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Autore: Mazier T    06/01/2018    1 recensioni
“Che ore sono?”
Di sicuro era ora di andare da Da Lino.
Genere: Introspettivo, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Che ore sono?”
Di sicuro era ora di andare da Da Lino. Giusto per sicurezza però avrei controllato l’ora, quindi allungai il braccio per raggiungere il telefono posato sul comodino: nove e trentasette. Che numero fastidioso. Non perché io fossi in ritardo di ben trentasette minuti per andare a lavorare, quello era giusto un dettaglio, ma bensì perché i numeri primi e dispari che contengono il sette sono i peggiori. “Almeno è il dodicesimo numero primo che riesco a contare, il dodici non è così male… e nemmeno questo cuscino…” pensai “Ah-ah! Non riaddormentarti!” mi tirai su dal letto di fretta e andai a darmi una sciacquata. Indossai i primi vestiti che raffazzonai ed uscii a farmi folgorare dalla luce del sole.
Peccato che il sole mancasse all’appuntamento. Se la sbadataggine fosse il mio mestiere sarei il migliore del mondo, e benché io avessi controllato l’orario ero, perlomeno, convinto di aver fatto leggermente tardi. Le uniche cose certe erano due: ero sempre in orario per andare da Lino, avevo saltato un’intera giornata di lavoro nonché tre pasti, a solo due ore da mezzanotte. Notevole, probabilmente meritevole di un licenziamento, ma non la mia migliore performance.
Mi avviai per gli sporchi porticati della città come mio solito: era un venerdì ed ero fuori casa, tanto valeva andare a prendersi una birra. Assieme a un cappuccino, per svegliarmi. I miei ordini erano spesso insoliti, Lino ci era abituato. La brezza mattutina, che però era serale, mi accarezzava il viso e mi conduceva lentamente, trasportandomi odori e suoni molesti, verso la mia destinazione. Svolta su Via Oberdan, prima a destra, supera la Strada del Goito ed eccomi in piazza, nell’angolo l’insegna al neon della mia seconda casa: “Da Lino”.
Stavo per aprire la porta e già potevo prefigurarmi la scena: Lino che mi accoglie, mi chiede se voglio il solito, io, che gli faccio notare che questo “solito” non è mai esistito, gli chiedo se non sia effettivamente una cosa strettamente da film americano. Mi sarei seduto al mio solito posto, a fianco a Giovanni, il fruttivendolo di poche parole, con cui spesso i dialoghi si riducevano a un semplice  “Hey” di intesa, e a Patrizia, lei era… l’esperta di uomini del paese, dal caschetto nero più splendente di qualsiasi velluto. Ci conosceva tutti, anche in senso biblico nella maggior parte dei casi, ed era tutto merito suo insomma, sapeva come conquistare un uomo. Di solito ci si limitava ad un occhiolino, il dialogo per la serata finiva lì, qualche volta ci si incrociava nuovamente per smezzare una sigaretta prima di tornarsene a casa, anche se a quel punto non sapevi mai se sarebbe stata la sua o la tua. Nell’angolo, a un tavolino, a giocare a briscola, scopa o chissà quale altra cosa, Antonio, Pino ed Elio, i tre umarell più simpatici che io abbia mai conosciuto, che si prendevano il meritato riposo finito l’orario dei lavori. In un qualche modo prendevo anche io parte al gioco: andavo lì, prendevo la prima carta da in cima al mazzo e facevo una smorfia, più o meno incoraggiante, e la ripongo al suo posto, così da lasciarli nel dubbio se tale carta fosse una buona o una pessima pescata. Per quanto mi impegnassi sapevano sempre decifrare la mia faccia da poker. Infine vi erano altri frequentatori del bar, meno frequenti, per ragioni di lavoro o di studio: gruppi di universitari, Mirko il burbero camionista in canottiera anche a dicembre, Ettore anche detto “Avvocato Brigidini” sempre tirato dalla brillantina alle scarpe in pelle, Eva, la parrucchiera della via, e via dicendo. Con loro talvolta scambiavo qualche chiacchiera per sapere come gli andava la vita.
Abbassai la maniglia e spalancai la porta - Buonasera! - mi annunciai.
Lino mi guardò, con il suo sorriso inconfondibile e mi disse - Buonasera signore! Cosa posso offrirle?
Lino era sempre così, un giocherellone, feci per andare a sedermi al mio solito posto ma… era occupato da un tizio in impermeabile. Insolito, però fortunatamente ogni tanto capitava un nuovo cliente, così mi sedetti nell’altro posto vicino a Giovanni.
Stetti al gioco e replicai - Una birra media e un cappuccino signore, grazie mille.
Mi squadrò un secondo -Una richiesta insolita. Ti prego chiamami Lino.
Mi scappò da ridere - Va bene, va bene Lino. Stavo solo reggendoti il gioco, tranquillo.
- Quale gioco…? Ah la targhetta! - disse dando un colpetto al cartoncino sul grembiule che riportava il suo nome - Arrivo subito col suo ordine signore!
Annuii divertito - Ok, grazie! - e poi mi rivolsi a Giovanni dandogli una leggera gomitata - Hey!
Lui si girò lentamente con i suoi tipici ritmi da bradipo e mi fece - Ci conosciamo?
A quel punto non potevo più contenermi e mi scappò una grassa risata. Urlai - Questa volta ti sei superato Lino! Ti sei persino accordato con Giovanni?
Lino tornò e mi porse il mio ordine - Per una birra e un cappuccino… Lei mi lusinga signore - e così mi congedò.
Feci il solito cenno verso Patrizia, un occhiolino. Quella notandomi emise un risolino civettuolo, per poi posare delle monete sul bancone e uscire dal locale. Strano è vero, ma non era la prima volta che la vedevo comportarsi così. Forse mi aspettava di fuori?
Presi a sorseggiare il mio cappuccio guardandomi intorno e sporgendomi dallo sgabello tentavo di sbirciare con lo sguardo se stesse aspettandomi all’esterno. Nel fare ciò notai che Mirko sedeva a un tavolino dietro di me, così buttai giù il mio cappuccino, lo posai sul bancone, afferrai la birra e mi misi a sedere di fianco a lui, immediatamente travolto dal suo “Eau de Benzìn”.
- Come va Mirko? - gli chiesi - Qualche trasporto importante di questi tempi?
-Chi sei tu?!- mi disse lui; capii subito che faceva la parte dello sconosciuto scorbutico che non vuole essere disturbato.
-Tranquillo Mirko, ho già scoperto lo scherzetto di Lino e Giovanni, non c’è bisogno di portare avanti la sceneggiata.
- Quale sceneggiata?! Come sai il mio nome?! Chi ti manda?! - chiese turbato col suo vocione, poi la abbassò e fece - Ti manda il capo? C’è qualche carico…particolare?
Questo suo lato da attore proprio non lo conoscevo, era veramente bravo.
- Sì… mi manda il capo… abbiamo un ordine massiccio avremmo bisogno che ce lo trasportassi - risposi stando al gioco.
Lui si avvicinò a me e mi disse a bassa voce - Di che si tratta?
Risposi a tono - Di un mucchio di roba.
-Sì, ma cosa?
-Un mucchio di stronzate! - esclamai - Dai valà Mirko! Raccontami qualcosa! Devo ammettere che però sei più bravo degli altri due come attore!
L’omaccione divenne rosso in viso e mi prese per il collo della camicia con uno strattone - Ascoltami bene - mi intimò, sembrava serio sta volta - non so chi tu sia né cosa tu voglia da me, ma non sono in vena di scherzi, quindi smamma - e mi spintonò via, facendomi cadere la birra di mano.
Rimasi spiazzato e a fissarlo per alcuni secondi. Non sembrava fingesse, era molto convincente, e non mi risultava che Mirko fosse di memoria corta. Istintivamente mi allontanai indietreggiando, un po’ spaesato.
Nel mentre Lino venne in mio soccorso e rimediò al pasticcio che avevo combinato tra birra e vetri.
Arretrando andai contro una sedia mi voltai e vidi il mio Trio Umarell preferito seduto al tavola - Signori! - esclamai - Come va la partita stasera? - presi come al solito la prima carta in cima al mazzo e feci per guardarla, quando fui interrotto.
- HEY GIOVANOTTO CHE PENSI DI FARE? - gridò Pino.
- Rimettila subito al suo posto! - disse Antonio.
- Scusate, scusate. Pensavo vi andasse di fare il solito gioco...- ma fui interrotto da Pino.
- Stiamo già facendo il solito gioco! Questa è una partita, non un raduno di prestigiatori!
-Va bene, va bene…- dissi riponendo la carta in cima al mazzo con cura. Mi allontanai sconvolto, e andai verso la cassa per pagare. Sentii dietro di me Elio dire - EH. Sti giovani di oggi non conoscono proprio le buone maniere! Ai miei tempi ce le insegnavano, con il bastone! E allora sì che non te le scordavi, e portavi rispetto! - gli altri due annuivano e dicevano - Eggià, eggià. Parole sante.
Nemmeno loro mi avevano riconosciuto. Che non fosse uno scherzo? Eppure… il locale era questo, le persone anche…no, doveva essere uno scherzo, erano quattro anni che frequentavo questo bar.
Alla cassa feci - Allora Lino, dimmi, quanto ti devo?
- Incluso il boccale che le è caduto e ho dovuto raccogliere dal pavimento… facciamo 7 euro signore.
Insisteva nel darmi del lei e voleva farmi pagare il boccale: troppi ne avevamo rotti a capodanno senza che ci chiedesse un centesimo. Certo questo forse spiegava perché potesse aver deciso di farli iniziare a pagare, ma non era questo il punto, non era da lui trattare così un vecchio amico.
Tirai fuori una banconota da dieci e porgendogliela dissi - Lino ora però basta con gli scherzi, sono io, non mi riconosci?
Lui mi squadrò prendendo la banconota, poi aprì la cassa e iniziò a rovistare tra le monetine per il resto.
-Spero non la offenda ma, non l’ho mai vista prima d’ora signore e mi creda, non ho mai dimenticato un cliente, nemmeno uno in tutta la mia carriera - disse porgendomi il resto.
Lo raccolsi nella mano tremula,  sconvolto e incredulo mentre fissavo Lino e la sua espressione seria - Si sente bene signore?- mi fece.
Non risposi, ma mi incamminai di fretta verso l’uscita, aprii la porta e andai a sbattere contro un uomo in giacca e cravatta: l’Avvocato Brigadini.
- Avvocato, lei mi riconosce giusto? - dissi agitato allora.
- So solo dirle che dovrebbe fare attenzione a dove cammina e che non ha fatto una buona prima impressione! - esclamò quello irato.
Lo lasciai passare e corsi di fuori dove fui intercettato da Patrizia - Ehi! non è proprio da gentiluomini far attendere una signora per così tanto- la guardai, bella come poche, con il suo sguardo tentatore. La presi per le spalle e le chiesi - Patrizia, almeno tu, devi ricordarti… quella sera che noi due siamo usciti di qui e abbiamo passeggiato per la città e poi…!
- Oh, santo cielo! Perdonami, ci siamo già frequentati? Scusami taaanto! - disse aggrappandosi a me.
- Scusa ma devo andare - mi disimpegnai di lei e me ne andai.
Camminai, camminai. Si ma dove sarei dovuto andare? Cosa avrei potuto fare? Perché nessuno nel bar sembrava ricordarsi di me? Avevo frequentato quel locale per ben quattro anni! “Boh” pensai “tornerò a casa.
Feci la solita via del ritorno, ma con mia grande sorpresa non giunsi a casa mia, ma in Piazza della Repubblica.
 
   
 
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