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Autore: Pachiderma Anarchico    02/01/2018    1 recensioni
"Le persone che hanno sofferto sono le più pericolose, perché pur temendo il dolore conoscono la loro forza e sanno come sconfiggerlo. La loro paura è pari al loro coraggio. Non si fermeranno di fronte a niente e nessuno e sapranno ingoiare tutte le lacrime, sapranno alzarsi dopo aver toccato il fondo. Chi ha sofferto ha un cuore grande perché conosce il bene e conosce il male e ha rinchiuso in se tutto l'amore e il dolore. Sapranno sempre allungare una mano per fare una carezza e trovare una parola per confortarti, ma non sottovalutarle mai, perché sapranno ucciderti nel momento in cui tu cercherai di farlo con loro."
Genere: Dark, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Too frail to live, too alive to die.'
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Hello… it's me. I was wondering if after all these years potrete perdonare questo immenso, colossale, megagalattico ritardo che io chiamo "pubblicare" e che voi chiamerete "riesumare."
Ma ho già in mente il primo capitolo del sequel, quindi non temete, non vi libererete così facilmente di me, come io non mi libererò così facilmente di questi personaggi che oramai sono parte anch'essi del calcio delle mie ossa.
Ebbene sì, sono riesumata e con L'ULTIMO capitolo di Too frail to live, too alive to die.  Roba da non credere. So già che quando cliccherò sul pulsantino "completa" nevicherà o la deriva dei continenti si accelererà del 45% poichè è la prima volta che chiudo una fan fiction a capitoli (sono un danno, I know). 

Ci tengo a ringraziare con tutto il cuore coloro che hanno seguito la storia e le sono stati fedeli fino alla fine, attendendo pazientemente ogni nuovo capitolo, tollerando i miei tempi incostanti e donandomi ogni volta, puntualmente, nuove visite e recensioni. Risponderò con calma a chi non ho risposto e leggerò tutte le fan fiction pubblicate recentemente in questa sezione perché no, non mi sono dimenticata di voi, della promessa di un sequel e della passione che mi lega a questo film.

Ringrazio Suicide Room che mi ha cambiata molto di più di quanto sembri, spalancando le porte di un mondo nuovo: quello slavo, quello della depressione e dei disturbi mentali, quello di un modo di fare cinema totalmente diverso, proiettandosi nelle mie scelte con il suo impatto. (per non citare neanche non la finestra, ma il portone a 4 battenti che mi ha aperto sull'ineguagliabile bellezza delle Slash. Da questo non credo si guarisca.)

E ringrazio MegaraX che mi è rimasta al fianco in questo viaggio, dal 2014 sino ad oggi, da quando faticavo a comprendere Aleksander sino ad averlo pronto sulla punta delle dita grazie ai nostri infiniti discorsi e alla sua infinita pazienza. Co-protagonista indiscussa dei miei poco rassicuranti voli mentali e delle ipotesi su scenari apocalittici per capire meglio come il nostro pallone gonfiato preferito avrebbe reagito, questa storia non sarebbe stata lo stesso senza di te. Leggendoti ho imparato a dare più ritmo alle mie parole, intervallando i monologhi dei sentimenti e il predominio che l'interiorità ha da sempre nella mia scrittura, e a rendere più consistenti ai dialoghi.

Stravolgendo la fine del film e scrivendone un nuovo inizio ho sperimentato, cambiato, scandagliato ogni più piccolo dettaglio del mio stile, lanciandomi in un mare aperto di possibilità.
Too frail to live, too alive to die è stato il mio campo di battaglia, il ramo dal quale spiccare il volo verso orizzonti diversi e più lontani. Fu la prima volta in cui scrissi una storia lunga in prima persona, ma ora come allora, sembrò assolutamente naturale dover fare così con questi personaggi, quasi temessi di non riuscire a dare abbastanza dignità all'introspezione che mi è tanto cara e alla grandiosità delle loro emozioni. 

E ovviamente, per restare coerente con il mio dinamismo mentale (leggersi "insane") ho scritto questo ultimo capitolo in terza persona (e al passato), perché senza rendermene conto è nato così, e così evidentemente doveva essere.

Spero di rivedervi al sequel, "Cross my heart, that I'll die for you",  e spero che abbiate amato leggere questa storia tanto quanto ho amato io scriverla.

(Pssst...
Auguri di un felice anno nuovo a tutti voi!)
 

Pachiderma Anarchico.
___________________


 

 


Epilogo

 

 

 

-Non posso credere che l'hai fatto.-
-Pensi che io mi sarei mai aspettato di limonarmelo davanti all'intera scuola?-
Uno dei quattro storse il naso.
-Ah, pardon, a Dominik non piacciono questi termini volgari per "svalorizzare" i sentimenti.-
Aleksander si sporse dalla sua sedia girevole verso il suo letto a due piazze blu magenta con un sorriso ironico sul volto per scompigliare la testolina mora che vi si era appollaiata sopra con il suo computer ultra-sottile in grembo. 
Questa, per tutta risposta, gli mollò un pugno sull'avambraccio.
-No, dico davvero, avete visto la faccia di Karolina?- Samuel quasi non batteva le mani dall'euforia. -Avrei tanto voluto avere i popcorn e una macchina
fotografica.-
-Quell'oca spelacchiata ha avuto quello che merita, finalmente.- aggiunse Sandra, i capelli arancioni legati in una coda scomposta e le gambe da skateboarder fasciate da lunghe calze a righe. 
-Quello che si meritava? Se fosse stato per te l'avresti messa sotto con il camion di tuo padre.-
-Sì… anche. Ma Aleksander è stato di gran lunga più divertente.-
-Divertente.-
-Ha! Nik, per cortesia, non incenerirlo, è il mio nuovo supereroe.-
-Un po' di Magda mi è dispiaciuto però… Voglio dire- si affrettò a continuare il biondo, poiché gli occhi combinati di Sandra e Aleksander erano una promessa d'omicidio, -era davvero invaghita di Leks.-
-Ha baciato Dominik.-
-Ehilà, gente, non utilizzatemi come capro espiatorio, voi due non la sopportavate già da prima e per altre ragioni.-
-Io non la sopporto perché ti ha baciato durante il gioco della bottiglia.- ribattè Aleksander, incrociando fermamente le braccia al petto.
-Io… Nik ha ragione, non la sopporto da questo preciso istante: perché ti sarebbe dispiaciuto per lei, Samuel caro?-
Aleksander e Dominik si godettero lo spettacolo di vedere Sandra soffocare Samuel tra gli enormi cuscini del letto, senza grandi possibilità di ribaltare la situazione: la ragazza era nettamente più forte del suo fidanzato.
-Io ti distruggo!-
-Magari puoi farlo dopo Sandra, mi serve per il College.-
-College o Università?- riprese la ragazza con un cipiglio malizioso. -Perchè in Polonia si chiama Università… ma all'estero potrebbe chiamarsi College…-
-Afferrato bionda.- Leks avvicinò il pouf a sé e vi distese le gambe. -In ogni caso non ho ancora deciso, però devo dire che College fa più figo.- Ci pensò su un momento, sollevando gli occhi su un punto imprecisato del soffitto. Alla frase mancava qualcosa. 
-Non che io ne abbia bisogno.-
Samuel sotterrò la testa sotto a un cuscino, Sandra fece finta di lanciarsi con una caduta plateale dalla finestra e Dominik mimò l'atto di uccidersi. 
Il che risultò alquanto credibile, considerando che aveva una ferita non ancora del tutto rimarginata all'altezza delle costole che era stata a tanto così dall'ucciderlo per davvero.
-Beh.. figo, noi andiamo da tua madre, voleva dirci qualcosa prima.-
Samuel sembrò risvegliarsi da un sonno molto lungo. -Che?-
-Da sua madre Sam, dobbiamo andare da sua madre.-
-Da Barbara? Ma.. perché? Prima non ha detto nie..-
-Samuel, andiamo dalla signora Lubomirski perché -Samuel- voleva dirci qualcosa, prima.-
-Ah… aaaaah… Sì, certo, certamente. Andiamo… eh, Sandra, potevi dirlo prima no? Andiamo…- 
Sandra si tirò appresso il biondo con impaziente stizza e, prima di chiudere la porta della stanza, tutti poterono avvertire un distinto -IDIOTA- sibilato dalla ragazza.
Aleksander sbuffò in una mezza risata, Dominik aveva gli occhi incollati allo schermo del pc e non prestava attenzione all'ambiente circostante.
-Hai cambiato la situazione sentimentale su Facebook.- furono le sue le uniche parole.
-Sì.- annuì l'altro, con una noncuranza che non provava affatto.
-Perchè.- 
Non fu il "perché" più rassicurante dell'universo quello che sgusciò come un missile nucleare ad alto grado di combustibilità dalle labbra del moro, e Aleksander lo capì subito
-Perchè credevo che fosse ora.-
-Aleks, non abbiamo parlato affatto di quello che è successo alla festa, né di quello che è successo dopo la festa.-
-Credevo di averti dimostrato… qualcosa poco meno di quattordici giorni fa Nik.-
-Hai spifferato ad Asher che ci siamo baciati in palestra quel giorno degli allenamenti corpo a corpo.-
-Lo so..- il ragazzo sospirò, passandosi una mano fra i capelli spettinati ad arte. -Lo so. Non è stata una delle mie.. mosse più brillanti, d'accordo? Ero sotto pressione, tartassato dagli allenamenti di Judo e dagli esami finali, con Magda cotta a puntino da un lato e te dall'altro che mi degnavi di uno sguardo solo per ricordarmi quanto fossi stato stronzo prima che tu... sparissi... dalla scuola, e ho fatto quello che so fare meglio: camuffare le mie reali intenzioni.-
-Ti sei sentito a disagio a causa di come ti guardavo?- Nik sbattè le palpebre, chiaramente sorpreso.
-Mi sono sentito una merda Dominik.- 
Aleksander non riuscì a credere di averlo detto, almeno non ad alta voce e non a lui, ma se doveva dimostrare qualcosa quella "maturità" tanto valeva iniziare subito.
-E l'ho rifatto. Ho fatto lo stronzo un'altra volta, spiattellando a quel bastardo quello che era successo in palestra.-
Dominik tamburellò con le dita sulla tastiera, senza realmente schiacciare nessun tasto e sbandierando gli occhi da una parte dello screen all'altra.
-Ci sono trecento mi piace Leks…-
-E allora? Qual è il problema Nik, non ho sputtanato nessuno questa volta, non ti ho taggato in un video con dei pupazzetti idioti ed esilaranti.-
-Esileranti?- ripetè il ragazzo, inarcando un sottile sopracciglio nero.
Aleksander sospirò, lasciò andare con le gambe il suo amato pouf morbido e impregnato del suo profumo costoso e avanzò verso di lui.
-Facebook non è importante.-
Dominik gli palesò tutto il suo scetticismo serrando le labbra e incrociando le braccia in una classica posa alla "ti faccio il culo se ti avvicini ancora". 
Perché il suo incrociare le braccia era un serrare le braccia con fare un tantino belligerante, stringendo le unghie delle mani sulla pelle e arricciando pericolosamente la bocca.
Aleksander si arrese. -Okay, è importante. Ed è per questo che ho cambiato anche la tua situazione sentimentale.-
-Che cosa hai fatto?-
-Eh, non potevo cambiarla solo io, sarei sembrato un coglione.-
-Lo sei.-
Aleksander tentò di scalfire l'espressione contrariata del moro con un labile sorriso, ma quello aveva il chiaro intendo di farlo fuori.
-Come hai avuto la password.-
-Non sei l'unico bravo con la tecnologia. Ho chiesto ad Asher un anno fa come si facesse a scoprire le password degli account di Facebook.-
Dominik fece per alzarsi di scatto nonostante il taglio all'addome. 
Fu più lento di quanto avrebbe voluto essere nel momento in cui aveva deciso di sbattere in faccia ad Aleksander in una delle sue celebri uscite teatrali, quando quest'ultimo lo afferrò (delicatamente, per carità) da un polso e fermò la sua fuga.
-Eddai… vieni qui.-
Dominik lo guardò, sbuffò infastidito e si sedette sul bordo del letto, pronto a mandarlo malamente a quel paese e rifiutandosi di incrociare ancora una volta i suoi occhi con quelli dell'altro.
-So che non ti piace quando le persone fanno qualcosa in cui c'entri anche tu e non chiedono il tuo parere, e che odi quel Social Network e tutto ciò che significa. Per non parlare di quanto detesti le smancerie… e questa è una smanceria. E io non posso darti che ragione, sul serio, ti sembro tipo da stato sentimentale su Facebook?- Aleksander si bloccò un attimo, giusto quei secondi che cambiarono il suo tono da lieve a dannatamente serio. Quasi vendicativo. 
-Però devono saperlo. Devono sapere che non sono riusciti ad ucciderci. E non sto parlando della terrorista travestita da confetto rosa o di quel figlio di puttana informatico di Asher, ma di tutte quelle serpi che hanno tramato contro di te così come hanno tramato contro di me. Quelli che io chiamavo "amici" e tu "società".-
Aleksander attese, attese che Dominik dicesse qualcosa, facesse qualcosa o che lo fermasse dal dire ciò che stava per dire. 
Ma Dominik continuava a non guardarlo, seppure i contorni del suo viso avevano assunto una piega meno rigida.
-Non mi interessa quello che ti ho detto, non mi interessa se ci hai creduto: ho mentito.- 
Il ragazzo si appoggiò su quello spiraglio di luce per abbattere le sue difese, o quantomeno varcarle.
-Non penso che giochi a fare la vittima, non penso che tu sia un arrogante frocetto, non penso niente di tutto ciò. E mi dispiace se ci hai creduto, perché ci ho creduto anch'io. Vivevo nello stesso ruolo che mi ero cucito addosso e per un attimo ho davvero pensato di rimanere così, essere… la persona che tutti si aspettavano che fossi. Ma quando ti ho visto andare via dalla mia festa quella notte, o quando ho visto Asher su di te, o quando… quel proiettile ti è entrato dentro, ho capito che non volevo più essere quella persona, se significava che tu… beh.- La mano svolazzò in aria in un vago gesto che poteva significare soltanto una cosa: "crepare".
-Wow, che eleganza.-
Ma il moro ormai stava sorridendo, anche se tentava con ogni forza di sopprimere quella smorfia contratta, mordendosi una guancia e l'orgoglio che danzava negli occhi.
-Dovrai fare più di questo, lo sai?-
-Ehi.- Aleksander si piegò su di lui, i loro respiri si intrecciarono. -Tu non sei mica un santo.-
-Cosa te lo fa pensare?- sussurrò di rimando Dominik, lasciando che le sue labbra soffiassero su quelle dell'altro. 
-Mmh.. vediamo… il fatto che mi hai spinto nella mia piscina vestito con un completo da mille szloty?- si avvicinò. -O perché mi hai tirato uno schiaffo a mano aperta in pieno viso?- una delle sue mani bronzee percorse il profilo del suo collo bianco. -O perché mi hai detto che non eri mai stato con nessuno e sessanta secondi dopo eri nel mio letto?- lambì con indice e medio il mento del ragazzo. Dominik sollevò appena la testa, assecondando i suoi tocchi ma senza smettere di sfidarlo.  -O perchè negli spogliatoi, il primo giorno in cui abbiamo parlato dopo il tuo ritorno a scuola, mi hai schiaffato la mano lontano dal tuo viso?- il dorso della mano tentò di sfioragli uno zigomo ma Dominik la spinse via, ancora.
Ma questa volta Aleksander era pronto.
L'altra mano gli ghermì il volto e lo avvicinò a sé, coprendo le labbra del moro con le sue, stuzzicando la carne piena del suo labbro inferiore con la lingua. Dominik si divincolò ma stette al gioco, semplicemente non poteva in alcun modo fingere che la bocca dell'altro non lo mandasse su di giri. 
Ma per poco.
Aleksander notò qualcosa nell'angolo del suo campo visivo e semplicemente non potè ignorarlo. Anche se stava baciando le labbra che gli avevano sempre fatto perdere la testa, la vita a volte si riduce soltanto ad una mera questione di priorità.
Era difficile non notarle -nonostante la pelle chiara che ricopriva come una distesa di neve i polsi di Dominik- le sottili strisce di carne persino più chiara, più lucida, più tirata sulle vene. 
Aleksander fece fatica, nonostante tutto, nonostante avesse visto il sangue del ragazzo più volte di quante competizioni di Judo avesse vinto, ad immaginare il rosso fuoriuscire da quelle porte lisce e surreali. 
Come varchi per l'inferno, come sussurri spietati di fuoco e cenere, non smise di fissarli neanche quando avvicinò due dita alle cicatrici dei suoi tagli. 
Lunghi, troppo lunghi, una di quelle lingue si diramava fin quasi al gomito. 
Ma non fece in tempo neanche a pensare di percorrerla con un polpastrello che Dominik ritrasse le braccia come se si fosse scottato. 
Scosse la testa e i suoi occhi si persero lontani; si alzò una seconda volta, ma per murarsi vivo in qualche stanza buia, nei recessi dei suoi pensieri, nei coralli sanguigni dei suoi ricordi dove una pallida donna dai capelli di velluto sfatto era la sua unica ancora in questo mondo. 
No.
Aleksander non lo avrebbe permesso. 
Non di nuovo.
E la febbre che improvvisamente gli ribollì nelle ossa lo costrinse a stringergli l'avambraccio con troppa forza, quasi temendo che l'altro scivolasse via dalle sue mani come fumo.
Dominik si voltò e Aleksander vide ciò che non avrebbe mai voluto vedere nei suoi occhi: l'oceano più tempestoso rinchiuso in un piccolo, disonorevole e opprimente bicchiere.
Non tollerò un attimo in più quella manifestazione di diffidenza, come se Dominik pensasse di essere vincolato ad un'eterna partita di scacchi, in attesa del momento in cui lui l'avrebbe sbattuto fuori dalla scacchiera.
Furono i suoi due allarmati occhi azzurri a sospingere la mano di Aleksander nello stringersi a quella sottile dell'altro, invitandolo ad avvicinarsi a lui.
Non vi era alcuna traccia di scherzo, di risata, di rumorosi campanelli di leggerezza fra loro; il campione di Judo capì che questa volta non si poteva volgere l'attenzione altrove e dimenticare, comprese che essa era una delle lotte più difficili della sua vita, la conquista di un territorio arduo e impervio che Dominik aveva reso inaccessibile al mondo intero. Ma che voleva a tutti i costi.
Per potervi mettere piede avrebbe dovuto accostarsi al trono del principe e imparare a conoscere i segreti del suo regno.
Segreti racchiusi al centro di taglienti pietre preziose, rubini di rossi lapilli e cicatrici che dividevano le fiamme, ma non estinguevano il fuoco.
-Dominik.- mormorò, con gentilezza e cautela, ma senza girarci intorno. -Posso toccarle?-
E Dominik voleva dirgli di no, urlargli che non se ne parlava, che non era affatto questione di fiducia, ma una pura e schietta questione personale, perché non esisteva che mostrasse così, a viso aperto, i momenti in cui era caduto più dolorosamente, scritti sulle pagine inequivocabili del suo corpo. 
Le cicatrici sembravano così giuste nel mondo di Sylwia, ma ora erano così dannatamente sbagliate in quello di Aleksander, con l'oro alle pareti e le finestre spalancate sulla luce. 
Ma Aleksander non volle lasciar perdere. Perché non volle lasciar perdere? Perché desiderava imbrattare quell'oro di vernice scarlatta?
-Non ti faccio del male...-
Dominik era quasi furioso.
Quei segni erano una cosa fra lui e la colonna rosa che reggeva il tempio della sua anima.
Oh. Ma al diavolo.
Le cicatrici incise a fuoco nella sua carne non appartenevano a Sylwia, né tantomeno ad Aleksander, e avrebbe deciso lui e lui soltanto cosa farne di esse, se darle in pasto al buio o lasciare che qualcuno le toccasse.
E Aleksander aveva una certa luce negli occhi scuri, una scintilla di consapevolezza; Aleksander capiva davvero l'importanza di quel momento, il sottile filo di vetro oscillante sulla fiducia dietro un silenzio ombroso. 
Capiva cosa avrebbe significato per l'altro lasciarsi toccare nei punti in cui aveva sanguinato più copiosamente, spalancare il petto e lasciare che un altro di quegli essere umani imprevedibili ed egoisti vi mettesse le unghie; e fu questo a persuadere Dominik. 
Gli lasciò andare le dita, lo raggiunse sul letto, volse i palmi delle mani e così anche le braccia all'insù e lasciò che gli impertinenti raggi del sole di inizio Luglio danzassero su quelle macchie di oscurità. 
Scorse che l'altro aveva domande sulle labbra che smaniavamo per posarsi fra di loro: "Cosa si prova, quanto vicino eri dall'andartene per sempre, quante volte l'hai fatto, come sopportavi il dolore.." ma alla fine solo poche parole si tramutarono in suono, le più inaspettate.
-Sono stato io?-
Dominik lo osservò, forse per la prima vera volta e, lentamente, scosse la testa, come se non avesse fretta, come se se lo fosse aspettato.
-No, sono stato io.-
Non era fierezza il sibilo certo nella voce, solo le sue scelte che parlavano.
Aveva scelto lui di stringere quel coltello e aveva scelto lui di usarne la lama per incidere le sue emozioni su qualcosa che ne avrebbe poi recato i segni, e nessun altro. 
Almeno voleva essere l'indiscusso padrone della sua solitudine.
Ma Aleksander non lasciò spazio alla solitudine, la scalciò via con gli zoccoli di un cavallo irridente.
Si piegò sugli avambracci di Dominik e ne sfiorò le cicatrici, prima con le dita, piano, pianissimo, come se vi fosse scritto qualcosa di fondamentale, e poi con le labbra. 
Dominik sussultò, ma egli continuò a percorrerne il tracciato con diligenza, lasciando qualche bacio sui segni traslucidi, sotto i tremiti del moro. 
Tremiti che divennero brividi mano a mano che le labbra di Aleksander si facevano più vicine all'incavo del gomito, mano a mano che i demoni si dissolvevano come volute di nebbia in una cripta ai confini del mondo.
Dominik appariva sorpreso dai suoi gesti e quando Aleksander tornò a guardarlo, potè giurare di scorgere l'ombra delle lacrime fra le ciglia nere.
-Ti ferisci, ti salvi… Usi le stesse scale che ti portano sul fondo per risalire. Non devi mai nasconderle, chiaro? Mai con me.-
Dominik rimase in silenzio per attimi che sembravano eterni. Avrebbe potuto benissimo aver smesso di respirare cercando di non intaccare il peso di quelle parole pronunciate dall'unica persona dalla quale non si sarebbe mai aspettato di ascoltarle.
Decise che non era il momento adatto per continuare quella conversazione, non in quel frangente, in un mese come Luglio, in una stagione come l'Estate, con le voci allegre di Sandra e Samuel a contendersi le ultime fette di Sacher in cucina. 
Quindi disse quello che avrebbe portato Aleksander su un terreno sicuro, nella sua arena di gioco e provocazione, lontano dagli sguardi indecenti di ambiguità e sangue.
-Ho altri segni… sulle gambe.-
-Mmm… quelli credo li vorrò vedere stanotte.-
-Coglione.- ma Dominik sorrise, lasciando che Aleksander si concentrasse nuovamente su quello che aveva interrotto.
Perché Dominik inaspettatamente gli si inclinò addosso, schiuse le labbra, aprì la bocca e lo lasciò entrare, con tutto il suo ardore, con tutto il bisogno che aveva di abbattere i muri, di smussare le spade e sdraiarsi sul letto e lasciare ad Aleksander libero spazio di accedere ai suoi zigomi alti, al contorno delle labbra rosse, alle vene pulsanti della gola che Dominik continua a nascondere perché è tanto, troppo dispettoso; si muoveva sotto di lui perché voleva sentire Aleksander e i suoi muscoli contratti, e il suo corpo caldo e sicuro su di sé. Si muoveva e da qualche parte sanguinava, perché Dominik sanguina sempre, e le dita dell'altro ragazzo si tinsero di scarlatto quando passarono sul fianco.
-Oh. Cazzo.- 
E' tutto ciò che riesce a dire. 
Sulla sua pelle il rosso ha un altro effetto. Il bronzo con il rosso è solo ruggine, innocua. 
Ma il rosso sul bianco è tutta un'altra storia.
-Deve essere saltato qualche punto..-
-Te l'ho detto che non sei un santo, cazzo.-


 

***

 

Tre settimane dopo. 

 

-Dominik, ti stai comportando molto bene. Hai messo due chili dall'ultima visita e le tue costole stano benone. Però controlliamole meglio, un'incrinatura e una frattura non sono cose da prendere sotto gamba.-
Il ragazzo moro sdraiato su un lettino in un bianco studio privato che odorava di limone e soldi annuì senza opporsi. Sapeva che i suoi pagavano profumatamente lo specialista che, in quel momento, gli chiedeva di togliere la maglia e lasciare che lui si occupasse delle sue ossa. Era il miglior medico di Varsavia e se lui sosteneva che il proiettile e la ferita non avevano lasciato tracce collaterali nel suo corpo, doveva essere vero. 
Solo Aleksander non ne era convinto.
Seduto su una delle due poltroncine di pelle bianca dinnanzi alla scrivania del dottor Hokuro, slacciava e riallacciava il suo rolex da almeno dieci minuti, e squadrava l'uomo in camice come se potesse trasformarsi in un orrido drago da un momento all'altro. 
-Cosa sta per fare, dottore?-
-Sto per controllare che le costole precedentemente danneggiate del signor Santorski siano perfettamente tornate integre.- rispose quest'ultimo, professionale e rassicurante.
Non come Aleksander, che dopo aver parlato slacciò per l'ennesima volta il Rolex e sembrò volerglielo lanciare in testa.
-E come effettuerà questo controllo, scusi?-
-Con una buona esperienza nella manualità, signor Lubomirski.- e si diresse nel piccolo bagno privato, lasciandone aperta la porta. Con lo scorrere dell'acqua nel lavandino iniziò a scorrere anche la contrarietà di Aleksander.
-Leks dannazione, smettila. Ti ho lasciato venire a patto che tu non iniziassi con le tue paranoie da "i medici sono tutti pazzi".-
-Ma se è la verità!- bisbigliò l'altro, riallacciandosi l'orologio al polso e afferrando uno dei lecca-lecca che Hokuro gli aveva offerto (come faceva con i bambini di sei anni) quando il ragazzo non smetteva di fissarli. 
-Ti ricordo che tua madre è un chirurgo.-
-E infatti mia madre è pazza.-
-Si assicurerà soltanto che la cicatrizzazione sia andata a buon fine perché, sai, un mese e qualche giorno fa mi hanno sparato!- 
-Lo so, c'ero, grazie tante.-
-E molla quel maledetto lecca-lecca!-
-Ma è al lampone!-
-Tra quattro millesimi di secondo esatti avrai un altro sapore in bocca se non. molli. quel. fottutissimo. lecca-lecca.-
-Quale, quello del tuo sperma?-
-Non…- Dominik spalancò la bocca. -… ci posso credere.. che tu l'abbia detto sul serio. Parlavo del tuo SANGUE.-
-Bene, procediamo?- esordì il dottor Hokuro -rientrando nella stanza- a due ragazzi dall'espressione angelica. Fin troppo angelica. 
Aleksander ricominciò ad odiare lo specialista con lo sguardo. Da quanto in qua i medici con tre specializzazioni, esperienza e un curriculum da far invidia al primo ministro delle Nazioni Unite avevano trentacinque anni o poco più ed erano orientali, atletici e assidui giocatori di tennis?
Dominik si sfilò la maglietta e la lanciò in faccia al suo ragazzo con un pizzico di forza di troppo, ma nessuno fece domande. Aleksander magari le avrebbe pure fatte, se non avesse avuto una delle maniche in gola. 
-Si rilassi, Santorski. Respiri regolarmente.-
Le mani abili dell'uomo facevano pressione sotto le costole, al lato della gabbia toracica, su punti precisi della congiunzione di ossa, articolazioni, tendini e muscoli. 
-Fa male se premo qui?-
Dominik scosse la testa e Aleksander prese un altro lecca-lecca e lo spezzettò con i denti, lasciandosi finalmente andare sulla poltroncina ma non smettendo di fissare le dita dell'uomo sull'addome del suo ragazzo.
-Qui?- 
Il moro fece un altro cenno di diniego, le mani del medico si insinuarono al di sotto dell'ultima costola, scesero più in basso e poi…
-Ah!- Dominik si lasciò sfuggire un singulto di dolore e il medico si fermò. 
Il volto di Aleksander scattò di lato come quella di un serpente a sonagli: da qui a prendere a testate Hokuro la distanza divenne ridicolmente poca. 
-Qui eh… eh sì, le costole incrinate sono sempre più fastidiose di quelle rotte nel risanarsi. Bene.- si allontanò e tornò al computer. 
-Santorski, lei deve fare una terapia di massaggi localizzati all'addome per risvegliare il punto indolenzito e abituarlo ai movimenti del corpo. Meglio se inizia già dalla prossima settimana, avverto della rigidità ancora concentrata in quel punto. Per il resto…-
-Dottore.- Aleksander si sollevò in tutta la sua plateale irritazione, brandendo un lecca-lecca al lampone come una sciabola sbarrando gli occhi scuri. Dominik intuì cosa stesse per fare, si vestì in fretta e cercò di bloccarlo gettandosi su di lui. Lo placcò, tentò persino di zittirlo con una mano su quella bocca più veloce del buonsenso ma niente da fare, Aleksander spiattellò in faccia al dottor Hokuro la domanda che tanto lo affliggeva. 
-Sì, d'accordo, è tutto molto bello, ma mi premerebbe sapere, e mi creda, è una questione della massima urgenza, se posso
non-posso portarmelo a letto stanotte.- 
Il dottor Hokuro sorrise, Dominik si schiaffò una mano in fronte ripromettendosi di mollarlo appena fossero usciti da quello studio e il medico annuì con fare cospiratorio. 
-Il signor Santorski è perfettamente in grado di sostenere un rapporto sessuale, signor Lubomirski. Solo…- e le sopracciglia di Aleksander schizzarono alle stelle mentre "il signor Santorski" desiderava che il proiettile lo avesse ucciso davvero.  
-All'apice dell'amplesso… non faccia molta pressione sull'ultima costola, intesi?-

  
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