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Autore: Crilu_98    28/12/2017    2 recensioni
Gli occhi severi di Ronja nascondono una bambina che non ha mai avuto davvero la possibilità di crescere, protetta dal mondo e dimenticata dal padre, un guerriero troppo occupato a conquistare nuovi territori per occuparsi di lei. Quando le viene imposto di comprare un nuovo schiavo, lei prende la prima decisione azzardata della sua vita: sceglie Aurelio, un ragazzo testardo che cova un malcelato disprezzo nei confronti di tutti i barbari. Lui sa che le deve la vita e il legame che si instaura tra la nobile Ostrogota e l'ex-legionario mescola antipatia e rispetto, lealtà e discussioni.
In un mondo sorretto a stento da alleanze deboli come ragnatele, i due dovranno sopravvivere non solo all'ostilità di un misterioso cavaliere vestito di nero che osserva ogni loro mossa, ma anche alle spietate lotte di potere che minacciano di trascinare di nuovo l'Italia nel caos.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana, Medioevo
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Aurelio socchiuse gli occhi quando i primi raggi del sole si affacciarono nella sua piccola cella e si stiracchiò con un gemito soddisfatto. Il pagliericcio che gli era stato preparato era pulcioso e freddo, ma era anche il giaciglio migliore su cui avesse riposato da molti mesi a quella parte. Le terribili immagini dei suoi ultimi anni nell'esercito gli balenarono nella mente, ma si sforzò di rimandarle indietro e finalmente aprì gli occhi. Immediatamente scattò a sedere, fissando stupito Ronja che ferma sulla porta sembrava una creatura di un altro mondo, eterea e misteriosa.
Portava una tunica grigia che le lasciava scoperti gli avambracci, incrociati appena al di sotto del petto: pur essendo consapevole del fatto che quella ragazzina era la sua padrona e aveva potere di vita e di morte su di lui, il ragazzo non poté fare a meno di lanciare un'occhiata a quel seno ben proporzionato al fisico slanciato. Poi la sua attenzione fu catturata dai capelli chiarissimi, che quel giorno ricadevano liberi sulle spalle di Ronja: erano leggermente ondulati e parevano risplendere di luce propria, così come gli occhi azzurri che lo squadravano con curiosità.
Se non fosse stata la sua padrona, ovvero la donna che in quel momento odiava più di ogni altra cosa, l'avrebbe definita un angelo.
"Buongiorno!" mormorò lei, in quel latino storpiato che lo infastidiva. Non si curò di rispondere, limitandosi ad osservarla con aria ostile.
Ronja inarcò un sopracciglio:
"Sei il mio schiavo ed io ti ho salvato la vita. Merito almeno un po' di rispetto, non credi? Anche se sono una di coloro che con disprezzo chiamate 'barbari'!"
Quelle parole, pronunciate con tono deciso e tagliente, risvegliarono il suo orgoglio e grugnì:
"Buongiorno, padrona: in cosa posso esservi utile?"
Se la ragazza aveva notato il sarcasmo nella sua voce non lo diede a vedere.
"Che cos'è? Un pezzo di ghiaccio? Rimane impassibile davanti a qualsiasi cosa!"
Solo quando aveva sfidato il padre gli era sembrata diversa, in qualche modo più umana. Visto che lei rimase in silenzio, immersa nei suoi pensieri ed apparentemente dimentica della domanda che le aveva posto, Aurelio decise di continuare a parlare:
"Perché mi avete salvato?"
Si pentì immediatamente di quell'audacia che avrebbe potuto pagare con il sangue, ma la ragazza non sembrò arrabbiarsi. Riportò lo sguardo indecifrabile su di lui e sorprendentemente gli rispose:
"Mio padre, Bror, è un valoroso guerriero delle truppe di Teodorico: ha lasciato con lui le steppe del Settentrione quando io ero ancora in fasce e obbedisce fedelmente ai suoi ordini. Siamo nobili, tra la nostra gente, ma non possediamo molti schiavi: quelli che hai visto ieri sera sono gli unici abitanti di questa casa… Oltre a me, ovviamente. E dato che mio padre dovrà partire presto per ordine del re, voleva essere sicuro che ci fosse qualcuno in grado di difendermi da eventuali minacce!"
"E voi avete scelto me?" domandò ancora il ragazzo, incredulo. La sua voce echeggiò tra i muri umidi, lasciando dietro di sé una scia di tensione: Ronja si irrigidì e per un attimo Aurelio temette che stesse per fuggire, imprigionandolo di nuovo. La cella era davvero molto piccola: gli sarebbe bastato balzare in avanti per afferrarla e questo lo sapevano entrambi.
Avrebbe potuto costringerla a liberarlo e tenerla come ostaggio fino a quando non fosse uscito dalla villa: due donne, un vecchio e un barbaro buttato giù dal letto di prima mattina non sarebbero stati un grande ostacolo nella sua fuga.
Il ragazzo scosse la testa:
"Non cadrò mai tanto in basso da dover usare una donna come scudo!"
Perciò si appoggiò con la schiena alla parete fredda e riprese ad osservare la ragazza con espressione meno ostile: i suoi propositi dovevano pazientare e il modo migliore per studiare un piano di evasione era fare esattamente ciò che quella ragazzina inesperta si aspettava da lui.
"Quali sono i miei compiti, dunque?" mormorò "Stare con voi giorno e notte?"
Per un attimo pensò che le guance di lei si fossero colorate di rosa, ma concluse che doveva trattarsi di un riflesso della luce dorata del sole.
"Non sono una sciocca! Non ti permetterei mai di vegliare su di me mentre dormo, con il rischio che tu mi possa staccare la testa al momento più opportuno! Apprezzo il tuo carattere, ma sappi che non tollererò oltre la tua insolenza! Sei stato avvertito!"
Aurelio sussultò per quell'improvviso scatto di vitalità e notò che la Ronja con i pugni chiusi e le labbra serrate aveva anche più fascino della sua controparte distaccata ed irraggiungibile.
"Non sono i pensieri di uno schiavo, questi. Non dovresti averli neanche se fossi un uomo libero!"
"Mi dispiace, mia signora. Cercherò di essere più ubbidiente!" borbottò tra i denti.
La ragazza si acquietò e osò addirittura fare qualche passo avanti, arrivando a sfiorare con l'orlo della veste i piedi scalzi di lui.
"Anch'io mi sono chiesta perché mi sia intestardita così tanto nel volere te come schiavo!" mormorò, con voce assente, come se parlasse a sé stessa.
"Non l'avevo mai fatto prima e mio padre troverà il modo di farmela pagare, ne sono sicura. Tuttavia non riesco a rammaricarmene: lotti come un orso furioso ed è esattamente ciò di cui ho bisogno!"
Per la prima volta Aurelio intravide un guizzo di incertezza e solitudine nelle iridi malinconiche e si lasciò quasi irretire dalla fragilità di quella ragazzina. Un attimo dopo, il suo nuovo ruolo di servo tornò a pesare sulle sue spalle come un macigno.
Anche Ronja sembrò rendersi conto della situazione ed indietreggiò velocemente verso la porta, senza paura ma con dignità e portamento. Si fermò solo un istante sulla soglia:
"Proteggermi non sarà il tuo unico compito. C'è davvero molto lavoro da fare qui."
 
Aurelio si deterse il sudore dalla fronte, fermandosi a riposare sotto l'ombra delle ultime colonne rimaste in piedi: Ronja aveva ragione. Aveva passato la mattinata a sgomberare il porticato dalle rovine e dai rampicanti che lo infestavano, aiutato da Ǻke. Dall'altra parte del cortile, Ingegärd e Ronja erano intente a strigliare i cavalli, mentre il robusto vitello che Bror aveva insistito per comprare a Ravenna pascolava nei campi incolti, sorvegliato da Vevika che raccoglieva legna per il focolare.
Il ragazzo era rimasto sbalordito da come la giovane padrona si fosse dedicata a quel lavoro pratico, affiancando la propria serva invece di lasciare tutta la fatica sulle loro spalle.
"Tutto sommato" pensò, riprendendo a strappare erbacce "Mi aspettavo molto di peggio!"
Bror era partito a metà mattina, gridando che non sarebbe tornato prima di sera; inizialmente Aurelio aveva meditato di poter sfruttare quell'occasione per scappare, ma nessuno lo perdeva mai di vista.
Aveva appreso che né Ǻke né Vevika parlavano latino, sebbene apparissero molto più amichevoli dell'altra serva; Ingegärd, infatti, lo osservava sempre con lo sguardo severo ed accigliato, in attesa di un suo errore per sbottare in un dialetto barbaro che lui non riusciva a comprendere, nonostante la dimestichezza acquisita durante gli anni di leva.
"Eppure sono sicuro che mi comprenda quando parlo!"
Aveva anche pensato di insultarla in latino per osservare la sua reazione, ma non si era arrischiato: tutti gli altri sembravano rispettarla ed era evidente il suo stretto legame con Ronja.
Guardandole lavorare fianco a fianco riusciva quasi a percepire il forte rapporto di affetto ed amicizia che univa le due donne.
Quando il sole era già alto nel cielo Ronja gli si avvicinò, mentre Ingegärd riaccompagnava le bestie nella stalla; la ragazza aveva le mani screpolate dalla striglia ed infreddolite per l'acqua ghiacciata che avevano tirato su dal pozzo, perciò le stava strofinando sulla tunica per riscaldarle.
Osservò l'angolo di portico che Aurelio aveva ripulito ed annuì:
"Hai fatto un buon lavoro!" esclamò, colpita, sfiorando con le dita la pila di rocce e mattoni che lui aveva accatastato oltre il perimetro delle colonne.
Il giovane si strinse nelle spalle:
"Ho pensato che potessero tornare utili per qualche altro lavoro!"
All'improvviso quel gesto gli sembrò stupido e sbagliato:
"Tu non vuoi restare qui a lungo: in questa casa ti aspetta solo una vita di fatica e di stenti. La vita di uno schiavo, per Dio! Fai ciò che ti è stato ordinato e non pensare ad altro: forse così riuscirai a farle abbassare la guardia!"
Mentre Vevika si affrettava a distribuire pane e formaggio a tutti, Ronja si accomodò in cima ad un muretto; Aurelio la osservò bere dalla borraccia che Ingegärd le aveva passato, apparentemente a suo agio nel dividere il pranzo con i suoi servi.
Da quello che gli aveva raccontato nella cella e da come si comportavano l'uno con l'altro, dedusse che dovevano viaggiare insieme da molto tempo.
"Probabilmente da quando lei era molto piccola. Non mi stupirei se li considerasse la sua famiglia; molti giovani rampolli dei ricchi lo fanno… Almeno finché la vita non li rende davvero consapevoli dei loro privilegi!"
Ronja puntò lo sguardo su di lui:
"Come ti chiami?" chiese ed il ragazzo si stupì di una domanda così semplice arrivata con così tanto ritardo. Avrebbe potuto chiamarlo come avesse voluto e lui avrebbe dovuto ugualmente rispondere; se avesse deciso di apostrofarlo come "cane rognoso" non avrebbe potuto protestare.
"Il mio nome è Aurelio."
"Aurelio e poi?"
"Aurelio e basta. Sono un orfano."
La ragazza piegò le labbra in una smorfia che lui non seppe decifrare:
"Come sei finito nell'esercito, allora?"
"Non avevo molta scelta: ero robusto e mi dimostrai bravo con la spada. L'alternativa era morire di fame per le strade di Capua, perciò accettai di servire un Impero che crollava a pezzi… Ma è stato una vita fa."
"Non sembri così vecchio!"
Aurelio si trovava a disagio in quella situazione, costretto a discorrere del suo passato come se fossero due vecchi amici, ma non poté rifiutarsi davanti all'occhiata imperiosa di Ingegärd.
"Sapevo che comprendeva la mia lingua!"
"Mi sono arruolato a quattordici anni, mentendo sulla mia età, e adesso ne ho venticinque."
"Raccontami qualcos'altro del tuo passato! Dove hai combattuto?"
Il tono di Ronja era impenetrabile come al solito, ma ai suoi occhi apparve come una bambina curiosa ed affascinata, in attesa di una storia avventurosa, di quelle che suo padre probabilmente non le aveva mai raccontato. Non avrebbe mai potuto narrarle degli orrori a cui aveva assistito, di quello Stato lacerato dai conflitti, dei massacri a cui aveva preso parte…
"Non c'è molto altro da dire!" sbottò, brusco "Ciò per cui ho combattuto non esiste più e ho passato talmente tanto tempo a fuggire che non ricordo neanche più cosa voglia dire sentirsi parte di qualcosa. Adesso sono il tuo schiavo e il mio passato non ha più molta importanza!"
La ragazza parve delusa, ma bastò che Ingegärd le bisbigliasse qualcosa all'orecchio perché tornasse ad essere la risoluta padrona di casa, dotata di un notevole senso pratico che Aurelio non poteva fare a meno di ammirare:
"Qui per oggi abbiamo finito; su, alzatevi! Vevika, rassetta la sala principale per quando mio padre tornerà; voi altri, venite con me, stamattina ho visto che in dispensa i muri hanno sudato!"
"Sudato?" sibilò Aurelio, confuso. Quando vide le macchie che correvano lungo le pareti della dispensa dovette fare uno sforzo per non scoppiare a ridere di fronte ai tre barbari, palesemente ignari di che cosa si trattasse:
"Questa è muffa!" spiegò il ragazzo "Compare quando l'umidità inizia a penetrare nei muri… Questi dovevano essere intonacati, un tempo…"
"Non ho compreso bene ciò che hai detto!" ammise Ronja, imbarazzata, dopo qualche istante di silenzio "Ma credi che si possa sistemare?"
Aurelio si lasciò sfuggire un sorriso:
"Con un po' di sano lavoro, mia signora, si sistemerà tutto!"
 
Druso faceva l'oste da quasi quarant'anni, ovvero da quando suo padre aveva tirato le cuoia, affidando a lui l'antica stazione di posta ai piedi delle Alpi. Quella vecchia cascina che cadeva a pezzi era più che altro una fonte di guai e preoccupazioni: sempre soggetti ad invasioni, razzie e rappresaglie, gli abitanti delle vallate circostanti non si arrischiavano spesso a viaggiare.
Così Druso si era abituato ad un altro tipo di clientela.
I suoi ospiti erano in maggioranza mercenari barbari che differivano per etnia, provenienza e destinazione e la sola cosa che avevano in comune era lo smodato amore per il vino, di cui l'oste non era mai sprovvisto.
Tutti i soldati barbarici, anche i più rozzi e spietati, avevano compreso quanto fosse utile una locanda come la sua e questo era probabilmente l'unico motivo per cui lui aveva ancora la testa attaccata al collo in quegli anni turbolenti.
Druso era arrivato a considerarsi un esperto di barbari: sapeva distinguere a colpo d'occhio un Visigoto da un Alano, sapeva come imbrogliare un Unno e conosceva tutti i trucchi per sventare una rissa tra degli Eruli troppo ubriachi. Arrivato alla sua età e circondato ogni giorno da decine di pericolosi invasori, era convinto che nulla potesse ormai spaventarlo.
Si sbagliava.
Quel cavaliere vestito di nero, con il cappuccio di pelliccia calato sul volto e la spada appoggiata con noncuranza sulle ginocchia, era terrificante. Stava seduto in un angolo della sala e tutti cercavano di stargli alla larga, lasciandolo solo ad osservare i riflessi del fuoco sulla lama lucente. Druso gli si avvicinò con un po' di timore:
"Salve, viandante. Desideri del vino, per ristorarti dalle fatiche del viaggio? O una stanza in cui dormire fino all'alba?"
L'altro non dette segno di averlo sentito e continuò a rigirarsi l'elsa della spada tra le mani. Druso, con l'occhio esperto di un commerciante, notò la gemma incastonata sul pomolo e l'eleganza di quello strumento di morte; in tanti anni di attività non aveva mai visto un'arma così ben fatta.
Finalmente, una voce bassa e minacciosa risuonò da sotto il lembo del mantello:
"Due mesi fa passò di qui un corteo di nobili Ostrogoti. Te lo ricordi?"
Druso rimase interdetto da quella domanda così precisa, pronunciata con tono glaciale:
"Beh, può darsi… Voglio dire, molte carovane passano di qui ogni giorno ed è passato diverso tempo…"
"Pensaci meglio!" ringhiò lo sconosciuto, serrando la presa sulla spada "Tra questi guerrieri ce n'era uno massiccio come una quercia, straordinariamente forte nonostante l'età non più giovane! Il suo nome è Bror. Con lui viaggiava una ragazza molto bella, dai capelli biondi e dagli occhi azzurri… Cosa mi sai dire su di loro?"
L'oste chiuse gli occhi nello sforzo di rammentare qualcosa; tremava e nonostante il fuoco acceso nel grande camino sentiva un freddo mortale penetrargli nelle ossa.
"Ora che me lo dici… Sì, mi ricordo di un guerriero di nome Bror, bevve tutti gli otri del vino del vecchio Oreste, per Dio! La gente continua ancora a chiedermi di quel vino e io non ce l'ho più e gli devo servire…"
"Dove si è diretto?" lo interruppe lo straniero. Per l'eccitazione si era piegato sul tavolo e Druso riuscì ad intravedere un ghigno soddisfatto sotto al cappuccio.
"Beh, a Ravenna, direi… Sì, sì, a quel tempo il nobile Teodorico stava marciando verso la capitale. Adesso dicono che abbia fatto ammazzare il re Odoacre durante un sontuoso banchetto e che…"
"Queste chiacchiere non mi interessano!" tagliò corto l'altro, facendo rotolare alcune monete d'oro sul tavolo. Poi, senza aggiungere altro, ripose la spada nel fodero che portava al fianco ed imboccò l'uscita, confondendosi con le ombre della notte.
 
 
Angolo Autrice:
Spero che questo primo incontro/scontro tra Ronja ed Aurelio vi abbia soddisfatto: ho cercato di rendere al meglio le contraddizioni del loro strano rapporto, che prima di tutto è quello di un'aristocratica con il suo schiavo.
Come sempre, sarei felice di sapere cosa ne pensate! :D
Intanto vi auguro buon anno! A presto!
 
   Crilu 
   
 
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