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Autore: _Kalika_    03/01/2018    1 recensioni
La storia non tiene conto dei fatti ne "Le Sfide di Apollo"
Will è in preda ai sintomi di una terribile malattia, una maledizione che colpisce alcuni figli di Apollo… le possibilità di sopravvivenza sembrano scarse, ma Nico non intende perderlo. Riuscirà il figlio di Ade a superare le prove proposte, compreso lo scontro con un odiato nemico?
*
*
*
«Che intendi dire?» Nico strinse il Ferro dello Stige, alternando lo sguardo tra la figura che si dimenava debole e l’ombra.
«Ti sarà richiesto soltanto un sacrificio. Devi scegliere tu se sei disposto ad accettare»
«Di cosa stai parlando?» Chiese ancora, irritato. L’ombra non rispose. Si mosse appena, poi scomparve con un risucchio nel terreno.
*
*
«Sono ancora uno stupido, Raggio di Sole?»
Il figlio di Ade sbuffò, riappoggiando il capo sulla maglietta arancione del biondo. «Sì, moltissimo. Anche se non è stata tutta colpa tua.»
«Ah, no?»
«No. Probabilmente gli dei avevano già deciso che avresti fatto la stupida azione che hai fatto.»
«Mh. Quindi ti sei sbagliato a darmi uno schiaffo, prima.»
«No, non sto dicend…»
«E ti devi far perdonare.»
«Non…»
«Facciamo così: se farai un’azione più stupida della mia, allora potrò restituirti il torto.»
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Cupido, Eros/Cupido, Nico di Angelo, Nico/Will, Nuovo personaggio, Will Solace
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
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Il Frutto del Sacrificio – Cap 3
 
 


Una luce scintillò fra gli alberi. Nico si arrestò, portando una mano all’elsa del ferro dello Stige.
Neanche un’ora di cammino, diretto alla fermata dei taxi, e già si trovava qualcuno – o qualcosa – ad intralciargli la strada.
Tuttavia non aveva l’aria di sembrare un mostro.
La sua aura era diversa, in qualche modo più potente, anche se umana, ma che denotava una qualche discendenza o influenza divina.
 In quel momento c’era solo un dio che Nico non avrebbe voluto incontrare, e c’era solo un dio che, paradossalmente, stava cercando.
«Cupido?» ringhiò all’aria.
Dei passi risuonarono alle sue spalle, quando si voltò c’era solo la foresta. Sentì una risata maschile da una parte imprecisata intorno a lui. «Mi avevano detto che eri sveglio, Nico. Non sono Cupido»
La voce non era quella del dio, anche se il tono ci si avvicinava.
«Allora chi sei?» Il figlio di Ade non aveva alcuna intenzione di abbassare la guardia. Chiunque si nascondesse tra le fronde aveva senza dubbio un’energia e una forza fuori dal comune, qualcosa di assolutamente inusuale e pericoloso.
«Puoi chiamarmi Ed.» La voce roca lo sorprese alle spalle. Nico si voltò di scatto e senza esitazione menò un affondo con il ferro dello Stige, che venne fulmineamente parato con un pugnale in bronzo celeste ed una forza inaudita.
Il figlio di Ade alzò lo sguardo per incontrare il volto del suo nemico: era un ragazzo probabilmente di appena qualche anno più di lui, con uno sguardo sveglio e feroce ed una terribile cicatrice che gli tagliava il naso. Dal punto di vista della corporatura, era molto più prestante e muscoloso di Nico, tanto che lo superava d’altezza di una decina buona di centimetri.
Ed saltò indietro di diversi metri, dando al moro il tempo di riprendersi dalla sorpresa. «Ti ha mandato Cupido?»
Il ragazzo si sistemò il berretto scuro sui capelli corti e rossicci che prima il figlio di Ade non aveva notato. Si prese un istante per osservarlo, per quanto il buio glielo permettesse, approfittando di quella che sembrava una tregua. Non sapeva ancora con precisione le sue intenzioni.
Il ragazzo indossava un paio di jeans blu scuro e una cintura legata ai fianchi con diversi coltellacci in bronzo celeste appesi; il busto era coperto da una comoda giacca a vento chiusa, anch’essa di una tinta scura che Nico non riuscì a identificare. Chiunque l’avrebbe scambiato per un normalissimo adolescente, ma lo sguardo affilato che già prima aveva notato e la sua inaspettata energia non ingannarono il figlio di Ade.
«Sì, lavoro per Cupido, piccolo figlio di Ade» ammise Ed «voleva… diciamo… metterti alla prova.»
Senza aspettare altro, Ed si lanciò verso il ragazzo e tentò qualche affondo con due pugnali, tutti prontamente parati dalla lama del moro.
La differenza d’altezza e di muscolatura lasciava il figlio di Ade con l’amaro in bocca, ma non si diede per vinto. Diamine, aveva sconfitto innumerevoli volte creature ben più grandi di quel ragazzo, anche se forse pochi di essi erano stati così rapidi o svegli.
Approfittando di una distrazione dell’avversario gli scivolò tra le gambe e con una rotazione gli ferì la schiena. Ed grugnì e si voltò furente, colpendolo inaspettatamente in viso con il manico del pugnale. Il semidio arretrò stordito e andò a sbattere contro il tronco di un albero. Si aspettava un ulteriore attacco, ma aprendo gli occhi vide che Ed era fermo, evidentemente provato dalla ferita che era riuscito ad infliggergli.
Ancora una volta, tentò di dialogare. Sputò un grumo di sangue che gli si era formato in bocca e borbottò: «Sei un semidio?»
Ed fece un verso di scherno. «Perché dovrei risponderti?»
Il moro scrollò le spalle, staccandosi piano dal tronco dell’albero: «Perché a quanto pare qualcuno ti ha dato molte informazioni su di me. Perché non dovrei averne io su di te?» Riuscì a malapena a concludere la frase. Ed tentò ancora di ferirlo con il pugnale all’altezza del volto. Nico si ritirò in tempo stringendo la mascella per la rabbia, e fu costretto a scostarsi di nuovo per evitare un affondo allo stomaco.  Poi si slanciò in avanti, menando un fendente con il ferro dello Stige, ma ancora il nemico riuscì a deviare l’attacco con il solo aiuto dei pugnali. Schivò un affondo del figlio di Ade rotolando sul terreno, e non appena si rialzò roteò su sé stesso spedendo Nico a terra con un calcio nello stomaco.
Il figlio di Ade boccheggiò, riverso tra le foglie, stringendo con stizza i fili d’erba sul terreno. Quell’attacco di una forza spaventosa gli aveva probabilmente rotto un paio di costole, e ad ogni respiro sentiva la gabbia toracica pulsare. Cos’aveva, le scarpe rinforzate in titanio? Si concentrò appena, ed il terreno iniziò a tremare. Da una faglia, alle spalle di Ed, emersero due scheletri armati. Non riuscì ad evocarne di più, perché non appena attivò i suoi poteri i pallini neri che danzavano davanti ai suoi occhi si fecero più insistenti.
La sua mente faticava a ragionare. Come poteva Ed essere così forte? Ma soprattutto, da dove proveniva davvero? Aveva bisogno di più informazioni.
Tentò di alzarsi in piedi. Non appena fu solo in ginocchio, la nausea lo assalì e lo costrinse a piegarsi di lato per vomitare.
Passò probabilmente poco tempo. Alzò lo sguardo, certo di aver intrappolato il nemico grazie ai suoi alleati, ma non appena vide la scena che gli si parò davanti sentì la gola seccarsi. Ed, per quando fosse evidentemente stanco, teneva testa senza problemi ai due scheletri che tentavano di bloccarlo.
Facendo rapidamente leva con due dei suoi pugnali, staccò la testa ad uno dei due e fece cadere a terra l’altro con un calcio.
Nico si alzò appoggiandosi al tronco, trattenendosi dal sibilare selvaggiamente. Recuperò il ferro dello Stige da terra e rizzò le spalle nel momento in cui Ed faceva fuori entrambi gli scheletri. Aveva il fiatone tanto quanto il figlio di Ade.
Invece di attaccare, il nemico ghignò appena. «Non sei al mio livello, ma riconosco che hai diversi assi nella manica. Per rispondere alla tua domanda: sì, sono un semidio. Non sono affari tuoi sapere chi è il mio genitore divino.»
«E adesso cosa hai intenzione di fare?»
Ancora una volta, Ed sorrise. «So che Cupido ha un qualche piano per te, ragazzino. Io sono solo una sorta di piccola prova. C’entra anche il tuo…» fece un’espressione disgustata, sputando per terra, e Nico non ebbe dubbi su cosa stesse per dire. «..il tuo fidanzato. Will, giusto?»
Il figlio di Ade strinse le dita sul ferro dello Stige. Sibilò: «Spero per te che non oserai toccarlo.»
Ed si osservò le dita nascoste da guanti del tutto simili a quelli di Nico, che lasciavano le nocche scoperte. «No, puoi star certo che io non ho intenzione di combattere con lui.» Rialzò lo sguardo sul moro, sorridendo ferocemente. «Per lui abbiamo altri progetti, sai? Non credi sia proprio un momento propizio?»
Nico digrignò i denti, i sensi ottenebrati dal dolore e dalla rabbia. Fu un miracolo se si accorse che Ed stava nuovamente avanzando verso di lui, preparando un fendente.
Scartò a sinistra e tentò di ferirlo al fianco, ma come al solito il nemico schivò in tempo. Nico si abbassò per evitare un nuovo attacco, e nel rialzarsi portò la sua lama verso l’alto, riuscendo a ferire Ed alla coscia.
Il ragazzo ringhiò arretrando, ma l’attacco non lo lasciò fermo per molto. Ripartì con forza rinnovata verso il moro, che ormai già faticava a tenere in mano la sua arma.
Nico riuscì a parare il primo affondo, ma il secondo pugnale penetrò nella spalla destra con facilità. Il dolore gli arrivò al cervello e riuscì a malapena ad urlare di dolore, mentre un altro imprevisto attacco gli apriva un taglio sulla coscia sinistra e poi sul fianco. Ormai totalmente stordito, si accorse a malapena di una ginocchiata che lo obbligò a piegarsi in due a terra, tossendo confusamente e sputando sangue.
“Stupido.” Riusciva solo a pensare. “Pensavo di poter salvare Will? Quello con cui mi sono appena scontrato è soltanto un emissario di Cupido. Come posso competere con il dio in carne ed ossa?” Strinse gli occhi con rabbia. “Quando l’ho incontrato in Croazia, scherzava? Possibile che stesse usando solo una minima parte delle sue capacità?”
Non capì quanto tempo passò. Abbastanza affinché le vertigini smettessero di costringerlo a terra. Tuttavia, sapeva di non essere in condizioni di combattere. Tutto il suo corpo bruciava ad ogni movimento. Anche solo respirare gli provocava dolore assurdo. Era stato stracciato semplicemente da un uomo, un ragazzo, che aveva affermato di essere soltanto la punta dell’iceberg di ciò che Cupido aveva in mente per lui. Si sentì male al pensiero, ma se non altro questo gli fece capire che probabilmente Ed non poteva ucciderlo in quel momento. Magari se n’era andato.
Era un pensiero da vigliacco, ma almeno gli diede la forza di alzare lo sguardo. Come era avvenuto pochi minuti prima, gli si gelò il sangue nelle vene non appena focalizzò cosa – anzi, chi – aveva davanti.
La voce dell’individuo, gelida eppure attraente come se la ricordava, stava discutendo con Ed. «Va bene, hai fatto un buon lavoro con Nico. L’importante è che non me lo ammazzi, eh? Te l’ho detto, deve ancora svolgere la sua intera impresa.»
Ed annuì, togliendosi il berretto in segno di saluto e rivelando la massa di capelli biondo-rossicci, e ad un cenno dell’altro scomparve come in una nuvola.
Nico si alzò lentamente in ginocchio. Gli tremavano gli arti e sentiva il calore del sangue impregnargli i vestiti. Ansimò sgraziatamente, cercando di spannare la vista mentre un’ombra – era piuttosto sicuro che fosse una persona, e non soltanto una macchia indistinta – si avvicinava a lui.
«Cupido» riuscì solo a gracchiare prima di piegarsi in due per sputare del sangue che gli si era bloccato in gola, producendo un rumore raschioso.
Non vide che la figura gli si era avvicinata, annuendo con sguardo lievemente disgustato. «Sì, Nico, sono proprio io. Sei cambiato dall’ultima volta che ci siamo visti?»
«Non grazie a te.» Fu una risposta che gli venne naturale, ma un istante dopo si morse la lingua. Accidenti, sì che era cambiato a causa di quel tizio. Non avrebbe saputo dire se in bene o male, ma a mente fredda era più volte arrivato alla conclusione che quella spiacevole scossa ricevuta in Croazia gli aveva finalmente liberato la mente.
Una lieve risata riecheggiò nel bosco. «Non grazie a me? Va bene, va bene, Nico…»
«Hai il frutto?» Chiese diretto il figlio di Ade, alzando finalmente lo sguardo più lucido.
Cupido, dapprima inginocchiato davanti a lui, si rialzò in piedi con espressione delusa. «Il frutto? Ma come… credevo che l’avessi capito, re degli Spettri! La mia è solo una visione!»
«Questo non significa che tu non sia reale» rispose il ragazzo che, con sguardo impassibile, si era lentamente rimesso in piedi reggendosi ad un tronco e stringendo il ferro dello Stige.  Il dio rise: «Suvvia, non essere sciocco. Il frutto non ce l’ho qui con me. Non è ancora arrivato il momento.»
Nico parve confuso: «Il.. momento?» Si trattenne dal dire anche: “Quello di prima era il momento già programmato in cui venivo pestato a sangue?” Forse fu più che altro per la mancanza di fiato.
Cupido iniziò a camminare avanti e indietro con disinvoltura stando attento a non sporcare i pantaloni bianchi immacolati che indossava. «Anche se non ufficiale, la tua è sempre un’impresa eroica. Non puoi risolvere subito i tuoi problemi! È la regola!» Sorrise chiaramente divertito.
Il figlio di Ade si innervosì. Era tutto un gioco, per lui? Uno spettacolino da mettere in scena? Ancora prima che se ne rendesse conto, menò un fendente col ferro dello Stige. Non capì con quale energia riuscì a farlo. La lama parve attraversare Cupido senza fargli un graffio. Il dio invece reagì fulmineo e lo prese al collo con una mano, sbattendolo violentemente contro il tronco dell’albero. Nico sentì il suo stesso corpo urlare di dolore. Boccheggiò, gli occhi carichi d’odio, il ferro dello Stige lasciato a terra.
«Ma adesso non divaghiamo» riprese improvvisamente serio il nemico, agitando la mano libera come per allontanare una mosca. «Voglio solo parlare.»
«Parlare di… cosa?» Biascicò il ragazzo nervosamente cercando di riprendere aria e di mantenere lucidità «..E se è davvero… una missione, non dovrebbe esserci… una profezia al riguardo?»
Un lampo divertito baluginò negli occhi del dio. «Parleremo di ciò che ti aspetta, ovviamente. Compresa, se la vuoi davvero sapere, la profezia.»
Schioccò le dita, ed un turbine avvolse Nico.
 
 Quando si risvegliò, la testa gli pulsava terribilmente. Non si sentiva per niente riposato. Cercò di alzarsi, ma non appena si mise seduto un profondo senso di vertigine lo assalì, costringendolo a piegarsi su sé stesso con un gemito. Fu un miracolo se non vomitò.
Sentì il rumore di una frenata, e allora raddrizzò lentamente la testa. Si rese conto di trovarsi su una panchina al posto di attesa per i taxi. A giudicare dal cielo, doveva essere mattina.
Trattenne a stento un’imprecazione. Sapeva bene che ogni minuto era prezioso in una missione del genere, e all’idea di aver perso chissà quante ore si sentì male.
Tuttavia, fu piacevolmente sorpreso di accorgersi che aveva ancora con sé lo zaino con tutti i viveri dentro. Si mise seduto composto mugugnando. Nessuna magia aveva agito su di lui guarendogli le ferite. Sentiva ancora tutti gli arti dolergli e le ferite sulle gambe e sul fianco pulsare, per non parlare delle costole che probabilmente Ed gli aveva rotto con quel maledetto calcio e della spalla destra. Se non altro, il sangue delle ferite si era coagulato ed aveva smesso di sanguinare.
Un verso indispettito alla sua sinistra lo riscosse. Una vecchietta lo guardò critica, poi si avviò verso il taxi borbottando qualcosa contro l’alcool, le risse ed “i giovani d’oggi”.
Nico la ignorò bellamente, stringendosi meglio nel giacchetto da aviatore che si era ricomprato dopo l’impresa con l’Athena Parthenos. Lo squarcio all’altezza della spalla, unito alla considerevole quantità di sangue che impregnava il tessuto, probabilmente lo avrebbero costretto a prenderne un altro. Sbuffò. Non faceva realmente freddo, ma erano pur sempre i primi di marzo, e raramente ne usciva senza. Scartò un paio di quadretti di ambrosia, che lo fecero sentire immediatamente meglio: una volta che fu in grado di stare in piedi, si diresse alla stazione di servizio della fermata.
Riuscì a farsi una rapida doccia, liberandosi della terra e del sangue incrostato, e a bendarsi i tagli più gravi. Sperò che il disinfettante trovato nella stazione facesse il suo dovere e lo aiutasse a non contrarre infezioni. A malincuore, decise di non indossare il cambio che si era portato. Aveva il terribile presentimento che gli sarebbero serviti vestiti nuovi più avanti, e non sapeva dove trovarne altri. Dopo aver riacquistato un aspetto decente e aver constatato che le costole si erano quasi rimesse del tutto a nuovo, tornò sulla panchina in attesa di un taxi.
Si sforzò di ignorare ciò che gli aveva detto Cupido poco tempo prima, mentre scartava un panino che iniziò a mangiare: se quel dio dell’amore pensava di poter prendere in giro qualcuno, beh, aveva trovato la persona sbagliata.
Lanciò un’occhiata al tabellone che mostrava gli orari degli arrivi dei veicoli: il prossimo taxi sarebbe arrivato nel giro di una decina di minuti. L’attesa non si prolungò. Nico ebbe appena tempo di finire il toast, poi arrivò la macchina che si fermò a poca distanza dalla sua panchina.
Montò sull’auto distrattamente, e quella riprese a correre senza chiedere la destinazione. Forse fu per il fatto che era totalmente assorto nei suoi pensieri, ma Nico se ne accorse solo dopo una buona manciata di chilometri. Lo fece presente all’autista con tono allarmato, ma quello sorrise tranquillo senza rallentare: «Allora mi dica, signor Di Angelo, dove desidera andare?»
Il figlio di Ade trasalì. Sembrò assurdo che non ci avesse pensato prima. Lui non sapeva dove andare. Non sapeva dove trovare Cupido, considerando che la prima ed ultima volta che l’aveva incontrato di persona era stato in Croazia. E la visione, o qualsiasi cosa fosse stata, di quella notte non l’aveva certo aiutato. Finora, per quel poco di strada che aveva percorso, si era mosso seguendo l’istinto. Risvegliarsi alla fermata dei taxi gli era parso semplicemente naturale.
Ed il fatto che l’autista l’avesse chiamato per cognome nonostante lui non gliel’avesse detto non fu altro che la goccia che fece traboccare il vaso.
«Chi sei?» Ringhiò, sporgendosi verso di lui.
Una risata sibilante lo colse di sorpresa. «Il piccolo non sa dove andare, eh?» Non proveniva dal guidatore.
«Finiscila, George, e sii più gentile» rimbeccò una voce più acuta e femminile. Nico spostò lo sguardo sul sedile del passeggero e sussultò. Vi era poggiato sopra una sorta di scettro con due serpenti attorcigliati – serpenti vivi, che avevano iniziato a litigare fra loro.
Il semidio si riebbe in fretta dalla sorpresa, e non appena collegò le cose girò la testa di scatto verso l’autista, facendosi finire dei capelli negli occhi per il gesto improvviso: «Ermes?»
«In persona» rispose lui portandosi gli occhiali da sole sulla fronte. Aveva l’aspetto di un uomo sulla trentina, con i lineamenti elfici che il semidio aveva notato in molti suoi figli ed uno scintillio scaltro negli occhi.
«Perché sei qui?» Gli chiese Nico senza un minimo di gentilezza, portandosi un ciuffo ribelle dei capelli corvini indietro. Non aveva una particolare antipatia per il dio, ma per il momento ne aveva abbastanza di apparizioni divine.
Il dio rispose con un cipiglio più serio del solito: «Sono il dio dei messaggi e dei viaggiatori. Tu adesso sei un viaggiatore. Quindi sono in dovere di proteggerti.» Tutto chiaro. Tutto lineare.
«E come hai intenzione di proteggermi?» replicò il figlio di Ade tuffandosi svogliatamente sui sedili posteriori. Mossa di cui si pentì non appena sentì le costole esibirsi in un raccapricciante cric che gli bloccò il fiato in gola. Forse avrebbe dovuto trattenersi con i gesti avventati per qualche oretta.
Ermes parve non notarlo, ma rispose prontamente: «Con questo.»
Gli porse un piccolo involucro di stoffa senza staccare gli occhi dalla strada. Nico lo prese fra le mani e ne scartò una parte.
Era un quadratino di una sostanza della consistenza del marzapane, color oro, che sembrava emanare un bagliore rassicurante. «Che cos’è?»
«Una medicina.»
Il semidio alzò lo sguardo sgranando gli occhi, ma Ermes lo anticipò: «No, non è il frutto.»
Nico si accigliò. «Allora cosa me ne faccio? Non sono io quello malato.»
Il dio non commentò. Il figlio di Ade si ripassò il quadratino fra le mani. Va bene, non stava proprio una favola. Ma niente che non si potesse curare con della semplice ambrosia. Già in quei pochi minuti, la ferita sulla coscia gli si era richiusa quasi completamente, così come la spalla aveva smesso di pulsare, nonostante fosse ancora aperta.
Ermes iniziò a spiegare senza che nessuno gliel’avesse chiesto. «È in grado di guarire qualsiasi malanno, è praticamente immune anche a maledizioni e affini» si voltò leggermente verso di lui, gli occhiali da sole nuovamente sul naso. «…quindi sì, è compresa anche quella del tuo fidanzato.»
Nico si gustò come il dio aveva pronunciato quell’ultima parola: il tono disgustato di Ed non gli aveva fatto bene, e adesso sentire la voce di una divinità che denotava quanto naturale fosse la cosa gli alleggerì il cuore. Si affrettò però a riprendere il filo del discorso di Ermes.
«Però ha un effetto temporaneo: non è possibile stimare con certezza la sua durata, ma nel migliore dei casi dura due, forse tre giorni.»
Nico ascoltò in silenzio. Aveva il terribile presentimento che prima o poi quelle informazioni gli sarebbero servite.
«Come ultima cosa, ho un messaggio da riferirti: la tua impresa è appena iniziata.» Il figlio di Ade corrugò la fronte confuso. «Quindi avrai dei compagni ad assisterti.»
Nico si rigirò assorto la medicina fra le dita per diverso tempo. Avrebbe avuto dei compagni. Non sapeva se la cosa lo rallegrasse o meno.
Sentì un’improvvisa stanchezza diffondersi in tutto il corpo. Borbottò: «Puoi portarmi dove devo andare?»
Gli rispose una voce sconosciuta ed un poco scorbutica: «Se neanche mi hai detto la via!»
Il moro alzò lo sguardo confuso. Sul sedile del guidatore adesso c’era un uomo di mezza età, con i capelli brizzolati tagliati corti, un paio di spessi occhiali ed un sigaro in bocca. Anche George e Martha erano spariti. Per un attimo Nico rimase intontito a guardarsi attorno cercando di riflettere, poi esitando prese una decisione. «Mi porti verso New York.»
«New York è grande. Dove, di New York?»
«New York» borbottò ancora il ragazzo, mettendo la medicina in tasca e posando il capo pesante sul poggiatesta in una posizione che non gli facesse dolere la spalla. Davvero non aveva idea di dove andare. Decise di lasciar fare al fato, e magari all’aiuto concreto di un certo dio dei viaggiatori. «Dove vuole lei.»
L’autista fece un verso di scherno. «Puoi pagare, ragazzino?»
Nico tirò fuori dallo zaino una singolare carta di credito. Per anni l’aveva conservata, e quando Annabeth gliene aveva spiegato le potenzialità scoperte nella sua esperienza all’hotel Lotus aveva benedetto la sua scelta di non disfarsene.
L’autista strisciò la carta sul lettore e sbiancò alla vista dell’importo infinito mostrato dal display. Nico non ebbe l’opportunità di ridacchiare. La sonnolenza che avvertiva da qualche minuto lo prese d’assalto in maniera più concreta. Sentì la gabbia toracica pulsare. Non seppe se attribuire la colpa alle due apparizioni divine della giornata o al processo di guarigione mentre, riappropriandosi della carta di credito, minacciava l’autista in modo non tanto velato: «Come posso darle tutti quei soldi, posso farla cadere in rovina. Adesso…» trattenne a stento uno sbadiglio «…adesso devo dormire. Si assicuri che non mi venga rubato niente.» Lanciò un’occhiata penetrante all’autista che rispose con una finta smorfia indifferente.
Poi rilassò i muscoli, tenendosi lo zaino in grembo. Mentre crollava in quello che temeva sarebbe stato uno dei suoi ultimi sonni tranquilli della missione, fece appena in tempo a domandarsi perché non avesse chiamato Jules-Albert, il suo autista zombie personale, invece di servirsi dei metodi mortali.
Perché altrimenti sarebbe stato tutto molto meno divertente, gli rispose una voce non sua nella testa. Non ebbe il tempo di preoccuparsene, perché nel giro di pochi attimi la stanchezza prese il sopravvento.
 
Si risvegliò a causa di una brusca frenata. Si sentiva piuttosto riposato, nonostante la ferita alla spalla non si fosse ancora rimarginata. Inquadrò subito un edificio fuori dal finestrino. «Dove sono? Che cos’è?» Riuscì a biascicare mentre controllava di avere tutto ciò che si era portato dietro.
«Un’osteria nella periferia di New York» rispose l’autista osservando il figlio di Ade stropicciarsi gli occhi e guardarsi attorno già guardingo «è ora di pranzo, e non mi sembra che tu abbia mangiato di recente.»
Nico trattenne una risata. E dire che si era fatto un panino proprio qualche ora prima.
«E poi c’è un altro cliente che mi ha chiamato, quindi ti conviene uscire da qui, ragazzino» fece l’uomo con tono scorbutico. Il figlio di Ade aprì lo sportello sbuffando, poi si diresse tranquillo verso la porta dell’osteria.
Comprò un hamburger che iniziò a sbocconcellare mentre si dirigeva ad un tavolo all’aperto, ma dopo averne mangiato neanche metà lo stomaco già chiuso lo costrinse ad incartare il pasto e metterlo nello zaino. Nonostante Will insistesse in continuazione per fargli seguire un ritmo di nutrizione regolare, il suo metabolismo era ancora perfettamente in grado di non soffrire la fame per ore con un solo spuntino. Una capacità, che qualcun altro avrebbe definito una maledizione, dono del periodo passato nella giara, tenuto in ostaggio dai giganti Oto ed Efialte. Nonostante fossero passati molti mesi da allora il suo fisico non si era ancora ripreso completamente, e dubitava che l’avrebbe mai fatto. Così come la sua mente.
Si stropicciò gli occhi, bloccando il filo dei suoi pensieri.
Adesso che si sentiva in forma, e che la maggior parte dei danni causati da Ed erano stati guariti dall’ambrosia, doveva muoversi. Doveva sicuramente esserci un motivo se si era fermato lì. Si alzò in piedi e scrutò l’edificio da cui era appena uscito. Era una sorta di grossa capanna interamente fatta di travi di legno. Nico aveva osservato di sfuggita l’interno, ed anche quello suggeriva un aspetto antico e al contempo accogliente, come un castello medievale.
I cortili esterni erano tempestati di tavoli da pic-nic con sedie di legno. Nico, in virtù del suo carattere, si era messo in uno dei tavoli più oscurati e nascosti dello spiazzo. Ai pensieri di poco prima, l’erba attorno a lui si era appassita.
Si spostò dall’ombra, portandosi sotto la luce del sole. Ci volle solo un istante affinché notasse un cancello arrugginito dalla parte opposta dell’entrata. Dietro, quello che sembrava un boschetto. Il luogo ideale.
Entrò senza esitazione, facendo in modo che il vociare dei clienti dell’osteria si attenuasse in pochi minuti di camminata. Quando raggiunse un piccolo spiazzo illuminato dal sole, si inginocchiò assorto, con un lieve sorriso sulle labbra.
Posò per terra un prisma di cristallo, e nel giro di pochi istanti un arcobaleno si formò davanti ai suoi occhi. Lanciò una dracma d’oro nel fascio colorato.
«Oh Iride, dea dell’arcobaleno, mostrami Reyna al Campo Giove.»
 
 
 
 
 
***Angolo dell’Autrice***
Ehilà! Sono tornata.
Non ho molto da dire su questo capitolo, se non che mi è dispiaciuto torturare Nico all’inizio. (no, non è vero, è stato divertente)
Finalmente la storia ha iniziato un po’ a muoversi! Spero che siate curiosi di leggere il continuo, che ho già iniziato a scrivere.
Avevo soltanto un avviso da fare riguardo la lunghezza della storia. Avevo detto che sarebbe durata circa 6-7 capitoli. Ebbene, visto che ho avuto una nuova folgorante idea da aggiungere alla trama, si allungherà di un po’. Raggiungerà approssimativamente i 10, forse 12 capitoli, il tutto ovviamente salvo imprevisti.
Concludo ringraziando tantissimo Panna_Malfoy e kirira che hanno recensito lo scorso capitolo! Ovviamente vi invito a farmi sapere cosa pensate di ciò che avete letto con una recensione!
Al prossimo capitolo,
_Kalika_
   
 
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