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Autore: Yellow Canadair    01/01/2018    3 recensioni
Non leggete questa storia, per favore. È piena zeppa di fluff, di agenti segreti che fanno a botte, di spiriti misteriosi che infestano le loro case. E poi parliamo del Cp9, ve li ricordate quei ragazzacci, a Enies Lobby? Qui sono passati due anni, ma le vecchie abitudini sono dure a morire.
Tra una missione e l'altra vivono in una grande torre al centro dell'Arcipelago di Catarina, e anche se ormai Spandam è il loro galoppino e l'hanno soprannominato "scendiletto", i guai non sono ancora finiti.
E poi c'è Stussy, l'agente del CP0. Davvero volete leggere di quando fece a Lucci una proposta indecente? Ma dai, ci sono storie molto più piccanti di questa.
C'è anche Gigi L'Unto, proprietario della peggior locanda della Rotta Maggiore: per leggere la sua storia dovete esser vaccinati pure contro la peste nera, ve l'assicuro. Però sua figlia è molto carina.
C'è anche Lili, una segretaria che è anche pilota, ma questo Rob Lucci non vuole che si sappia in giro, quindi in questa storia non piloterà un bel niente (forse).
Ancora non vi ho convinti a lasciar perdere? Beh, se amavate i completi eleganti del Cp9 passate oltre: qui vengono denudati spesso.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cipher Pool 9, Jabura, Kaku, Kumadori, Rob Lucci
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dal CP9 al CP0 - storie da agenti segreti'
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Concerto in Piazza del Balconcino D’Oro

 

Casa di Rob Lucci era all’ultimo piano della Torre di Catarina: un attico che confinava con quello di Kaku, e che aveva una superba vista di tutto l’arcipelago; non per nulla quello era l’edificio più alto dell’intera Catarina: con la grande bandiera del Governo Mondiale che sventolava sul tetto, tuonava a tutto il mondo che la Giustizia era al di sopra di chiunque. E se quello era il reparto guidato da Rob Lucci, allora voleva dire che la Giustizia era quella Oscura.

Era l’ultima sera dell’anno. Tutte le isole brillavano di luci colorate, ed erano uno spettacolo meraviglioso da godersi dall’alto della torre: sospese nel nero del mare, sembravano quattro gioielli sfavillanti sul velluto, e i ponti erano lunghi e sottili fili splendenti che correvano fra le Isole principali e quella centrale, illuminati da centinaia e centinaia di faretti bianchi. L’isola dell’Est, invece, collegata con una filovia, era regolarmente servita dalla cabina rossa che, per le feste, scintillava coperta di luci d’oro e sembrava una grossa sfera di fuoco che si rifletteva nel mare sottostante.

Ma la più luminosa di tutte era l’Isola dell’Ovest, quella con il clima rigido dell’inverno: ogni persona infatti, per tradizione, aveva il compito di posizionare un lungo filo di lucine. Uno solo a testa, lungo quattro metri e mezzo: i primi quattro metri erano il simbolo delle quattro isole maggiori, il restante mezzo metro era per l’isolotto centrale. Era il modo dell’Isola dell’Inverno per ricordare a tutti che quell’angolo di mondo esisteva per la cooperazione degli abitanti di quattro isole (più una), e grazie alla collaborazione era diventata una perlina del Mare Occidentale.

Lì, sull’Isola dell’Ovest, si sarebbe tenuto il tradizionale concerto di Capodanno, nella grande Piazza del Balconcino D’Oro, dove da tre giorni c’era un gran daffare per montare il mastodontico palco dove si sarebbero esibiti i cantanti dell’arcipelago e anche qualche star chiamata da fuori! Alcuni anni prima l’organizzazione si era superata e aveva fatto venire il grande Brook, il Re del Soul, alzando decisamente l’asticella per tutti gli altri artisti che si sarebbero esibiti dopo di lui negli anni a venire. Era stato un grandissimo concerto ed era stato proprio lo scatenato musicista a declamare il conto alla rovescia per l’anno nuovo.

« E quest’anno? Chi suona? » domandò Kaku togliendosi il tovagliolo dalle gambe e depositandolo sul tavolo della sala da pranzo di Rob Lucci.

« Che importa? » si strinse nelle spalle Jabura, vuotando la bottiglia del vino e puntando lo stipo degli alcolici più pesanti che c’era sotto il giradischi nell’angolo « Io un giro laggiù me lo vado a fare comunque! »

Fukuro, viaggiare informati, si aprì velocemente la zip che aveva serrato per evitare di servirsi di altro pandoro, dopo i due mangiati, e disse: « Cantano le Pink Slip dell’Isola dell’Sud, i Bitter Cabages dell’Isola del Nord e un gruppo di ballerine di samba dell’Isola dell’Est! Da fuori invece canteranno gli All Blue Brothers! »

Califa, elegantemente fasciata in un tubino rosso fuoco e con le calze nere scintillanti di piccoli fili argentati, lo guardò da sopra le lenti degli occhiali: « Ma tu non avevi votato per rimanere qui, dopo cena? » e invece era quello che la sapeva più lunga di tutti.

« Chapapa, Gigi L’Unto dell’osteria mi ha dato il programma della serata » spiegò l’agente cavandosi un volantino colorato dalla tasca « Ha detto che sua figlia Souzette lavorerà con i tecnici, perciò era molto informato »

E passò a Califa, sul tavolo ingombro di bricioline, bicchieri vuoti e le carte dell’ultimo giro di Mercante in Fiera, lo sfavillante volantino, che venne guardato anche da Kaku e da Blueno, lì vicino.

Hattori spiccò il volo dalla spalla di Rob Lucci e si avvicinò per ficcanasare anche lui.

« YOOOOOYOOOOOI!! LA TRADIZIONE SECOLARE DELL’ISOLA DELL’OVEST! IL LUOGO DOVE IL CUORE DEL POPOLO SCALDA UNA TERRA FREDDA E VENTOSA, DOVE L’INVERNO AVVOLGE I MONTI PER TUUUUTTO L’ANNOOO! » declamò Kumadori roteando il proprio bastone, pericolosamente vicino alle stoviglie sul tavolo. « Per i nostri animi, di assassini e vagabondi, sarebbe una grande occasione per assaporare, una volta l’anno, tradizioni lontane che dolcemente incatenano gli uomini alla terra. » concluse affacciandosi alla finestra e guardando verso l’Isola dell’Ovest, dove si sarebbe tenuto il concerto.

« Sì, questa roba qua » tagliò corto Jabura andando verso l’ingresso « Sono le dieci passate, tra poco inizia. Io vado, se vi va mi raggiungete »

« Dove diavolo stai andando? » gli sbarrò il passo Rob Lucci raggiungendo l’uscio con il Soru « Mi dovete aiutare a mettere a posto »

« Lo facciamo domani mattina » promise il Lupo.

« Domani mattina dormirai » gli disse Califa sfilandogli il giaccone bordato di pelliccia che si era già messo sulle spalle.

« Già, il piano era proprio quello » riconobbe Kaku di malumore, mentre impilava uno sull’altro i piatti sporchi che c’erano sul tavolo.

« Stai insinuando che sono un lavativo, Kaku? » sguainò i denti il litigioso Jabura, portandosi a un soffio dal naso di Kaku.

« Lascia perdere, Kaku » tirò le redini Lucci « Nel suo caso non insinui, puoi fare accuse precise »

« YOOOOO YOOOOOIIII! » Kumadori aveva assistito fin troppo spesso a incipit del genere. « L’atmosfera della festa non venga turbata da futili motivi! Tutti insieme abbiamo cenato nell’ultima sera dell’anno, e tutti insieme faremo tornare la casa dell’ospite al suo originario aspetto »

 

~

 

« Beh, io vado » disse dopo una mezz’ora scarsa Jabura, e quella volta nessuno gli sfilò il cappotto per fargli sciacquare i piatti.

« Non ti facevo mica così appassionato di musica » commentò Kaku « Perché sei così impaziente? Tanto anche se facciamo tardi non succede niente, è un concerto in piazza, arrivi quando ti pare » osservò abbottonandosi il giubbino imbottito.

« Cosa c’entra la musica? » si lamentò Jabura.

« Almeno il nesso tra “concerto” e “musica” pensavo lo afferrassi… » lo punzecchiò Lucci.

« È per il conto alla rovescia, genio » rispose seccato Jabura con una mano sullo scintillante pomello. « Se rimaniamo chiusi qua dentro, ci perdiamo l’inizio dell’anno nuovo! »

« Chapapa, lo trasmette la Marina anche dai videolumacofoni » osservò Fukuro.

« Possiamo seguirlo anche da qua, solo affacciandoci » ovviò Blueno, ricordando a tutti che dall’appartamento di Lucci si vedeva benissimo il palco dell’Isola dell’Ovest « Non mi va molto di muovermi… »

« Invero i vostri discorsi sono tardivi e il nostro amico sta già scendendo le scale » disse Kumadori. « E io mi appresto a seguirlo »

 

~

 

Jabura aveva fatto bene a infilare la porta e costringere tutti a uscire, perché l’atmosfera lì sull’Isola dell’Ovest era frizzante, eccitante, magica e c’era un gran via vai di persone di ogni razza. La neve, che invadeva le strade tutto l’anno, era stata spazzata via e accumulata negli angoli, dove mucchi di bambini componevano pupazzi e castelli usando ciò che riuscivano a raccattare. Le enormi luminarie scintillavano sulle facciate dei palazzi dai tetti a spiovente, si vedevano da lontano ed erano così luminose da illuminare persino le montagne aguzze in lontananza e proprio al centro dell’abitato, nella grandissima piazza del Balconcino D’Oro, c’era l’immenso palco, vuoto ancora per poco, dove si affaccendavano tecnici per l’ultimo soundcheck.

Un sacco di persone assediavano il palco, ed era impossibile avvicinarsi; per lo più si trattava di fan scatenati di questo o quel gruppo, lì per supportarli con cori e striscioni; gli agenti decisero di non andare a sfidare quelle bande di esagitati per un posto in prima fila che, tutto sommato, a loro non interessava granché.

Bene infagottati nei cappotti invernali, si fermarono sul limitare della piazza, all’angolo di una strada laterale che conduceva al grande spiazzo. Da lontano vedevano la calca che s’era formata sotto al palco, ma loro erano in una zona più distante, dove ci si poteva muovere liberamente e godersi l’aria di festa che c’era sull’isola.

Le persone, finiti i cenoni, stavano sciamando dalle altre isole a quella; i Governativi avevano visto dall’alto lunghe file di carrozze e di persone a piedi, sui ponti, mentre loro saltavano liberi e leggeri con il loro Geppo per spostarsi di isola in isola. Saltare con il Geppo sul mare aperto era una cosa che metteva i brividi, seppur per brevi tragitti: le luci della Torre illuminata si facevano piccole e lontane, e sotto le gambe non c’era che una distesa d’acqua buia, che si muoveva come un animale addormentato, nera da far paura. Gli agenti badavano sempre di tenersi nei paraggi del ponte per evitare cadute indesiderate: due chilometri di salto non erano nulla, per loro, ma essendo per lo più possessori di Frutti del Diavolo non volevano correre rischi inutili.

« Eccoci qua. Soddisfatto? » fece Rob Lucci a Jabura.

« Oh sì » sospirò allegro il compare, con le mani affondate nelle tasche che si guardava attorno tutto contento.

Hattori se ne stava appollaiato sul suo palco reale, la spalla di Rob Lucci, e ammirava la moltitudine di persone e di luci attorno a lui. Lui e il suo padrone erano avvolti nella stessa grande sciarpona verde scuro di lana grossa. Lucci aveva inventato un nodo speciale per coprire sia lui che il piccione, ma che lasciava ad Hattori la libertà di volare via, se lo desiderava. Molto utile, se all’improvviso si richiedeva necessario combattere, e l’uccellino non doveva assolutamente essere coinvolto.

Kaku e Califa si scambiarono uno sguardo e cominciarono silenziosamente a studiare la posizione del palco rispetto alla piazza, i luoghi più riparati, dove si accalcavano più persone e da dove arrivava la fiumana di gente. Deformazione professionale. Notarono inoltre che, agli angoli delle strade, c’erano alcuni Marine in divisa, e individuarono anche due o tre agenti in borghese.

Non era strano che ci fosse anche la Marina su un’isola dove era presente anche una falange del CP0: loro si occupavano di affari internazionali, e che coinvolgevano i Draghi Celesti, ma era sempre la Marina che vegliava sulla sicurezza dei comuni cittadini.

« Per favore, per favore, fate un’offerta! » pregava a gran voce un ragazzino con dai riccioli rossi. Era benvestito e portava con sé un sacco di iuta. « Fate un’offerta al Movimento per la Liberazione dei Lumacofoni! » vide il gruppetto di agenti che lo scrutava con curiosità e si avvicinò speranzoso.

« Volete comprare una lumacamera usa-e-getta, signori? » domandò « Guardate: hanno un rullino da venti fotografie, e quando le avete scattate tutte il guscio si stacca, e potete liberare la lumachina nel vostro giardino! Così può vivere libera! »

« L’hai fatto tu? » chiese Blueno prendendo tra le mani l’animaletto, dal guscio dipinto di rosso brillante.

« Sì signore » rispose il ragazzino « Compro i lumacofoni all’ingrosso, da quelli scartati per piccoli difetti e destinati al macello. Li aggiusto e li rivendo. »

« CHE SISTEMA INGEGNOSO! CHE AMORE PER LE CREATURE! »

« I signori sono dei veri intenditori » cercò di arruffianarseli il ragazzino.

« Quanto costa? » chiese Lucci, interessato.

« Seicento Berry! Prezzo speciale per Capodanno, di solito è mille »

Fu Hattori ad allungargli due monete, che il ragazzino prese estasiato. « Oh, che carino! » si complimentò « È davvero bellissimo, signore! »  e se ne andò tutto contento, cercando di attaccare bottone con gli altri turisti tra la folla.

« Non ti facevo appassionato di fotografia » osservò Kaku.

« Non lo sono, in effetti » rispose il leader del gruppo « L’ho comprato ad Hattori. »

Il colombino, in effetti, aveva nascosto il minuscolo lumacofono sulla spalla di Lucci, infagottandolo nella grande sciarpa verde fino a risultare invisibile. Chissà se l’obiettivo sarebbe riuscito a valicare le coltri!

Da una bancarella poco distante venne una zaffata di profumo di cannella e di brioche, che fece voltare immediatamente gli agenti in quella direzione.

« Chapapa, sono i dolci dell’isola! Li fanno solo in questo periodo… » commentò Fukuro.

Kumadori si mise una mano nella tasca del giaccone e tirò fuori il proprio portafogli.

« Hai appena finito di vuotare la dispensa di Lucci » osservò Blueno guardandolo contare gli spiccioli « Come fai ad avere ancora fame? »

« YOYOI! Con la Tecnica della Reazione Vitale! »

« Hai digerito tutto per ricominciare a mangiare?! » disse Califa allibita. Lei prima di uscire di casa aveva bevuto acqua e bicarbonato!

« NON ESSERE IRRISPETTOSA, CALIFA! Non è per soddisfare la fame, ma per onorare le usanze di una terra straniera per noi ancora vergine! » spiegò barocco, prima di dirigersi velocemente verso il banchetto.

 

Dietro il bancone, a servire i clienti in fila, c’era una signora piccola e rotondetta, con una grande massa di capelli color carota sapientemente acconciati in trecce e chignon sulla cima della testa, cosa che le regalava qualche centimetro in più d’altezza. Era regina nel suo dolcissimo regno, e riempiva uno dietro l’altro i sacchetti di carta dentro i quali vendeva le sue squisitezze. Prendeva le monete e restituiva dei cartocci profumatissimi. I bambini si accalcavano e si alzavano sulle punte, ognuno sperando che si notasse più degli altri la propria moneta, ma gli occhi della piccola signora sapevano già chi era arrivato prima e chi dopo, e non permetteva a nessuno di scavalcare la fila.

Kumadori si trovò quindi dietro Biscina, di anni otto e mezzo, incaricata di far la fila per sé e per gli altri cinque fratelli; era una dei pochi ad avere non le monete, ma una banconota per pagare.

All’improvviso una ragazza si avvicinò trafelata al bancone: « Inna, scusami, puoi farmi un cartoccio con due Morbidoni? » era Souzette L’Unto, figlia di Gigi L’Unto, quello che aveva una locanda frequentata spesso dagli agenti del CP0: evidentemente era in pausa, visto che Fukuro aveva detto che avrebbe lavorato nello staff del concerto, e infatti aveva il giubbino giallo catarifrangente e nero che indossavano tutti i tecnici, con la scritta “crew” sulle spalle. I capelli neri a caschetto le incorniciavano il volto truccato, e su un orecchio c’era incastrata la prossima sigaretta che avrebbe fumato.

« Ehi! » si lamentò una bambina « Ha saltato tutta la fila! » e prendendo coraggio, anche altri bambini cominciarono a lamentarsi e guardare torvi la proprietaria del banchetto. La quale tuttavia non si lasciò soverchiare e disse sbrigativa: « Lei sta lavorando come me, e non è in vacanza. Hai già i soldi contati, vero? »

Souzette le allungò esattamente le monete che servivano a pagare.

« Ciao, Kumadori » lo salutò disinvolta.

Kumadori le sorrise, onorato da quella presenza « Souzette, di Cocca e Gigi L’Unto, sante le tue mani che sfamano gli avventori della tua locanda!! »

« Veramente papà ha contratto una strana malattia quando ha pranzato lì » intervenne Biscina, la bambina in fila davanti a Kumadori, la quale stava assistendo alla scena.

« Giovane virgulta, la tua età giustifichi la gravità delle tue azioni » tuonò Kumadori « O DOVRÒ PRATICARMI IL SEPPUKU PER ESPIARE LA MALDICENZA! »

« No, non è un problema » lo consolò la ragazza facendo spallucce « Non c’è maldicenza quando lo stabilisce la commissione d’igiene » e senza aggiungere altro, la ragazza prese il suo cartoccio con i dolci e si voltò per andare via, ma Kumadori la trattenne gentilmente con una ciocca di capelli rosa.

« Vuoi onorare con la tua presenza questo gruppo di compagni? Sarà una pausa di pochi minuti dal tuo lavoro, per rinfrancare il corpo e la mente » le offrì Kumadori, indicando gli agenti che si tenevano lì vicino, non così tanto da sembrare in fila anche loro, ma abbastanza da non perdere di vista Kumadori.

Souzette li salutò con la mano, sorridendo: frequentavano tutti, chi più e chi meno, la locanda del padre e li conosceva bene; però, accendendosi la sigaretta, rispose: « Negativo, amico. Anzi, perché non venite con me? Uno dei vostri galoppini ha problemi con la Marina. »

« Quel coglione di Spandam? » s’infuriò Jabura.

« Non spreco la notte di Capodanno per cavargli le castagne dal fuoco » tuonò Lucci.

Souzette inarcò le sopracciglia, sorpresa, ma non aveva tempo per indagare cosa ci fosse dietro tutto quell’astio. « Come volete, ma non si tratta di lui, è la ragazza, Lilian: l’hanno scippata, e lei ha reagito al ladro » spiegò la donna incamminandosi.

Gli occhi di Rob Lucci divennero più gelidi della notte di San Silvestro. La Marina, di guardia in quell’isola, aveva permesso a un ladro di operare indisturbato?

« L’hanno ferita?! » si preoccupò Jabura.

« Ma che ferita! Rischia di farsi arrestare per porto d’armi abusivo! » rispose Souzette affrettandosi, ormai seguita dagli agenti del CP che avevano rimandato l’idea di comprare i dolci al baracchino. Andarono a finire in un’altra piazzetta dell’isola, meno grande di quella del Balconcino D’Oro, dove c’erano tante altre persone che passavano allegramente il capodanno. Sotto un portico illuminato, in mezzo a un capannello di curiosi c’era una ragazza, visibilmente alterata, e un Marine con le manette in mano.

« No che non vengo! » dichiarava furiosa la ragazza « Devo recuperare il borsellino! »

Il Marine però non voleva concederle nulla: « Signorina, quello è possesso illegale di arma bianca, mi segua e non mi costringa a trascinarla via, proprio la notte di Capodanno »

« Mi ridia il coltello, per favore » ringhiò Lilian, con le lacrime agli occhi e sempre meno calma.

Il Marine rise, non prese nemmeno in considerazione la richiesta.

« E allora mi lasci andare » disse strattonando la presa del Marine, che la teneva per un braccio « tanto senza coltello che male posso fare? »

« Le teste calde come lei un modo lo trovano, dovessero usare le unghie. Forza, andiamo in caserma »

« IO NON CI VADO, IN CASERMA! »

Rob Lucci e i suoi si fecero strada in mezzo alla folla che assisteva al diverbio e scommetteva sulle due parti.

« Che sta succedendo qui? » domandò senza salutare, rivolgendosi direttamente al Marine.

« Signor Lucci! » lo salutò con deferenza l’uomo in divisa, chinando il capo; Rob Lucci era una personalità ben nota nell’isola, per il ruolo che aveva, e le leggende dei suoi massacri erano conosciute da tutti. « Nulla che possa turbare la giustizia, abbiamo sorpreso questa ragazza con un’arma in mano. Le hanno rubato il borsellino nella folla, e voleva farsi giustizia da sé. »

Quando vide Rob Lucci avvicinarsi, Lilian divenne di fiamma per la paura e per l’imbarazzo di farsi sorprendere in una situazione così scomoda. Un suo sottoposto che si faceva arrestare dalla Marina? Lui aveva ucciso per molto, molto meno.

« Buonasera, boss » salutò il suo superiore, e salutò gli altri agenti con la mano. Sorrise senza neanche rendersene conto e l’istinto le fece prendere spalancare le ali per correre da loro, ma il Marine la acchiappò per il bavero del cappottino e non la fece allontanare.

« Sta trattenendo il derubato e ha lasciato andare il ladro? » riassunse Califa.

Lili cominciò a rilassarsi: se Califa la metteva così, forse Lucci non sarebbe stato arrabbiato con lei che voleva difendersi, ma con il Marine che glielo aveva impedito.

« Sono riusciti a fregarti? » se la rise Jabura « Non è da te, Lili! Troppo spumante, stasera? »

« Troppo poco » rispose la ragazza.

« Tieni, ti ho portato questi » disse Souzette offrendole i Morbidoni ancora caldi « così se ti trascinano in caserma sul serio, almeno non rimani a stomaco vuoto » spiegò, mentre Lilian esplorava il dolcissimo cartoccio.

« Sei un vero angelo » le disse.

Lucci ignorò quelle chiacchiere: in giro c’era qualcuno che derubava le persone, che la Marina non era stata in grado di fermare, e a lui prudevano le mani.

Il Marine però evidentemente sottovalutava il pericolo che stava correndo, e disse: « Mi scusi, signore, ma devo portare la ragazza alla nostra base per porto illegale d’arma bianca »

Kaku sbirciò il volto di Rob Lucci e poi si guardò attorno: bambini che si inseguivano ridendo, famiglie che aspettavano l’inizio del concerto, persone tranquille con i bicchieri in mano in attesa dell’anno nuovo.

« Pensa a San Popula » mormorò soltanto, abbassandosi il bordo della sciarpa che gli arrivava sotto al naso.

Il leader della sezione soffiò irritato, poi disse gelido al Marine: « Lascia la ragazza e vattene. »

« Grazie » Lili aveva trovato l’ennesima ragione per adorare il suo capo.

« E restituisci subito l’arma » lo sguardo di Rob Lucci non ammetteva repliche, e se l’uomo si fosse rifiutato non sarebbe bastato il ricordo di quanto successo a San Popula a fermarlo.

Il Marine allungò alla ragazza un coltello dalla lama lunga una trentina di centimetri, scintillante e letale, che sparì come per magia in pochi attimi nella manica del cappottino di Lilian.

« Andiamo » ordinò al suo reparto.

« Dove? Vi posso offrire qualcosa? Se non era per voi… » cominciò a dire Lilian.

Jabura si voltò verso di lei e si fece scrocchiare le nocche. « Tra dieci minuti riavrai il tuo borsellino »

« Aspetta qui » le ordinò perentorio Rob Lucci, indicando quell’esatto punto con l’indice puntato verso il basso.

« No! Fermi, non ci sono problemi! Erano pochi soldi, non vale la… » ma era inutile parlare, i governativi avevano spiccato un salto con il Geppo ed erano già spariti tra i fiocchi di neve, confondendosi fra la notte e le luci.

Souzette le ricordò dell’esistenza del cartoccio di dolci « Mangia questi e non preoccuparti » le disse.

« Ma è una sera di festa » protestò la ragazza « Non voglio rovinargliela… »

« Rovinato la serata? Ma scherzi? » si meravigliò la donna « Non vedono l’ora di menar le mani. Gli hai fatto un favore! E l’hai fatto alla Marina che dovrà occuparsi di un ladro in meno »

 

~

 

Non fu un gran San Silvestro, per Sonny Sonnino. Venne sorpreso con le mani nella borsetta di una signora di mezza età distratta a guardare una luccicante vetrina, e prima che potesse dire mezza sillaba si trovò addosso tre diavoli che lo inchiodarono al primo muro disponibile, e poi altri quattro lo perquisirono senza troppi convenevoli, denudandolo quasi completamente per poi recuperare, unico in mezzo a tanti orologi d’oro e portafogli, un borsellino a fiori.

Un borsellino che gli aveva portato rogne fin dall’inizio, visto che le sue “dita di fata” avevano fallito, la ragazza si era accorta dell’improvviso alleggerimento, e gli aveva intimato a mano armata di restituirgli il maltolto, minacciandolo di urlare se non le avesse obbedito! Poi, unica volta in tutta la sua vita, aveva benedetto la Marina per essere arrivata a fermarla, o si sarebbe fatto beccare!

Rob Lucci e Jabura osservarono quel borsellino posato sul palmo di Blueno, mezzi mutati in leopardo e lupo, e poi decretarono che era proprio lui: nella forma ibrida, riconoscevano l’odore della proprietaria. Il leader afferrò per il collo il malvivente e lo trascinò via.

Il drappello tornò dieci minuti dopo dalla segretaria, che si era seduta sulle scale di una casa vicino al punto che le aveva indicato il suo capo, non osando disobbedire anche se ferma lì le si stavano ghiacciando i piedi.

Tutti gli agenti non avevano un capello fuori posto, e Rob Lucci trascinava Sonny Sonnino tenendolo per il collo. Il tizio era decisamente malconcio, e sembrava che fosse stato calpestato da una delle carrozze che passeggiavano sui ponti delle isole.

« È lui? » chiese spiccio a Lili alzando la testa del tizio per i capelli.

La ragazza fece cenno di sì con la testa.

« Forza, ridaglielo. » ordinò secco il governativo.

L’uomo tese una mano verso Lilian: stringeva il suo borsellino a fiori, inequivocabilmente lui.

« Controlla se c’è tutto » disse Jabura.

Lili aprì velocemente la clip e contò i soldi. Alzò la testa, con uno sguardo quasi più gelido di quello di Lucci « Mancano dei soldi » disse al ladro « Trentamila Berry »

Il tizio si frugò in tasca e le allungò i soldi. Lili li intascò e Lucci lasciò la presa sul ladro, che cadde faccia a terra sul marciapiede innevato.

« Ehi aspetta! » Lilian fermò Jabura che lo stava per trascinare via. « Non vorrete ammazzarlo! »

« Che domande » rispose il Lupo « È il nostro mestiere. E ha derubato un agente governativo »

Fu Lucci a prendere in mano la situazione « Dallo ai Marine » ordinò.

« È nostra preda » sguainò le zanne Jabura.

« Saranno felici di restituirci il favore, prima o poi. Non fare casini inutili la notte di Capodanno, nel luogo più affollato dell’arcipelago. L’eccesso di giustizia si ritorce contro di noi, lo sai. »

Avevano imparato a loro spese nella lontanissima San Popula che i civili sono molto impressionabili, e uccidere a sangue freddo davanti a loro vuol dire essere o ostracizzati dalla popolazione, o ricercati dalla Marina. Nel loro caso, dovendo continuare a vivere all’Arcipelago di Catarina, era meglio conservare dei rapporti cortesi con la popolazione.

 

~

 

Lilian salutò tutti con affetto, ringraziandoli per la gentilezza di averle recuperato il borsellino e congedandosi. Jabura non approvò, se la prese sotto al braccio come un vitello sollevandola da terra e la costrinse a rimanere con loro, saltando con il Geppo fino al terrazzino che Kaku e Califa avevano proposto per godersi il concerto.  

Era una terrazza vuota e riparata dal vento che affacciava sulla Piazza del Balconcino D’Oro; forse un appartamento sfitto, forse i proprietari erano in giro a far festa, ma l’importante era che fosse grande e vuoto, tutto per gli agenti. Era come stare sul palco d’onore, si aveva la sensazione che, solo allungando un dito, sarebbe stato possibile toccare i cantanti durante lo spettacolo. Riconobbero persino Souzette, che nella sua tenuta da elettricista, controllava un’ultima volta che gli strumenti fossero collegati agli amplificatori. Proprio davanti a loro, dall’altro lato del palco, c’era il balconcino dal tetto dorato che dava il nome alla piazza, con tante persone sedute che, come loro, avrebbero seguito il concerto dall’alto.

All’improvviso le luci si abbassarono e sul palco apparve un uomo con un microfono in mano. « Benvenuti! » disse il panciuto presentatore « Grazie per tenerci compagnia nella notte più scintillante dell’anno! »

Tutto il pubblico della piazza gridò e applaudì, e gli agenti si affacciarono per godersi lo spettacolo.

« Abbiamo in serbo tante sorprese per voi coraggiosi che avete sfidato il freddo dell’Isola dell’Ovest per essere qui, stasera! Sappiamo che venite da tante isole diverse, avete tante storie diverse e i vostri sorrisi sono tutti diversi… ma stasera saremo tutti insieme! E tutti insieme faremo il conto alla rovescia per l’anno nuovo! Siete contenti?? »

« SÌÌÌÌÌÌ!!! » rispose come un sol uomo il pubblico, e anche Kumadori, Fukuro, Kaku e Jabura.

La svolta alla serata però la diede Blueno: tirò fuori tante di quelle bottiglie che, dopo mezz’ora, il Door-Door venne dichiarato il Frutto più utile del mondo per quanto riguardava il contrabbando di alcolici, e Water Seven fu compianta per aver perso uno degli osti più in gamba di tutti i Mari: l’agente per infiltrarsi aveva dovuto informarsi un bel po’, ma in compenso non c’era nessuno migliore di lui per preparare un capodanno con i fiocchi, anche se in un luogo desolato come una terrazza. Ma, in fondo, bastava un tocco di Door-Door per procurarsi drink, cocktail e bottiglie di champagne.

Le sue mani erano veloci e sicure nello scegliere le bottiglie giuste in pochi attimo, le sue braccia shakeravano e riempiva i bicchieri ai colleghi con una velocità e un’eleganza che non avevano nulla da invidiare a chi il barman lo faceva sul serio.

E molti bicchieri vennero riempiti, quella notte, e altrettanti ne vennero svuotati. Alla fine, l’unico a seguire in maniera lucida il conto alla rovescia per l’anno nuovo fu proprio Blueno.

Ma fu il Capodanno più bello e sereno che avesse visto loro passare, pensò Hattori, e anche il loro primo Capodanno a Catarina. Forse era anche uno dei pochi Capodanni che Rob Lucci passava con le persone che considerava “casa”, oltre a lui, pensò osservando l’espressione meno truce del solito e sentendo le larghe spalle rilassate sotto le zampine.

Sì, pensò il colombino ascoltando il suo compagno sciogliersi in una risata dopo una battuta di Kumadori: sarebbe stato davvero un bellissimo anno.

 

Dietro le quinte…

Chi pubblica il primo dell’anno, pubblica tutto l’anno!!! Eccomi tornata ad aggiornare la raccoltina invernale! Buon 2018 a tutti i lettori e grazie per aver letto questa storia. Giusto poche note:

Piazza del Balconcino D’Oro esiste davvero, si trova a Innsbruck, nel Tirolo austriaco, ed è la città cui mi sono ispirata per l’ambientazione dell’Isola dove si svolge questa One Shot.

Finalmente è entrata attivamente in scena, dopo anni nelle retrovie, l’avvenente Souzette, figlia di Gigi L’Unto! Me la sono sempre immaginata piuttosto carina, con un bel caschetto moro alla francese, sigaretta e molto affaccendata tra la locanda di suo padre e vari lavoretti secondari per arrotondare :) spero vi sia piaciuta!

C'è Lilian perché... volevo dare un Capodanno felice anche a lei ♥ non ha un background dei più allegri, e infatti sull'isola invernale inizialmente era sola.

Grazie mille per essere arrivati fin qui e… ehi, aspettate! C’è l’epilogo! Non bullizzate l’epilogo!

Buon 2018,

Yellow Canadair

Ps. Siate buoni, se ci sono errori segnalatemeli, ho letto e riletto ma tanti occhi son meglio di due!

 

 

Rob Lucci, seduto alla sua scrivania, aiutò Hattori ad aprire il pacchetto di fotografie che gli erano state recapitate dallo studio fotografico dell’Isola del Nord, dove aveva portato a stampare il rullino di Capodanno. Meglio vederle prima da solo, e solo poi mostrarle ai colleghi, nel caso in cui ci fossero stati scatti troppo impietosi: quelli sarebbero stati polverizzati nel cestino dei rifiuti.

Le prime erano molto sobrie: il Balconcino D’Oro, alcune luminarie, Kumadori che faceva la coda al baracchino dei dolciumi, Blueno vicino a una delle renne di legno. Uno scatto mossissimo di Jabura che pestava Sonny Sonnino. Una foto sfocata ai denti di Fukuro. Un autoscatto di Lilian e Kumadori fatto con i capelli di quest'ultimo.

Poi si cominciava a degenerare, notò Lucci.

Tutti insieme sul terrazzino, con i bicchieri in mano; Blueno circondato da bicchieri e shaker; Lilian e Califa con due bicchieri in mano a mo’ di microfono (se Lucci non ricordava male, stavano cantando All I Want For Christmas Is You, strillando come due tredicenni).

Poi c’erano lui e Jabura che tracannavano facendo a gara: l’uno prendeva l’ennesimo bicchiere dicendo “è l’ultimo”, e l’altro rilanciava. Jabura era finito miseramente a frignare per vecchie fiamme, culminando sempre con un “non sa cosa si perde, quella!”. Vittoria di Lucci.

Kumadori in lacrime: gli era presa la sbronza triste e piangeva pensando alla madre; invani i tentativi di Fukuro di tirarlo su di morale raccontando aneddoti scabrosi di cose successe nella Torre di Catarina.

Califa spalmata in braccio a Kaku, il quale era o troppo brillo o troppo stanco per dirle che casomai era lui il molestato sessualmente, in quel momento.

E infine lui, Rob Lucci, con la testa su uno dei tavolini circondato da bicchieri vuoti, che cercava di farsi passare la sbronza senza fare danni. Era seduto tra le due ragazze, anche loro mezze addormentate. Sullo sfondo c’era Kumadori che… sembrava stesse cantando in bilico sul bordo del terrazzo.

Scatti mossi, scatti tutti neri, la pelliccia di Califa, bicchieri, il disco bianco del sole dietro al mare nella prima alba dell’anno.

E poi l’ultima foto del rullino: una foto di gruppo. Non era più l’Isola dell’Ovest, dal clima invernale: era l’Isola del Sud, quella con il clima primaverile, la riconosceva dalla foggia dei palazzi che era completamente diversa e dal fatto che quello alle loro spalle era senza dubbio il porto dell’Isola del Sud. Lucci ci pensò un attimo su: non aveva memoria del fatto che, quella notte, avessero cambiato isola.

Erano seduti su delle casse in un vicolo del porto, alla luce fioca dell’alba. Kumadori e Fukuro, i più alti, erano sullo sfondo, e Kumadori aveva disteso tutti i capelli finché il colore predominante della foto era senza dubbio il rosa; Fukuro si stava aprendo la zip e stava parlando; Blueno, dal cappotto slacciato che mostrava il suo panciotto grigio, era appoggiato a una cassa e guardava da tutt’altra parte rispetto all’obiettivo. Califa era seduta sulla cassa, accanto a Lucci, con la testa poggiata sulla spalla dell’uomo; sembrava dormire, e in braccio teneva Hattori, l’unico nella foto ad avere lo sguardo vispo: evidentemente, pensò Lucci, aveva impostato l’autoscatto e stava controllando che funzionasse. Kaku stava ridendo a crepapelle, chissà cosa aveva detto Fukuro per farlo divertire così, con la testa rovesciata all’indietro e le mani a tenersi la pancia. Jabura era accanto a Califa e vicino c’era Lilian, che non voleva farsi la foto assieme a loro; ma lui era un armadio e lei una piuma, sollevarla di peso e depositarsela in braccio non era stato difficile. Nella foto, lei rideva e lui indicava l’obiettivo con un dito, ghignando vittorioso.

Al centro di tutto quel bailamme, tra Kaku e Califa, c’era lui, Rob Lucci. Aveva il cappotto su un braccio, la tuba in testa, i capelli sciolti dopo essere stati acconciati con perizia per tutta la sera, la cravatta allentata sul completo grigio e nero, e sorrideva verso la fotocamera.

Forse uno dei pochi veri sorrisi che avesse mai fatto in tutta la sua vita.

Sarebbe stato davvero un bell’anno.

 

 

  
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