Crossover
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Autore: Registe    06/01/2018    3 recensioni
Tredici guardiani. Tredici custodi del sapere.
Da sempre lo scopo dell'Organizzazione è proteggere e difendere il Castello dell'Oblio ed i suoi segreti dalle minacce di chi vorrebbe impadronirsene. Ma il Superiore ignora che il pericolo più grande si annida proprio tra quelle mura immacolate.
Questa storia può essere letta come un racconto autonomo o come prologo della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
[fandom principale Kingdom Hearts; nelle storie successive lo spettro si allargherà notevolmente]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anime/Manga, Videogiochi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 12 - Vexen (IV)





La ragazza misteriosa





Una buona notte di sonno e le opportune medicazioni ristabilirono completamente la ragazza di Stagview.
Vexen la ritrovò la mattina seguente appollaiata su uno sgabello nelle cucine, immersa fino ai capelli in una scodella di latte e cereali al cioccolato. Demyx sfornò in quel momento un vassoio di ciambelle calde, e l’onore appetitoso colpì Vexen a tradimento ricordandogli che aveva fatto colazione soltanto con una tazza di tè. Non si fece pregare quando il n. IX gli offrì uno dei dolci con un sorriso smagliante.
“Anche qui, per favore!”
Demyx inclinò il vassoio verso la ragazza, che si servì tre ciambelle senza fare complimenti, ingoiando metà della prima con un solo morso.
“Dobbiamo parlare”.
Vexen realizzò di non avere un’aria particolarmente minacciosa con una ciambella mordicchiata in una mano e le labbra senza dubbio sporche di zucchero. Ma la curiosità riguardo la scoperta fatta mentre curava la ragazza lo aveva divorato tutta la notte, e non avrebbe atteso un secondo di più a costo di mandare la colazione di traverso a lui ed all’ospite misteriosa. Gettò il guanto sul tavolo, proprio sotto i suoi occhi. “Come mi spieghi questo? A chi lo hai rubato?”
Se immaginava che la sconosciuta sarebbe rimasta intimidita o in imbarazzo si sbagliava di grosso.
La giovane sfoderò un sorriso divertito, rispondendogli tra un boccone di ciambella e l’altro. “Ma l’ho fatto io, naturalmente! Non mi hai ancora riconosciuta? Capisco, non mi avevi ancora vista con questo aspetto ed un cerchio di protezione dal calore è roba da scolaretti, ben al di sotto della portata del mio genio. Ma tu invece non ti stanchi mai? Tutti questi anni e ancora la solita, vecchia faccia? Capisco l’affetto per il fascino dello studioso avanti con gli anni, ma ogni tanto è anche divertente cambiare!”
Aveva sputato tutto questo discorso insieme a qualche granello di zucchero con il tono di conversazione di una vecchia comare che aggiornava l’amica sulle ultime novità. Vexen fu colto alla sprovvista, e per cinque secondi buoni non poté fare altro che aprire e chiudere la bocca senza emettere alcun suono.
La ragazzina conosceva l’alchimia?
Quando Vexen le aveva trovato il guanto con ricamato sopra un cerchio di protezione dal calore aveva compreso come avesse fatto a salvarsi dalla furia dei draghi, ma aveva anche dato per scontato che lo avesse trovato da qualche parte o rubato senza nemmeno sapere cosa fosse. Invece dimostrava di conoscerne perfettamente la funzione.
Certo, poteva anche averlo sentito dire da qualcuno. Ma quanti alchimisti potevano esserci nel loro mondo? In anni di viaggi Vexen non ne aveva mai incontrato nessuno. Quanto al resto del discorso della giovane … non aveva alcun senso. “Credo che il trauma  ti abbia lasciata un po’ confusa” disse infine, meno brusco di prima. “Sai dirmi il tuo nome?”
La ragazza parve mortalmente offesa dalla domanda. “Mi sa che quello confuso qua dentro sei tu. O non hai cambiato corpo in tempo per sfuggire alla demenza senile? Ma persino un lobotomizzato non si dimenticherebbe di me! Andiamo! Il nome Euphemia non ti dice nulla?”
“Non posso certo ricordarmi di ogni singola persona che ho curato!” rispose secco, chiedendosi nello stesso momento perché sentisse il bisogno di giustificarsi davanti a quella strana ragazza.
Non può essere una persona che ho curato, rifletté. Aveva smesso di fare il medico girovago più di dieci anni prima e la ragazza (Euphemia? Mai sentito un nome simile) all’epoca sarebbe stata troppo giovane per ricordarsi di lui dopo tutto quel tempo. Eppure non gli sfuggì il termine che lei aveva usato: lobotomizzato. Una parola che denotava una certa cultura di base. Un concetto che nel loro mondo primitivo non esisteva.
“Tu … da dove vieni?”
“Proprio tu mi fai una domanda del genere? Tu che hai sempre detto che non è importante da dove si viene, ma chi si è? Come se uno potesse giudicare te, il secondo (o terzo) più grande alchimista dei mondi solo perché viene da un posto così arretrato da non avere nemmeno l’elettricità?”
Vexen la fissò di nuovo, sentendo il bisogno di trattenere il fiato. Poteva aver rubato il guanto a qualche sedicente alchimista sparso nel loro mondo. Improbabile, ma possibile. Poteva aver imparato il termine lobotomizzato da qualche libro impolverato prima che i sacerdoti lo dessero alle fiamme. Ancora più improbabile della prima opzione, ma con una probabilità su venti milioni poteva anche accadere.
Ma non sapere di altri mondi.
Quella era una conoscenza propria esclusivamente degli abitanti del Castello dell’Oblio, e Vexen era certo di non aver mai visto quella stramba ragazza tra le loro mura. Lo stesso Superiore ne aveva parlato come di una scoperta assai recente anche tra gli esponenti della sua famiglia. Un simile livello di conoscenza era semplicemente …
“Sbalorditivo”.
Era talmente perso nei propri pensieri che la voce improvvisa lo fece sobbalzare. “Davvero sbalorditivo. Sopravvivere alla furia dei draghi aduna così giovane età … un qualsiasi sacerdote lo definirebbe un miracolo”.
La voce del Superiore aveva da sempre avuto un pessimo effetto sull’umore di Vexen. In quel momento, di fronte a quella piccola forma di enigma su due gambe, ebbe lo stesso effetto di una secchiata d’acqua rovente. L’unica cosa positiva in quell’intrusione fu lo sguardo mortalmente offeso della giovane. “Nel mio vocabolario il termine miracolo non esiste. Se devo ringraziare qualcuno, quello è il mio genio!”
Vexen appoggiò ciò che rimaneva della sua ciambella su un piatto, osservando la reazione. Quella ragazzina –che ad occhio e croce aveva la stessa età del loro non esattamente sveglissimo n. XIII- aveva risposto al signore e padrone del Castello dell’Oblio con una sfrontatezza che nemmeno Xigbar dopo dieci pinte di birra avrebbe mai mostrato.
“Nemmeno nel mio, se questo può tranquillizzarti”.
La cosa odiosa del Superiore –ad essere precisi, una delle tante cose odiose del Superiore- era quel suo tono paterno ed accondiscendente di chi vuole importi la propria morale cercando di indorarti la pillola e di spingerti a credere in modo genuino che sia la cosa migliore del mondo. Vexen si voltò verso l’ingresso, accorgendosi che alle spalle del n. I la cucina si era riempita. Xigbar e Xaldin avevano degnato la nuova venuta di mezzo sguardo e si erano precipitati sulla teglia ancora calda di Demyx, mentre gli onnipresenti Lexaeus e Saïx si tenevano a debita distanza. Ebbe l’impressione di essere circondato.
“Questa è l’Organizzazione XIII, di cui ho l’onore di essere il Superiore. Nessuno di noi intende farti del male, mia cara. Anzi, sono grato al nostro n. IV –disse, indicandolo- per il suo nobile gesto. Riuscire a salvare una vita sembra molto poco, specie dopo la tragedia accaduta a Stagview, ma …”
“Veramente me la sono cavata da sola!”
La ragazza scese dallo sgabello con un salto, poi si stiracchiò. “Per carità, era un po’ che non mangiavo delle ciambelle così buone e vi ringrazio…” disse, sollevando il pollice in maniera complice verso il n. IX “…ma adesso dovrei proprio andare. Ho messo decine di cerchi di protezione sui miei libri prima di recarmi a Stagview, ma preferirei tornare a controllare. Sarebbe davvero una seccatura dovermi procurare altre copie, capite?”
“Mi rendo conto della tua necessità, mia cara. Se hai qualcosa che ti occorre posso mandare subito qualcuno a procurarteli. Hai sicuramente bisogno di rimetterti ancora un po’ in forze, ed oltretutto vi è una cosa di cui volevo discutere con te. Devi sapere che …”
“No, no, no! Non ci siamo capiti!”
Persino Xigbar e Xaldin abbandonarono la presa sui dolci per guardare la fanciulla minuta che aveva appena zittito il Superiore per di più con l’indice sollevato; Vexen sentì il respiro del n. VII farsi più pesante.
“Senti, amico, già so cosa vuoi propormi. Povera fanciulla indifesa, la nostra Organizzazione è una grande famiglia che protegge i segreti millenari del Castello dell’Oblio. Perché non ti unisci a noi? Avrai dei poteri superfantastici, potrai (rullo di tamburi) potenziare la magia sopita che è in te e diventare una custode del sapere. Peccato che dovrai obbedire a tutto quello che io, il sommo N.I, ti dirò. E ci saranno regole, regole e regole. Compresa quella di mettere una X al tuo nome (che, già te lo dico, sarebbe un vero casino. Non credo riuscireste a pronunciarlo in nessuno degli idiomi conosciuti da qui a Nagada). A grandi linee ci ho preso?”
Se Vexen avesse steso uno strato di permafrost su tutto il Castello avrebbe ottenuto più o meno lo stesso livello di silenzio. Persino l’inconfondibile slancio oratorio del loro capo era stato bloccato a metà.
“Sia chiaro, non che io disdegni la vostra biblioteca autoscrivente (anzi, quella sì che si chiama comodità) ed anche il teletrasporto incluso nel pacchetto, ma non siete certo il luogo di sapere più fornito che ci sia! Aveste la Scala della Conoscenza a disposizione ci farei pure un pensierino su, ma quella è off limits e di stare in un posto dove qualche noioso barbogio limiti il mio genio … la cosa mi repelle! E, ora che ci penso, cosa ci fai tu ancora qui?” disse.
E, Vexen se ne rese conto dopo una buona manciata di secondi, la ragazzina era tornata a rivolgersi a lui. Nei suoi occhi azzurri vi era un lampo severo. Si sentì osservato in maniera diversa da prima, e la cosa non gli piacque affatto.
In poche parole la misteriosa arrivata aveva gridato ai quattro venti cosa ne pensasse di quel posto. Cosa lui stesso ne pensasse dell’Organizzazione e del Superiore.
“Superiore, trovo che questo posto stia traboccando di ingratitudine. Ingratitudine verso le premurose cure del n. IV e soprattutto verso la Sua generosità. E anche verso il cibo offerto dal n. IX. Invero credo che …”
“Ehi, ho già ringraziato per le ciambelle, massa di pulci!”
Saïx emerse dalle spalle del loro capo, con un’espressione sul muso di un predatore che aspetti solo che il suo padrone allenti il guinzaglio per saltare sulla preda. Impossibile, rifletté Vexen, se non scappa davanti ad un licantropo o è totalmente fuori di testa oppure …
Il Superiore si mise in mezzo. Sollevò il palmo davanti al n. VII, intimandogli di fermarsi; la bestia tacque, ma non vi era bisogno dell’occhio di uno scienziato per notarne i muscoli del collo in tensione, pronti in ogni caso a scattare. Il n. I si rivolse alla ragazza con la sua solita faccia da prendere a schiaffi, tranquillo ed amorevole come se stessero tutti trascorrendo un piacevole pomeriggio per i campi a raccogliere margherite. “Immagino che tu sappia quanto la segretezza di questo posto sia importante”.
Vexen stava per interromperlo giusto per ricordare che, grazie alla brillante alzata d’ingegno di Axel, al momento l’intera famiglia demoniaca, il Grande Satana e, con un po’ di sana sfortuna, anche il Cavaliere del Drago sapevano di loro, ma si fermò. Ormai una mocciosa in più o in meno non avrebbe fatto la differenza, almeno dal suo punto di vista.
“Credo che la ragazza abbia espresso la sua opinione. N. IV, per favore, non appena la nostra ospite si sarà ristabilita potresti aprirle un portale e riaccompagnarla dove desidera? Temo di avere alcune questioni che richiedono la mia più totale attenzione e non intendo trattenere nessuno di voi” disse il Superiore. Ad un suo cenno tutti gli altri, compreso Demyx, si allontanarono dalla cucina. “Signorina, mi auguro che il suo ingegno ed il suo coraggio possano proteggerla ancora a lungo”.
“Contaci, amico!”
Vexen rimase a fissare il punto in cui le strie del teletrasporto del suo capo si erano dissolte.
Disagio era una parola che da tempo aveva abbandonato il suo vocabolario. Si era assottigliato con la crescita di Zexion e l’accettazione del suo strano olfatto, e in tutti quegli anni non si era fatto sentire. C’era stata –e c’era ancora- una paura soffusa e puramente istintiva alla presenza del n. VII, ma non aveva nulla di quel misto di fastidio, disturbo e, stranamente, flebile curiosità che si intrecciavano dentro di lui davanti a quella ragazzina. Lei prese il guanto dal tavolo e se lo sistemò sulla mano sinistra.
“Come fai a sapere quelle cose?”
“Quelle cose … cosa? Un minimo livello di specificazione sarebbe gradito!”
“Beh, tutto!”
Non c’era proprio nulla di sensato in lei. Aveva usato la propria magia per rilevare tracce di incantesimi psionici –di maghi capaci di leggere in modo lieve la mente ve ne erano stati pochissimi casi, ma era sempre più probabile incontrare uno psionico che non una mocciosa tredicenne che discutesse di alchimia e sfidasse apertamente un licantropo- ma l’intreccio magico del Castello dell’Oblio gli rispose solo col silenzio. “Come potevi sapere cosa ti avrebbe proposto il Superiore?”
“Ehi, allora ti sei davvero bevuto il cervello! Me lo hai detto tu!”
“Questo è il colmo!”
Si sollevò, puntando le mani sul bordo del tavolo. Senza volere il suo potere elementale lo seguì, lasciando una patina di ghiaccio dove si erano poggiati i palmi. “Ragazzina, posso non ricordarmi qualche villico o due che ho curato. E potrei anche essermi dimenticato di averti guarita da un’epidemia quando eri ancora in fasce! Ma penso proprio di ricordarmi dove e con chi ho parlato dei segreti di questo Castello e …”
“MI STAI PARAGONANDO A QUALCHE CONTADINO MORTO DI FAME? IO? Dunque la mia grandezza non ti ispira niente? Sono costernata! Si vede che hai sbagliato a ricreare il tuo corpo e ti sei fritto tutti e due i lobi temporali!”
Anche lei puntò le mani sul lato opposto del tavolo. Per la prima volta sulla faccia della nuova venuta era comparsa un’espressione seria. Seria ed infuriata.
Gli sarebbe piaciuto classificarla solo come una semplice “matta da legare” a cui i fumi tossici dei draghi avessero bruciato quel poco di cervello rimasto, ma era chiaro che vi fosse qualcosa di più. Qualcosa che non riusciva ad afferrare e che stava suonando all’impazzata tutti i campanelli d’allarme nella sua mente. Richiamò il ghiaccio da sotto i guanti per assumere un aspetto meno minaccioso e provare a far parlare la ragazzina con un tono più conciliante, ma lei gli si mise a braccia incrociate davanti. “Sai cosa ti dico? Tu adesso apri uno dei tuoi portali e mi riporti a Stagview. Poi ti fai una bella cura di fosforo, ti imbottisci di vitamine, di anfetamine, di quello che ti pare e fai girare bene TUTTI gli ingranaggi fino a quando non ti ricorderai di me. Non avere memoria del mio genio? Questo è il colmo!”
“Questa discussione non sta portando a nulla”.
 
Narratore: “Ecco, Vexen, grazie di averlo capito!”
 
Stizzito, aprì il varco con un colpo secco. Fin dalle strali oscure si poteva esalare il fetore di morte della cittadina, eppure la ragazza dai capelli rossi vi si avvicinò come si trattasse dello steccato del proprio giardino. “Ti do un solo indizio, e giusto perché quelle ciambelle erano deliziose”.
Si mise una mano in tasca, e Vexen fu rapido ad afferrare una moneta lanciata nella sua direzione. “Valar Morghulis”.
Prima che potesse farle un’altra domanda il portale si era richiuso.
 
 
Narratore: “Ossantissima Trinità, giuro che un dialogo così lungo non lo vedevo dai tempi del processo della scorsa serie! Voi due mi volete morto! E volete morti anche i vostri lettori!”
Registe: “Santo cielo, Narratore, non pensavamo ti sconvolgessi per così poco”
Narratore: “Quelli che si sconvolgono sono tutti quei poveracci che si sono sorbiti questo mattone che … fatemelo dire … definire inutile sarebbe un eufemismo!”
Registe: “Non è affatto inutile. Sai benissimo per cosa ci serve”
Narratore: “Perdonate se le vostre scelte stilistiche sono pessime. Ma credete davvero che chi vi legga si ricordi dove ha già sentito quel “valar morghulis” nella vostra storia? Davvero davvero?”
Registe: “Stai insultando la memoria prodigiosa dei nostri sostenitori?”
Narratore: “Sto semplicemente sottolineando la realtà dei fatti”
Registe: “Molto bene. Amici lettori, sfidate questo Narratore incredulo e dubbioso e mostrategli che ricordate in quale punto delle nostre storie abbiamo seminato questo indizio!”
 
 
 
 
 
Regista: “Ma secondo te se lo ricordano davvero?”
 
 
 
Regista: “Shh …. Le vie dei fan sono infinite. Sono le nostre che sbattono contro un vicolo cieco!”
  
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