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Autore: TheSlavicShadow    04/01/2018    2 recensioni
Sei mesi dopo essere deiventata Iron Woman, qualcosa inizia a non andare come dovrebbe.
{Earth-3490; sequel di Wherever You Will Go}
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Wherever you will go'
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Maggio 2006

 

Quando tocchi il baratro più profondo, hai solo due possibilità. Ti lasci morire per inedia o tiri fuori le unghie per provare a risalire. Non era mai stata brava a fare né uno né l’altro. Si lasciava semplicemente trascinare dalla corrente.

Aveva permesso a Steve Rogers di entrare nella sua officina non appena Rhodes se ne era andato. Aveva guardato l’uomo fermo come una statua di marmo di fronte alla porta di vetro, ma non aveva neppure provato a digitare il suo codice di accesso. Era fermo, immobile davanti alla porta con le braccia incrociate al petto e la schiena contro il muro. In un primo momento non si era neppure accorta di lui. Stava lavorando su War Machine. Giusto un paio di ritocchi suggeriti da Rhodes e a cui lei stranamente non aveva pensato.

Era il palladio. Era sicura fosse per il palladio che anche la sua concentrazione ne stesse risentendo.

Aveva ordinato a J.A.R.V.I.S. di aprire la porta e Steve era entrato. Non aveva detto nulla in un primo momento. Aveva recuperato il piatto del pranzo, sicuramente felice perché aveva mangiato tutto. Aveva raccolto tutte le tazze sporche che lei aveva lasciato in giro per l’officina e le aveva impilate una sull’altra prima di metterle sul vassoio. E poi l’aveva guardata ancora.

Natasha non si era mossa da War Machine. Aveva solo alzato gli occhiali protettivi, ma non si era né alzata dalla sedia e neppure aveva spento la saldatrice che teneva in mano. Aspettava che Steve facesse o dicesse qualcosa, e in base a quello avrebbe poi deciso anche lei cosa fare.

Il Capitano si era avvicinato e allora aveva spento tutti gli attrezzi che stava usando. Era un pattern anche quello. Quando in passato avevano discusso e lei di conseguenza si chiudeva in officina, si lasciavano il tempo di sbollire. Steve poi scendeva da lei e senza una parola le si avvicinava. E quando era abbastanza vicino, solo allora lei scattava in piedi e gli si buttava addosso. Letteralmente.

Era il loro modo di fare pace, di dirsi che andava tutto bene anche quando entrambi sapevano che non andava bene nulla. Era qualcosa che avevano iniziato quando avevano vissuto insieme la prima volta e che avevano poi ripreso quando Steve si era stabilito da lei per la seconda volta.

Non c’era bisogno di parole in quei momenti. Quelli erano i casi in cui le parole potevano solo rovinare tutto. Se avessero aperto bocca allora, tutto si sarebbe frantumato e invece di godere della presenza dell’altro avrebbero solo litigato. E non ne avevano bisogno. Soprattutto non allora.

Avevano bisogno di perdersi uno nell’altra. Avevano bisogno di sentire il calore del corpo dell’altro e lasciarsi annegare in quelle emozioni. Non avevano bisogno di altre cose. Solo di loro stessi e di quello che provavano l’uno per l’altra.

Steve l’aveva presa in braccio e lei aveva allacciato le gambe attorno alle sua vita. La teneva su come se non pesasse nulla. E con molta probabilità per lui era davvero così. Le mani di Steve erano salde sulla sua schiena e sul suo fondoschiena. E le dita di lei erano salde sulle sue spalle e la sua nuca.

“Steve, mi dispiace…” Aveva mormorato sulle sue labbra. Non era brava a chiedere scusa o a dire che le dispiaceva per qualcosa. Lo faceva molto raramente e le costava ammettere che a volte aveva torto.

“Shh. Anche a me.” L’uomo l’aveva baciata di nuovo e lei lo aveva abbracciato più forte, facendo aderire perfettamente i loro corpi. Aveva stretto di più le sue natiche e per tutta risposta lei gli aveva morso un labbro. “Ho parlato con Rhodes.”

“Non rovinare questo momento perfetto parlando di Rhodey.”

“Mi ha detto che gli hai fatto vedere War Machine.” Steve aveva ignorato la sua interruzione come faceva fin troppo spesso. Lo odiava quando lo faceva, ma sapeva che del resto lei si comportava allo stesso modo con lui non appena apriva bocca. “Quando è entrato in casa era davvero furioso e ha subito chiesto di te. Natalie gli ha detto che non volevi essere disturbata, ma Pepper gli ha detto dov’eri.” L’aveva baciata di nuovo e il momento dopo erano sul divano. Aveva passato le dita sui capelli corti della nuca e lo aveva guardato. “Mi ha detto di Stern e delle pressioni che sta facendo.” Aveva mugugnato frustrata alzando gli occhi al cielo. Voleva fare sesso, non parlare di Stern e rovinare totalmente il momento. “Non puoi fare un compromesso?”

“Non farmi incazzare, Rogers.” Lo aveva guardato negli occhi e aveva lasciato la presa sulla sua nuca. Non si era alzata, ma aveva lasciato dello spazio tra i loro corpi. “Niente più armi per l’Esercito.”

“E vuoi lasciare morire i nostri soldati con le armi Hammer in mano?”

“Come loro volevano lasciar morire me nel deserto?” Aveva risposto con un filo di voce e aveva cercato di alzarsi, ma Steve la teneva per i fianchi. “Lasciami andare, Steve.”

“Tu hai un dono, Natasha. Sei una mente davvero eccezionale e sai di essere la migliore nel tuo campo.”

“Niente armi. Su questo non transigo. Avranno War Machine. Potranno farsi tutte le seghe che vorranno guardando quell’armatura, ma sarà l’ultima arma Stark che mai costruirò per loro. Tu sei un soldato, Steve, non io.” Aveva premuto un dito contro il suo petto e lo aveva guardato negli occhi. “Mi hanno venduta per qualche spicciolo e ora io dovrei salvare il culo a loro? Non esiste. E prima che tu dica qualsiasi cosa, ho hackerato anche il Pentagono, anche se forse questo non sarebbe il termine corretto visto che io ho programmato i loro protocolli di sicurezza. Sai che dopo una settimana avevano deciso che non valeva più la pena di cercarmi? Certo che lo sai visto che hai messo in mezzo Fury e coinvolgendo lo S.H.I.E.L.D. sono riprese le ricerche. Quindi devo ringraziare te, Rhodes e Fury. Non l’Esercito. Non ho nessun obbligo verso di loro.”

“Sono i nostri soldati, Tasha. Se non li proteggiamo noi, chi lo farà?”

“Tu e Rhodes siete i miei soldati, Steve. Nessun altro. Devo proteggere voi e non loro. Quella è la stessa gente che mi ha sempre guardata dall’alto al basso perché li battevo nella gara del chi ce l’ha più lungo e perché non sono Howard. Hanno War Machine ora. Discorso chiuso.”

Steve aveva sospirato passandosi una mano tra i capelli. Era un soldato. Sarebbe sempre stato un soldato. Quello era lo stesso uomo che aveva mentito così tante volte per potersi arruolare prima che Erskine lo notasse.

“Io non penso mai ai piani alti, quelli non sono cambiati da com’erano durante la guerra. Ma penso ai soldati.”

“Ho già creato un fondo per aiutare i veterani. E io penso ai civili.”

“I civili vengono protetti dai soldati.”

“I soldati fin troppo spesso ignorano i civili. Cristo, Steve! Tu eri in Europa! Quante città sono state rase al suolo incuranti della presenza dei civili? I soldati eseguono ordini e basta! Guarda cosa succede in Medio Oriente ogni giorno! Uomini, donne e bambini muoiono in continuazione sotto il fuoco amico o nemico che sia!”

“Non ti facevo una pacifista visto che costruisci armi da quando eri una ragazzina.”

Aveva stretto forte la mascella e l’unica cosa che sapeva era che l’attimo dopo la sua mano aveva avuto una collisione con la guancia di Steve.

“Credevo che tu più di chiunque altro mi avresti capita.”

“L’hai presa troppo sul personale, temo.”

“Puoi dirlo forte! Avrei preferito anch’io rimanere solo la ricca stronza spacciatrice di armi che passa ogni notte con un uomo diverso! Invece no, e ora ne pago le conseguenze grazie a loro che si sono fatti corrompere da Obadiah! E giusto per la cronaca non si sono neppure goduti i suoi soldi visto che poi li ha fatti fuori. Quindi sì, Steve, questa è una cosa molto personale e se non ti piace sono cazzi tuoi.”

Si era alzata e Steve non l’aveva fermata. Non l’aveva più neppure guardata da quando gli aveva dato lo schiaffo e neppure lei ci credeva di averlo fatto. Non aveva mai pensato che avrebbe alzato le mani su qualcuno. Non come Natasha Stark almeno.

Gli aveva dato le spalle e si era allontanata di qualche passo. Credeva davvero che Steve l’avrebbe capita. Che non avrebbe mai messo in discussione una sua decisione. Non su un argomento simile. Pensava che almeno su questo erano sulla stessa linea d’onda. Almeno per una volta.

“Non produrrò più armi per l’Esercito. Questa è una cosa che mi sono promessa in quella fottuta caverna. Non dovrei neppure essere ancora viva. Cazzo. Ma forse c’è un motivo, no? Dovevo arrivare a questo. E’ un’espiazione. Tu sei cattolico, no? Sto pagando per le mie mani sporche di sangue?” Si era voltata verso Steve e lui non la guardava ancora.

“Non lo so per cosa stai pagando, ma se sei qui vuol dire che questo è il progetto che Dio ha per te.” Steve sapeva benissimo che lei non credeva in nessun dio. Sapeva che lei credeva nella scienza, nell’infinito dell’universo, nelle molecole, negli atomi, nelle particelle. Riponeva più fede nelle proprie mani che in qualsiasi altra cosa le avessero presentato nella vita.

“Già, progetto. Ho un hard disk pieno di progetti. Ne so qualcosa.” Aveva sicuramente fatto una smorfia e poi si era allontanata dal divano. Aveva rimesso i guanti e gli occhiali protettivi ed era tornata ad occuparsi di War Machine. Se faceva qualcosa almeno smetteva di pensare. Poteva concentrarsi solo sull’armatura e chiudere fuori tutto quello che non le piaceva in quel momento. Anche Steve che non si era ancora mosso dal divano. Sapeva che non se ne sarebbe andato questa volta. Anche solo perché aveva paura che una volta uscito lei avrebbe messo l’officina in lockdown. E faceva bene ad avere paura. Lo avrebbe fatto senza ripensamenti.

“A volte dobbiamo fare dei compromessi, Tasha.”

“Il mio è questa armatura. Argomento chiuso. Se vuoi parlare, parliamo d’altro.”

Ma Steve non aveva più parlato. Aveva acceso la televisione ed era rimasto comodo sul divano. Voleva tirargli contro una chiave inglese o comunque qualcosa che potesse fargli male. Odiava il fatto che entrambi dovessero sempre vincere e avere l’ultima parola. Erano testardi. Erano combattivi.

E quando litigavano urlavano sempre.

Odiava le urla, ma era l’unico modo in cui le sembrava che gli altri la stessero ad ascoltare. Doveva ringraziare Howard anche per questo. Ogni volta che parlavano tra di loro, finivano per urlare dopo pochi minuti.

Non voleva pensare a suo padre. Non voleva pensare a Steve. Non voleva pensare neanche che era anche grazie a suo padre se poteva avere Steve.

Aveva acceso la saldatrice per fissare alcune componenti dell’armatura, ma non riusciva a concentrarsi come voleva. Voleva finire quell’armatura entro l’ora di cena. Voleva poi farsi un lunghissimo bagno caldo, con la vasca piena di schiuma e le candele accese sui bordi. Voleva sorseggiare un po’ di buon whisky seduta in terrazzo ad osservare l’oceano. Voleva addormentarsi cullata dal calore del corpo di Steve. E l’indomani mattina voleva svegliarsi con il profumo di caffè nelle narici e la voce di Steve nelle orecchie. Non chiedeva tanto in fondo. Erano tutte cose fattibili. Erano tutto cose che in quei mesi aveva fatto infinite volte.

“Tasha, continuerai domani.” Non si era accorta di Steve. Era troppo persa nella sua stessa testa per accorgersi di ciò che davvero la circondava. “Andiamo di sopra, ti fai un bel bagno intanto che preparo la cena e poi mangiamo sul divano mentre guardiamo un film, ti va?”

“Cena sul divano? Ti sto rovinando, Rogers.”

“E’ un modo carino per chiedere una tregua.” Le aveva tolto la saldatrice di mano, appoggiandola sul tavolino mobile su cui teneva tutti gli attrezzi. Subito dopo le toglieva gli occhiali protettivi e lei era sicura di starlo a guardare in modo pessimo. Voleva prenderlo a schiaffi, anche solo per sfogarsi di tutti quello che stava succedendo in quei giorni.

“Perché non dichiari la sconfitta? Sai che posso essere molto testarda quando voglio.” Si era alzata e aveva tolto i guanti, lasciandoli semplicemente per terra. Sapevano essere molto testardi entrambi.

“Perché Capitan America non può mai essere sconfitto.”

La sua voglia di picchiarlo cresceva in continuazione, soprattutto quando quell’uomo se ne usciva con una frase simile mentre le sorrideva candidamente.

 

✭✮✭

 

La tregua era durata qualche giorno. Non parlavano di armi. Non parlavano di Stern. Non parlavano di Vanko. Steve aveva cercato di affrontare nuovamente l’argomento, ma aveva rinunciato quando lei aveva continuato ad ignorarlo facendo finta di lavorare. Non stava lavorando. Era troppo nervosa per farlo. Ma era piuttosto brava nel far finta.

Steve cercava di comportarsi come sempre. Si allenava. Preparava da mangiare. Una volta era anche stato chiamato da Fury ed era uscito di casa per qualche ora. Procedeva tutto con una certa normalità, ed era quasi strano visti tutti gli avvenimenti di quelle ultime settimane.

Natalie Rushman l’aveva aiutata quella domenica pomeriggio a scegliere l’abito adatto per la sera. Avevano passato quelle che le erano sembrate ore dentro la cabina armadio scartando vestiti su vestiti. Molti neppure si ricordava di averli mai comprati. Forse li aveva comprati e messi lì Pepper quando ancora era la sua assistente personale. Di solito si era sempre occupata lei dei suoi outfit per serate di gala o eventi pubblici. Le diceva sempre che non poteva lasciare che decidesse lei come vestirsi. Che spesso faceva degli abbinamenti troppo azzardati. E Natasha lo faceva solo apposta. Solo per far parlare di sé mentre abbinava un abito da sera di Gucci con degli anfibi. Aveva abbastanza buon gusto da sapere che era una cosa assolutamente orrenda da fare. Soprattutto quando il vestito era di una delicatissima seta dorata.

“Signorina Stark, ma quanti vestiti possiede?” Natalie continuava a sfiorare i vari abiti con la punta delle dita. Sembrava davvero stupita da quella cabina armadio. E non aveva ancora visto le scarpe. Di scarpe ne aveva troppe. Alcune mai messe.

Ma poteva dire lo stesso degli abiti. Da quando era tornata dall’Afghanistan non era uscita molto per andare alle feste. Magari qualche serata di gala, ma non metteva piede in discoteca o a qualche festa privata da quando era tornata a casa. E neppure lei aveva dato feste a casa. Si era goduta la calma della sua villa. Il massimo della festa era ballare qualche lento con Steve. Sceglievano qualcosa di famoso negli anni ‘30/’40 e Steve sorrideva mentre la stringeva a sé e ripeteva che non era assolutamente bravo. Ma stava migliorando. Non era bravo, ma migliorava lentamente.

“Se trovi qualcosa che ti piace prendilo pure. Ne ho davvero troppi.” Si era appoggiata contro lo stipite della porta della cabina. Guardava la donna che si muoveva tra i suoi vestiti ed era strano. Aveva visto per anni solo Pepper muoversi lì dentro. Pepper che parlava di lavoro, impegni, riunioni, pranzi, cene, interviste, il tutto mentre sceglieva qualcosa da farle indossare. Le mancava. Certo, si sentivano ogni giorno e Natalie era fantastica, ma non era la stessa cosa. Con Pepper a volte le sembrava che si capissero anche con un solo sguardo. Spesso discutevano perché vedevano tutto in modo completamente diverso, ma Pepper la capiva. A volte la giudicava a voce alta. Le faceva la paternale. Ma la capiva. Le stava accanto quando ne aveva bisogno. A volte anche senza dire una parola. Altre volte riempiendo il silenzio che lei stessa stava creando.

Pepper era stata l’unica donna con cui era riuscita ad instaurare un rapporto di amicizia. Ricordava quando era ragazzina, quando i suoi l’avevano mandata in collegio. Aveva cercato di fare amicizia con le altre ragazze. Sua madre glielo ripeteva ogni volta che si sentivano al telefono. Fino allo sfinimento le raccomandava di fare amicizia, che quelle erano signorine di buona famiglia come lei. Era importante per il suo futuro, aggiungeva. Ma per lei era quasi impossibile. Riusciva ad avere un rapporto civile con loro, ma non riusciva a legare veramente. Era troppo diversa. Lo sapeva che era troppo diversa da loro.

Farsi espellere dal collegio era stata una delle cose più giuste che aveva fatto nella sua vita. Anche se aveva fatto incazzare i suoi genitori. Non sapeva chi dei due fosse più infuriato per i giornali che parlavano dell’allora quattordicenne Natasha Stark che veniva espulsa da un collegio rinomato per aver introdotto in qualche modo dell’alcool nell’edificio. Ne era valsa la pena. L’avevano spedita all’università e lì aveva conosciuto Rhodes. Il primo vero amico che aveva avuto. Anche allora aveva avuto difficoltà ad instaurare dei rapporti normali con le persone. Era stata troppo impegnata tra feste e robot per prestare veramente attenzione a chi le stava attorno.

“Credo che questo vestito potrebbe andare bene.” Natalie aveva trovato un vestito nero con dei ricami rossi. Rose rosse. Quello era l’abito che avrebbe dovuto indossare l’anno prima ad una cena dopo una conferenza al MIT. Ricordava quando Pepper lo aveva portato a casa e le aveva detto che avrebbe indossato quello. Era elegante. Era appariscente. Le copriva il collo e petto, ma le lasciava la schiena scoperta.

Aveva saltato quella serata. Era dispersa in Afghanistan allora.

“Potrebbe andare, sì. Voglio le scarpe rosse col tacco dorato, non mi importa quanto possa essere pacchiana la cosa. E gli orecchini con i rubini. E qualcosa di rosso da mettere nei capelli.” Lentamente le erano cresciuti anche i capelli. Li aveva lasciati crescere da quando era tornata a casa e ora le coprivano il collo. Se si sforzava riusciva a farsi una coda cortissima, e le mancava tenere i capelli legati soprattutto quando lavorava. “Spero che Steve non si vesta da vecchietto.”

“Sono sicura che il Capitano Rogers non la deluderà. Potrei avergli dato qualche input.” Natalie le aveva sorriso e subito dopo si metteva a cercare le scarpe che Natasha aveva chiesto.

“Quando l’ho conosciuto si presentava ad ogni cena, ballo, qualsiasi cosa con la divisa militare addosso. Mi ricordo che per una cena di Natale mia madre gli aveva fatto fare un completo perché sennò si sarebbe presentato di nuovo con la sua divisa pluridecorata.” Quella era stata la sera in cui aveva deciso di rischiare tutto. Per un anno aveva cercato di non fare nulla. Per un anno le era bastato avere Steve Rogers accanto e non aveva desiderato nulla di più. Mentre quella sera aveva deciso di buttarsi.

Ne era valsa la pena. Nonostante tutto ne era valsa la pena.

“Mi ha detto che vi conoscete da quasi dieci anni.” Natalie aveva recuperato anche le scarpe e le aveva appoggiate accanto al vestito, studiando probabilmente la combinazione.

“Troppo tempo, davvero. Ma abbiamo passato praticamente la metà di questo tempo separati.” Per colpa sua. Lei se n’era andata di punto in bianco a causa di qualcosa che non aveva mai saputo spiegarsi. Quando Jarvis era morto aveva solo avuto voglia di staccare da tutto, e aveva allontanato Steve. Ora se ne pentiva, ma era troppo tardi. Gli anni che avevano passato separati non potevano recuperarli in alcun modo.

“Domani però è il gran giorno.” Natalie l’aveva guardata e le aveva sorriso. “Sicura di non voler avere nessuno dei suoi amici con voi? E’ pur sempre un matrimonio.”

“A Las Vegas. Io probabilmente avrò ancora i postumi della sbornia quando arriveremo lì. E poi non voglio attirare l’attenzione.” Aveva prenotato una chiesetta sotto falso nome. Aveva trovato l’Elvis più simile al vero Elvis e lo aveva ingaggiato subito. Avevano deciso di fare qualcosa di stupido e di sposarsi con delle stupide magliette che avevano comprato su internet. Steve con quella di Iron Woman e lei con quella di Capitan America. Era sicura che la notizia del loro matrimonio avrebbe fatto il giro della nazione, e forse del mondo, in al massimo un paio d’ore. Ma almeno per qualche momento voleva che fossero una qualsiasi coppia che decideva di fare la pazzia di sposarsi a Las Vegas, nell’anonimato più assoluto. Poi avrebbero passato la giornata in albergo. Aveva prenotato una suite al Caesar Palace e non vedeva l’ora di immergersi in quella enorme vasca ad idromassaggio assieme a Steve.

“E gli anelli?”

“Niente anelli per il momento. Vogliamo qualcosa di speciale, ma non abbiamo ancora pensato a nulla.” C’era qualcosa di speciale che voleva indossare quella sera però. Il primo regalo che Steve le aveva mai fatto e che aveva sempre custodito, anche se non l’aveva più indossato.

Natalie le aveva sorriso ed era uscita poco dopo dalla cabina armadio. Doveva prepararsi del resto anche lei e aveva passato troppo tempo ad aiutarla a cercare qualcosa da mettere. C’era ancora una piccola parte del suo cervello che le diceva di annullare tutto e di passare la serata in pigiama, mangiando pizza e bevendo vino mentre guardava un film sul divano con Steve e i loro amici. Poteva essere anche quello un valido modo di passare un compleanno. Non doveva per forza fare una festa stratosferica.

Solo che quello sarebbe stato il suo ultimo compleanno.

Si era messa il cuore in pace. Non aveva trovato alcuna soluzione nonostante avesse provato tutti gli elementi che le venivano in mente. Aveva pensato anche a modificare la struttura del reattore, o renderlo ancora più meccanico. Ma niente poteva funzionare come aveva fatto il palladio.

Si era preparata lentamente. Aveva fatto un bagno lunghissimo. Si era rilassata bevendo un bicchiere di vino mentre si vestiva. Aveva intravisto Steve di tanto in tanto, mentre entrava in camera per cercare qualcosa da mettere e rubarle qualche bacio veloce. Era nervoso, le aveva ammesso. Non aveva mai partecipato ad una festa simile. Ai suoi tempi le feste erano più contenute, aveva aggiunto. Ma di questo non era sicura. Peggy e Jarvis le avevano raccontato di com’erano le feste quando erano giovani.

Si era vestita. Si era truccata. Aveva messo un nastro rosso tra i capelli e aveva messo gli orecchini con i rubini.

Dal piano di sotto si sentiva già la musica e J.A.R.V.I.S. l’aveva informata che gli ospiti stavano arrivando. Non conosceva la maggior parte delle persone che sarebbero state presenti. Alcuni erano modelli, altri attori. Altri ancora gente comune che sperava di rimorchiare qualcuno di famoso. Molti erano lì solo per vedere quale stronzata avrebbe fatto questa volta.

Aveva aperto il cassetto in cui teneva gioielli e orologi, e ne aveva tirato fuori una scatolina. L’aveva sempre trattata con molta cura, anche se era solo una banalissima scatola per gioielli con un cuscinetto di velluto rosso all’interno. Le piaceva convincersi di non essere una persona nostalgica, ma in realtà lo era moltissimo.

Aveva stretto in mano il suo contenuto. Non lo indossava da anni. Da quando si era trasferita in quella casa e aveva lasciato Steve a New York.

“Tasha, è arrivato Rhodes.”

Si era voltata verso Steve e aveva sorriso. Aveva dei jeans e una camicia scura. E stava benissimo. Era più bello di praticamente tutti gli uomini con cui era uscita in vita sua.

“Mi aiuti a mettere la collana?” Avrebbe potuto farlo da sola in realtà, ma sapeva che a Steve avrebbe fatto piacere. Ed era una cosa che vedeva fin troppo spesso nei film. Un cliché stupidamente romantico che non le dispiaceva.

“Non credo sia adatto al tuo vestito.”

“No, non lo è, ma è speciale.”

Steve le sorrideva. Sfoggiava il suo solito sorriso dolce, quello di cui si innamorava ogni volta che lo vedeva. Le si era avvicinato e aveva preso la collana dalla sua mano per allacciargliela. Lo guardava attraverso il riflesso dello specchio e Steve ricambiava il suo sguardo.

Aveva sentito le sue braccia che le avvolgevano la vita e Steve che le baciava i capelli.

“Sembri quasi una ragazzina carina così.”

“Io sono sempre una ragazzina carina, Capitano.”

Si era appoggiata contro il suo petto senza smettere di guardare il loro riflesso nello specchio. Avevano ragione i giornali quando parlavano di loro. Erano una bella coppia, esteticamente parlando. Un po’ non vedeva l’ora di avere tra le mani i giornali dei prossimi giorni. Tasha Stark e il suo misterioso compagno che si sposano in gran segreto a Las Vegas.

“Stasera infrangiamo tutte le regole, ok? Beviamo, balliamo, e ci divertiamo quanto ci va. Impediscimi solo di spogliarmi.”

“Ti impedirò di fare cose stupide, questo è ovvio, ma non sarò un guastafeste.”

Le aveva baciato con delicatezza una guancia, continuando a tenerla stretta a sé. Dovevano scendere. Dovevano unirsi ai festeggiamenti. Anche se c’era sempre quella piccola parte di lei che le diceva di rimanere da sola con quell’uomo e godersi quei momenti quanto poteva.

Aveva sceso le scale tenendo Steve per mano. Aveva ignorato ogni uomo che le si era avvicinato; alcuni con la scusa che si conoscevano. Poteva anche essere vero, ma non si ricordava fin troppo spesso delle persone che si portava a letto.

Solo Steve.

Steve che le era sempre accanto, che la teneva d’occhio, ma che non le aveva ancora tolto di mano nessun drink. Aveva fatto la brava per mesi ed era passato il tempo in cui passava quasi ogni notte a bere. Poteva concedersi una serata in cui non doveva pensare a controllarsi.

Aveva trovato Rhodes mentre parlava con una modella, e non poteva non avvicinarsi e dargli un bacio vicino alle labbra, lasciandogli il segno del rossetto. L’uomo aveva solo alzato gli occhi al cielo, pregando probabilmente Dio di dargli la pazienza per sopportarla durante la serata. Era rimasta ad importunarlo per un po’, allontanandosi solo perché aveva visto entrare Pepper.

A quel punto della serata aveva già bevuto abbastanza.

“Tasha, dov’è Steve?” Pepper aveva alzato gli occhi al cielo mentre la vedeva svuotare un bicchiere di vino come se fosse stata acqua.

“Con Natalie.” Aveva fatto una smorfia, ne era sicura. Steve si era allontanato quando Natalie era venuta a chiamarlo per non sapeva neppure quale problema, e lei era rimasta con Rhodes. “Forse hanno una relazione.”

“Oh, ma per favore.” La donna aveva scosso la testa e l’aveva squadrata. La stava giudicando. Ne era certa. “Quell’uomo ha occhi solo per lei, e questo lo sanno anche i sassi. Solo che non dovrebbe lasciarla incustodita. E’ peggio che lasciare un bambino da solo in un negozio di dolciumi.”

“Ouch, così mi ferisci.” Aveva portato una mano al petto. Sentire il reattore arc sotto al palmo le aveva fatto venire voglia di piangere e prendere un altro bicchiere di vino. L’ultima volta che aveva partecipato ad una festa aveva 24 anni e una salute di ferro. Aveva ballato, bevuto, probabilmente preso qualche pastiglia e aveva fatto sesso con qualche sconosciuto. Era da sola, incustodita, e solo ora poteva sentire tutta la solitudine di quei momenti. Non c’era nessuno dei suoi amici mentre era circondata da estranei per sentirsi meno sola.

Era patetica. Aveva buttato via del tempo così prezioso e ora si pentiva di come lo aveva sprecato. Avrebbe potuto passare tutti quegli anni con Steve.

“Tasha, non sta bevendo troppo? E dove ha messo le scarpe?”

Stava bevendo di nuovo mentre con un dito indicava un punto non meglio definito della casa. Aveva visto Pepper mettersi una mano sulla fronte e sospirare. Era così abituata a vederla fare quel gesto che quasi le era mancato.

“Almeno noto che è ancora vestita, il che deve essere un miracolo. Ma dov’è Steve?”

“Non ho bisogno di una babysitter, Pep. Posso bere anche senza la supervisione di un adulto.”

“Quando beve non è mai una buona idea. Con o senza supervisione.”

“Pepper, stai rovinando il divertimento. Steve ha detto che per stasera mi lascia fare come voglio.” Aveva appoggiato l’ennesimo bicchiere vuoto sulla prima superficie liscia che aveva trovato. “E’ una festa e c’è alcool. Vedilo come un addio al nubilato se vuoi. Oh, non ho chiamato nessun spogliarellista.” Aveva sentito Pepper sospirare, ma non la stava più guardando. Si era voltata verso il salone dove si erano concentrate più persone davanti alla console del dj. C’erano anche persone nella piscina. E aveva perso la cognizione del tempo. Quanto tempo era passato dal primo drink? Forse troppo se aveva già abbandonato le scarpe da qualche parte.

Aveva intravisto Steve. Stava uscendo dalla cucina con Natalie e stavano parlando. E lei ne era gelosa. Vederli assieme iniziava ad infastidirla. Sembrava sempre che avessero fin troppa affinità e complicità.

Steve l’aveva vista e le aveva sorriso, raggiungendola subito e dandole un bacio. Si era aggrappata a lui come se fosse un’ancora di salvezza. E non sapeva neppure lei da cosa volesse essere salvata.

“Mi sei mancato, Capitano.”

“Ti ho lasciata da sola per dieci minuti.”

“Steve, cosa significa tutto questo? Guardi in che stato è ridotta.”

Non aveva bisogno di guardare Pepper per sapere che era arrabbiata. Poteva vederla con le sopracciglia aggrottate e le braccia incrociate al petto.

“Pep, sto ancora in piedi e sono vestita. E’ un progresso.” Era rimasta attaccata a Steve, anche se aveva voltato il viso verso la sua ex assistente personale. Probabilmente Pepper non sarebbe stata così accondiscendente come lo era stata Natalie. Ma perché Pepper aveva visto il peggio di lei alle feste e aveva dovuto affrontarne le spesso pessime conseguenze.

“Pepper, è tutto sotto controllo…” Steve aveva cercato di parlare ma la donna lo aveva interrotto.

“Non è sotto controllo se è in questo stato! Non è mai sotto controllo! Steve, mi dispiace dirglielo, ma lei è solo l’ultimo arrivato e non era qui negli ultimi anni, quindi non mi venga a parlare di cosa è o non è sotto controllo. Potrebbe anche aver già preso delle pastiglie. Potrebbe averle nascoste in qualsiasi parte della casa e lei non se ne sarebbe neppure accorto!” Pepper stava alzando la voce e questo non le piaceva. Quando Pepper alzava la voce significava che aveva oltrepassato il limite. Anche se per una volta non lo aveva fatto. Era ancora abbastanza lucida da sapere cosa aveva o non aveva fatto.

“Non ho preso pastiglie, solo alcool. Ho imparato la lezione sul non mescolare droga e alcool.” Si era staccata da Steve e aveva improvvisamente voglia di bere ancora. Solo per dimenticare tutto quanto e per non ascoltare più le urla di Pepper. Non poteva darle torto, ma non aveva voglia di ascoltarla.

“Ehi, che succede qui?” Quella era la voce di Rhodes. Non lo aveva visto avvicinarsi, ma all’improvviso era accanto a lei. “Tasha, che hai combinato?”
“Ancora nulla, ma tra un attimo la piscina sarà mia e il video probabilmente romperà il contattore di YouTube.”

“Questo era proprio ciò a cui mi riferivo.”

“Signorina Potts, la situazione era sotto controllo fino ad un attimo fa.” Natalie era ancora troppo vicina a Steve, e se solo non avesse preso le sue difese in quel momento probabilmente avrebbe fatto una scenata degna di tale nome. “Se fosse successo qualcosa J.A.R.V.I.S. avrebbe avvertito Steve o me di quanto stava accadendo.”

“Oh, Natalie! Stia fuori da questo! Come ha potuto permetterle di organizzare una cosa simile?”

“Pepper, calmati.” Rhodes si era avvicinato alla donna e le aveva messo una mano sulla spalla. “Stavolta siamo tutti qui ed è tutto sotto controllo. Ha solo bevuto un po’. Credi davvero potremmo permettere che faccia qualcosa di pericoloso?”

“Non ho cinque anni, Rhodey.” Natasha aveva protestato e lo aveva guardato male. Pepper stava esagerando. Non voleva vederla in questo stato. Pepper era importante per lei. Lo era sempre stata. E ora sembrava delusa. Per l’ennesima volta. “Vado a prendere qualcosa da bere e voi tornate a divertirvi. E’ una cazzo di festa, e qua sembra di essere ad un funerale e noi siamo gli eredi che si litigano l’eredità. Fanculo.”

Si era voltata e si era allontanata subito. O almeno aveva cercato. Steve l’aveva fermata prendendola per il polso. Voleva mandarlo a quel paese. Voleva dirgli che non aveva bisogno di qualcuno che la controllasse in ogni istante.

“Vado solo a prendere una birra, Steve. E poi forse faccio un bagno in piscina. Vestita, così non ci saranno altri video di me nuda su internet.”

Steve aveva sospirato, ma non l’aveva lasciata andare subito. L’aveva attirata a sé e l’aveva baciata. Era uno di quei baci appassionati che mai si scambiavano in pubblico. Era uno di quei baci che riservavano soltanto alla loro privacy. Era uno di quei baci che le faceva sentire le gambe deboli e le annebbiava completamente il cervello.

“Posso fidarmi a lasciarti andare da sola?” Aveva parlato praticamente sulle sue labbra, ma il suo cervello riusciva solo a pensare a come volesse baciarlo ancora, magari trascinarlo in camera e finire così la serata. Non le importava neppure che in quel momento le stesse rivolgendo quella domanda, nonostante solo un attimo prima fosse arrabbiata con tutti loro perché volevano farle da balia.

“Possiamo prendere da bere e spostare la festa in privato.”

Steve aveva sorriso e l’aveva baciata di nuovo. Non le importava più di nulla. Non della festa. Non degli invitati. Neanche dei suoi amici. Non le importava della torta che era in frigo e che avrebbero dovuto tagliare a mezzanotte. O dei fuochi d’artificio che aveva preparato per lo stesso orario. Non le importava del fatto che non avesse idea di che fine avessero fatto le sue scarpe o di quanto avesse davvero bevuto. Non le importava di tutti quelli che probabilmente li stavano guardando e con molta probabilità fotografando.

Le importava solo di quell’uomo che la teneva stretta a sé, facendola sentire come se fossero in una dimensione solo loro che nessun altro poteva penetrare.

“Vado solo a prendere qualcosa da bere e torno subito da te, Capsicle. Magari porto una birra anche per te e saliamo sul tetto a berla.”

Si era allontanata davvero questa volta. Si sentiva più leggera ora. Era come se le labbra di Steve avessero tolto tutta la frustrazione che aveva provato solo qualche minuto prima. Con molta probabilità era soltanto il rilasciare di tutte le endorfine prodotte dal suo cervello miste alla quantità di alcool in circolo nel suo sangue, ma non importava. Era un pensiero stupidamente romantico che fosse Steve la causa del suo improvviso buonumore.

Poteva affrontare tutto in quel momento. Si sentiva forte, rinvigorita. Poteva ignorare il suo corpo che era tutt’altro che a posto. Poteva ignorare il respiro affannoso e il dolore del petto. Poteva ignorare tutto perché la serata fino a quel momento era stata magnifica e non avrebbe permesso a quel suo cuore malandato di rovinare tutto. Era quasi arrivata in cucina. Mancava così poco. Avrebbe preso due birre e trionfante sarebbe tornata da Steve. Lo avrebbe rapito e avrebbero passato il resto della serata da soli a guardare le stelle e parlare di astronomia. Adorava parlare di astronomia quando beveva un po’ troppo. Adorava parlarne con Steve.

Si era appoggiata contro il mobile prendendo un profondo respiro che sembrava non voler arrivare ai suoi polmoni. Era quella la fine? Era quello il limite che il suo corpo poteva sopportare?

Voleva tornare da Steve. Voleva che fosse Steve l’ultima cosa che avrebbe visto. Voleva sentire il suono della sua voce e il tocco delle sue mani. Voleva solo tornare da Steve e non era pronta. Non era pronta, ma non riusciva più a respirare correttamente, né a stare in piedi. Le bastava solo un giorno in più. Non chiedeva molto. Solo un giorno.

“Steve…”

 
   
 
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