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Autore: Iskara    30/12/2017    0 recensioni
"Arena Colosseum. Un bellissimo nome per una scuola di magia e stregoneria italiana, quanto impronunciabile e antico. [...] . Il mio nome è Emma Cornelia Angelica Levante. Sì, qui in Italia nelle famiglie di maghi importanti, si danno nomi altrettanto importanti, si deve seguire la prassi. [...] Mi chiamano tutti Emma, tranne qualche imbecille della Domus Caligolea, che si diverte a prendere in giro gli altri. Che poi che avranno da scherzare: il loro araldo rappresenta un cavallo senatore, al loro posto mi sotterrerei, e invece ridono. Ma il mondo è bello perché è vario, o per lo meno così dicono. Io faccio parte della Domus Augustea, intelligenti e creativi, dicono, come i miei genitori e mia sorella, dicono. [...]e poi c’ero io, che avevo voti da paura in materie come “Niente” o “Nulla di importante”, e Larsen sapeva che questo mi feriva e lui infilava il dito nella piaga."
Chi è Larsen?! Un figlio di... La mamma. Povera la mamma!
Genere: Comico, Parodia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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Tornata rabbiosa sui miei passi, raggiunsi Ally a lezione di Difesa contro le Arti Oscure, ma quando varcai la soglia, il professor Necros, il cui ottimismo era molto rinomato, mi lanciò uno sguardo mesto e parlò con la sua solita voce strascicata.
-Levante, anche oggi in ritardo? – chiese.
-Mi scusi professore io… -
-Meno dieci punti alla Domus Augustea, e adesso siediti. – intimò.
Allegra mi lanciò uno sguardo sconsolato, prima di farmi posto accanto a lei, mentre Necros ricominciava a spiegare. Mi sfuggì un gemito, quando per prendere la piuma d’oca, sentii il polso infiammarsi di dolore.
-Che è successo? – mormorò Allegra, mentre studiava il mio braccio, lievemente gonfio.
-Ho dato un pugno a Larsen. – sussurrai in risposta, tastandomi il polso.
-Che hai fatto?! – chiese Allegra, tra lo sconcertato e il preoccupato. Stavo per controbattere, ma Necros non me lo permise.
-Donati, qualcosa non va? –
-No, prof. Tutto a posto. – rispose Allegra Laevina Lucrezia Donati, proveniente da una delle famiglie di maghi più antiche di tutta l’Italia, di origini toscane, con il viso ornato da riccioli castani. Qualche suo antenato era stato al servizio di Voldemort, come qualche membro della sua famiglia ancora in vita, ora a marcire ad Azkaban, ma Allegra è diversa. Non è una strega razzista, e non pensa che la ricchezza serva a qualcosa, se poi dentro si è poveri di emozioni.
Necros continuò a spiegare, mentre con mano dolente cercavo di prendere appunti, ma ad ogni parola che scrivevo, sentivo l’osso del polso gridare. Accidenti, mai avrei immaginato che avrei potuto slogarmi un polso per dare un pugno a Larsen. Magari era solo la botta iniziale, mi sarebbe passato. Anche se aveva comunque vinto lui.
 
Alla fine della lezione Gregorio, il mio giocatore titolare, non che Cercatore della squadra della Domus Augustea di Quidditch, mi placcò in corridoio.
-Capitano! – mi chiamò.
-Oh ciao Greg- lo salutai.
-Oggi gli allenamenti sono annullati. – mi avvertì col fiatone.
-Come sarebbe annullati!? Sabato c’è la partita, ho prenotato il campo per oggi pomeriggio da una settimana! – mi infervorai, mentre sul viso di Allegra si disegnava una smorfia sorpresa.
-Il preside lo ha concesso oggi alla Domus Cesarea. – disse Gregorio.
-Oh neanche per sogno! – sbottai.
-Lo so, e domani è occupato dai Caligolei. –
-Ma non giocano questo fine settimana! Accidenti è per le selezioni del Campionato Internazionale delle scuole! – strallai.
-Emma è stato Larsen. È vero che gli hai dato un pugno stamattina? –
-Sì. – risposi alzando gli occhi al cielo, prima di mollare tutti in corridoio e dirigermi alle tribune Celie, per parlare con il preside, che ovviamente non mi diede nemmeno uno sputo di ora per gli allenamenti.
Dannato Larsen e i suoi antenati.
 
 
 
 
Il sabato poco prima di entrare in campo, mi sorpresi ad assicurarmi che la mia scopa non fosse stata manomessa, trascinando Diana sotto le tribune, affinché anche lei dicesse che la mia scopa non era soggetta a nessun tipo di sortilegio. Sapevo che Larsen aveva in mente qualcosa e che spesso giocava sporco, ed essendo un Battitore, i suoi bolidi erano sempre diretti a me. Giustamente se il capitano della squadra crolla, è ovvio che si abbiano più possibilità di vittoria, in quanto la squadra avversaria non ha più un coordinatore. Per questo avevo istruito Gregorio a dovere. Lui era il Cercatore, e tutti gli altri sapevano che se finivo a terra, il loro compito era ascoltare lui. Io giocavo come Cacciatore dal secondo anno, ed ero stata eletta capitano dal terzo in poi e avevo mantenuto quel ruolo, perché sapevo farmi ascoltare. Alle volte con sfilze di coloriti insulti, altre volte solo con lo sguardo. E prima di entrare in campo, fu proprio quello a terrorizzare i miei compagni di squadra. Stava dicendo “Avete 206 ossa. Se perdiamo, ve le spezzo tutte”. Detto questo, entrai in campo, i Cacciatori si posizionarono con me al centro, sopra i battitori e ancora più su Gregorio. Larsen mi indirizzò uno sguardo divertito e allo stesso tempo provocatorio, ma non proferì parola, forse ammutolito dal mio sguardo grondante astio.
Io e Larsen ci conosciamo da quando siamo piccoli, ma non ci siamo mai piaciuti. Malgrado le nostre famiglie sperassero (invano), li abbiamo sempre delusi. Kenneth è il figlio del migliore amico di mio padre, ergo mi sorbisco Larsen più o meno tutti i Natali, i Capodanno e almeno un mese di estate. Crescendo ovviamente ci siamo allontanati, niente più scherzi o dispetti, o scaramucce da bimbi. Finchè non siamo entrati ad Arena Colosseum a quattordici anni. In Italia la scuola dei maghi dura solo cinque anni, si può decidere se farla durare altri tre, per specializzarsi. Larsen è capitato nella Domus Cesarea e io in quella Augustea. Una tragedia. Qualunque anno si frequenti, dai quattordicenni ai ventunenni, tutti provano odio tra questa due Domus. Perché non ci è dato saperlo, ma è insito in noi. Quindi come dicevo, una tragedia. Larsen e la sua cricca ha iniziato prima a rompere le scatole alla mia di cricca, poi al resto della Domus, una volta cresciuto abbastanza. Piccoli tiranni crescono, ma ad ogni suo scherzo o sopruso io ci finisco sempre in mezzo. O come diretta interessata, o anche solo di striscio, braccia o chiappe non specificate. Però anche Larsen ha dei pregi. O per lo meno così diceva “Radio Serva”, ovvero Nicola, uno dei miei battitori, che sapeva sempre tutti di tutti, non si sa come, né perché. O meglio, alla gente piace raccontare le proprie cose a Nicola, ripongono tutti fiducia in lui. Forse perché ha il visetto pulito e ancora acerbo da ragazzino, forse perché tutti pensano che esser gay ti faccia sembrare più saggio. In ogni caso non credo che Larsen gli raccontasse i fatti suoi volentieri, magari era stata la fidanzata di Kenneth a farlo. Stranamente Larsen era monogamo, anche se le sue battute a doppio senso, spesso facevano pensare il contrario. Da quello che Nicola diceva, Larsen era pazzamente innamorato sin dal primo anno di Clara Yen Gi, una ragazza di origini cinesi, o coreane, o giapponesi, che spesso faceva a gara con Diana, per ricevere più attenzioni dai ragazzi. Yen Gi anche è bella, ha gli occhi grandi e pieni di ciglia, a differenza di quanto accade con la maggiora parte dei… Degli orientali, e la sua pelle è come seta, come la chioma scura sempre ordinata che le oscilla sui glutei quando cammina. Io non riesco a sopportarla, anche se ricordo che una volta Larsen mi stava rompendo le scatole, ma Clara lo aveva strattonato per un braccio, incitandolo a smettere, e lui aveva sospirato, guardandola come solo un uomo innamorato, guarderebbe la sua donna, e aveva smesso. E io l’avevo invidiata. Perché era bellissima, e perché avrei voluto anche io che un uomo guardasse me, come Larsen aveva guardato Yen Gi. Poi Larsen se ne era andato e Clara mi aveva rivolto uno sguardo pieno di preoccupazione in quegli occhioni scuri a mandorla, chiedendomi se andasse tutto bene. Non avrei potuto dirle di no, perché in fondo non c’era un vero motivo per odiarla. Anzi non mi aveva proprio fatto mai niente lei.
Mi persi con lo sguardo a cercarla tra gli spalti, ma forse non c’era quel giorno. A Clara non piacevano le partite di Quidditch, veniva solo per fare contento Larsen, che poi alla fine della storia, neppure era interessato alla presenza della sua fidanzata durante le partite.
Il professor Botti fischiò e lanciò in aria la Pluffa, sulla quale mi gettai subito, afferrandola al volo, schivando quell’imbecille di amico di Larsen, capitano della squadra Cesarea. Era una piattola durante le partite, peggio del rossiccio svedese/norvegese/che-ne-so. Il polso mi faceva ancora male e a stento mi reggeva sulla scopa, ma tentai di non pensarci, anche se sia Diana che Allegra avevano provato a dissuadermi dal giocare quel fine settimana.
Schivai un altro giocatore, che si era tuffato su di me, e passai la palla ad un compagno. A quel punto vidi un bolide sfiorarmi la testa, e più su Larsen, poggiarsi la mazza sulla spalla, e sorridermi compiaciuto. Lo lasciai ai suoi bolidi, e mi diressi a protezione della Pluffa, ancora di nostra proprietà, quando ricevetti una spallata, che mi scaraventò fuori campo. Accidenti. Botti fischiò il possesso palla all’avversario. Nel Quidditch, se una squadra ha la palla, e uno dei giocatori finisce fuori campo, la Pluffa passa agli avversari. E i nostri nemmeno un secondo dopo, la imbucarono nell’anello centrale. Lanciai uno sguardo al portiere, ma non dissi nulla. Avevo visto un bolide seguire la sua traiettoria, se non si fosse spostato lo avrebbe preso in pieno, e addio portiere. Sfrecciai in centro campo, sbraitando a Nicola di tenere a bada quelle palle indemoniate e a Gregorio di non starsene impalato, e cercare il boccino. La partita seguitò a nostro svantaggio, per un’ora circa, ma poi riprese prima in parità e in seguito con noi in testa. Vidi finalmente Gregorio correre dietro al boccino, seguito subito dopo dal cercatore della Domus Cesarea. Tentai di dissuaderlo dal seguire Gregorio, tagliandogli la strada, per recuperare un passaggio perso, quando mi trovai Larsen addosso, e con una botta mi mandò di nuovo fuori campo. Arrabbiata tornai a sfrecciargli addosso, ormai era diventata una cosa personale, ma in quell’istante, mi resi conto che Larsen stava caricando per colpire un bolide nella direzione opposta alla mia, ma era già troppo tardi, e colpì me in piena faccia. Caddi dalla scopa come un sacco di patate, con il polso dolorante, per il pugno che gli avevo sferrato, che aveva ceduto per il male, facendomi caracollare a terra.
   
 
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