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Autore: piccina    27/12/2017    2 recensioni
"Non era mai stato un padre tradizionale, ma a quel figlio voleva bene e sentiva che in questo momento aveva bisogno di lui"
Brian alle prese con la difficile adolescenza di Gus fa i conti con il suo essere padre. Justin è al suo fianco.
Idealmente circa una decina di anni dopo la 5X13
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Kinney, Gus Kinney, Justin Taylor, Lindsay 'Linz' Peterson, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Manco da una vita, scusatemi, spero che queste poche righe vi aiutino a perdonarmi. Grazie e ancora grazie a chi legge e lascia un commento. A presto, spero.

“Un genio. Inutile, non ce la farò mai…” lo aveva lasciato libero di compiacersi prima di aggiungere con noncuranza
“A proposito Jus, non sono rincoglionito come credi, è presto per prenotarmi il posto al ricovero per anziani”
Il marito lo aveva guardato senza capire, così Brian aveva continuato, sminuzzando un boccone di pane: “Mi posso scordare tutto, ma non il compleanno di Gus” e dopo una piccola pausa, a voce bassa in modo che potesse sentirlo solo lui “e la sera che ti ho scopato la prima volta”
Justin era scoppiato a ridere. “Te ne sei accorto. Nessun anniversario, solo il desiderio di uscire con mio marito, ma come perdere l’occasione di menartela. Per le ricorrenze sei uno scandalo, questo è assodato”
Brian l’aveva squadrato dall’alto,  aveva puntato la lingua contro la guancia e l’aveva osservato con aria strafottente.
Un’espressione tipica che aveva, da sempre, la capacità di eccitare il ragazzo che si era umettato, in un gesto istintivo, le labbra “e perché non me l’hai detto subito?”
“Perché mi piace quando credi di avermi preso per il culo. Però noi sappiamo bene che avviene di rado”  
Justin aveva scosso la testa, con divertita rassegnazione. Fosse mai che Brian perdesse un’occasione per un doppio senso.
“Chiedi il conto, perché mi sa che è una di quelle volte” e con breve cenno l’aveva portato a seguire con lo sguardo la mano che, al riparo del tovagliolo, si indirizzava all’inguine gonfio di desiderio.
“Pago io? - aveva scherzato, richiamando con un gesto del capo l’attenzione del cameriere - ma non mi hai invitato a cena tu?”
“Fai veloce - si era alzato - vado a chiamare un taxi” e l’aveva lasciato a estrarre dal portafoglio la carta di credito. Aveva aggiunto una generosa mancia e aveva raggiunto il suo dispettoso biondino sul marciapiede nel preciso istante in cui il taxi stava accostando. Gli aveva tirato una pacca sul sedere, mentre apriva la portiera.
“Taccagno e arrapante” aveva commentato sul sorriso di Justin che si accomodava accanto a lui.  Gli aveva posato la mano sulla coscia e Justin l’aveva coperta con la sua mentre dava l’indirizzo al conducente.
La mano era più piccola e non riusciva a coprire completamente la sua, lo sguardo di Brian era caduto sul brillio all’anulare sinistro che la luce dei lampioni, attraverso i finestrini, accentuava. Aveva fatto fatica ad abituarsi a quel cerchietto d’oro, per più di un anno lo aveva tormentato, girato, sfilato e rimesso in continuazione.
In ufficio ci giocava facendolo roteare come una trottola sul piano di cristallo della scrivania, mentre rifletteva o parlava al telefono, ma quando per un esame di controllo, uno dei tanti che non gli permettevano di dimenticare che aveva avuto il cancro, gli era stato chiesto di toglierlo e l’aveva depositato nella vaschetta azzurra che l’infermiera gli porgeva, beh si era accorto improvvisamente di sentirsi nudo e non perché sotto il camice ospedaliero, effettivamente, non portasse niente.
All’uscita dal policlinico aveva indossato la fede con una velocità che l’aveva stupito. Da quel giorno non l’aveva più tolta di sua iniziativa e vederla al dito di Justin continuava a dargli un piacere leggero. Non era certo, però, che l’avrebbe mai ammesso. Con la mano libera aveva sfilato il cellulare dalla tasca del cappotto.
“Ciao Brian” aveva risposto la voce ancora giovanile della suocera “dimmi?”
“Ciao, tutto ok con i ragazzi?” Incredibile, stava facendo una patetica telefonata di verifica come un qualunque dannato padre eterosessuale. “Il padre di Paul è appena passato a prenderlo, adesso io e Gus ci facciamo una tisana e ci vediamo un film. State tranquilli e passate una buona serata. Mi fai parlare un secondo con Justin?”
Senza rispondere aveva staccato l’apparecchio dall’orecchio e l’aveva porto al marito. “Eih Ma”
“Ciao tesoro, Gus mi sembra stare bene, anche se forse ha voglia di sfogarsi un po’ e le nonne ci sono per questo. Se mi dirà qualcosa di importante lo farò sapere subito a Brian, digli di stare sereno. È tutto a posto. Passate a prendere Gus domani mattina o se ne torna in treno?”
“Non ne abbiamo ancora parlato. Vi sappiamo dire qualcosa in mattinata, ok?" E dopo averla salutata aveva chiuso la comunicazione e restituito il cellulare al legittimo proprietario.
“Dice che devi stare tranquillo”
“Sono tranquillissimo”
Gli aveva passato le dita all’attaccatura dei capelli dietro la nuca e tamburellato piano. “Certo, come no.” Brian aveva scrollato le spalle e guardato fuori dal finestrino le immagini dei palazzi che scorrevano via veloci.
“Mi sembra un po’ troppo tranquillo dopo la bomba che ha sganciato. Mi pare la calma prima della tempesta”
“Certo non è finita qui, ma non ci resta che aspettare ed essere pronti a sostenerlo. Vedrai che gli farà bene stare un po’ con mia madre, hanno sempre parlato un sacco quei due” Era seguito qualche minuto di silenzio. “Non pensavo che ti avrei mai sentito fare una telefonata come questa. Non lo facevi neppure quando Gus era piccolino. Sei carino in versione apprensiva”
Si era voltato di scatto, molto sdegnato e Justin sapeva cosa gli stava passando per la testa - Un peluche è carino, un cucciolo è carino… Io non sono carino.-
“Sei sempre un gran bel papà” lo aveva stoppato, tirandolo verso di sé per un bacio tutt’altro che carino.  

Jus aveva lanciato qualche banconota, sicuramente sufficiente a pagare la corsa, sul sedile vuoto a fianco al tassista, avevano salutato al volo ed erano corsi, come due ragazzini, verso il portone di casa.
Non avevano aspettato il montacarichi e avevano salito le scale, due scalini per volta.
Era Justin a trascinare Brian tenendolo per mano e non gli aveva dato requie mentre tentava di infilare la chiave nella toppa. Aveva trascinato la porta dietro di loro e brusco aveva strattonato Brian contro la spallina in muratura della cucina.
“Cristo, Jus” aveva esclamato e si era divincolato, cercando di farsi spazio e togliersi il cappotto “Aspetta un attimo”
Il ragazzo non era dello stesso avviso, gli si era fatto addosso, petto contro petto e lo aveva spinto costringendolo a camminare all’indietro verso il divano, nel chiaro scuro delle luci che dalla strada entravano dalle grandi vetrate.  
“Spogliati” gli aveva scandito sulle labbra. “SPO-GLIA-TI” aveva ripetuto con voce stentorea e profonda, inchiodando il compagno fra il suo corpo e la spalliera del sofà.
Brian non aveva fiatato e aveva obbedito all’ordine con lentezza esasperante, fino a quando Justin gli aveva staccato le mani dai bottoni della camicia per fare lui.
Gli aveva slacciato con poca grazia la cinta e fatto scendere i pantaloni, lo aveva indotto a girarsi e con due dita gli aveva abbassato i boxer. Si era liberato dei suoi indumenti quel tanto che bastava per afferrare la sua erezione e indirizzarla verso il culo esposto del marito.
“Justin” era uscito dalle labbra di Brian e lui aveva capito.
“Lo so, tesoro, lo so” lo aveva baciato sulla schiena, allungato un braccio e dalla piccola mensola lì a fianco aveva afferrato il lubrificante.

“Wow” aveva ansimato, mentre Justin si sfilava e si appoggiava al divano vicino a lui. Si era voltato, incespicando leggermente nei pantaloni ammucchiati alle caviglie. Li aveva scalciati via e aveva circondato le spalle di Justin, tirandolo a sé e dandogli un bacio sulla guancia e poi sulle palpebre socchiuse. Justin aveva ancora il fiato corto e si era accomodato nell’abbraccio. “Ci diamo una sciacquata?” Justin aveva annuito e ridacchiando aveva aggiunto, indicando il sofà: “Credo che ne avrà bisogno anche lui” L’orgasmo di Brian non aveva risparmiato la fodera. L’acqua calda della doccia aveva sciolto i muscoli e si erano coricati soddisfatti sotto il piumone. Brian passava indolente le dita fra i capelli un poco umidi di Justin.
“Sei dannatamente eccitante quando ti fai fare”
“Vale a dire tutte le volte che ne hai voglia” aveva risposto Brian tirandogli leggermente una ciocca e sollevando il sopracciglio.
“Più o meno, in effetti” e nel dirlo aveva mordicchiato la gola dell’uomo. Amava leccarla, succhiare piano il pomo d’adamo, mordicchiargli la pelle e vedere come Brian gli lasciava spazio. Esporre la gola è un atto di resa nel mondo animale e Brian gli aveva sempre offerto la sua, fin da quando non voleva ancora ammettere di essere legato a lui. Forse è per questo che aveva sempre trovato irresistibile quella parte del suo corpo.
“Passi a prendere Gus da tua madre?”
“Non ti serve la macchina?”
“Tienila tu. Mi faccio venire a prendere dall’auto della Kinnetic, Tom sarà sotto casa domani mattina alle otto e trenta e mi riaccompagnerà a Britin domani sera.”
“Ogni tanto dimentico che mio marito è un importante uomo d’affari” aveva scherzato Justin. A Brian piaceva guidare e utilizzava di rado l’autista, ciò non toglie che ne avesse uno.
“Hai appuntamento dal preside, domani, giusto?”
“Sì, alle quattrodici”
“Mi chiami quando hai finito?”
“Certo, Sunshine” e con un bacio a fior di labbra gli aveva dato la buonanotte.

 
  
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