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Autore: Il_Signore_Oscuro    02/01/2018    2 recensioni
Il mondo si ricorda solo dei grandi personaggi, di coloro che hanno avuto un ruolo centrale negli eventi più importanti del suo tempo. Mentre il grande meccanismo della Storia divora tutto il resto, precipitandolo nell'oblio. Io però ho scavato e scavato, consegnando alla vostra memoria una storia diversa, una storia che era rimasta nell'ombra. Una guerra più profonda, e combattuta lontano dagli occhi dei molti...
Da oltre dieci generazioni i Cangramo sono i leali alfieri degli Argona, i potenti sovrani della costa orientale di Clitalia, la terra divisa fra i molti re. I Cangramo dominano su una piccola contea nell'estremo sud-est, una contea che comprende il Porto del Volga, la Valspurga alle pendici del Monsiderio e l'antica Rocca Grigia, costruita su un'altura a strapiombo sul mare. I quattro fratelli Cangramo cercheranno di ritagliarsi un posto in un mondo violento e insidioso, intessuto di amori, battaglie, inganni e segreti. Mentre lontano dagli occhi, un male a lungo dimenticato, antico e potente, getta la sua ombra sul futuro degli uomini...
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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CAPITOLO XI
Il lupo dentro
(Sebastiano)
 
 

“Vedi tu se devo sorbirmi i capricci di una ragazzina” pensò ‘Bastiano, irritato: erano giorni che Miranda non gli rivolgeva la parola dopo che Vittorio era rimasto ferito nel corso della caccia “come se adesso la colpa fosse mia”. Il ragazzo poteva sentirsi colpevole per i pericoli corsi dal padre, non certo per un’iniziativa, per quanto nobile, del mercante.
Era una fortuna che Mastro Villa avesse accettato di buon grado di farsi assistere nell’addestramento delle reclute.
“Gonfiare un paio di questi mocciosi mi aiuterà a distrarmi” gongolò il Cangramo, mentre il pescatore del Volga gli veniva incontro con la spada smussata: il ragazzo muoveva un passo, per poi rimangiarselo subito dopo. La spada che stringeva in pugno sembrava essere nelle mani di un vecchio malfermo.
«Per i sette inferi! Vuoi attaccare o devo mandarti una richiesta per iscritto?!»
Quello tremò un attimo, sbarrando gli occhi. Poi finalmente fece un cenno d’assenso, e si arrischiò in un fendente. ‘Bastiano parò il colpo e lo colpì a su volta con una testata.
Dei passi scalpicciarono alle sue spalle, era il turno del ragazzo di Valspurga: afferrò il giovane dagli occhi glauchi e lo mandò a terra con una presa del braccio. Il suo corpo era leggero come una foglia fra le sue braccia.
‘Bastano lanciò un ghigno divertito a entrambe le reclute, mentre si tiravano in piedi facendo forza sui palmi.

La chiamavano “Mischia dell’orso”, uno stile di combattimento adoperato da chi era dotato di grande prestanza fisica: basato su una difesa aggressiva, che puntava ad annientare l’avversario nel minor tempo possibile, una piccola chicca offerta da Mastro Villa in persona.
La maggior parte dei soldati apprendeva schemi base di attacco e difesa, sempre a metà strada fra la tecnica e l’istinto. I cosidetti stili del combattimento ferino erano a solo appannaggio dei nobili e degli spadaccini più dotati.
«Di nuovo! Attaccate insieme stavolta!» ordinò ‘Bastiano, riassumendo la posizione di guardia: gambe leggermente piegate e punta della spada rivolta di fronte a sé.
I due si rialzarono a fatica: il ragazza del Volga berciò qualche imprecazione, mentre il tipo di Valspurga squittiva, tenendosi il fianco.
«Vedi di non intralciarmi, stupido!» sbraitò il primo, lanciandosi in una carica spericolata.
«Aspetta!» lo avvertì l’altro, cercando di far la voce più grave di quanto in realtà non fosse, seguendolo d’appresso. ‘Bastiano deviò il fendente e spinse via il giovane del Volga contro il suo compare, mandandoli entrambi a ruzzolare nella sabbia.

‘Bastiano scoppiò in una risata, adagiando la spada sulla spalla destra e denegando energicamente col capo
«In battaglia sarete l’uno di fianco all’altro» la sua espressione si fece seria «non sopravvivrete se non imparate a collaborare l’uno con l’altro» li rimproverò.
«Io, collaborare con questa mezza calzetta?!» berciò quello del Volga, battendosi via la polvere dalla casacca di allenamento.
«Dimmi» intervenne Mastro Villa «preferisci per caso ripulire le latrine con la lingua, per imparare a tenerla a freno?» le parole di Riccardo bastarono ad estinguere i bollenti spiriti del soldato, che prese a guardarsi la punta dei piedi, intimorito tutto a un tratto.
‘Bastiano scambiò un’occhiata con il suo maestro: quegli occhi grigi, freddi e duri, sembravano parlargli ad alta voce “Ci vuole polso per tenere in riga gli uomini. Ora mi è chiaro perché non fa altro che sbraitare per la maggior parte del tempo”. In battaglia forse le cose non sarebbero state diverse, forse gli uomini avrebbero dovuto avere più paura di lui che del nemico, quando, con il benestare del Conte, avesse finalmente guidato un esercito.
Eppure nella paura ci aveva sempre creduto poco, bisognava piuttosto dare l’esempio, proprio come diceva suo padre Severo “Se non sei pronto a morire accanto a loro, come puoi aspettarti che loro muoiano per te?” ma c’erano grandi generali che in battaglia non ci scendevano mai. Non era per codardia, ma per esigenze strategiche: come poteva un uomo al centro della mischia indirizzare centinaia di soldati? Era necessario avere una visuale chiara del territorio. E come si poteva averla, se non guardando il campo di battaglia da lontano?
Il Conte era sempre sceso in guerra insieme con i suoi uomini, lottando fianco a fianco con loro, mettendo a repentaglio la sua stessa vita. ‘Bastiano sorrise amaramente pensando al padre: ultimamente non avevano avuto molte occasioni per parlare, il Conte era impegnato con il matrimonio di Miranda: la celebrazione sarebbe avvenuta nei primi giorni di primavera, non appena fosse passato l’Inverno.
Suo padre non ce l’aveva più con lui per quanto era successo nella Selva Scura, eppure il giovane Cangramo sentiva ancora il bisogno di redimersi ai suoi occhi, anche se non sapeva come…

Nel frattempo, all’interno del recinto faceva capolino Arturo. Indossava le protezioni di cuoio bollito che erano state di suo fratello Carlo, una lama era stata adattata al suo braccio e alla sua statura.
I due fratelli si scambiarono un’occhiata, mentre andava incontro a Mastro Villa
«Sei in ritardo»
constatò il vecchio bisbetico, staccando lo sguardo da uno scambio furioso di fendenti fra le guardie personali del Conte.
«Chiedo perdono, Maestro» rispose Arturo, massaggiandosi un braccio con la mano libera «ho dovuto sbrigare alcune commissioni per conto di mio padre»
Prima che il Villa potesse rispondergli fu ‘Bastiano a intervenire
«Maestro, se mi è concesso: vorrei occuparmi io della lezione del mio fratellino, quest’oggi».
Il Villa lo fulminò, una smorfia gli tendeva le labbra «È a me che tuo padre ha affidato il ragazzo» rispose laconico.
“Teme forse che non ci vada abbastanza pesante con lui?”
«Fa’ conto che io sia un’emanazione della tua persona»
rispose con un sogghigno, incrociando le braccia dinanzi al petto.
«Non tediarmi con i tuoi discorsi da filosofo» il Villa alzò le braccia corpulente «fa’ quel che ti pare, ma se il Conte dovesse-»
«Mi assumerò personalmente la responsabilità dell’accaduto»
lo rassicurò ‘Bastiano, con un sorriso che voleva essere rassicurante.

Le sopracciglia di Arturo si distesero e le labbra ebbero pace dal tormento dei suoi denti. I due Cangramo si allontanarono di qualche metro dal resto dei soldati, spade alla mano. Mentre le reclute si riunivano ai loro pari.
«Perché questa cosa?» chiese sottovoce Arturo, alzando blandamente la sua guardia.
«Sistema la tua difesa» ingiunse ‘Bastiano, ignorando la domanda «piedi sulla stessa linea: concedi il minor spazio possibile da colpire. Guardia più alta e la punta della spada rivolta verso di me… no, non così tanto» continuò, mentre Arturo faceva del suo meglio per stare alle indicazioni del fratello maggiore.
«Così?» chiese, con fare incerto.
‘Bastiano provò a sferrare un fendente, Arturo riuscì a pararlo senza difficoltà.
Il giovane sorrise «Sì, così» poi continuò «Riccardo è un buon maestro, ma ha l’assurda pretesa che chiunque possa competere con la sua forza e la sua mole, anche un nanerottolo come te»
«Ehi! Io non son-»
«La stessa pretesa aveva con Carlo»
lo interruppe «e logicamente era un massacro ad ogni sessione»
«Oh,»
Arturo sbarrò gli occhi «non l’avrei mai detto»
«Era più esile di te alla tua età»
gli assicurò ‘Bastiano, con una velo di nostalgia nella voce «ma una sera io e lui ci ingegnammo per trovare una soluzione al problema. Dimmi, hai mai visto combattere nostro padre?» gli chiese.
«Certo» replicò Arturo, facendo spallucce.
«E l’hai osservato? Cosa fa? Come si muove?»
Arturo arrossì «Ecco…»
«Nostro padre si muove attorno all’avversario, lo studia e lo incalza. E quando l’avversario attacca»
ghignò «lui lo fa a pezzi»
«Woh»
replicò Arturo, ammirato.
«Devi sapere che lui utilizza uno stile misto fra la “Mischia dell’orso” e l’ “Agguato del lupo”. Fu su quest’ultimo che io e Carlo ci concentrammo: in breve imparò a sfruttare la propria agilità e a tenere testa a quel vecchio bisonte» concluse, facendo un cenno verso il Villa.
«Voglio imparare anch’io!» esclamò Arturo, con i riccioli che gli tremavano sul capo, tanto era impaziente.
«Imparerai» gli assicurò, mettendosi in guardia «Ma prima legati quei capelli, che non ti cadano sugli occhi».
Arturo obbedì, domandoli con un laccetto di cuoio. Dopodiché l’allenamento ebbe inizio.

«Sei secco come un fuscello, fratellino: devi muoverti se non vuoi che ti spezzino» Arturo fece del suo meglio per seguire le sue istruzioni, senza perdere il contatto visivo «rimani sempre di profilo, bravo, così. Ora, attacca!»
Si protese in un fendente, ‘Bastiano lo deviò inclinando la guardia «L’agguato del lupo predilige gli affondi: punta agli organi vitali»
Arturo indietreggiò e gli rivolse un cenno d’assenso: i suoi occhi erano adombrati dalle sopracciglia incurvate, la fronte lievemente corrugata, le nocche bianche per la presa salda.
“Ha lo sguardo del lupo negli occhi”.
Quando cercò l’affondo il suo corpo seguì il colpo, diretto al cuore. ‘Bastiano lo parò e lo respinse indietro «Attento a non sbilanciarti» lo ammonì «quando non puoi affondare, procedi con fendenti diretti ai fianchi, mai alti. Non hai abbastanza forza per spezzare la guardia. Bracca l’avversario, mettilo in tensione» le lame cozzarono, l’una contro l’altra, la voce di ‘Bastiano si fece concitata «attacca e continua ad attaccare! Fino a quando non si crea un’apertura nella sua difesa e, infine, quando la breccia è aperta» la punta della lama smussata fu all’altezza della sua gola, ‘Bastiano sorrise, fiero di suo fratello «finiscilo.»
Arturo abbassò la spada, mentre gli angoli delle labbra si sollevavano
«Grazie, fratellone»
«E di cosa?»
rispose, scompigliandoli i capelli «ricorda che in te c’è il sangue dei Cangramo» la sua espressione si fece seria, il sorriso di Arturo si spense, mentre il busto si irrigidiva «e ogni Cangramo ha un lupo dentro: lascialo ululare» gli pungolò il petto con l’indice.
Persino gli occhi di Mastro Villa, freddi e duri come scaglie di ghiaccio, si addolcirono impercettibilmente dinanzi a quella scena. ‘Bastiano si chiese se il vecchio bisonte stesse riconsiderando le sue idee sul piccolo della cucciolata come l’aveva chiamato lui.
“Sei forte fratellino, vedrai che un giorno lo capirai anche tu” pensò, mentre muoveva qualche passo indietro
«Continuiamo» rialzò la lama «stavolta voglio vedere movimenti più rapidi e nessuna apertura nella guardia»
«Vedrò di non farti male, fratellone»
replicò Arturo, inarcando un sopracciglio

I fili delle spade grattarono l’uno contro l’altro, in un fiotto di scintille estinto contro la sabbia del campo. I fratelli disimpegnarono le lame, con una agile balzo indietro. Poi ritornarono a scambiarsi fendenti, affondi e parate sempre più veloci, sempre più energici. Poi nuovamente si distaccarono.
Il respiro di Arturo s’era fatto corto e il sudore gli impiastricciava ciocche di capelli scuri contro la fronte. Goccioline salate s’erano raccolte anche nelle sopracciglia di ‘Bastiano, e di tanto in tanto scendevano a pizzicargli gli occhi. Quando abbassò la lama, asciugò il sudore con il dorso della mano libera e sospirò, riavendosi dalla vista annebbiata
«Credo che per oggi possa bastare, fratellino»
Arturo non poté essere più d’accordo «Mi fanno male parti del corpo che non sapevo neanche di avere» replicò, alzando lo sguardo. I due gettarono in terra le spade da allenamento, in un’occhiata di intesa.
«Hai visto che sai combattere?» lo strinse a sé, mentre si spallava alla staccionata «hai solo bisogno di credere in te stesso»
Arturo sorrise, ma senza che l’espressione della sua bocca fosse accompagnata da quella che adombrava i suoi occhi «Il fatto è che nel mentre mi ritrovo a pensare a cosa dovrei o non dovrei fare, ma nel frattempo ho già perso l’occasione di farlo»
«Rifletti sempre prima di agire»
lo rincuorò «e questa è una dote che ti rende migliore degli altri sotto tanti aspetti, ma quando combatti ricorda che pensiero e azione devono andare all’unisono. Devono essere un’unica cosa» si schiarì la voce «è come quando giaci con una donna: lei non può certo starti ad aspettare, mentre pensi al modo migliore in cui soddisfarla. Ti ci butti, magari rischiando un po’»
Arturo arrossì al riferimento, guardando in terra.
“Va bene, non era esattamente l’esempio più calzante” pensò ‘Bastiano, imbarazzato  “è ancora troppo giovane per certe cose”.
«C-comunque capisco quello che vuoi dire»
balbettò Arturo, rialzando lo sguardo al fratello.
«Sì, devi essere sicuro. Proprio come oggi sei stato con me, senza timore» gli assestò un debole pugno sulla spalla «adesso andiamo a darci una ripulita»
Con un cenno della mano si congedarono da Mastro Villa. L’attempato Maestro d’armi li notò a malapena, tanto era concentrato a guidare i soldati negli allenamenti. Si diressero verso il Castello, scambiandosi chiacchiere e commenti su quanto era avvenuto quel giorno, quando una delle sentinelle di guardia ai cancelli venne loro incontro
«M-mio signore» disse, correndo con il fiatone a fiaccargli la voce. Il suo sguardo incontrò quello di Arturo, sbarrò un attimo gli occhi e si affrettò a correggersi «’miei signori’! Il Potestà Capetingi è alle porte della città e richiede urgente udienza presso vostro padre»
I due fratelli si scambiarono un’occhiata allarmata «Mio padre il Conte è al momento occupato, gli daremo noi udienza» replicò ‘Bastiano «Fai strada, soldato»
Quello rimase imbambolato per un poco, indeciso sul da farsi. Ma infine rivolse loro un cenno del capo e ritornò sui suoi passi.
‘Bastiano e Arturo lo seguirono, tenendosi a qualche metro di distanza
«Di cosa si tratta secondo te?» chiese il ragazzino, stringendo ritmicamente la mano affaticata in un pugno.
«Se Capetingi si è dato il disturbo di venire fin qui si tratterà di qualcosa di grave, altrimenti avrebbe mandato un messaggero» ragionò con voce grave, per poi alzare gli occhi al cielo terso: ancora qualche tempo e le giornate avrebbero preso ad accorciarsi. L’autunno si avvicinava.
Arturo avanzava zoppicando leggermente, si mordeva l’interno della bocca, rimestandosi nella testa chissà quali parole “C’è qualcosa che lo preoccupa…”.
Giunti infine ai cancelli di ferro battuto che delimitavano l’ingresso alla Rocca Grigia, ‘Bastiano vide accanto ad alcune sentinelle di guardia  un signorotto dalla vistosa pappagorgia, appena celata da un velo di castana barba ispida, e una coppia di occhi porcini incastonati ai lati di un naso tondeggiante. Sul ventre, avvolto da un farsetto di velluto marrone, era legata una daga in un fodero di legno recante delle iscrizioni. Dalla cintura pendeva un martelletto di ferro, alla cui estremità la piccola testa aveva la forma di un cane lupo con la bocca spalancata, dalle sue fauci sporgeva il timpano per la battitura.

A ‘Bastiano ritornò alla mente la prima volta che era stato a Valspurga, dieci anni prima. Suo padre gli aveva detto “Un Conte deve conoscere le terre su cui si estende il suo dominio”. Ricordava l’impressione che gli aveva fatto il Capetingi la prima volta che l’aveva veduto: mai visto un uomo così grasso in tutta la sua vita.
«Perché un uomo tanto grande porta armi così piccole?» aveva chiesto a suo padre, con la voce ridotta a un filo. Lui gli aveva sorriso con condiscendenza.
«Quelle non sono armi, figlio mio» aveva risposto «cosa possono essere, secondo te? Ragiona».
Lui l’aveva guardato con uno sguardo vacuo, senza capire. Troppo confuso anche solo per provare a dare una risposta. Alla fine suo padre aveva ceduto
«Sono simboli, ‘Bastiano. Un uomo comune ha giurisdizione unicamente sulla sua terra, un uomo comune non può esercitare il proprio potere su altri uomini. Quello è un privilegio e un fardello riservato a chi ha sangue nobile che scorre nelle vene. Quindi, come può un uomo comune, come il Potestà Capetingi, guidare la milizia di Valspurga e amministrare la giustizia?» le cose avevano iniziato a farsi più chiare nella mente di ‘Bastiano.
«Perché tu gli hai dato il permesso» aveva proposto.
Il sorriso di suo padre gli aveva suggerito che la risposta era corretta, se ne era sentito rassicurato «Esatto».
Indicandogli la daga del Potestà con un dito, aveva spiegato
«Quella dice a chi lo incontra “Io ho il permesso del Conte di guidare in battaglia i soldati della milizia di Valspurga”. Mentre il martello dice “Io posso giudicare, se vi sono le prove, che un uomo è colpevole o meno del crimine di cui lo si accusa e, in base alle leggi, posso scegliere la pena più adatta”»
Quella risposta aveva lasciato ‘Bastiano interdetto «Ma se queste sono le tue terre, perché non te ne occupi tu, padre?»
«’Bastiano, dimmi, noi dove viviamo?»
«Nella Rocca Grigia»
aveva replicato, facendo spallucce.
«E dimmi, un uomo può essere in più luoghi contemporaneamente?» gli aveva chiesto, inarcando un sopracciglio.
Lui ci aveva pensato un poco e poi aveva denegato col capo
«Esatto, se un uomo non può essere in più luoghi contemporaneamente non può che affidarsi ad altri uomini. Uomini di cui si fida. Perché venga fatto ciò che è necessario fare»

Era stata solo la prima delle tante lezioni su come funzionasse il rapporto fra un feudatario e i suoi vassalli, e su quanto questa scala fosse ampia, risalendo dall’ultimo dei baroni fino ai grandi Re di Clitalia. Lezioni che col tempo 'Bastiano aveva appreso, pur non senza difficoltà.
Capetingi, comunque, non era solo lì al cancello: al suo fianco spiccava un uomo alto, con capelli biondo sporco, lasciati fluire lisci lungo la schiena, se non per sporadiche treccine chiuse da fascette di cuoio. Il petto nudo era costellato di cicatrici, una delle quali percorreva il capezzolo sinistro.
La sua spalla destra era cinta da una coppa di ferro battuto, foderata in cuoio borchiato e le braccia erano protette da lunghi guanti che lasciavano scoperte le dita, giungendo fino ai gomiti, mentre sul dorso scintillavano lamine di acciaio sovrapposte. Al fianco pendeva un pugnale dal filo ricurvo.
Per poco ad Arturo non cadde la mascella quando lo vide, ‘Bastiano gli rivolse un’occhiata in tralice: il suo fratellino era sempre rimasto affascinato dai Kelta e conosceva a menadito gran parte delle loro leggende e dei loro costumi, una passione in comune con suo padre Severo.
Quando li videro arrivare, il Potestà si prostrò in un profondo inchino, reso buffo e sgraziato dalla mole, mentre il Kelta si limitò a un cenno del capo.
«M-miei signori» esclamò Capetingi, risollevandosi a fatica, con il viso rosso per lo sforzo «l’estate volge ormai al termine e cattive nuove vengono da ovest-»
il Kelta intervenne, smorzando ogni giro di parole: l’accento era quello duro e sibilante del popolo silvano «I miei esploratori parlano di ‘fard-mann’ diretti verso i villaggi» si schiarì la voce «Sono le ultime razzie prima della cattiva stagione»
Arturo si morse il labbro e riferì al fratello, sottovoce «Parla di Hooligans».
‘Bastiano serrò i denti ed espirò lentamente.
«Valspurga è sotto la protezione della mia famiglia, com’è nel nostro dovere invieremo un contingente per difenderla. Di quanti uomini avete bisogno?» chiese, incrociando le braccia dinanzi al petto.
«Mio signore,  abbiamo la nostra milizia villica e Bernas» il Potestà rivolse una fugace occhiata al Kelta «ha messo a disposizione un manipolo dei suoi migliori arcieri»
«Anche il volf-pak, il ‘Branco’, prenderà parte alla battaglia»
asserì Bernas.
«Ripeto, di quanti uomini avete bisogno?» chiese nuovamente ‘Bastiano, un po’ spazientito.
Il Potestà abbassò lo sguardo, scalpicciando il piede contro il terreno
«Cinquanta uomini dovrebbero essere più che sufficienti, mio signore».
Bernas confermò, con un cenno d’assenso.
«Molto bene» rispose ‘Bastiano, abbandonando a penzoloni le braccia «attendente qui, partiremo non appena avrò radunato gli uomini» poi, rivolto a una delle sentinelle «Tu, soldato, preparami un cavallo, adesso!» quello si affrettò a obbedire, correndo verso le stalle.

«Vuoi andare anche tu, non è vero?» chiese Arturo, standogli dietro a fatica, mentre ritornavano al campo d’addestramento.
«Respingere gli assalitori rientra negli obblighi di un Conte» gli rivolse un’occhiata austera.
«Ti ricordo che fino a prova contraria il Conte è nostro padre! Lo sai che ti farà la pelle quando saprà che sei andato in battaglia senza il suo permesso, vero?»
«Appunto per questo sarà meglio non dirglielo finché non sarò giunto a Valspurga»
sorrise ‘Bastiano “Si infurierà, naturalmente, ma sarà l’occasione buona per redimermi e, soprattutto… dimostrargli che non sono più un ragazzino”
Arturo denegò col capo, arrendendosi alla decisione del fratello. ‘Bastiano lo squadrò
«Comunque, tu conosci queste tribù meglio di me, cosa mi consigli di fare?» Arturo si portò una mano sotto il mento, calcandolo con le dita
«Gli Hooligans combattono a cavallo, caricano i nemici direttamente, senza un vero e proprio schieramento»
‘Bastiano mugugnò «E riguardo a questo “Branco” di cui parlava Bernas? Che sai dirmi?»
«Sono gli uomini più vicini al Berserker, uno dei quattro capi del Klan»
«Quindi delle sorte di guardie del corpo o truppe d’elité?»
chiese ‘Bastiano, non proprio sicuro di aver capito.
«Diciamo di sì» concesse Arturo, dopo una piccola esitazione.

Nel campo di addestramento, intanto, i soldati si andavano rassettando dopo la fine dei duri allenamenti. Qualcuno si sfilava l’elmo ammaccato, passandosi una mano sui capelli sudaticci. Altri davano un occhio agli scudi, assicurandosi che fossero ancora integri. Altri ancora si massaggiavano gli arti doloranti.
‘Bastiano si schiarì la voce, petto in fuori, e parlò con voce forte e chiara, levandola sopra ogni altro rumore
«Uomini!»
Soldati e reclute alzarono lo sguardo, mettendosi sull’attenti e lasciando perdere ogni altra faccenda. Mastro Villa si voltò, con un’espressione indecifrabile dipinta in viso.
«Uomini,» ripeté «tribù di razziatori minacciano il complesso di villaggi di Valspurga. In tanti fra voi vengono da quelle terre, hanno lì le proprie famiglie, le proprie case» rimase in silenzio, perché quelle parole si ficcassero per bene nelle loro teste «Quest’oggi chiedo chi, fra voi, è disposto a seguirmi in battaglia, per proteggere non solo le terre della nostra casata, ma le vostre case e quelle dei vostri fratelli?» il ragazzino dagli occhi glauchi fece un passo avanti, le labbra serrate e gli occhi tremolanti.
‘Bastiano fu dispiaciuto di vederglielo fare “quel giovane è solo una recluta… non è pronto per una battaglia, si farà ammazzare, ma non sta a me impedirgli di fare le sue scelte” pensò, con un filo di amarezza. Dopo aver esitato un poco, anche l’altro ragazzo, il pescatore del Volga, fece un passo avanti, storcendo il naso.
Furono i primi, ma non gli ultimi: a poco a poco altri li seguirono.
«Sono in debito, con ciascuno di voi» disse, ammirato « Ora preparatevi. Partiremo a breve» concluse, con voce non più tanto ferma.
I soldati si allontanarono, alcuni fra loro sorridevano, altri guardavano fisso in terra, stringendo i pugni o deglutendo a fatica.
Mastro Villa si avvicinò a ‘Bastiano e Arturo, la bocca contratta in un’espressione seria
«Immagino che tuo padre…»
«No»
rispose il Cangramo, senza aggiungere altro.
«Perfetto» brontolò «glielo dirò io, quando sarai abbastanza lontano da non poterti venir dietro a romperti la testa»
«Grazie, Maestro»
rispose ‘Bastiano, chinando leggermente il capo e porgendogli il braccio.
Il Villa lo strinse con forza, e presolo per il retro del collo avvicinò la faccia del suo pupillo alla sua
«Non farti ammazzare ragazzo, o verrò personalmente negli inferi a romperti il culo» a ‘Bastiano scappò un sorriso.
Riccardo Villa sospirò: per quanto fosse un uomo duro, avvezzo alla guerra e alla morte, non riusciva a non incupirsi al pensiero che il migliore fra i suoi allievi mettesse a repentaglio la sua vita. Nei suoi occhi freddi ‘Bastiano lesse la consapevolezza, la stessa che albergava nella sua mente “Sa’ che non mi terrò lontano dal campo di battaglia…”
«Serve altro?»
chiese il vecchio bisonte.
Bastiano si sfregò l’indice col pollice, mentre un’idea lo illuminava «Lance e scudi, svuota i depositi se necessario, ne voglio il più possibile» esclamò.
Riccardo sbarrò gli occhi e un angolo della bocca si incurvò verso il basso
«Sarà fatto» assicurò con voce dubbiosa
Arturo guardò al fratello, dopo che il Maestro si fu allontanato. Le sopracciglia del ragazzino erano corrucciate
«Cos’hai in mente? A che ti servono tutte quelle lance e quegli scudi?»
«I soldati di Roccagrigia sono addestrati duramente, si allenano ogni giorno. Sai cos’è invece la milizia di Valspurga?»
«Il corpo militare a disposizione del Potestà»
rispose, facendo spallucce
«O meglio un’accozzaglia di contadini che impugnano le armi nel momento del bisogno, per poi tornare a coltivare i propri campi» lo informò.
Lo sguardo di Arturo si smarrì per un attimo nel vuoto, poi le sopracciglia scattarono in un lampo di sorpresa
«Sei un genio fratellone» mugugnò il ragazzo, tornando a guardarlo. Mentre la bocca di ‘Bastiano si curvava in un sorriso soddisfatto “Ha capito al volo…”

 
 
***
 

La Selva Scura li circondava su ogni lato proiettando l’ombra dei suoi alberi sul sentiero; sull’ammasso di corpi in arme che formavano le colonne in marcia; sulle ruote in legno dei calessi trainati dai muli. ‘Bastiano, con il Potestà e Bernas, trottavano in testa.
‘Bastiano lanciò un’occhiata al cavaliere dinanzi a sé: sull’ampia schiena del Kelta era tatuata una testa di cervo, con le lunghe e intricate corna ramificate che gli si arrampicavano fino alle spalle. Ai lati della sua sella pendeva un arco: il più ampio e rigido che ‘Bastiano avesse mai visto. Gli uncini alle estremità erano rivestiti con acuminati spuntoni di acciaio bianco. La corda non era però inserita, ma giaceva arrotolata alla cintura del Kelta “Troppo corta per un arco di quelle dimensioni” pensò ‘Bastiano, affiancandosi al Potestà.
«Chi è questo Kelta, Capetingi?»
I suoi occhi porcini scivolarono verso ‘Bastiano, strizzando agitati «Lui è l’Agrotero. Uno dei quattro Manark, mio signore» il giovane lo guardò con sguardo vacuo, Capetingi si affrettò a chiarire le sue parole «Il Klan dei Kelta è retto da un concilio di quattro Manark, uno per ciascuna delle tribù. Per le rispettive tribù un Manark è, per così dire, l’equivalente dei nostri re e alti sacerdoti. Entrambi riuniti in un’unica figura»
«Capisco»
replicò ‘Bastiano, rivolgendo al silvano più avanti uno sguardo interessato «Gli altri Manark non parteciperanno alla battaglia?»
«Non personalmente mio signore, ma il Berserker ha inviato il “Branco”, come riferito da Bernas. La Coelispex e la Voidvoda hanno provveduto alla manovalanza per la costruzione di difese, e ai cerusici una volta che la battaglia sarà finita»

‘Bastiano mugugnò un assenso. Non capiva il significato di quegli strani termini, avrebbe chiesto delucidazioni a suo padre o ad Arturo, una volta a casa.
Congedandosi dal Potestà trottò innanzi, affiancandosi a Bernas che lo guardò in tralice, con le sue iridi di giada
«Io e la mia famiglia apprezziamo molto l’aiuto che voi, e la vostra gente, ci offrite, Bernas»
Il Kelta sorrise
«Non sono che un solo uomo, Cangramo» ‘Bastiano rimase interdetto «e comunque il nostro sangue non dimentica il vostro, il Klan protegge sempre il Klan»
Severo gli aveva parlato spesso dell’antica discendenza dei Cangramo dal popolo silvano, ma il ragazzo non credeva che il popolo silvano la tenesse in tanta considerazione. Sapeva che normalmente essi non gradivano le genti civilizzate, non dopo i secoli di guerra Rimlica e le terre che erano state sottratte loro
«Perché gli Hooligans ci attaccano? Non sono anche loro Kelta?» chiese, “Adesso che ci penso è piuttosto strano”.
«I ferd-mann non sono parte del Klan» rispose, senza guardarlo in viso «non hanno sangue in comune col nostro, né obblighi nei nostri riguardi, giovane cane-lupo» Bernas sollevò una angolo della labbra «Ferd non è parte del nostro totem e questo ai ferd-mann non è mai piaciuto»
«Questo ‘Ferd’ è il loro dio?»
Bernas contrasse uno zigomo a quella domanda.
«Ferd non è un dio. Ferd è uno degli antichi spiriti del mondo. I nostri dei non assumono forma animale» sembrò ritornare più sereno «i nostri dei erano uomini, Cangramo, in un tempo lontano e per gran parte dimenticato»
«Uhm, e il Klan quali dei venera?»
chiese ‘Bastiano, timoroso di sembrare invadente ma troppo incuriosito per desistere.
«Ogni dio è venerato da chi più lo favorisce, ma sopra ogni altro tutti i Kelta venerano Wotan» ci fu un silenzio solenne a quel nome «egli fu il primo e il più potente fra gli dei. Ma ogni Klan ha il suo dio favorito, il nostro è Boudicca, colei che cavalcò la forma ferina di Volf nella battaglia al Wendigo, la Bestia dalla fame sconfinata»
‘Bastiano rimase impressionato: la mitologia Kelta gli sembrava ben più interessante di quella del Redivivo, la religione di Stato a Clitalia, per buona parte fatta di sermoni e precetti morali. Adesso capiva la smodata passione del suo fratellino per la gente Kelta.
“Voglio saperne di più” «Parlami di questo… Wotan» lo incalzò il giovane. Bernas teneva gli occhi fissi sul sentiero.
Nel cielo uno stormo di corvi si alzò in volo verso ovest gracchiando animosamente. Un’aquila silenziosa volava in cerchio sopra le loro teste.
Bernas sorrise «Magari un’altra volta, Cangramo. Ora siamo arrivati a destinazione e il tempo delle parole dovrà attendere quello della battaglia»
L’Agrotero aveva ragione, già da un po’ il verde degli alberi aveva lasciato il posto al verde smorto delle pianure di Valspurga, attraversate nel loro centro dalle acque del Tams. Il sentiero, come un serpente dalle scaglie di terra, scivolava in anse sinuose verso il groviglio di abitazioni in legno e paglia del Purgamada, il più occidentale dei villaggi di Valspurga.
In lontananza si distingueva ormai chiaramente il profilo frastagliato del Monsiderio: un gigante monolitico, alle cui pendici scavavano le spelonche delle miniere. La montagna era seguita da una coda di altre cime più basse e arrotondate, diramate verso nord-ovest.
La colonna si diresse dunque verso il Purgamada, dove, ai margini del villaggio, falegnami e Kelta si industriavano per piantare nel terreno rostri di legno ad altezza uomo, sembrava quasi che la terra stesse tirando fuori i propri artigli per prepararsi alla battaglia.
Nella piazza centrale del villaggio erano riuniti gli uomini della milizia villica: armature fatte da pezzi in disarmonia fra loro: cotte di maglia sfilacciate, casacche rattoppate. In effetti, non sembravano troppo differenti dal resto dei popolani, appostati all’ingresso delle loro abitazioni. Nei loro occhi ‘Bastiano leggeva la paura della morte, una paura che cercavano di fugare ascoltando le parole del sacerdote.
Don Matteotti, il naso reso rubicondo dalla sua smodata passione per il vino, recitava dal pulpito le parole del Culto «La furia incendi le vostre spade, figli miei! Il Cuore vi guidi quando dovrete scegliere fra la pietà e la salvezza! E il Padre faccia di voi il suo gregge» e intanto benediva con acqua santa gli uomini che gli passavano dinanzi, mormorando «Nel nome del Padre, del Cuore e della Furia».
Bernas sorrise a quella scena e si diresse nel boschetto più a sud. ‘Bastiano lo osservò allontanarsi. In cuor suo sapeva che era compito di un comandante rimanere insieme con i propri uomini durante la benedizione, ma la curiosità fu più forte del suo senso del dovere e, sceso da cavallo, dopo aver rivolto un’occhiata colpevole al sacerdote, seguì il Manark. Solo dopo alcuni metri si rese conto che il giovane dagli occhi glauchi lo stava seguendo. ‘Bastiano lo fulminò con lo sguardo, in un misto di stupore e irritazione
«Cosa c’è soldato? Non desideri la benedizione del Redivivo, nostro signore?»
«Non voglio che i miei genitori mi vedano in armi, mio signore»
rispose, con voce stranamente argentina, poi se la schiarì, sforzandosi di farla risuonare più grave «hanno sempre avuto troppa premura nei miei riguardi».
‘Bastiano denegò col capo, serbandosi dal ridergli in faccia.
«Hanno ottime ragioni per farlo, soldato. Sei sgraziato e tremi come una foglia quando ti mettono una spada in mano»
«Mi dispiace…»
il ragazzo arrossì violentemente, gli occhi gli si fecero umidi mentre accennava a ritornare sui suoi passi
‘Bastiano non poté fare a meno di sentirsi in colpa. “Ma perché piange?” pensò tuttavia stranito, mentre lo richiamava, accomodando un tono più dolce nella voce «Non devi scusarti, soldato, un giorno non avrai più paura, vedrai» gli calò una pacca sulla spalla, sentendola piccola e debole sotto la mano “Troppo gracile per un uomo che si addestra da settimane…”
Bernas si era intanto inoltrato fra gli alberi, ‘Bastiano accelerò il passo.
Un suono profondo e vibrante cominciò a tremare nell’aria. Man mano che si muovevano nel piccolo boschetto, la musica si fece più intesa e rumorosa, scendendo fin nel terreno. Un barbagianni su di un ramo puntò i suoi piccoli occhi neri verso ‘Bastiano, e lo fissò intensamente. Il giovane provò una sensazione di inquietudine, alimentata dai tamburi e da una nenia appena udibile, più in là.

Dopo aver proceduto per alcuni minuti attraverso gli alberi, si trovarono in uno spiazzo erboso,  dove qualcuno ripeteva una litania lamentosa, a voce alta, in una lingua sconosciuta. Qualcosa come
«Vulf forgen mir for blut nut giss»
A recitarla era un uomo possente, con baffi spioventi e la barba acconciata in una lunga treccia bruna. Sulle sue spalle c’era una vistosa pelle d’orso.
Di fronte a lui, altri uomini e donne con mantelle di lupo sedevano in cerchio intorno a un braciere, osservandolo senza proferire parola. Ai loro piedi giacevano scudi rotondi e asce e spade di ottimo acciaio temprato. Il bosco era popolato di giovinetti con indosso tuniche di stoffa bianca, prive di ogni orpello o decorazione. Se ne stavano lì in piedi, come in attesa di qualcosa.
I suonatori di tamburo, nascosti fra gli alberi, erano chini sui loro strumenti e il viso coperto da drappi scuri che ne lasciavano intravedere solo uno spicchio del naso e le bocche contratte dallo sforzo.
Sul focolare era sospesa una ciotola, all’interno una bevanda giallastra e tocchetti di funghi spezzettati.
Bernas assisteva alla scena, mantenendo un’espressione seria, mentre al suo fianco una ragazzina da folti ricci biondi e il sorriso da furbetta se ne stava spallata contro un albero a braccia incrociate “È una bambina” pensò ‘Bastiano, notandone le forme ancora acerbe “potrà avere al massimo quindici anni”.
Intanto una donna dai capelli ramati e un uomo senza un orecchio, entrambi con la mantella di lupo, toglievano il pentolino dal fuoco. E un paio di giovani portava lì una capra dalle corna ricurve, i cui versi di protesta erano coperti dal suono incessante dei tamburi.
L’uomo in piedi interruppe la sua litania e, presa una ciotola di coccio, la posizionò in terra, di fronte alla capra.
Uno dei suoi compagni gli porse un coltellaccio con il manico in osso, foderato di pelliccia.
La litania riprese, più silenziosa e rapida. L’aria era carica di tensione, la tensione che avvolge quei momenti di una certa importanza. Momenti sacri e pregni di significato.
Con uno scatto deciso l’uomo recise la gola della capra, non lasciando alla povera bestia neanche il tempo di provare paura. Lunghi rivoli di sangue presero a svuotarsi nella ciotola, riempiendola nel giro di pochi minuti, mentre i gorgoglii del rosso che scendeva si mischiavano ai lamenti sordi e strozzati del povero animale in agonia. Il rumore dei tamburi si era fatto ormai assordante, tuonava nelle orecchie e picchiava sui timpani.
‘Bastiano era inorridito, ma continuò a osservare la scena. Il ragazzo dagli occhi glauchi aveva distolto lo sguardo più di una volta, per tornare poi a guardare, irrigidendo le spalle.
Quando la capra stramazzò al suolo senza vita, i giovani con la tunica portarono via il suo cadavere, macchiandosi i vestiti intonsi, le braccia e le mani.

L’uomo con la pelle d’orso levò al cielo la coppa e urlò
«Volf forgern mir for blut nir giss!»
«Che sta facendo?»
trovò il coraggio di chiedere ‘Bastiano al Manark. Lui non staccò gli occhi dalla scena, ma rispose, con voce bassa
«Chiede perdono al grande spirito Volf, perché quest’oggi non verserà sangue»
«Mar trer net zeyn blut!»
urlò ancora l’uomo, bagnando le dita nella coppa
«Ma di sangue saranno le mie lacrime» tradusse pedissequamente Bernas, mentre l’uomo si tingeva gli occhi e gli zigomi con il sangue di capra.
«Quindi quell’uomo non combatterà? Perché?» chiese ancora ‘Bastiano, notando che il Kelta dalla lunga barba non mancava certo di prestanza fisica, come il resto dei suoi compagni.
La ragazza con il sorriso da volpe rivolse i suoi grandi occhi verdi a ‘Bastiano «Stai a vedere Cangramo».
Il contenuto del pentolino che era stato riscaldato sul fuoco fu filtrato attraverso un panno, e svuotato in un corno, offerto poi all’uomo delle litanie. Questo lo osservò per un momento, deglutì, e poi lo trangugiò tutto di un sorso: rivoli umidi scivolarono agli angoli della sua bocca, mescolandosi con le strisce di sangue che segnavano il suo volto.
Quando ebbe finito di bere lasciò andare il corno, chiuse gli occhi e respirò profondamente. I suoi compagni, da seduti, afferrarono gli scudi e presero a batterci contro le armi, il suono dei tamburi si era ridotto a un accompagnamento.
L’uomo con la pelle d’orso prese a guardarsi intorno con fare isterico, le palpebre gli tremavano e il corpo si piegava ai primi tremori. Tutto a un tratto si calò le braghe: il suo membro era grosso, rigonfio e dal colore rossiccio, con venature rigonfie. Il ragazzo dagli occhi glauchi distolse lo sguardo mentre il Kelta orinava nello stesso corno da cui aveva bevuto pocanzi.
Alcuni giovani raccolsero il corno prima che l’uomo con la pelle d’orso si accasciasse al suolo, in preda alle convulsioni. Allungarono il piscio con acqua e miele, poi lo porsero ai guerrieri con indosso le pelli di lupo.
Essi ne bevevano un lungo sorso, per poi passarlo all’uomo alla loro sinistra.
«Che schifo» sussurrò il ragazzo dagli occhi glauchi, portandosi una mano alla bocca, forse per quietare un conato di vomito.
«Perché diavolo bevono il suo piscio?» chiese ‘Bastiano, con la bocca contratta in una smorfia disgustata.
«Evidentemente gradiscono il sapore» replicò la ragazzina divertita. Il Menark la zittì con uno scappellotto. Quella si massaggiò il capo, con un’espressione adesso imbronciata.
«Lo scoprirai quando la battaglia avrà inizio, Cangramo» sorrise «lasciamo solo il volf-pak, è tempo che i lupi comincino a ululare».
Vuotato l’ultimo sorso del corno, gli uomini e le donne lupo cominciarono ad alzarsi e cantare canzoni dal suono antico, profondo e selvaggio come gli spiriti che veneravano. Danzavano al percuotere dei tamburi e levavano risate e urla gutturali, isteriche, deliranti. L’uomo che per primo aveva bevuto non sembrava condividere l’allegria dei suoi compagni, tutt’altro, stava vomitando l’anima a ridosso di una radice. La melma fuoriuscita dal suo stomaco era di un pallido colore rossastro. Il poveraccio si reggeva a malapena sui palmi delle mani, sforzandosi di non cadere con la faccia nel suo stesso vomito.
Intanto Bernas e la ragazzina guidavano ‘Bastiano fuori dal boschetto. Ombre dalla forma umana facevano intanto capolino dagli alberi, mettendosi al loro seguito: erano i suoi arcieri. Il tempo di riunire l’armata era ormai giunto, dovevano fronteggiare i cavalieri che giungevano dall’ovest. Il barbagianni che ‘Bastiano aveva veduto lo squadrò un’ultima volta mentre passava, prima di rialzarsi in volo e sparire oltre le fronde.




NdA: Iniziamo questo nuovo anno con l'undicesimo capitolo, il primo in cui vediamo comparire i Kelta di cui abbiamo tanto sentito parlare nel corso della storia. Che ve ne pare? Riuscite a indovinare le civiltà da cui ho preso ispirazione? Scommetto di si!
Mi rendo conto che l'utilizzo di termini particolari e l'introduzione di nuovi contenuti può sempre destare qualche incomprensione o perplessità. Quindi per qualsiasi dubbio non esitate a pormi domande all'interno delle recensioni o tramite MP.
I miei più accorati ringraziamenti a Fan of the Doors, morgengabe, RoryJackson, deianirarouge e al nuovo arrivato Makil per le appasionate recensioni e i loro pareri :3 siete una spinta per mettere ancora più impegno e fervore in questo lavoro

un abbraccio grande grande,
Il Signore Oscuro


 
 
 
 
 




 
   
 
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