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Autore: Laix    04/01/2018    3 recensioni
Shiho non ricorda quasi nulla dei momenti passati con la sua famiglia.
Non ricorda che suo padre era un uomo freddo e silenzioso, ma così legato a lei da non parlare più per giorni quando la sapeva sequestrata dall'Organizzazione. Non ricorda che sua sorella Akemi, malgrado le prese in giro e le dimostrazioni di superiorità, piangeva disperata nel suo letto quando non la vedeva a fianco a lei in cameretta. E non ricorda che sua madre si era guadagnata il suo diabolico soprannome perché, quando ciò che più amava veniva minacciato, sapeva commettere atti orribili.
Non ricorda quasi niente. Ma c'è stato. E Rei Furuya, che ha ritrovato qualcosa che può riportare tutto questo alla memoria, è pronto a starle accanto in questa tremenda, difficilissima scoperta.
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Come sono scomparsi i coniugi Miyano? Quali erano le loro personalità e come si relazionavano con le figlie? In quali vicende l'Organizzazione ha coinvolto tutti loro nella sua spirale nera?
Della famiglia Miyano non si sa molto, perciò questa FF verrà trattata come una storia quasi del tutto inventata.
[Pairing: ElenaAtsushi, ShihoRei]
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Akemi Miyano, Elena Miyano, Tooru Amuro, Vermouth
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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2. Ask your eyes not to kill me





«Shiho-chan, hai voglia di aiutarmi ad apparecchiare? Ci riesci?»
La figlia ramata aveva da poco compiuto 5 anni e raggiunto l'altezza giusta per non farsi sbilanciare dal peso dei piatti di ceramica, ma Atsushi rimase comunque a contemplarla aspettando una risposta.
«Sì.» disse lei a bassa voce, e in silenzio aprì la credenza a terra della cucina estraendo 4 piatti. Poi, senza aspettare ulteriori indicazioni, aprì il secondo cassetto e ne tirò fuori le posate. Atsushi la guardò compiaciuto, contornata da raggi solari che faticosamente attraversavano le persiane per entrare in cucina, decisamente fiero dell'operato della piccola.
Akemi intanto aveva preparato in giardino il tavolo, decorandolo con una sgargiante tovaglia e appoggiandoci sopra tutte le bevande gassate che le capitavano a tiro. Stava tagliando le verdure da mettere poi in griglia, assieme alla madre. Atsushi e Shiho le raggiunsero in giardino, lui con la carne nel vassoio e la piccola coi piatti da distribuire sul tavolo.
«Allora, ragazze! Siete contente che oggi facciamo il barbecue?» chiese Atsushi mentre si dirigeva alla griglia per posarvi sopra i filetti di carne.
«Sììììì.» gridacchiò Shiho, attenta a non uscire troppo dai ranghi.
«Io assolutamente no!» Akemi sporse il labbro inferiore in un'espressione polemica. «Io da grande voglio essere vegetariana.»
Elena sbuffò una risata, guardando teneramente la figlia. «Brava, Akemi-chan, è una scelta molto etica e rispettosa. Te la appoggio, ma dovrai imparare a bilanciare i nutrienti che la carne non potrà più darti.»
«Certo, so tutto! Sto già tagliando tante verdure per questo. Io le adoro, mi rimpinzerò di verdure al posto della carne!»
«Legumi. Per sostituire la carne... i legumi. Non verdure.» mormorò Shiho seria e con le labbra strette, in direzione della sorella maggiore. La quale, sentendo questo insegnamento dalla maestrina sorella scricciolo, se la prese e arrossì, abbassando lo sguardo imbronciato. Elena rise, guardando fieramente la figlia più piccola. «Shiho-chan ha ragione. Devi stare attenta e assumere sì le verdure, ma soprattutto i legumi e altri alimenti proteici. Ci siamo intesi?»
«Ci siamo intesi? Ti metterai a studiare un po' di più, ora?» la riprese anche Shiho, con tono più rigido.
«Ma chi si crede di essere, mamma??» si lamentò Akemi, indicando la sorella e saltando sul posto. «Mi prende in giro!!»
«Sei una lagna. Sembri più piccola di me.» continuò imperterrita Shiho, fissando la sorella con sguardo impassibile.
Dal momento che era in arrivo una scenata di Akemi e un peggioramento dell'umore di Shiho, Atsushi intervenì nella situazione per la quale invece sua moglie se la rideva sotto i baffi alla luce del sole pomeridiano.
«Oh, adesso basta, bambine. Stop! Akemi, in questo momento non ho nessun sostitutivo della carne quindi ti chiedo di ingurgitare queste salsicce...»
«Mi prometti sarà l'ultima carne che mangerò, papà?»
«Sì, sì, ti comprerò un sacco di ceci e sui generis... e tu, Shiho-chan» chiese Atsushi, con un po' d'apprensione nella voce «vorrai anche tu i legumi? E poi fagiolini, verze e così via?»
«No. Schifo.» sentenziò semplicemente lei, seria, facendo scoppiare a ridere il padre.
Dopo pochi minuti iniziarono tutti a mangiare, fino a che Shiho e Akemi non furono assalite dalla voglia di lasciare il tavolo e giocare in giro per il giardino, un po' insieme e un po' separate. In realtà avevano ritmi diversi e anche curiosità diverse, per le quali ad esempio Akemi doveva per forza correre in lungo e in largo alla ricerca di qualcosa, mentre Shiho, per lo stesso motivo, doveva restarsene ferma in un punto per molti minuti a fissare qualcosa in mezzo all'erba. Nessuno conosceva i loro motivi, ma sicuramente c'erano.
Elena le guardava amorevole da dietro le lenti degli occhiali da sole, e spostando gli occhi su Atsushi si rese conto che anche lui non si lasciava scappare i loro movimenti. Sembrava ipnotizzato, un sorriso accennato e distratto installato sul volto.
«Certo che hanno due caratteri che proprio non collimano. Spero solo che Shiho non diventi antipatica come il padre...»
«Già, hai visto?» ribatté fieramente Atsushi, mentre si accendeva una sigaretta con un fiammifero. «Battutine fredde, insegnamenti saccenti, quegli occhietti vispi e acuti. E' tutta il suo papà.»
«Esatto, e questo è tremendo. Di saccente, freddo e ironico c'eri già tu in questa famiglia.»
«E di distratta, infantile ed emotivamente instabile c'eri già tu, eppure si è aggiunta anche Akemi.» concluse lui guardando di fronte a sé impassibile, espirando una nuvola di fumo. Elena lo incenerì con lo sguardo, nonostante lui fingesse di non vederla.
«Hai trovato la mia scatolina?» chiese lui dopo un po'.
«No, Atsushi... e sarà la quattordicesima volta che te lo dico...»
«In effetti è proprio la quattordicesima, le ho contate anche io.»
«Quindi lo capisci da solo quanto sei pesante?»
«E tu lo capisci da sola quanto sei poco amorevole nei miei confronti?»
Elena alzò gli occhi al cielo, prima di guardarlo con espressione sarcastica.
«Prima o poi la trovo, te lo prometto. E' sempre rosa chiaro?»
«Sempre rosa chiaro. In un posto molto facile, non nel congelatore e non sopra il tetto.»
Lei sghignazzò, senza molta energia, dopodiché tornò a guardare le bambine con sguardo neutro. Atsushi la fissò per alcuni secondi, perplesso.
«Tutto bene, tesoro?»
Elena non gli rispose, non si mosse nemmeno. Atsushi tornò con lo sguardo sul tavolo, se la moglie accusava malumori improvvisi o inspiegabili era meglio non insistere. Fissò la brace della sigaretta aumentare e rilasciare volute di fumo, in silenzio.
Udì un sospiro pesante, come tormenta di gelo grigio, provenire da lei.
«Voglio che Pisco la smetta di entrare in casa mia. E così chiunque altro di quella cerchia.» cominciò impulsiva, lo sguardo dietro gli occhiali che pareva indifferente. «Voglio che il nero non invada mai le mura di questa casa. Voglio che i colori, qui dentro, siano il tuo giallo pallido e il mio rosa chiaro. E i pigiami azzurri delle bambine. Il nero qui non c'entra niente.»
Atsushi si portò la sigaretta alle labbra, aspirando ferocemente. Non poteva vederle gli occhi, non voleva vederli. La visione della moglie rattristata da quelle elucubrazioni gli stordiva cuore e mente, lo sbatteva a terra ripetutamente come un uovo il cui guscio non vuole rompersi.
«Io lo voglio uccidere.» dopo averlo sussurrato fino a strozzarsi la gola, Elena si lasciò sfuggire un singhiozzo disperato. Lo voglio fare, ma non sono una persona cattiva.
Quante persone ho già ammazzato ad oggi?

Atsushi sentì il proprio petto comprimersi, spense la sigaretta e si alzò dalla sedia, controllando che le bambine fossero abbastanza lontane e distratte.
Si voltò e si inginocchiò per arrivare alla sua altezza, ancora seduta, le tolse gli occhiali da sole dal viso e lei poté specchiare le proprie lacrime sugli occhiali trasparenti di lui. L'espressione del marito era così delicata, affabile e sincera da rincuorarla abbastanza, facendola desistere dal pianto.
Cosa diavolo avrebbe fatto, lei, senza di lui? Tra le tante orride questioni, era la sola domanda che in quel momento si appropriò dei sistemi della sua mente. Era come un'ondata di luce che devastava cumuli di piante nere e morte lungo una landa desolata.
I sorrisi di Atsushi erano tutt'altro che usuali, una rarità. Ma quando li regalava, quei pochi che creava, erano pieni e vitali. Erano la vita stessa, la speranza.
«Abbiamo fatto un errore. Sì. Resisti ancora un po', resistiamo insieme. Perché nel frattempo abbiamo generato due creature che meritano la nostra forza e protezione. E che a loro volta, per noi, sono la nostra forza e la nostra protezione.»
Lei gli rivolse un vero sorriso in mezzo alle lacrime che, alla fine, erano riuscite a scendere. Ma non erano solo lacrime amare, come intendevano essere all'inizio di quella conversazione, e lo capì mentre lui avanzava una mano verso la sua per stringergliela forte. Poi lui si sporse in avanti e abbassò il capo fino a posarglielo sul petto, affondando il viso nella scollatura a V della sua maglia e allungando le braccia oltre i suoi fianchi per abbracciarla. Lei emise un gemito e scoppiò subito, abbracciandolo a sua volta e inarcandosi in avanti per inglobarlo tutto, con uno scatto quasi nevrotico, stringendogli forte i lembi della camicia bianca e aderendo il più possibile alla sua ampia schiena. Voleva entrare dentro, dentro, dentro di lui, proteggersi da dentro lui, essere avvolta da lui contro i pericoli dell'esterno. Iniziò a sussultare più volte, in preda ai singhiozzi, sentendo i suoni ovattati e concentrandosi solo sulla sensazione di tatto che la camicia di Atsushi le dava, sul profumo che emetteva. Vi aumentò la presa fino a farsi male.
«Io... voglio...» mormorò lei, tra i singulti. «...voglio che tu... stia sempre, sempre accanto a me...»
«Te lo promisi già al college. Non verrò mai meno ai patti.» sussurrò lui, provando a sciogliersi da quell'abbraccio tanto passionale quanto straziante e alzando il viso per guardarla negli occhi. Avvicinò il viso al suo, tanto da poter scorgere l'interno acquoso delle sue lacrime.
Una cosa che adorava davvero era l'uso frequente che Elena faceva del verbo "volere": quando parlava di qualcosa che avrebbe desiderato non si sprecava né con parafrasi né con timidi "vorrei", "mi piacerebbe", "quasi quasi penserei di", ma solamente "voglio". Io voglio, adesso. E in quella breve conversazione, quante volte aveva già usato quella parola?
Atsushi chiuse gli occhi e con i denti le afferrò il labbro inferiore, delicatamente e senza farle male, lo portò dentro alle sue labbra e lo tenne un po' lì, qualche secondo. Lei rispose e fece lo stesso. Alla fine lui riaprì le palpebre e la guardò, e di nuovo quegli occhi scuri, sensuali e penetranti lo investirono come nessuno e niente al mondo erano in grado di fare, gli raggiunsero l'anima e la scossero dal profondo.
«Mi hai ossessionato la mente dal primo giorno che ti ho vista, Elena Miyano. Ed ogni giorno che passa, mi ossessioni di più.»

 

***

Atsushi era attaccatissimo a Shiho. Non che non lo fosse anche con Akemi, certo che no, ma Shiho era praticamente diventata un prolungamento del suo corpo. Non riusciva a staccarsene, era come una piccola e graziosa droga.
Se doveva occuparsi di alcune faccende domestiche, chiedeva a Shiho di aiutarlo; se usciva a fare una passeggiata al parco o al torrente, portava Shiho con sé; gli veniva in mente qualcosa da insegnare a qualcuno? Lo insegnava a Shiho, sedendosi sul divano con lei di sera e leggendo insieme un libro alla luce della lampada. Chiedeva sempre alla piccola se preferiva dei libri illustrati, ma lei accettava raramente: si arpionava al suo robusto braccio e cercava di leggere le parole al suo stesso ritmo.
Elena notò un grande cambiamento nei suoi atteggiamenti, perché sorrideva più di quanto non facesse prima, a volte fischiettava per casa, fumava raramente. Tutte cose che in lui non si erano mai viste, non così accentuate, specialmente per quanto riguardava i sorrisi che prima erano quasi nulli. E anche Shiho, la piccola e sempre seriosa Shiho, cambiava aria in presenza di suo padre, quasi fosse consapevole che prima di tutto era lei stessa a provocare quel benessere nel genitore.
Per questo motivo, Elena sentiva un gran calore nel cuore ogni volta che li vedeva insieme. Chissà che anche la somiglianza fisica, che li vedeva entrambi ramati e con gli occhi di quel turchese particolare, giocasse a favore del loro genetico e stretto rapporto; un po' come a lei era accaduto con Akemi, che aveva i suoi stessi capelli e lineamenti del viso.
E sempre per questo motivo, quando Shiho venne temporaneamente sequestrata dall'Organizzazione e allontanata da casa, si sentì gelare il petto come fosse stato messo in ibernazione. Come se quel congelamento provvisorio potesse evitarle di sentire la sofferenza che il cuore le inviava senza pudore.

***




«Mio padre.» sussurrò Shiho fissando un punto di fronte a sé, come incantata. «Il vero feeling era tra me e mio padre.»
«E... la cosa ti sorprende?» chiese Rei sottovoce.
«Ero convinta fosse con mia sorella, o con mia madre. Mio padre era l'ultimo che mettevo in lista, non so perché. Non mi ricordo quasi nulla.» continuò lei, lasciandosi sfuggire un sospiro tremulo alla fine di quella frase.
Si sentiva terribilmente in colpa nei confronti del padre. L'aveva curata così tanto, tenuta in una campana di cristallo e coccolata con ogni forma di dolcezza esistente, nonostante ciò stridesse col suo carattere, e lei quasi non aveva considerato nessuno di quegli aspetti. L'aveva confinato in un angolo remoto dei ricordi.
«Non mi ricordo nulla, Rei.» ripeté, stavolta direttamente al ragazzo. Spostò lo sguardo su di lui, l'angoscia chiaramente visibile nei suoi occhi turchesi. «Non voglio non ricordarmi nulla.»
«Ehi...» la rassicurò lui, allungando un braccio per sfiorarle la spalla. «Stai tranquilla, è normale, avevi a malapena 5 anni.»
«Ma non è giusto. Non è giusto per niente. Mio papà... mio papà, per me...» disse lei con un'insolita carica emotiva nella voce. La vide portarsi una mano alla fronte per nascondere gli occhi.
«Tuo padre non ha fatto niente di quello che ha fatto perché tu lo ricordassi per forza negli anni a venire. L'ha fatto perché ti voleva bene, stop. Non ha senso che tu ora ti strugga per motivi inesistenti, okay?»
Shiho lo fissò a lungo, dopo quell'affermazione. Molto a lungo, ragionando sulle parole, e mettendo quasi Rei in un piacevole disagio. Rei provò a guardarla di rimando e rimase affascinato dal modo in cui i suoi occhi baluginavano alla luce della luna, l'unica vera fonte di luminosità a quell'ora di notte in un parco deserto. Vide la sua canottiera di cotone scuotersi lievemente al passaggio della brezza estiva, due ciuffi di capelli ramati e morbidi adagiarsi pigri al suo volto. Dopo un tempo incalcolabile lei annuì lentamente, riabbassando lo sguardo sulle pagine aperte del diario.
«Mpf.»
«Cosa ti diverte, ora?» chiese lui sottovoce e con un sorriso, preferendola ridacchiare piuttosto che il contrario.
«Le scatoline. Chissà se poi mia madre l'ha trovata.»
«Non aveva proprio voglia di cercarla quell'anno...»
«Che sfaticata, santo cielo» rise Shiho, fissando la pagina in cui Elena aveva riportato quell'evento. «Anche adesso, pensandoci, mi sento dalla parte di mio padre. Penso che lui avesse ragione ad insistere, in fondo cosa le costava?»
«10 minuti in più del suo tempo. Ma tua madre era piuttosto cocciuta.»
Shiho sorrise, girando lentamente le pagine e arrivando a quella seguente. Quella che avrebbe raccontato della sua triste permanenza alla sede dell'Organizzazione, sola e all'età di 5 anni. Il sorriso le si spense.
«Sei certa di voler leggere quella parte, Shiho?»
«Tutto. Non voglio saltare niente.»
«Okay.» mormorò lui, dopodiché si alzò dallo scalino dirigendosi non si sa dove. Shiho alzò di scatto il viso e trattenne il fiato, senza capire.
«Aspetta, Rei, dove vai?»
Il ragazzo fu bloccato dal tono di voce ansioso di lei. La fissò sbalordito, prima di parlare.
«Mmm... in bagno? Posso? C'è un bagno pubblico laggiù.»
«Ah, sì... sì. Certo. Certo che puoi.» sussurrò lei, schiarendosi la gola e ricomponendosi.
Lui ridacchiò, in parte contento di quella sua reazione. «Non ti lascio sola nelle prossime pagine, Shiho. Sono qua. Te l'ho promesso.»
Grazie buio, magnifico buio, che esisti e mi proteggi, fu il pensiero di Shiho rivolto al buio della notte che in quel momento si occupava diligentemente di nascondere il suo improvviso rossore. 

 






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Eccoci al secondo capitolo: nessun membro dell'Org. qui, non ancora, il capitolo come vedete è uno slice of life che descrive più che altro vicende sentimentali volte, comunque, ad entrare maggiormente nei legami dei Miyano e a tutto quello che sarà. La mia idea personale è piuttosto chiara, mi viene più facile associare Shiho e la sua proverbiale cupezza ad una somiglianza con il padre, per quanto anche la madre pare non fosse la stella del cabaret XD E' un processo inspiegabile e dettato da troppi pochi elementi, e che ripeto essere del tutto personale, lecito pensarla diversamente e anzi. Stesso dicasi per le due sorelline e il loro rapporto al momento molto infantile, d'altra parte con loro due si va un po' più sul sicuro poiché sappiamo come sono da grandi: diverse, ma con dei punti di vista comuni. Ma tanto, non è sul sicuro che vogliamo stare! *devil* Parallelamente, se state sentendo del ghiaccio scricchiolare e sciogliersi in modo graduale, può essere che sia Shiho nei confronti di Furuya man mano che alcune cose saltano fuori, ma chi lo sa XP
Infine grazie, GRAZIE per le bellissime recensioni e a presto, fatemi sapere! <3 

 

  
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