggiandola sulla sua destra.
Osaka tremò di nuovo, trattenendo il fiato mentre un inevitabile flashback ritornò prepotente a scuoterlo.
L'incidente nella hall del quartier generale, l'operazione per salvarlo.
Sorrise commosso e rinfrancato, e una lacrima scivolò veloce dai suoi occhi fino a perdersi nel vuoto sotto di lui.
Anche Sephiroth sorrise, in quello che però sembrò di più un ghigno, continuando a restare così ancora per qualche istante per poi alzarsi, e far finta di andarsene.
"No!" riuscì solo a pensare il suo allievo, e la paura lo indusse a riaprire gli occhi, ritrovando i suoi, dopo tanto tempo, puntati direttamente contro la sua anima.
Non se n'era andato. Non ancora.
E anzi, quando lo vide tornare a guardarlo addolcì la sua espressione e si chinò verso di lui, porgendogli la sinistra in suo soccorso.
 
«Vieni, Victor ...» disse amorevole «Vieni con me. Combattiamo, insieme. Vendichiamoci.
Io e te.
Da bravi fratelli ... vuoi?»
 
Osaka rimase a fissarlo col viso invaso dalle lacrime, e una smorfia di dolore sulle labbra che, lentamente, si tramutò in un sorriso grato.
Annuì, mormorando appena un “sì” in risposta.
Quindi si rialzò, e afferrò forte la mano del suo Generale che tornò a fissarlo soddisfatto e serio, determinato, mentre aiutandolo a rialzarsi gli restituiva le forze trascinandolo con sé, in quell'oscurità di cui in fondo faceva già parte, dal momento in cui questa e il dolore avevano empito il suo cuore al punto giusto da farlo strabordare.

 
***
 
Sveglio.
Sono sveglio. Adesso.
Ma ...
...
Cos'è...?
Se ...
Sephiroth ... cosa ...?
Cos'è questa forza? Questo potere oscuro che brilla nelle mie mani, l'ombra che divora i miei palmi. La notte nei miei occhi.
Non dovrei ... esserlo.
Così ...
Forte.
Così potente.
Eppure lo sono.
Lo sento.
Posso divorare una vita solo stringendola nelle mani, fa male ma posso farlo.
Trasformarla in niente, annullarla, bere la sua energia come fosse acqua o lasciarla semplicemente tornare al lifestream.
È strano, ma ... posso farlo.
L'ho già fatto.
Con gli abitanti del villaggio, con Mila che mi è appena tornata davanti agli occhi qui, nei bassifondi, e anche col suo ragazzo.
Io ...
L'ho fatto.
E sto bene ...
...
Mph, si. Si, sto bene.
Io ...
Cos'ho fatto...?
Perché... io ...?
Midgar?
Di nuovo?
Che ci faccio qui?
Come ... io come ... come ci sono arrivato?
Dov'è casa?
 
\\\
 
Vacillò nuovamente come qualche ora prima, quando senza neanche accorgersene si era rialzato da terra e stancamente si era diretto verso la stazione, lasciandosi alle spalle il lago ormai ridotto a un cumulo di grigie pietre e salendo sul treno che lo aveva condotto lì, di nuovo a Midgar.
Era collassato di nuovo su uno dei sedili e aveva trascorso incosciente e o quasi il viaggio di ritorno, si era svegliato giusto in tempo per scendere e lungo il cammino senza sapere come si era ritrovato nei bassifondi, lungo la strada che portava verso il luogo del disastro.
Lì i suoi occhi avevano incrociato di nuovo quelli sorpresi di Mila, la sua prima fidanzata, colei che si era vergognata di avere un ragazzo SOLDIER e lo aveva lasciato prima che potesse arruolarsi.
Ora lo aveva riconosciuto tra la folla e staccandosi dal ragazzo che la accompagnava era accorsa, afferrandolo per un braccio ed esclamando contenta il suo nome.
E lui, dopo essersi voltato a guardarla, si era limitato a guardare curioso la luce scura che dalla rabbia che aveva in cuore riemerse sulle sue mani, e con quella l'aveva uccisa, agganciando con quella nuova forza oscura la sua energia vitale e staccandogliela con violenza dal petto.
In un attimo l'aveva vista annegare e dissolversi, gli occhi sgranati per la paura.
Con curiosità, come un bambino che assiste per la prima volta al fenomeno della pioggia.
Il ragazzo che era con lei aveva urlato il suo nome, gli si era avventato contro con l'intento di afferrarlo per il colletto e riempirlo di pugni ma lui aveva alzato il palmo della mano contro di lui con un ghigno e in un secondo anche quello era scomparso, dissolvendosi.
Il resto della gente era fuggita a nascondersi, lasciandolo solo nella piazza improvvisamente deserta.
Victor a quel punto era tornato a guardare frastornato e curioso la sua mano, quindi aveva sogghignato e aveva ripreso a camminare, vacillante come un automa malconcio.
Fino a che di fronte alla porta della casa che lo aveva visto nascere i volti sconcertati e preoccupati di sua madre e del dottor Fujita non gli erano apparsi.
Solo allora, stremato e stranamente dolorante, aveva finalmente deciso di tornare a dormire, ignorando le poche domande che i due riuscirono a rivolgergli e trascinandosi fino alla stanza da letto del nonno materno per poi abbandonarsi sul letto e chiudere gli occhi.
Nuovamente divorato dal buio e dal silenzio.
 
\\\
 
Erriet si accasciò sul divano, sconvolta.
Il viso rosso, gli occhi lucidi e una mano sul cuore.
Respirava a fatica.
Yukio le preparò in fretta un bicchiere d'acqua e accorse a porgerglielo, inginocchiandosi di fronte a lei e stringendole la mano.
Tremava così tanto che non riuscì nemmeno a sollevarlo per portarselo alla bocca.
 
«No ...» ripeté senza fiato per un paio di volte.
 
Le lacrime iniziarono ad inondarle il viso.
 
«Papà, ti prego dimmi che non è come dicevi tu.»
 
Lui non rispose, abbassando il viso.
Se Victor era tornato solo e in quelle condizioni, invece, la risposta non poteva che essere affermativa.
Non aveva idea di cosa fosse sul serio accaduto, ma ... alla fine anche Hikari aveva lasciato quel mondo.
Non c'era altra spiegazione.
Ecco come iniziava il destino che avrebbe portato alla visione spaventosa del futuro che aveva avuto.
Col sacrificio delle persone che l'antieroe amava di più.
Affranto chinò il capo, e il suo silenzio fu più valido di mille risposte.
 
«Perché ...?»
 
L'implorazione sentita di Erriet si perse in un singhiozzo.
 
«Perché doveva essere per forza in questo modo, papà?  Non è giusto!» protestò disperatamente scuotendo la testa e aggrappandosi alla sua mano «Non è giusto per nessuno. Victor ...» si fermò a riprendere fiato «Lui è buono. Non ha mai fatto male a nessuno, non lo avrebbe fatto se la vita fosse stata più clemente con lui.»
 
Mikio annuì, sospirando.
 
«Si, Erriet.» le rispose dolcemente «Lo so. Ma è così, solo così, che potrà compiere ciò a cui è stato chiamato. Il dolore e la sofferenza, la rabbia ...» le spiegò con comprensione, resistendo al magone che quelle lacrime provocavano nel suo cuore «Soltanto loro potranno aiutarlo a comprenderci, ad ascoltare le voci fuori dal coro, quelle che nessuno vuole ascoltare. Capire quella parte di noi che ... in fondo non lo vuole, un mondo così. Una vita a metà.»
 
Quindi le prese le mani e le strinse forte tra le sue, guardandola negli occhi.
 
«Solo in questo modo saprà prendere la scelta giusta, Erriet. Devi avere fiducia in lui come ne hai avuta fino ad oggi.»
«Ma soffrirà, papà!»
 
Mikio la abbracciò forte, accogliendo il suo pianto.
 
«Ma smetteremo di farlo insieme.» concluse, mormorando appena «Come una famiglia.»
 
***
 
(Quattro giorni dopo …)
 
Eris Dawson, 27 anni, vedova Newell.
Non era stata una vita facile la sua, ma se messa a confronto con quella orribile avuta dal suo amato consorte, Nigel, costretto a crescere solo nello squallore dei bassifondi, rinunciando alla scuola e rubando per guadagnarsi da vivere e riuscire così a far da padre al suo fratellino più piccolo, le sue sofferenze erano state solo piccole difficoltà.
Nata da un madre single, cresciuta assieme a lei e ai suoi genitori che in fin dei conti si erano sempre sforzati di sfamarla e darle una casa in cui crescere nonostante non apprezzassero quell'errore di gioventù della loro unica figlia.
Anche lei aveva sempre dovuto darsi da fare per la famiglia, soprattutto dopo la morte di suo nonno e la lenta malattia che anni dopo si era portata via anche la nonna. Erano rimaste solo lei e sua madre, fino alla notte in cui un rapinatore era entrato dentro casa e aveva minacciato di ucciderle entrambi.
Era stato allora che quel soldato coraggioso aveva fatto irruzione nella sua vita, salvandole con eroismo e incatenandola a sé dal cuore.
Era stato un colpo di fulmine.
Stupendo.
E altrettanto stupendi erano stati gli anni trascorsi insieme, fino all'ultimo istante.
Due realtà fragili che unite si fortificano, stringendosi di più.
Sembrava quasi fossero diventati invincibili, ma poi la vita era tornata a ricordarle che nulla va mai come ci si potrebbe aspettare, e si era ritrovata solo con un bambino, il loro bambino, da crescere.
Non era facile, e all'inizio aveva creduto di morire tanto era stato il dolore.
Ma poi aveva scoperto che in realtà Nigel non aveva smesso di starla accanto, anche e soprattutto attraverso le gesta di quell'uomo buono di nome Victor Osaka, che era stato colui dal quale Nigel aveva appreso tutto ciò che li aveva uniti.
Quel SOLDIER dall'aspetto scuro ma dal cuore grande le era stato vicino, aveva fatto in modo che si riprendessero e con l'aiuto della sua meravigliosa famiglia (la sua dolcissima moglie Hikari, il loro tenero figlio Keiichi e perfino sua madre, la gentile Erriet) le aveva dato quel coraggio e quel conforto di cui aveva bisogno per andare avanti.
Le era profondamente grata ma dentro al cuore, molto in fondo, in un posto talmente infimo che perfino lei non sapeva esistesse ... a volte si ritrovava a pensare a quanto sarebbe stato bello se, proprio qui e adesso, loro due avrebbero chiuso gli occhi e il pianeta li avesse richiamati a sé, riunendoli a quel pezzo che mancava.
Era una vocina sottile, anche un pò egoista forse, ma ... a volte ... accadeva.
E prima di addormentarsi lei stringeva al petto il suo bambino pregando che quel momento tanto lontano arrivasse in fretta, perché le mancavano davvero tanto quegli occhi e non voleva che suo figlio crescesse senza averli mai neanche visti.

 
\\\
 
Era sera, circa le ventuno e quaranta.
La giovane donna aveva appena finito di rassettare la cucina e levandosi il grembiule si avviò verso il salotto silenzioso, per riprendere in braccio il suo bambino e andare a dormire insieme nel lettone.
Era esausta.
Ma un sorriso apparve sulle sue labbra quando, alla luce fioca dei neon arancioni fuori dalle ampie finestre vide un'ombra famiglia che stringeva tra le braccia il piccolo, già addormentato.
 
«Capitano ...» mormorò felice e sollevata.
 
Quello sollevò gli occhi verso di lei, e le pupille feline scintillarono della luce tipica di ogni SOLDIER.
Non disse nulla.
Il suo sguardo era serio, i suoi occhi pieni di lacrime che continuavano a restare intrappolate tra la pupilla e la palpebra, ma lei non si accorse di nulla perché era buio.
 
«Che bello rivedervi.» lo accolse avvicinandosi «Era da un pò che non passavate a trovarmi. Siete solo? Vostra moglie e vostro figlio stanno bene?» domando, interessandosi grata.
 
Avvolto dell'oscurità, il SOLDIER smise di colpo di accarezzare la testolina mora del piccolo e tornò a guardarla. Assorto. Smarrito.
Devastato.
Fu quella la prima volta che Eris vide quella strana espressione sul suo viso, ma non ci fece poi più di tanto caso attribuendola a stanchezza. Pure se un leggero velo di angoscia calò all'istante sul suo cuore.
 
«Si ...» mormorò poco convinto in risposta Osaka, dopo averci pensato qualche istante su «O almeno ... io spero di si ... anche se ...»
 
Un sorriso che si trasformò presto in una smorfia, spentasi velocemente come un fuoco di paglia.
Il capitano si alzò di nuovo, e le restituì suo figlio accarezzandolo un ultima volta dolcemente.
 
«Ecco ...» mormorò piano «Tienilo bene.»
 
Poi si guardarono negli occhi. Lei gli sorrise ringraziandolo e lui fece lo stesso, intenerito.
La osservò in silenzio portarlo nel lettone e rimboccargli le coperte con amore, accarezzandogli la fronte e lasciandogli su un tenero bacio.
 
«Era stanco.» mormorò quindi vedendola ritornare «E anche tu lo sei ... vero?» le chiese all'improvviso.
 
Eris lo guardò confusa e sorpresa. Il sorriso le morì un pò sulle labbra.
 
«Si vede così tanto?» domandò abbassando gli occhi e scostandosi una ciocca di capelli biondi da davanti al viso.
 
E fu allora che, senza preavviso, Victor le posò una carezza sul capo, sorridendole per tranquillizzarla.
Lei si immobilizzò a guardarlo, sempre più stranita e ora anche un pò inquietata, anche se ancora troppo poco per scappare.
Era che ... era strano.
E triste.
Di quella stessa tristezza di cui era fatta quella sottile vocina autodistruttiva.
 
«Si, piccola ...» le rispose, parlando come a una bambina spaventata «Ma non preoccuparti ... tra poco potrai riposare.»
 
Poi fece ricadere la stessa mano davanti ai suoi occhi, e di colpo questi le si chiusero, pesanti e assonnati.
Victor la prese tra le braccia prima che ricadesse al suolo, la sistemò con cura vicino al piccolo che dormiva dello stesso sonno, e dopo averle rimboccato per l'ultima volta le coperte li osservò in silenzio ancora per qualche istante, le lacrime che pian piano iniziarono a rigargli silenti il volto, per poi alzare verso di loro il palmo aperto della mano destra e regalare a entrambi l'oblio, strappando via da loro le loro energie vitali permettendogli di raggiugere nel lifestream quella del loro marito, amico e padre, ma dissolvendo per sempre i loro corpi mortali, consegnandoli all'eternità e al pensiero.
Quello che da oggi avrebbe preservato i loro ricordi.

 
\\\

 
«Buonanotte ... Victor Jr.
E …
Chiedi scusa a tuo padre da parte mia, per averci messo tanto.»
   
 
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