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Autore: Laix    28/12/2017    4 recensioni
Shiho non ricorda quasi nulla dei momenti passati con la sua famiglia.
Non ricorda che suo padre era un uomo freddo e silenzioso, ma così legato a lei da non parlare più per giorni quando la sapeva sequestrata dall'Organizzazione. Non ricorda che sua sorella Akemi, malgrado le prese in giro e le dimostrazioni di superiorità, piangeva disperata nel suo letto quando non la vedeva a fianco a lei in cameretta. E non ricorda che sua madre si era guadagnata il suo diabolico soprannome perché, quando ciò che più amava veniva minacciato, sapeva commettere atti orribili.
Non ricorda quasi niente. Ma c'è stato. E Rei Furuya, che ha ritrovato qualcosa che può riportare tutto questo alla memoria, è pronto a starle accanto in questa tremenda, difficilissima scoperta.
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Come sono scomparsi i coniugi Miyano? Quali erano le loro personalità e come si relazionavano con le figlie? In quali vicende l'Organizzazione ha coinvolto tutti loro nella sua spirale nera?
Della famiglia Miyano non si sa molto, perciò questa FF verrà trattata come una storia quasi del tutto inventata.
[Pairing: ElenaAtsushi, ShihoRei]
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Akemi Miyano, Elena Miyano, Tooru Amuro, Vermouth
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Cap. 1: Diary






«Scienziata all'avanguardia, indiscutibilmente una delle migliori dell'intero globo e con il controllo di esperimenti di importanza mondiale...» mormorò Atsushi, alzando perplesso un sopracciglio mentre leggeva un foglietto giallo pallido che reggeva tra le dita «...mi chiede un pupazzo di Snoopy come regalo d'anniversario?»
«A me piace quello, non so cosa dirti.» Elena si strinse nelle spalle, continuando a scrivere degli appunti sul suo block notes distrattamente.
«Che cos'ha Snoopy che un gioiello prezioso, ad esempio, non ha?»
«Ha acume e ironia. Ed è carinissimo!» sorrise lei, stropicciando il foglio con decisi e scomposti tratti di penna.
Atsushi sospirò e scosse la testa, sorridendo di cuore. Sua moglie possedeva questa infantilità sommessa che era tanto bizzarra quanto squisita, in una donna del suo calibro.
«Voglio dire, hai mai letto anche un solo fumetto di Snoopy? Sai quegli stralci che si trovano online... sono davvero geniali. Quando non hai niente da fare cercalo su internet, cerca “fumetto Snoopy”»

«Ma certo, tra un esperimento che decida le sorti del mondo e una conferenza internazionale cercherò di ritagliarmi un minutino per leggere le perle di un cane.»

«Bravissimo! Mi ringrazierai. Però vedi di ricordarti, amerai il suo umorismo»
Atsushi ridacchiò, chinandosi sulla moglie corrucciata e stampandole un bacio sui capelli neri, tenendo le mani salde sulle sue spalle. Racchiuso nel palmo della mano destra teneva una piccolissima scatola giallo pallido, lo stesso colore del foglietto su cui aveva letto a chiare lettere la richiesta del pupazzo di Snoopy come regalo, e che aveva appunto estratto da lì. Il loro rituale d'anniversario era sempre stato questo: nascondere una scatolina con dentro un messaggio tra gli oggetti personali dell'altro, in modo che quando questi l'avesse trovata ci avrebbe letto il regalo d'anniversario desiderato. Atsushi era stato il primo a trovarla, quell'anno – non che ci fosse stata molta originalità nel nasconderla, l'aveva trovata in mezzo alle mutande e ai calzini... - ma di solito era Elena a detenere il primato. Se la scatolina non veniva trovata entro il giorno dell'anniversario, beh... il regalo era destinato a saltare.
«Senti, e tu? L'hai già trovata la mia scatolina?»
«Veramente no, non ho avuto il tempo.»
«Eddai, Elena... non l'ho messa in un posto poi così assurdo.»
«Lo so, è che proprio non ho la testa. Al massimo per quest'anno non ti faccio il regalo, non mi pare la fine del mondo, mi riscatterò il prossimo anno...»
«Il prossimo secolo. Cerca di trovarla il prima possibile, è un regalo importante per me.»
«Va bene...» rispose lei, alzando finalmente gli occhi su di lui e guardandolo con tutta l'intensità che i suoi occhi scuri erano in grado di comunicare.
Ad Atsushi mancò per un secondo il respiro. Ogni santa volta che lei gli incrociava lo sguardo con quegli occhi, lui doveva per forza escludere la possibilità di respirare. Non poteva fare entrambi, guardarla negli occhi e intanto prendere ossigeno, le due azioni non potevano andare di pari passo e ormai se ne era fatto una dolorosa ma piacevolissima ragione.
Era la donna più bella, più affascinante del pianeta. E mai avrebbe smesso di avere quell'effetto su di lui.
Il cielo all'esterno si era inscurito rapidamente, fuori da casa Miyano. Erano le 5 di pomeriggio d'autunno, il sole mangiato da una grossa nuvola nera seguita da molte altre più piccole, come un esercito cupo e astrale. Il vialetto esterno alla loro casa, tranquillo e residenziale, si stava già costellando di piccole macchie scure dovute alle gocce di pioggia. Elena sussultò, biascicando la frase “il bucato!”, ma si tranquillizzò nell'immediato quando ricordò di averlo già portato dentro un'ora prima, dopo aver guardato le previsioni meteo.
«Shihooooo!! Non aprire! Scema!» sentirono entrambi urlare dal salotto di casa. Loro due si trovavano in cucina, e riconobbero quella vocina come quella della figlia più grande, Akemi. Sembrava piuttosto allarmata. Di solito non se ne preoccupavano, poiché Akemi era una bimba piuttosto melodrammatica che amava esagerare le situazioni, ma questa volta c'era qualcosa in più nella sua voce. Gravità, ansia.
Elena si alzò di scatto e si diresse verso l'ingresso, seguita a passo deciso dal marito. Videro la figlia più piccola e bassissima, Shiho, saltare verso la maniglia della porta e abbassarla, facendo così entrare l'individuo che si stagliava all'ingresso in attesa. Alto, robusto, vestito di nero e con un cappello dello stesso colore sul capo.
Le facce di entrambi i genitori si oscurarono come aveva fatto il cielo poco prima, mentre in contemporanea sul volto dell'uomo nero si disegnava un sorriso spento e poco rassicurante.
«Ma che bambina educata. Mi ha visto qui fuori in attesa, e prima ancora che suonassi al campanello mi ha gentilmente aperto.»
«Già. Shiho non ascolta, quando le si dice che i brutti ceffi non vanno fatti entrare in casa!» ribatté Akemi forte di sé e con le mani sui fianchi, in direzione dell'uomo. Questi ridacchiò, mentre Elena correva verso la figlia e la rimproverava a gran voce di tenersi per sé certi commenti maleducati. Ovviamente era d'accordo con lei, ma era meglio non mostrarlo.
«Che cosa c'è, Pisco?» tagliò corto Atsushi guardando il nuovo arrivato e saltando a pié pari i convenevoli. «Entra, sta piovendo. Ti offro un caffè.»
«Cortese come sempre, Atsushi, ma sono di fretta. Sono qui per la chiavetta USB...»
Atsushi aprì fulmineo il cassetto di un mobile in corridoio, estrasse fulmineo una chiavetta USB di colore rosso e fulmineo si diresse all'ingresso per consegnarla all'uomo. Ogni volta che c'era da mandare via Pisco da casa loro, i movimenti dovevano essere fulminei.
«Grazie. C'è tutto?»
«Tutto. Sia i vecchi risultati degli esperimenti, sia quelli più recenti. In modo da poterli comparare e individuare i miglioramenti del progetto.»
«Grandioso. Siete davvero due bravi studiosi.» e poi fece saettare gli occhi bramosi prima sulla primogenita, e poi su Shiho. Si disegnò un altro sorriso sul volto, più subdolo. «E chissà che le vostre belle bambine non diverranno come voi, un giorno.»
«Chi lo sa. Buona giornata, Pisco» ribatté cupo Atsushi, indicandogli eloquentemente la porta e percependo dentro di sé un acuto fastidio all'altezza del petto. Pisco gli sorrise, falsamente affabile, si prostrò in un breve inchino e fece dietro front, uscendo nel vialetto sotto la pioggia.
«Ah! Un'ultima cosa.» si rivoltò verso di loro, con il piede destro fermo sul primo scalino. La sua silhouette nera si roteò come un nastro nero di un dono diabolico trovato fuori casa. Atsushi strinse le labbra, il sollievo che pensava avrebbe provato nel vederlo allontanarsi che di nuovo si trasformava in ansia pungente; con la coda dell'occhio vide lo stesso malessere sulle movenze corporee della moglie.
«Mi è già stato detto che, se per caso su questa chiavetta non si trovasse tutto il necessario richiesto, avrò il dovere di ritornare qui ed estorcerlo. In tutti i modi possibili che io conosca.» e guardò le due bambine con uno sguardo così orribile da rischiare di ferirle.
«Come già ti ho detto, e peccato, perché non mi piace ripetermi, lì troverete tutto. Io ed Elena non amiamo dilatare le tempistiche, lo sai bene. E' possibile che troviate anche di più rispetto alla mole di lavoro richiesta.»
«Oh, ma io non ho dubbi a riguardo. Era solo un breve appunto confidenziale per preservare il vostro bene.» mormorò Pisco.
Non ricevendo più impulsi da parte di Atsushi, l'uomo si afferrò il cappello nero con la mano destra e lo sollevò di alcuni centimetri dalla testa, in un cenno di saluto alla vecchia maniera che doveva sembrargli da vero gentleman. Poi si girò e se ne andò, senza più interruzioni.
Dopo aver richiuso la porta d'ingresso, Atsushi sospirò e si voltò verso la moglie, verso le figlie, che immobili lo fissavano. Verso la sua bellissima famiglia. Elena si inginocchiò all'altezza delle bambine, posando le mani sulle piccole schiene di entrambe.
«Okay, ragazze, siete state brave. A parte te, Akemi, che gli hai urlato quella frase sfrontata. E a parte te, Shiho, che gli hai aperto senza permesso...»
«E quindi esattamente quando saremmo state brave, mamma?» chiese Akemi, perplessa.
«Mh, hai ragione. In effetti non lo siete state. Ma siete state coraggiose, a vostro modo» sorrise Elena, stampando un bacio prima sulla guancia di una figlia e poi sull'altra.
Atsushi sorrise. Elena era un bel po' distratta e parlava spesso senza prima ponderare i suoi pensieri, ma poi trovava il modo di salvarsi in corner e di complimentarsi pure: una spontaneità che non riusciva a fare a meno di amare. Anche perché era il contrario di lui.
«Ma tornerà ancora tante volte, mamma? O questa è l'ultima?» chiese Akemi corrucciata. In tutta questa conversazione, Shiho non apriva bocca ma fissava curiosa e stupita tutte le persone che singolarmente parlavano.
«Non puoi chiedercelo tutte le volte, Akemi-chan. Non sapremo mai quando sarà l'ultima volta, ma per adesso no di certo, perché stiamo lavorando per lui e viene ogni tanto a ritirare i nostri lavori» puntualizzò Atsushi, avvicinandosi a loro e prendendo Shiho in braccio. La piccola aderì al corpo del padre, arpionandogli il collo. «Ma finché siamo qui, non dovete preoccuparvi di nulla. Okay?» le sorrise, e anche Akemi parve tranquillizzarsi.
Atsushi si voltò e tornò verso la cucina, stringendo il piccolo corpo della figlia a sé. Annusò il profumo dei suoi capelli ramati e morbidissimi, affondò le dita nella flanella del suo maglioncino e strofinò la propria guancia contro quella di lei.
E chissà che le vostre belle bambine non diverranno come voi, un giorno.
Strinse gli occhi, traendo più beneficio possibile dalla presenza e dalla consistenza della sua piccola stretta a lui, e gli mancò il fiato per un attimo. Aveva bisogno di quel contatto, di lei. Di loro.
Quelle visite improvvise dei membri dell'Organizzazione in casa sua, nel suo nido, erano quanto di più dannoso potesse invadere la loro vita pacifica e familiare. Lui vi mostrava sempre atteggiamento fermo e testa alta, senza mai vacillare, ma ciò non cambiava la gravità della cosa. Anche nei momenti più belli e più intimi, come il baciare Elena sulla testa e parlare con lei dei regali d'anniversario, come giocare con le bambine e preparare con loro decorazioni casalinghe per la festività di turno, erano tutti momenti tanto belli quanto potenzialmente rovinosi: in qualsiasi istante l'Organizzazione sarebbe potuta arrivare a bussare alla porta. E a interrompere tutto, come una grossa suola umana interrompe l'attività di un formicaio semplicemente calpestandolo, perché nemmeno l'ha visto e tanto meno si è accorto della sua importanza.
Ogni momento della loro vita era costantemente e invariabilmente minato da un'ombra oscura, qualsiasi fosse la sua brillantezza. E quest'ombra, nel suo cuore, ma era sicuro anche in quello di Elena, c'era ed era densa.
Si accorse di star stringendo un po' troppo Shiho quando lei emise un mugugno di fastidio. Allentò la presa, ma continuò a tenerla a sé, a rubarle un po' di profumo e di tatto, perché in quel momento trovò fosse la cosa più rassicurante al mondo. Se la allontanò di alcuni centimetri per guardarla in viso, in quel momento arrossato dal grande calore che il padre le stava trasmettendo: era bellissima, dolcissima. Zucchero puro, non ancora raffinato. Lei d'istinto gli sorrise e a lui si sciolse il cuore all'istante, perciò se la riportò addosso e le stampò due baci decisi sulle guance morbide.


***

«E' incredibile», riuscì solo a sussurrare Shiho. «Incredibile che mia madre tenesse sia delle audiocassette che un diario.»
«Sai, credo avesse molto bisogno di sfogare fuori tutto. Le sue frustrazioni, la paura. Le audiocassette erano un messaggio diretto per te e Akemi, mentre questo diario...» mormorò Rei Furuya, facendo un cenno con la testa in direzione del vecchio diario che Shiho teneva tra le mani, «...era il suo psicologo segreto. Era se stessa, fatta ad oggetto e raccontata pagina dopo pagina.»
Shiho alzò lo sguardo su di lui, e in silenzio annuì. Si morse un labbro.
Era molto strana la situazione che si era ricreata.
Sera tardi, poco dopo la mezzanotte. Rei e Shiho si trovavano sugli scalini di una scuola materna affacciata ad un parco giochi deserto, seduti ad altezze differenti; era estate e c'era una buona temperatura notturna, Shiho con indosso una leggera canottiera azzurra di cotone e lui con una camicia grigia di lino a mezze maniche. La brezza lieve scuoteva gli alberi e fomentava i profumi delle piante, ricordando la densità del silenzio; erano arrivati lì dopo che Rei le aveva chiesto, tramite un messaggio, di incontrarsi per parlare di una cosa delicata.

«Spero non ti dispiaccia se te l'ho portato da leggere. E' da molto tempo che ce l'ho, lo trovai tra gli oggetti di Elena diversi anni fa, dopo la sua morte, decidendo di conservarlo. Non era giusto finisse in mani sbagliate...»
«Che probabilmente lo avrebbero bruciato.»
«Brava.»
«Perché ci hai messo tanto a consegnarmelo?» gli chiese Shiho d'istinto, senza alcun rancore nella voce e fissandolo con occhi semi-lucidi. Era solo una domanda di curiosità, non ce l'aveva con lui – anzi, era già molto lodevole che Rei si fosse ricordato di un oggetto simile in mezzo a tutto quello che malauguratamente si trovava ad affrontare nella quotidianità.
«Non avevamo quasi alcun rapporto fino a poco tempo fa, Shiho.» rispose lui in totale trasparenza, guardandola negli occhi; nessuno dei due pareva voler cedere a quello scambio di sguardi. «Che senso avrebbe avuto? Ricevere qualcosa di così importante e prezioso da uno che ti ha rivolto sì e no tre parole in vita sua? Immaginavo che poi avresti voluto qualcuno con cui parlarne, qualcuno che possibilmente conoscesse tua madre... e che potesse chiarirti alcuni punti.»
«E non ti sentivi di fare questo... da sconosciuto.»
«Esatto... per te, invece, sarebbe stato indifferente?»
Lei fece spallucce, interrompendo il contatto visivo. «Non è che adesso abbiamo chissà quale rapporto» constatò lapidaria, suscitando un lieve sorriso divertito sul volto di Rei.
«Certo che no. Ma almeno abbiamo parlato più di una volta, anche del nostro passato. Sei stata a casa mia una volta. Non abbiamo problemi a interagire. Già questo è un successo, specialmente con una persona come te...»
«Che vorresti dire?» chiese lei alzando un sopracciglio, captando della strana ironia nell'aria. Lui rise.
«Nulla di che. Era un vago complimento.»
«Se lo dici tu. Comunque no, certo che non mi dispiace...» la ramata riabbassò lo sguardo sul diario, sfiorando con le dita la copertina marrone rigida e segnata da graffi e altri segni di usura. Aveva un profumo di antico, con un aroma di fiore autunnale. «Anzi, è uno splendido regalo. Questo diario lo scrisse mia madre, ci sono racconti di me, di lei, della mia famiglia. E' come un lungo video familiare che, per quanto sia costretta a guardarmi da sola, almeno esiste.»
«Ma non sei da sola a guardarlo. Era proprio questo che intendevo poco fa.»
Shiho trattenne il fiato e rialzò lo sguardo su di lui. Strinse le labbra, mandando giù un groppo.
«Sei... certo che vuoi fare questa cosa? Aspettare assieme a me che io lo legga tutto? E perché, poi?» le uscì poco più che un mormorio. Era agitata, le batteva forte il cuore.
«Ne sono certo. Ero affezionato a tua madre. E se ora Elena ci sta guardando, beh... penso che questo possa renderla contenta.» sorrise lui, mettendo Shiho improvvisamente a proprio agio. «E poi, ecco...»
Sembrava sul punto di dire qualcos'altro, ma si bloccò. Scosse la testa e la riguardò con un sorriso, che Shiho classificò come forzato.
«E poi cosa?»
«Niente, Shiho.»
«Rei? Non voglio segreti. Non voglio sorprese.»
«Lo so. Scusami.»
Lui deglutì e abbassò lo sguardo, evitando per alcuni secondi di incrociare quello indagatore della ragazza. Poi lei, lentamente, sembrò capire.
«Andando avanti con questo diario...» disse lei aprendo il diario alla pagina a cui era arrivata, una delle prime. Tenne fisso lo sguardo su quella carta color ambra e dai contorni più scuri e sgualciti, senza né righe né quadretti ma ricolma di grafia nera, «...ci saranno scritte cose spiacevoli? Cose che mi faranno stare male?»
«E' possibile.» sentenziò lui, infilandosi le mani in tasca e rialzando lo sguardo su di lei.
«Quindi per questo rimani con me? Per evitare di farmi disperare da sola? Non ho bisogno del baby-sitter, sappilo.»
Si era offesa, forse. Il suo tono di voce si era indurito.
«In quel caso puoi anche andare.»
«Ma io...»
«Ciao.»
«Oh, Shiho... ma sul serio?» esclamò lui con gli occhi rivolti al cielo scuro. Che razza di reazioni.
«Non ho 4 anni, so gestire le mie emozioni!» esalò lei con voce squillante.
«Sì, già. Sto notando.»
Lei fece per rispondere in modo arrogante, ma si bloccò comprendendo il modo in cui si stava affossando da sola. In ogni caso, per precauzione, gli tenne ancora il muso.
«Non ti dispererai, Shiho. Ma forse alcuni avvenimenti trascritti lì sopra non ti faranno piacere, qualche brutta reazione potresti averla ed io voglio essere al tuo fianco. Tutto qua. Ti infastidisce?» si strinse lui nelle spalle, con sguardo calmo. «Se ti infastidisce me ne vado.»
«Secondo me non te ne vai comunque.»
«Ahah...»
«Comunque no. Va bene, rimani. Ma se ti chiederò di starmi alla larga in alcuni momenti, stacci»
«Agli ordini, capitano.»
Shiho gli rivolse un'occhiata sarcastica e accennò ad un sorriso.
Era stato davvero carino con quel pensiero, con l'arrivo di quel diario. Shiho lo richiuse e se lo portò al petto, abbassando il viso per poterlo sfiorare con le labbra.
Quello era un modo di entrare in contatto con sua madre intimamente, forse ancora di più che con le audiocassette. Vi erano riportate scene familiari e in questo modo avrebbe ricordato meglio il carattere del padre, della sorella, di se stessa da piccola... della madre. Di ciò che avevano fatto.
Sperava solo di non rimanerci troppo sotto.
Ma dopo questo pensiero riguardò Rei con la coda dell'occhio, fermo lì sul posto e con la piena volontà di accompagnarla lungo quel percorso. 









***
Ciao a tutti!
Come avrete capito, questa FF torna nel passato e scava nei reticoli di una delle famiglie più misteriose del manga. Mi preme sottolineare che mi reinventerò gran parte delle cose, comprese le caratterizzazioni dei Miyano stessi (ad eccezione di Shiho e forse un po' di Akemi) attenendomi ai pochi dati che abbiamo, specialmente per quel che riguarda il loro ruolo all'interno dell'Organizzazione e la fine che hanno fatto. Tuuuutto ricostruito :P Anche quelle poche cose che forse già sappiamo o diamo per certe.  
Questo revival avverrà tramite i personaggi di Shiho e Rei, il cui avvicinamento verrà dunque premesso in questa chiave. Oltre ad Elena e Atsushi, quindi, sono loro due a comporre il pairing principale di questa FF. 
Alla prossima, e grazie della lettura! Fatemi sapere! ^__^ 

  
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