Capitolo 41
(Show me your teeth*)
Per un momento Danny si soffermò a notare
quanto fosse assurdo: il fatto che si trovassero nel bel mezzo di una strada
cittadina e ancora non ci fosse segno di reazione alcuna da parte di abitanti o
forze dell’ordine per tutto quello. Se da un lato si poteva anche credere che
l’ululato di Mara potesse essere stato scambiato per quello di un cane magari
randagio, e che tutta quella conversazione in mezzo alla strada fosse stata
interpretata semplicemente come un confronto tra persone che sistemavano le
loro faccende in piena notte e negli affari dei quali era perciò meglio evitare
di immischiarsi, d’altro canto l’atterraggio della pesante poltrona sul cemento
dopo un volo di qualche metro aveva certamente prodotto un discreto fracasso.
E dopotutto era piena estate, periodo nel
quale di solito le finestre sono lasciate in buona parte spalancate per via del
caldo, e di conseguenza qualsiasi cosa succeda fuori di casa è sicuramente a
portata d’orecchio di chi si trova all’interno.
Ma Danny aveva la vivida sensazione che
quella totale mancanza di reazione da parte di qualsiasi abitante di Tairans lungo quella strada non fosse dovuta semplicemente
ad un collettivo sonno pesante. Gli bastò alzare lo sguardo per rilevare che
tutte le finestre erano chiuse, e già quello di per sé poteva essere un chiaro
segnale del fatto che probabilmente ormai i cittadini avevano presentito in
qualche modo che stava accadendo qualcosa di preoccupante e inspiegabile e
potenzialmente pericoloso: qualcosa da cui tenersi a debita distanza di
sicurezza, qualcosa in cui cercare con ogni forza di non rischiare nemmeno
lontanamente di essere coinvolti.
Anche ammesso ciò, in qualsiasi altra
condizione del genere, da esperienza di Danny, a quell’ora sarebbero già dovute
essere innumerevoli le chiamate giunte a qualche centralino di qualche forza
dell’ordine di qualsivoglia tipo, con annesse richieste di intervento. E
tuttavia non si vedeva l’ombra di una sola divisa poliziesca.
Come se avesse interpretato perfettamente
quel suo rimuginare, Mara gli si rivolse in tono sinistramente cupo, con una
nota di divertimento crudele e minaccioso, e qualcosa che sembrava voler essere
quasi profeticamente saggio.
«Le mandrie sono chiuse nelle stalle e
nelle capanne. Perché noi liberi erriamo fino all’alba.**»
Danny riconobbe la citazione, e sorrise
appena e amaramente tra sé e sé.
«Kipling.» disse «Ottimo scrittore.
Tremendo colonialista e razzista.***»
Al di sopra del bordo più alto degli
indumenti che gli accoliti di Mara tenevano ancora davanti a lei a costituire
una sorta di improvvisata cabina per coprire il suo essersi ormai completamente
spogliata, Danny la vide dare una piccola e sommaria alzata di spalle.
«Faccende tra esseri umani. Non ci
riguardano.» rispose.
Danny scosse appena la testa.
Poi vide Mara lanciargli un’ultima
occhiata significativa e penetrante, accompagnata da un sottile sogghigno
sghembo, prima di chinarsi sparendo oltre la barriera di abiti retti da alcuni
dei componenti del suo seguito.
Capì perfettamente che non c’era altro da
aggiungere.
Danny si piegò a sua volta sul cemento,
assumendo una posa a “quattro zampe” come qualsiasi mezzo lupo era solito fare
quando passava dalla sua forma umana a quella di lupo. E, raccogliendo
abitualmente la giusta concentrazione, iniziò a mutare la sua forma.
L’ultimo pensiero riguardante altro che
non fosse completamente attinente allo scontro che lo aspettava, fu che era
ormai praticamente certo che nessun abitante di Tairans
si sarebbe di lì a poco intromesso in quanto stava accadendo.
Se da un lato questo stabiliva senza ombra
di dubbio che solo la fine dello scontro con un solo vincitore avrebbe posto
termine alla lotta, d’altro canto Danny ne provò un profondo sollievo: almeno
per il momento, almeno fintanto che lui fosse stato vivo, Mara e il suo seguito
non avrebbero potuto scatenare le loro capacità offensive di mezzi lupi su
nessun’altro.
Per quanto riguardava il dopo… quando lui
sarebbe stato sconfitto e ucciso… Ma in quel momento pensarci non aveva nessuna
possibile utilità.
***
Il fatto che un mezzo lupo fosse abituato
a farlo più volte nel corso della sua vita, anche con un’alta frequenza, non
rendeva il mutare forma in una direzione o nell’altra meno facile, e
sicuramente mai piacevole.
La concentrazione da raccogliere era
necessaria per avviare il processo, ma Danny aveva sempre sospettato che
servisse più che altro ad auto-persuadersi di voler veramente mutare forma
nonostante il disagio e il dolore fisico che questo comportava: aveva sempre in
qualche modo considerato quella concentrazione iniziale come una sorta di
battaglia tra la volontà di mutare forma e l’istintivo recalcitrare dal farlo
per evitare il fastidio che ne derivava. La concentrazione andava mantenuta
fino alla fine della mutazione di forma, e in quel caso Danny la riteneva più
come una sorta di determinazione a voler arrivare fino in fondo nonostante il
profondo desiderio implicito di farla finita il prima possibile, desiderio che d’altra
parte poteva essere in un certo senso canalizzato proficuamente proprio verso
l’obbiettivo di completare la mutazione di forma, piuttosto che interromperla.
Di una cosa Danny era piuttosto sicuro:
non sarebbe mai riuscito, nemmeno impegnandosi al massimo, a spiegare quel tipo
di concentrazione e la natura d’essa a chiunque non fosse un mezzo lupo; e tra
mezzi lupi, d’altro canto, non c’era alcun bisogno di spiegare cosa fosse.
Probabilmente la parola stessa ‘concentrazione’
non era nemmeno lontanamente abbastanza corretta. Ma forse la differenza più esplicita
tra quello che un qualunque essere umano avrebbe associato alla parola
‘concentrazione’ e ciò che qualsiasi mezzo lupo conosceva così bene, era che
mentre la prima in qualche modo si imparava nel corso della vita, la seconda
sembrava essere inscritta a fondo nell’istinto primordiale: nessun mezzo lupo
doveva ‘imparare’ ad evocare, esercitare e mantenere quella sorta di
concentrazione, bensì si ritrovava fin dalla prima volta a sperimentarla come
se l’intero processo di mutare forma gli risultasse in qualche modo naturale; e
quella prima volta era anche l’occasione in cui scopriva quanto fosse in buona
parte disagevole e doloroso.
D’altro canto, questo era un concetto che
un essere umano completo poteva perlomeno figurarsi anche solo con la logica, anche
se non avrebbe mai potuto capire esattamente, a meno che non si fosse trovato
ad un certo punto della sua vita mutato in mezzo lupo e avesse dovuto così
scoprirlo sulla propria pelle.
«Immagina… »
avevo una volta iniziato a dire Danny, rispondendo ad una domanda di Yuta che, dopo un poco che si conoscevano, stava
semplicemente cercando di fare una conversazione abbastanza tranquilla e
confidenziale con lui e aveva chiesto come fosse mutare forma.
«No.» si era interrotto Danny, riflettendo
meglio sulla sua scelta delle parole. «Prova ad immaginare…» aveva ricominciato
«Come potrebbe essere sentire il tuo corpo che si riassesta su un’altra forma.
Come se tutte le componenti che lo formano, dalle ossa alle fibre muscolari
passando per articolazioni e cartilagini e organi e quant’altro, si muovessero
per riaggiustare la loro posizione, nel mentre diventando un po’ più grandi o
un po’ più piccole, un po’ più lunghe o corte, eventualmente torcendosi su se stesse, o crescendo ex novo… beh, per quanto riguarda cose
come orecchie e coda, naturalmente.».
Yuta, che mentre lo
ascoltava era gradualmente impallidita e aveva spalancato sempre più gli occhi
in uno sguardo impressionato, profondamente dolente e quasi scioccato, era
sembrata anche più scossa da quell’improvviso accenno di alleggerimento amaro
del suo tono.
«Questo per quanto riguarda la mutazione
dalla forma umana a quella di lupo, naturalmente. Il procedimento inverso non è
molto dissimile, tranne per il fatto che sono più le appendici che scompaiono
che quelle che compaiono.» aveva proseguito Danny imperterrito, parlando
tranquillamente ma quasi distrattamente, osservandosi una mano che stava
tenendo aperta appoggiata sul proprio ginocchio.
E Yuta aveva
intuito che si stesse riferendo ai pollici opponibili, naturalmente; e si era
resa conto che no, non era affatto semplice immaginare il proprio corpo
assumere una forma talmente radicalmente diversa da quella che le era
famigliare da che era nata, anche se si fosse trattato semplicemente di
trovarsi senza pollici opponibili.
«Forse la cosa più impressionante è come
ci si abitui in fretta, tuttavia.» aveva continuato Danny, con l’aria di chi
sta parlando in parte a se stesso. «In qualche modo,
ci si sente perfettamente in se stessi in entrambe le
forme, per quanto molto diverse. Anche se, allo stesso tempo, talvolta quando
si è in forma umana si cerca di muovere le orecchie o la coda… o forse questo è
solo il mio caso perché ho passato diversi anni di fila solamente nella forma
di lupo. Ma credo sia comunque una cosa fondamentalmente importante, riuscire a
mantenere una certa lucidità a proposito della forma in cui ci si trova, se
l’una o l’altra. Una volta ho sentito di un mezzo lupo che è… beh, credo si
potrebbe dire che è ammattito, in un certo senso. Un tipo di follia da mezzi
lupi, a quanto pare. In sostanza assumeva comportamenti e cercava di muoversi
in modi tipicamente appartenenti sia all’una che all’altra forma, aldilà della
forma che aveva in quel momento. Così, se era nella sua forma di lupo aveva la
tendenza a cercare in certi momenti di camminare sulle zampe posteriori e ad
usare le anteriori come braccia, ad esempio, o se era in quella umana talvolta
aveva bisogno di mettersi a gattoni per riuscire a camminare senza perdere
l’equilibrio come se per un momento per il suo cervello fosse strano dover
gestire degli arti umani.»
A quel punto Danny aveva girato la testa a
guardare Yuta, l’espressione della quale era ormai
talmente orrorificata che lui aveva capito che non
sarebbe riuscita a spiccicare parola in quel momento, e aveva nel contempo
deciso che era finanche troppo per lei quello che aveva detto.
«Ma è solo una storia.» aveva quindi
commentato, alzando le spalle e assumendo un tono più pratico e piuttosto
cinico «Magari è solo questo, e in realtà non è mai successo a nessuno.»
Poi aveva cambiato argomento, riuscendo in
qualche modo infine a rifar tornare un po’ del colorito naturale sul viso di Yuta e a distrarla da quello che aveva appena sentito.
Tuttavia, in lui un leggero sentore di senso di colpa era rimasto.
Perché allora era ancora abbastanza
infastidito dai tentativi da parte di un essere umano – e allora poteva
trattarsi solo di qualcuno dei ‘4 di picche’, ovvero
gli unici che frequentasse e che conoscessero la sua natura – di capire
qualcosa di come era essere un mezzo lupo. Al punto che non riusciva a fare a
meno di ritrovarsi a rispondere con un certo risentito astio in sottofondo, e finiva
per non usare alcun riguardo nel calare con la sua risposta nei particolari più
crudi e meno piacevoli da sentir raccontare di com’era effettivamente esserlo,
un mezzo lupo. Almeno per lui. Perché aveva il sospetto che Mara non fosse
l’unico mezzo lupo che invece non vedeva altro nella loro natura che qualcosa
di incredibilmente fantastico, sebbene, allora ne era quasi sicuro,
principalmente per il fatto che ciò le consentiva di esprimere al meglio quella
parte omicida del suo carattere.
Talvolta sospettava allora che si
trattasse solo di questo in fondo: ce l’aveva ancora con Mara, per quel suo esaltare
l’essere un mezzo lupo come se fosse in tutto e per tutto qualcosa che non si
poteva che apprezzare appieno, ignorando o forse nemmeno provando alcuno di
quei fastidi correlati, quelle ombre di chiaroscuro che invece lui aveva sempre
provato. Non c’era niente di meglio o peggio nell’essere un mezzo lupo
piuttosto che un essere umano, probabilmente come non c’era niente di
assolutamente meglio o peggio di essere un airone piuttosto che un lombrico.
Ogni natura aveva i suoi aspetti positivi e anche profondamente apprezzabili
così come quelli negativi e sinceramente detestabili, insieme ad una svariata
gamma di grigi di aspetti che potevano rivelarsi l’una o l’altra cosa a seconda
delle circostanze, del momento, dello stato d’animo. Un essere umano non
avrebbe mai potuto sapere cosa significava poter esprimere le proprie emozioni
tramite una gestualità che poteva contare anche su un ampio arcobaleno di
movimenti di coda e orecchie, così come non si sarebbe mai dovuto preoccupare
del rischio che esse venissero ferite o amputate.
Forse, allora semplicemente Danny credeva
di vedere nella curiosità di quelle domande a proposito di come fosse essere un
mezzo lupo da parte di esseri umani come qualcosa di disturbantemente
simile ad una propensione alla fascinazione e idealizzazione di qualcosa che,
essendo dopotutto solo un altro modo di vivere, non poteva che essere storpiato
dall’essere dipinto tutto in bianco o tutto in nero. O forse gli ricordava una
versione più giovane di se stesso, quella versione di
lui ancora abbastanza ingenua da rimanere appeso alle parole esaltatrici e
romanzate di Mara a riguardo dell’essere un mezzo lupo, di credervi, e di
restare affascinato a tal punto dalla scoperta di quel nuovo mondo di sensi
amplificati e di vita selvaticamente libera e altra da rimanerne irretito
inizialmente, senza aver sospetto né intravisto quelle zone d’ombra in cui poi
era incappato più avanti.
Forse era solo un altro aspetto piuttosto
infantile di come era allora, ma l’amarezza che lo portava a privilegiare gli
aspetti più negativi e disconfortanti delle sue descrizioni quando rispondeva a
quelle domande aveva alle sue stesse orecchie qualcosa di disperatamente
bisognoso, e perciò fastidioso, nel tentare di ricalibrare la bilancia delle
aspettative fin troppo rosee e affascinate su come poteva essere, il ritrovarsi
ad essere un mezzo lupo.
***
Danny non sapeva come esattamente i suoi
pensieri fossero finiti in quella direzione, ma semplicemente li ritrovò lì
mentre, avendo assunto la sua forma di lupo, si rizzava in tutta la sua altezza
sulle quattro zampe nel bel mezzo della strada di Tairans.
Gli era ancora familiare, quella
sensazione di leggero senso di colpa, perché in fondo sapeva fin da allora che
quello che stava più propriamente facendo, in fondo, era cercare di sfogare sui
suoi allora appena neo-acquisiti colleghi quella
rabbia profonda che non lo abbandonava quasi mai, quel risentimento bruciante
per essere stato reso qualcosa che non aveva chiesto di diventare. Qualcosa che
ancora non aveva capito, ad essere onesti, se era più contento o pentito di
essere diventato. Forse perché semplicemente tutte le cose che si finisce per
fare e diventare senza averle potute scegliere interamente finiscono per
rimanere in parte incastrate in gola; e mentre la maggior parte delle persone
può prendersela – in mancanza di qualche divinità immaginaria a portata – solo con
il caso o il caos, con il destino o il karma, con il senso d’ironia
dell’universo o con la sorte, lui aveva sempre avuto qualcuno di ben chiaramente
fisico con cui potersela prendere: Mara.
Di punto in bianco, in quel momento
ricordò. Come una sorta di fulmine a ciel sereno nella sua mente, si ricordò
esattamente di quel sogno. Quello in cui lui era di nuovo in quella casa dove
si stava tenendo un concerto auto-organizzato o forse era la festa organizzata
da qualcuno; e ora non ricordava troppo bene i particolari, non solo perché era
passato diverso tempo e perché aveva avuto eventi ben più notevoli della sua
vita con cui misurarsi di lì a poco, ma anche perché già allora non gli erano
sembrati degni di nota. E aveva incrociato quella giovane donna forse un po’
più grande di lui che lo aveva convinto a seguirla fuori dalla casa, con la
neve per terra e un freddo che gli aveva aggredito la pelle come mordendolo,
prima che ben altro tipo di morso lo sorprendesse fulmineamente e gli facesse
credere per brevi ma interminabili e indimenticabili istanti di essere arrivato
al capolinea, di stare effettivamente morendo. Quel sogno in cui tuttavia,
prima di solcare quella soglia, aveva incrociato Zoal:
Zoal che naturalmente all’epoca in cui si era svolto
il tutto non era lì e lui nemmeno aveva ancora incontrato prima in vita sua; Zoal che gli aveva dato una carta da stringere nel pugno
come una sorta di promessa rassicurante, qualcosa a cui aggrapparsi non importa
quanto di potenzialmente terribile potesse succedere; Zoal
che gli aveva detto qualcosa che lo aveva colpito, qualcosa che gli era
sembrato terribilmente importante, qualcosa che ancora non riusciva a
ricordare…
Danny mormorò una colorita imprecazione nella
sua mente.
Ma il suo sguardo si accese di nuova
attenzione, vedendo quasi dall’altra parte della strada per il resto deserta di
Tairans alcuni dei mezzi lupi che avevano alzato dei
vestiti per improvvisare una cabina di cambio d’abiti per la loro leader
riconosciuta spostarsi.
Dietro di loro apparve colei il cui
aspetto Danny rivedeva in quella forma ora per la prima volta dopo tanti anni,
e che tuttavia non avrebbe potuto scambiare per nessun’altra lupa o mezza lupa.
Il folto pelo in cui prevalevano le sfumature di nero intenso sembrava dare
alle sue sembianze qualcosa di simile ad un’ombra profonda e abissale, anche se
in buona parte forse era un effetto amplificato dall’atteggiamento di Mara
stessa, quel suo stare sulle quattro lunghe zampe con un che di elegantemente
sinistro e sinceramente promettente null’altro che l’appressarsi di una tenebra
mortale. Come Danny avrebbe detto e ridetto senza pentirsi né mai dubitare di
una singola di quelle parole di definizione, se qualcuno gli avesse chiesto che
aspetto aveva Mara quando era animata esattamente dal proposito di apparire in
quel modo a chi aveva di fronte, lei era abilissima nel poter incarnare la
morte in se stessa davanti a chi voleva semplicemente
eliminare. Cosa che si poteva stare certi avrebbe fatto di lì a poco,
possibilmente con una tale eleganza omicida che, negli appassionati del genere,
avrebbe sicuramente prodotto una notevole ammirazione.
Questo era quanto si poteva dire dunque a
proposito di coloro che l’avevano scelta come loro leader. Non si poteva
scusare loro di essere rimasti incantati al punto da mal interpretarla, perché
se avevano passato abbastanza tempo con lei da conoscerla a sufficienza, e non
ne era necessario così tanto perché Mara difficilmente riusciva a celarsi
troppo a lungo unicamente sotto il suo lato meno taglientemente
inquietante, soprattutto per basilare mancanza di pazienza, allora non potevano
non aver già superato quel punto in cui l’essere affascinati da lei andava di
pari passo col temerla con ogni fibra di sé. E Danny questo lo sapeva benissimo
e da esperienza di primissima mano.
Danny aveva sentito dire una volta che un
mezzo lupo sarebbe in grado di riconoscere l’odore della propria morte, sotto
qualsiasi forma si presentasse, e anche se avesse avuto un odore perfettamente
ordinario o addirittura banale o familiare.
Doveva essere una storia che gli aveva
raccontato Mara, e c’era da sospettarlo non solo perché lei era a tutti gli
effetti l’unico altro mezzo lupo con cui avesse parlato più a lungo e di cose
più disparate in vita sua, specie se di cose a proposito di mezzi lupi e quindi
che praticamente solo mezzi lupi potevano conoscere, ma anche perché era un
genere di storia che Mara poteva raccontare come se ci credesse o come se
volesse che chi l’ascoltava la credesse perfettamente potenzialmente vera.
Quella sorta di misticismo sulla natura di un mezzo lupo e sulle storie e
leggende circolanti a proposito di tale natura, come una sorta di tradizione assemblata
senza preciso ordine o grande mire di continuità dal semplice passarle con la tramandazione orale di mezzo lupo in mezzo lupo, era
esattamente ciò che, per quanto Danny ne sapeva, le sarebbe potuto piacere. Il
fatto che lei potesse riuscire a crederci e non crederci allo stesso tempo,
portarvi rispetto e partecipare alla loro tramandazione
e allo stesso tempo comportarsi e vivere come se non avessero dopotutto alcun
peso, era qualcosa che un tempo Danny doveva aver trovato prima tremendamente
affascinante e poi profondamente detestabile; ora come ora, tuttavia, non
riusciva nemmeno a ricordare esattamente come avesse fatto a darle tanta
importanza, a lei e a quello che diceva.
Sicuramente non se ne sentiva per niente
intaccato ora. Il ricordo di quella storia, e la semplice breve constatazione
che per lui quell’odore, l’odore della propria morte che si appressa abbastanza
da essere percepita a portata di olfatto, poteva tranquillamente coincidere
proprio con l’odore di Mara, e questo sembrava in qualche modo perfettamente
appropriato per lui, non gli suscitarono altro che un’amara sorta di
superficiale sarcasmo. Era così dopotutto importante, se quella storia o
leggenda o diceria fosse vera o meno, quando si stava in ogni caso molto
probabilmente per morire? Poteva essere importante per lui o per chiunque
altro? Certamente non per lui, visto che con ogni probabilità non gli sarebbe
stato semplicemente possibile preoccuparsi di niente di lì a poco; certamente
non per Uther che stava per essere o sbranato o trasformato da Mara, anche se
era più probabile la prima opzione ormai probabilmente; sicuramente non per
chiunque vivesse in quella cittadina se un branco di mezzi lupi frustrati dalla
loro vita affatto di branco e più da setta di ammattiti si fosse scatenata con
il proposito di uccidere tutti quelli non della loro specie che avessero
trovato a portata.
Se avesse avuto il tempo di rintracciare
esattamente il filo delle sue emozioni in quel momento, probabilmente Danny
avrebbe scoperto un sottile ma sincero senso di sollievo per il fatto che tutta
la sua concentrazione si trasferì nettamente in un colpo solo su tutt’altro. E
in particolare su quello che concerneva il fatto che si stava per battere con
Mara. Forse non esattamente per la sua sopravvivenza, sulla quale al momento
non avrebbe puntato, ma per qualcos’altro di indefinibile e inafferrabile che a
quanto pareva continuava immancabilmente a sfuggirgli nella sua interezza
complessiva.
Soundtrack: Show me your teeth (Lady Gaga)
* Ho
preso in prestito il titolo della canzone per il titolo di questo capitolo.
Note
per la comprensione e disclaimer:
**
la citazione proviene (in una delle traduzioni italiane, essendo l’originale in
inglese) da ‘Il libro della giungla’ di R. Kipling, in particolare da ‘Il canto
notturno della giungla’
***
Kipling è stato indubbiamente un ottimo scrittore così come un sostenitore
della supremazia dell’impero e della cultura e dei cittadini “della corona
britannica” (alias del Regno Unito insomma) sulle popolazioni native delle
allora colonie britanniche, e più in generale convinto dell’idea (all’epoca molto
molto popolare tra i bianchi occidentali) che i coloni bianchi fossero
investiti della missione divina di colonizzare gli altri popoli (ovviamente
quelli “selvaggi” e “arretrati”) per… insegnare loro le buone maniere e
renderli più apprezzabili agli occhi di dio (okay, c’erano in giro all’epoca
modi molto più elaborati e convincenti di esprimere il concetto, ma di fatto in
questi casi preferisco la semplice brutalità, che magari è più realistica e
veritiera…). Ovviamente il tutto serviva da viatico ideologico-religioso per
sfruttare quei luoghi e schiavizzare quelle popolazioni con la coscienza in
pace e la convinzione di stare facendo una sorta di opera di carità approvata
da qualche divinità (modalità che si possono tranquillamente ritrovare in
versione ‘stessa minestra riscaldata e rimescolata’ anche in moltissime altre
guerre e colonizzazioni fino ai giorni nostri oltre che anche prima delle
colonizzazioni dell’Impero britannico, chiaramente).