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Autore: Iskara    30/12/2017    1 recensioni
"Arena Colosseum. Un bellissimo nome per una scuola di magia e stregoneria italiana, quanto impronunciabile e antico. [...] . Il mio nome è Emma Cornelia Angelica Levante. Sì, qui in Italia nelle famiglie di maghi importanti, si danno nomi altrettanto importanti, si deve seguire la prassi. [...] Mi chiamano tutti Emma, tranne qualche imbecille della Domus Caligolea, che si diverte a prendere in giro gli altri. Che poi che avranno da scherzare: il loro araldo rappresenta un cavallo senatore, al loro posto mi sotterrerei, e invece ridono. Ma il mondo è bello perché è vario, o per lo meno così dicono. Io faccio parte della Domus Augustea, intelligenti e creativi, dicono, come i miei genitori e mia sorella, dicono. [...]e poi c’ero io, che avevo voti da paura in materie come “Niente” o “Nulla di importante”, e Larsen sapeva che questo mi feriva e lui infilava il dito nella piaga."
Chi è Larsen?! Un figlio di... La mamma. Povera la mamma!
Genere: Comico, Parodia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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Mi svegliai in infermeria, con il polso fasciato e un occhio nero, sotto gli occhi preoccupati di mia sorella, che puntualmente ogni volta che finivo per farmi male, ero di turno.
-Anche oggi hai fatto a botte invece di giocare a Quidditch? – ridacchiò appena mi vide sveglia.
Leila è il completo opposto di me, candida come mia mamma, con i boccoli biondi ad incorniciare quegli occhioni verdi smeraldo sempre pieni di premure per me. Io invece ero castana chiara, ma ogni settimana cambiavo colore di capelli: blu, viola, fucsia… mai lo stesso colore, al massimo sfumature diverse. I miei boccoli in quel periodo erano rossi fiammanti con le punte bionde. Era il colore perfetto per i miei occhi verde scuro. Leila mi offrì un bicchiere, e io la guardai diffidente.
-Dai aiuta a riassorbire gli ematomi. – disse mia sorella paziente.
-È come la schifezza che mi hai dato l’ultima volta? – gemetti.
-No, è peggio. Bevi. – intimò Leila.
Presi il bicchiere e trangugiai tutto d’un sorso. Il sapore era amarissimo, ebbi l’impulso di sputarlo, ma uno sguardo di mia sorella mi spinse a fare il contrario e quindi ingoiai, facendo sorridere Leila con la mia faccia schifata.
-Ti sei slogata anche il polso nella caduta. Ti do una pozione Ricostituente, devi prenderla la mattina a digiuno e la sera prima di cena, aiuterà il dolore e a guarire in fretta. – mi disse, piantandomi una boccetta dal colore ambrato sul comodino.
-Vieni a casa a Natale? – domandò poi.
-Certo, che domande. – risposi, mentre mi alzavo.
-Dove pensi di andare?! – chiese mia sorella, portandosi le mani sui fianchi. Quel movimento fece ondeggiare i boccoli biondi sulle sue spalle.
-A farmi una doccia, mi sono appena rotolata nella sabbia. – spiegai con semplicità.
-Hai pur sempre preso una botta in testa. Devo assicurarmi che tu non abbia subito un trauma cranico. – convenne Leila.
-Ma quale trauma! – dissi, cercando di oltrepassarla.
-Emma. – articolò perentoria. –Siediti su quel letto o ti lego. A fine partita vai dove ti pare. –
Mi conosceva troppo bene. Sapeva che non sarei andata a fare la doccia, ma sarei tornata al campo, a dare ordini ai miei compagni di squadra dagli spalti.
 
.
La partita si concluse ovviamente con la nostra sconfitta. Tenni il muso una settimana, mentre Larsen continuava a punzecchiarmi. Per l’occhio nero che lui stesso mi aveva fatto, per il polso slogato, perché lo sapeva che era stato l’impatto con la sua mascella a fare quel danno, e non la caduta dalla scopa.
Dannato Larsen e i suoi antenati.
Per fortuna la settimana dopo sarebbe stata quella di Natale, e quindi dovetti sopportarlo solo altri sette giorni. Una tragedia.
Da quando i nostri padri erano partiti per gli studi sui draghi, Larsen non passava più i Natali con noi, ed ero più che felice di quello, anche se non potevo vedere mio padre, spesso come avrei voluto. Certo ci mandavamo dei gufi, ma non era lo stesso.
Comunque torniamo alla tragedia.
Allegra mi riprendeva sempre per la collottola ogni volta che minacciavo di fare a pezzi Larsen. Diana invece…
-Sprecare energie in questo modo, non ti rende attraente per gli altri ragazzi, per l’appunto. – disse l’ultimo giorno, mentre nelle aule studio, raccoglievamo le nostre cose per andare a cena.
-Non mi importa un fico secco dei ragazzi. – sbuffai alzando gli occhi al cielo, mentre recuperavo il libro di pozioni.
-Se continui a comportarti come un maschiaccio… - continuò Diana.
-Non troverò mai un mago, per l’appunto. – la interruppi di getto. Allegra si lasciò sfuggire un risolino alle mie spalle, ma un’occhiataccia di Diana la zittì immediatamente.
-Sul serio non ti interessa? Sei così ottusa? – chiese poi.
-Ma che ottusa, dico solo che è presto. E poi so che non sarà Italiano l’uomo della mia vita. –
-Vuoi aspettare fino al matrimonio per… -
Diana fu interrotta da un mio movimento maldestro, procurato da Larsen, che passandomi accanto mi aveva regalato per Natale uno schiaffetto leggero sulla fronte, lasciando una scia di quell’odioso profumo morbido e delicato. Io per la sorpresa lasciai cadere a terra i miei libri, e mi voltai verso lo sghignazzante biondo svedese/norvegese/che-ne-so, che camminando all’indietro mi salutava con la mano.
-Buon Natale, Svart. – gridò dal fondo del corridoio, insieme ai suoi amici scemi e sghignazzanti.
Allegra mi afferrò preventivamente per la tunica, perché sapeva che gli sarei corsa dietro per picchiarlo a sangue, finché non avesse implorato pietà. No, non avrei smesso neppure in quel caso di prenderlo a calci.
-Se continui così, penserà che ti piace. – disse Diana, mentre mi rimetteva in mano i miei libri. A quel punto Allegra scoppiò a ridere a crepapelle e io inarcai un sopracciglio, come a chiederle se fosse impazzita.
-Le migliore storie d’amore nascono dall’odio. – disse ancora Diana.
-Sì, certo. – risposi sfilandole di mano il maledetto libro di pozioni. -È da quando siamo piccoli che ci odiamo –
-Per l’appunto. – concluse Diana.
Allegra sembrava non potersi riprendere dall’attacco di ridarella, neppure si fosse scolata una bottiglia di Acqua Allegra, mi voltai verso di lei rossa in viso.
-Si può sapere che hai da ridere? – domandai stizzita, mentre Diana ormai sorrideva, a reazione delle risate di Allegra.
-Mi sto immaginando la coppia. Un portento. – riuscì a dire seriamente, prima di sbottare di nuovo a ridere.
Guardai il libro di Pozioni. E lo tirai addosso ad Allegra, mancandola volutamente, mentre le sue risate si facevano più forti.
-Accio. – mormorai, per riprendere il libro da terra.
-Beh in ogni caso non ti libererai di Larsen così facilmente. – convenne Diana. – Lo hai sempre intorno anche a casa. Forse dovreste limitarvi ad ignorarvi. –
-Lo farei volentieri, se lui mi ignorasse a sua volta! Io mi difendo e basta! –
Allegra e Diana mi guardavano perplesse e un po’ titubanti.
-Beh?! Che avete da guardare? – dissi.
-La gelatina…- iniziò Diana, indicando la mia testa.
-Di drago. – disse Allegra, riducendo le labbra ad una linea sottile, per non scoppiare di nuovo a ridere.
Di istinto portai una mano alla fronte, e percepii un qualcosa di appiccicoso. Tentai di toglierla, ma si era arpionata ai miei capelli. Sbuffai rabbiosa.
-Io gli spacco la faccia! Dannato Larsen e i suoi antenati! -
 
 
Tornai a casa per il cenone di Natale, la mattina dopo. Salutai Allegra e Diana, e uscii da Arena Colosseum per dirigermi alla Metro B per poi prendere il treno a Termini per tornare a casa. Abito nell’alto viterbese, su una collina sperduta nel nulla, dove mio nonno ha l’allevamento di creature magiche, lontano dal Mondo Idiotus, non sia mai che uno di loro veda un dorso rugoso di Norvegia, gironzolare libero nel nostro terreno, visto che mio padre ne tiene uno a casa. Ormai è vecchio e malandato, vola di rado, ma Pompeo è il drago più scemo che io abbia mai visto. Oltre che un gran coccolone. Papà ha cercato di ammaestrarlo, e invece… è uscito scemo, ma non tutte le ciambelle escono con il buco, dice un detto Idiotus.
Salii sul treno e feci un’ora di viaggio, e quando scesi trovai mia madre ad attendermi alla stazione. Sarebbe stata un’altra ora di viaggio per andare a casa, per cui ci materializzammo lì e iniziò il mio calvario. Come va a scuola, come sta Allegra, come sta Diana, che dice Gregorio, come è andata la selezione per i campionati internazionali e via dicendo. Sputacchiai qualche risposta semplice, finchè mia madre mi disse che papà sarebbe tornato per questo Natale. Il mio umore cambiò subito, e mi fiondai da mio nonno che stava appunto dando da mangiare a Pompeo, che quando mi vide fece un verso flebile, ma felice. Mi avvicinai e lo accarezzai, mentre salutavo il nonno. Mi piace passare del tempo con lui ad accudire le sue creature, mi sono sempre piaciuti gli animali, poi Pompeo, per quanto scemo, lo adoravo. Più tardi entrai in casa e trovai nonna intenta nei preparativi per la cena con la mamma e mia sorella. Mi proposi di apparecchiare, per cui sfoderai la bacchetta e feci volteggiare tovaglia e piatti.
-Oh devi aggiungere tre posti, oltre che quello per tuo padre. – mi comunicò mia madre, tutta felice mentre con un colpo di bacchetta, i suoi capelli biondi formavano una crocchia ordinata. Uno schianto di massa si abbatté al suolo.
-Emma! – dissero mia madre e mia nonna che passava da quelle parti con un cesto pieno di dolci. Il tono cantilenante, voleva essere di rimprovero, ma vista la mia faccia, mia nonna sbottò quasi a ridere.
Mia madre fece volteggiare la bacchetta e riparò i piatti, posandoli lei stessa sul tavolo, borbottando riguardo al danno che avevo combinato.
-Sei diventata scema?! – gracchiò mia madre. –No, scusa lo sei sempre stata. –
Uscì dalla sala da pranzo a passo di marcia e io rimasi solo con mia nonna. Lei era l’unica a sapere delle diverse scaramucce che avevo con Larsen, per cui mi offrì un dolcetto dalla cesta e si sedette al tavolo, e io la imitai imbronciata, mentre masticavo il primo morso.
-Non riesci proprio ad andarci d’accordo con quel ragazzo vero? – mi domandò a voce bassa.
-E come faccio? È deficiente! – risposi stizzita.
-Ti prende ancora in giro? –
-Ieri mi ha appiccicato una gelatina di drago sui capelli. Per fortuna che Diana è brava a fare incantesimi o avrei dovuto rasarli a zero. Solo a ripensarci lo darei in pasto a Pompeo. –
-Trova un altro animale a cui darlo in pasto: Pompeo è troppo scemo. –
-Giusto. – risposi mesta, appoggiando il mento sulle mani.
La nonna portò le sue sulle mie, con fare… nonnesco. Non materno, nonnesco. La dolcezza delle nonne, non è descrivibile.
-Hai mai pensato che il vostro è un modo per dirvi che vi piacete? – suggerì.
-Nonna. Ti prego. Lo dice anche Diana. E no. Io lo odio e lui odia me. E poi Larsen è impegnato, anzi Nicola dice che è strainnamorato di Clara. – le spiegai.
-Nicola qui, Nicola là… - disse mia nonna gesticolando in aria. –Che me ne importa di quello che dice Nicola. Tu che dici? –
-Dico che lo ucciderei se potessi. –
-Benissimo. Era la risposta che volevo sentire. – disse nonna alzandosi.
-Ma che significa? – chiesi stordita.
-Lo capirai da grande. – strillò lei dalla cucina.
Mah. Io volevo solo morire, non capire. In quel momento avrei voluto che Pompeo mi ingoiasse tutta intera, senza nemmeno sputare le ossa.
Ingoiata e digerita.
Ma niente, era troppo scemo, aveva ragione nonna. Per l’appunto.
 
Pensavo di passare un Natale sereno senza quella piattola pel di carota appiccicata alle chiappe, invece no.  Mandai subito una lettera ad Allegra, con Frankie, il gufo scemo di mio nonno. Un allevamento e nemmeno mezzo animale decente. Sapevo che sarebbe tornato la notte, con la risposta, e dovevo assolutamente calmarmi. Magari quel cretino di Larsen non sarebbe venuto, magri avrebbe passato in Natale da Clara. Dal grosso balcone della mia stanza però, mentre fumavo una sigaretta magica alla fragola di bosco, le mie ultime speranze costruite con fatica, crollarono come castelli di carte al soffio del vento. Kenneth camminava accanto a suo padre con un sorriso dolce, niente a che vedere con quel ghigno spregevole con cui lo incontravo ogni volta a scuola. Era la fotocopia giovane di suo padre, e sua madre una donna affabile e gentile. Il signor Larsen era un giocherellone, simpatico e svampito, proprio come mio padre. Come era uscito un figlio così spregevole, da una coppia del genere? Mi ricordai di non farmi domande, di cui non volevo avere risposte, per cui spensi la sigaretta magica, e scesi da basso, ricordandomi solo all’ultimo gradino che mia madre mi aveva intimato di cambiare il colore dei miei capelli, con uno più sobrio, ma era troppo tardi, perché gli ospiti avevano già varcato la soglia. Ci furono calorosi saluti, e per la prima volta nella sua vita Larsen mi rivolse un sorriso affabile e caloroso.
-Emma. – disse.
-Kenneth. – risposi, con lo stesso sorriso, mentre le nostre mani, invece rivelavano i trascorsi.
-Piccola mia, ma che hai fatto al braccio? – domandò mio padre, mentre ci spostavamo nella sala da pranzo. Istintivamente lanciai uno sguardo a Larsen, lui non ricambiò perché si stava sedendo, ma sapevo che aveva sentito.
-Sono caduta dalla scopa durante la partita di Quidditch, e mi sono slogata il polso. – mentii.
-In realtà è stato colpa mia. – disse Larsen, con mia grande sorpresa.
-L’ho colpita io con la mazza, ero di spalle e mi preparavo a colpire un bolide. Non l’ho vista e ho preso Emma. A proposito, scusami, non era mia intenzione. – sorrise di nuovo affabile.
Tutta una facciata. Il sorriso di Larsen assunse una vena impercettibilmente derisoria, forse perché lo stavo guardando con gli occhi ridotti a fessure.
-Oh abbiamo due giocatori di Quidditch a tavola stasera! Mi ero dimenticato che fossi il capitano della Domus Augustea, Emma! – esclamò papà Larsen.
-Già. – risposi io.
La cena si dispiegò con tranquillità tra una chiacchiera e l’altra, Larsen senior era simpatico come sempre, e Larsen figlio gentile e affabile. La madre di Larsen aiutava mia madre con le portate, sorridendo amabilmente. Ero presso che assente mentalmente dalla meravigliosa serata che gli altri stavano passando, quando mi arrivò un calcio sotto al tavolo. Trasalii per il male, e Larsen mi rivolse uno sguardo innocente.
-Era la tua gamba? – chiese.
-No, quella del tavolo. – dissi ironica tra i denti.
-Mi scuso con lui, allora. – asserì, ammiccando.
Tutta una facciata, non me l’avrebbe fatta così, sotto al naso. Sapevo io, che quel figlio di… La mamma. Povera la mamma. 
   
 
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