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Autore: hotaru    26/06/2009    3 recensioni
"Era piuttosto presto per gli standard estivi, il sole non era ancora alto, e Hinata non incontrò quasi nessuno durante il suo percorso solitario. Il gelato di Hanabi le aveva in qualche modo dato un’idea: quella mattina si era infilata un paio di pantaloncini marroni e una canottiera verde oliva, che sperava sarebbero riusciti a mimetizzarla meglio di un vistoso prendisole bianco.
Giunta alla base di un ben noto muro, si sfilò i sandali, attenta a non fare il benché minimo rumore. Li appoggiò a terra e poi, a piedi nudi, iniziò la scalata.
Pensava che si sarebbe vergognata come un ladro- effettivamente, si stava comportando come tale- invece era in preda ad una strana euforia. Non aveva mai fatto qualcosa che andasse contro le regole, prima."
Kiba/Hinata sul modello de "La Bella e la Bestia".
Dedicata a kibachan
Prima classificata al "Naruto Fairytale Contest" indetto da Lalani
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Altri, Kiba Inuzuka
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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5- Un passo indietro Un passo indietro


–    Dipingi ancora? - chiese Hinata, mentre passeggiavano per il giardino con il cane che correva continuamente avanti e indietro, prima ad inseguirli e poi ad aspettarli.
–    Mah, a volte... - rispose distrattamente Kiba, arruffandosi i capelli – Comunque non dipingo più la casa, di quei quadri ne avrò fatti a centinaia!
–    Non li hai bruciati, vero? - chiese lei preoccupata, ma si tranquillizzò quando il suo interlocutore scoppiò in una risata che somigliava a un ululato.
–    No, tranquilla! - esclamò – Ci sono tutti, da qualche parte in soffitta! Ma dovrò decidermi a farlo questo falò, prima o poi.
–    E... - che doveva fare? Doveva dirglielo che uno dei suoi quadri l'aveva lei? - ... hai dipinto qualcosa che valesse la pena...?
–    Uhm, no – ribatté Kiba – Sai, probabilmente l'arte non fa per me. Un'ispirazione vera e propria non mi è mai venuta, quindi ho lasciato perdere. Penso di aver fatto un favore a tutti.
Hinata non rispose, piuttosto sorpresa. Ma come? Perché le stava mentendo? Aveva dipinto un quadro splendido non molto tempo fa, sicuramente dovevano essercene degli altri. Comunque non insistette, pensando che doveva avere i suoi motivi per non dirle la verità. Anche se non capiva quali.
–    Lo porti fuori qualche volta? - chiese, cambiando discorso e accennando ad Akamaru.
–    Sì, di sera, ogni tanto – borbottò lui – Facciamo un giro qui intorno...
–    E di giorno no? - domandò Hinata, un po' stupita.
–    No, non vorrei che la gente si spaventasse, dato che è così grosso, e che mi ordinassero di mettergli la museruola... sai com'è...
Veramente Hinata non sapeva “come fosse”, ma non indagò oltre. Qualcosa le diceva che Kiba stesse facendo di tutto per evitare certi discorsi. Ma in fondo non erano affari suoi, no? Che diritto aveva di ficcare il naso?
Tuttavia l'attimo dopo si dimenticò all'istante di tutte queste domande. Aveva visto qualcosa che la fece sorridere di riflesso, come se la stesse aspettando a braccia aperte.
–    È ancora uguale! - esclamò commossa. Averne visto le fronde dalla base del muro era stato bello, ma vederlo nella sua interezza… beh, era tutta un’altra cosa.
–    Beh, è un albero. Non si sposta, non scappa e cresce piuttosto lentamente. Cosa doveva cambiare? - la schernì Kiba, che non riuscì comunque a non sorridere quando la vide correre verso il mandorlo e appoggiarvi una mano sul tronco, emozionata.
–    Sono... sono contenta – mormorò Hinata, incapace di trattenersi – Sono contenta...
Si era girata un attimo verso di lui, ma poi tornò a rivolgersi all'albero, con Akamaru che le trottava intorno con la sua stazza da vitello.
Kiba rimase a guardarli, serio e immobile. Si sentiva come se qualcuno gli avesse messo una mano all'altezza del cuore e avesse stretto forte. Avrebbe tanto voluto tenerla lì. Non lasciarla più uscire da quel cancello, come non ci era più uscito lui. Lo spettacolo che gli si presentava davanti era il solito di sempre: gli alberi, il giardino, Akamaru, la casa e ciò che conteneva. Ma erano come una cornice vuota, senza alcun motivo d'esistere. E con lei dentro, tutto acquistava un senso. Perché doveva andarsene?
L'Inuzuka si portò una mano alle tempie, massaggiandole e chiudendo gli occhi. Ma che diavolo andava a pensare? Forse stava impazzendo sul serio. Magari era stato solo il fatto che qualcuno avesse suonato alla sua porta e fosse entrato in casa a scombussolarlo così.
–    Va... va tutto bene? - sentì una voce dolce accanto a lui, e si sorprese di non averla sentita avvicinarsi.
–    Sì, è solo un po' di mal di testa – mentì – Sai, a una certa età capita...
La vide sorridere leggermente, con i capelli che le incorniciavano il viso e formavano un'onda morbida sulle spalle.
–    Non credo che trentun anni si possano definire “una certa età” - osservò – Altrimenti mio padre cosa dovrebbe essere?


Ormai era andata a trovarlo tre o quattro volte. Avevano parlato di tante cose, lei gli aveva raccontato del collegio e di ciò che aveva fatto, dei posti orribili dove l'avevano mandata d'estate, a parte il viaggio in America da suo cugino. Qui gli aveva raccontato chi era e cosa studiasse, e che tipo di persona fosse.
Le sembrava di non aver mai parlato tanto come in quelle poche ore. Kiba rimaneva ad ascoltarla senza mai interromperla, seduto sotto un albero o con un bottiglia di birra in mano. Di sé aveva detto poco o nulla, e anche di domande ne faceva poche. A Hinata sembrava strano andare così a briglia sciolta, quando di norma l'ascoltatrice era sempre stata lei, e di quando in quando si interrompeva, scusandosi di essere così chiacchierona. Lui scuoteva la testa, mandando giù un sorso di birra e commentando:
–    Scherzi? Guarda Akamaru: quando parlo io fa una gran confusione, invece con te è tranquillo come un agnello. Continua pure, così me lo calmi un po'.
Allora Hinata arrossiva, lui le chiedeva ancora qualcosa e lei ricominciava a raccontare. Spesso Akamaru teneva la testa sulle sue ginocchia, riempiendole di peli il vestito, ma non le importava.
Quando usciva da quel cancello alto e nero, già non vedeva l'ora di tornare.


–    Ehi, hai sentito? Sembra che anche questo buco abbia i suoi misteri! - esclamò Hanabi tirando fuori una bottiglia ghiacciata dal frigo.
–    In che senso? - le domandò Hinata, alzando la testa dal libro che stava leggendo – Stai attenta, fa male berlo così freddo.
–    Guarda che ho lo stomaco d'acciaio. E poi fa un caldo infernale – ribatté la sorella, svitando il tappo e mandando giù un sorso di tè. Poi poggiò i gomiti sul bancone della zona cucina e strinse gli occhi, come fosse in procinto di rivelare chissà quale segreto – La “Bestia” non è ancora uscita.
A Hinata mancò un battito. Si impose di rimanere calma e di non guardare sua sorella negli occhi, perché si sarebbe accorta subito che qualcosa non andava.
–    Cosa vuoi dire? - chiese, fingendo che la cosa non le stesse troppo a cuore.
–    Ma sì... tu non lo sai, immagino, e fino alla settimana scorsa non lo sapevo nemmeno io. Comunque sembra che l'ultima volta che siamo state qui avessero mandato un assassino a scontare gli arresti domiciliari a casa sua. Lo chiamavano la “Bestia”.
Hinata non disse nulla, cercando di controllare il respiro.
–    Dicono abbia scontato la pena – proseguì Hanabi – ma che non sia più uscito di casa. Chiama qualcuno solo quando ha bisogno che gli portino la spesa o che gli puliscano la casa. O almeno una parte. Che storia, eh? E proprio qui, in questo buco noioso dove non succede mai niente.
–    Chi te l'ha raccontato? - indagò Hinata, attenta che la sorella non si accorgesse quanto la cosa la interessasse.
Ma Hanabi non le badò, abbassando la testa finché i capelli non le coprirono una parte del viso.
–    Mmm... Konohamaru – confessò – Dice che le pettegole non parlavano d'altro, cinque anni fa, ma che adesso la cosa è come un tabù. Quel tizio fa paura, confinato là dov'è, e dicono abbia una bestia feroce a fare la guardia alla tenuta. Hanno paura che se la cosa si venisse troppo a sapere la gente non verrebbe più.
“E così, gira ancora Konohamaru” fu la prima cosa che Hinata inconsciamente pensò. Poi Hanabi uscì e lei se ne rimase lì, col libro abbandonato sul tavolo e i pensieri che turbinavano come impazziti. Possibile? Possibile che fosse così? D'accordo, era difficile integrarsi in una comunità che per principio non ti voleva più, ma da qui a non uscire mai di casa... e nessuno che andava mai da lui, se non chiamato per qualche incombenza. Non fosse stato così pieno di soldi, l'avrebbero ignorato anche per queste cose, Hinata ne era sicura.
Non ci voleva credere, ma una parte di lei si stava convincendo che fosse tutto vero, mentre ogni tassello andava al suo posto. Il giardino incolto, la casa cupa e scura le cui finestre non venivano quasi mai aperte, Akamaru che veniva portato a spasso “solo la sera, per non spaventare nessuno”...
Era così, era tutto vero.
Per un po' non riuscì ad alzarsi, sentendo la pelle sudata per il caldo stranamente in contrasto con il freddo che le attanagliava le viscere. Non era paura, quella che sentiva, ma solo una grande tristezza. O almeno così credeva.


Il giorno dopo era tornata a trovarlo, non sapendo ancora cosa gli avrebbe detto. Avrebbe dovuto parlargliene? Dirgli che sapeva tutto, chiedergli il perché? Non era sicura che ne avrebbe avuto il coraggio.
E il poco che aveva venne meno non appena il cancello si aprì e Akamaru le si fiondò addosso, poggiandole le zampe sulle spalle e leccandole la faccia.
Kiba corse subito a salvarla, mentre lei si chiedeva perché diamine le cose dovessero complicarsi sempre in quel modo, anche quando erano così semplici.
Tuttavia le brutte sorprese non erano finite, perché trascorso il pomeriggio e giunto il momento di andarsene, Kiba si fece serio. Ci aveva pensato a lungo, ed era meglio dirglielo subito.
–    Senti, è meglio che non torni più – le disse, senza tanti giri di parole – Un conto era quando eri una ragazzina che se ne andava in giro a giocare. Ma ora potrebbero nascere delle brutte voci, che ti farebbero solo del male. Non sei più una bambina.
Hinata non riusciva a credere a ciò che aveva appena sentito. Fu come una doccia gelata, che le piombò addosso brutale come le parole di sua sorella il giorno prima.
–    Ma... m-ma perché? - balbettò confusa.
–    Te l'ho appena detto – rispose lui, paziente – Meglio che la finiamo qui prima che ti veda qualcuno. Sarebbe solo un rischio, per te e per la tua famiglia.
Aveva capito. Sì, aveva capito, ma non era giusto. Tuttavia Kiba sembrava veramente deciso, e a lei non restava altro da fare che obbedire.
Però una cosa voleva saperla, una sola.
–    È vero... - cominciò, vergognandosi profondamente di ciò che stava per dire - ... è vero che non esci mai di qui? Che stai da solo tutto il tempo?
–    Quindi qualche voce ti è già arrivata – fece lui, i lineamenti leggermente più duri – Beh, un motivo in più per starmi alla larga, non credi? Magari sono solo un pazzo malato.
–    Ma... perché? - mormorò ancora Hinata con un filo di voce.
–    Non tornare. Per favore.
Hinata si voltò e si incamminò verso il cancello, le orecchie che fischiavano. Akamaru sembrava aver capito che qualcosa non stava andando come al solito, perché non le corse dietro facendole le feste ma se ne rimase seduto accanto al suo padrone, limitandosi ad uggiolare piano.
La via del ritorno le parve più lunga che mai.
Non riusciva a pensare a niente, mettendo un piede davanti all'altro, mentre una sensazione di solitudine opprimente si faceva strada dentro di lei. Stava iniziando a capire che cosa dovesse significare vivere in un universo fatto di metri quadri limitati, un passato tetro e incombente e il disprezzo totale di chi avrebbe dovuto starti più vicino.
Non c'era da stupirsi che a trentun anni la vita ti sembrasse già prossima alla fine.




Per il prossimo capitolo, fatemi un favore. Andate a rivedervi il film Disney de “La Bella e la Bestia”. Vedrete che servirà.

Dryas: la cosa che mi rende più felice è sapere che tutto quello che ho provato scrivendo è  arrivato, emozionando anche chi legge. ^^  Grazie, la faccenda del quadro è davvero una delle più originali che mi sia mai venuta. Lo riconosco anch’io, ma se provo a pensarci non riesco a ricordarmi come ha fatto a saltare fuori. È solo che, costruendo la storia pian piano, è arrivata da sola, come la conseguenza più ovvia.
Aurychan: scherzi? Falle lunghe quanto vuoi, le recensioni! ^^ Ti ringrazio, è bello sapere di essere riuscita a coinvolgerti così.
kibachan: aspetto sempre con ansia le tue recensioni. Sono contenta perché hai colto esattamente quello che ho provato anch’io quando ho scritto del salto temporale. Da una parte ero contenta perché la storia stava andando avanti, il rapporto evolvendosi, ma dall’altra mi dispiaceva moltissimo perdere quella dimensione così particolare dell’inizio. Come un’avventura dell’infanzia, che è finita e non torna più. Insomma, quando le cose cambiano è sempre un po’ malinconico…
Davvero ti è piaciuto il quadro? Mi fa piacere!
   
 
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