Capitolo 23
Il suono acuto della macchina che stava a indicare la morte
del suo bambino, aveva fatto crollare il famigerato capitano uncino. Non ha più
potuto trattenersi e calde lacrime sfuggirono al suo controllo. Appoggiò la
testa sul letto mentre teneva saldamente la mano di Emma. L’unica cosa che
sentiva era quel terribile suono e non si accorse dei medici che erano entrati
nella stanza e che stavano cercando di allontanarlo dalla sua amata per
portarla in sala operatoria. Non si poteva più aspettare, con il bambino morto,
ogni minuto poteva essere pericoloso per la madre. Killian
si ribellò alla presa degli infermieri. Sapeva che doveva lasciare andare Emma,
ma non prima di dirle “Ti amo” e darle un bacio sulla fronte.
Quando le sue labbra si posarono su quelle della salvatrice,
si sentì invadere da un forte calore al petto e poté sentire qualcosa scaturire
da quel bacio.
Era il potere del vero amore. Un esplosione di magia partì da
lui ed Emma, per diffondersi intorno a loro e investire chiunque fosse nei
paraggi.
Il fischio ininterrotto della macchina cessò, lasciando
spazio a un suono intermittente, costante e accelerato. Killian
alzò la testa e guardò il macchinario che poco prima gli aveva annunciato la
morte del figlio e osservò il valore del cuore che cresceva sempre più.
“Questo è incredibile!” disse Whale.
“Cosa succede?” chiese Killian
spaventato.
Whale si girò per incontrare i suoi occhi
e con un sorriso disse “Sono salvi. Madre e figlio stanno bene!”
Un gemito di gioia si poté percepire dall’uscio della porta.
Avvertendo quel flusso magico, i charmings,
riconobbero il potere che più volte avevano scaturito loro stessi e entrarono
nella stanza giusto il tempo per sentire la buona notizia.
“Quindi la mia mamma e il mio fratellino staranno bene?”
chiese Henry volendo la conferma.
Whale annuì e il ragazzo per la felicità
abbraccio Regina, la quale fece un sospiro di sollievo.
“Killian!” disse una voce
impastata, che costrinse l’interpellato a voltarsi verso Emma e incontrare i
suoi occhi verdi.
“Emma!” disse il pirata con un sorriso raggiante, accarezzandole il viso.
“Emma!” dissero all’unisono David e Neve avvicinandosi al
letto della figlia.
Vedendo i suoi veri genitori la donna si mise lentamente a
sedere e allungò le braccia, per abbracciarli cosa che Neve non si fece ripetere
due volte. “Ci hai fatto spaventare!”
Emma si staccò dall’abbraccio dei genitori e si portò le mani
al ventre preoccupata.
“Tranquilla tesoro, il tuo bambino sta bene!” disse Neve,
spostandole i capelli dietro le orecchie “ Oh Emma, sono così felice per te e Killian!”
Emma sorrise prima di sentirsi chiamare nuovamente. I suoi
occhi si illuminarono alla vista del figlio “Henry!” disse ricambiando
l’abbraccio del ragazzo “Mi sei mancato così tanto!”
“Anche tu mi sei mancata mamma!”
Regina si avvicinò e sorrise semplicemente alla donna. Non
era necessario che dicesse qualcosa, sapeva che Emma era in grado di capirla.
Successivamente Whale chiese a
tutti di uscire dalla stanza per controllare la sua paziente, chiese solo a Killian di rimanere, il quale affiancò la moglie
afferrandole la mano. il dottore confermò che sia Emma che il bambino stessero
bene, ma non era quella la motivazione per cui aveva chiesto a Killian di rimanere, infatti pochi minuti dopo,
un’infermiera entro nella stanza portando un’apparecchiatura, che Emma
riconobbe subito. L’aveva già vista 16 anni prima, quando era incinta di Henry.
La donna sorrise e strinse maggiormente la mano di suo marito, il quale la
guardò confuso, non sapendo a cosa servisse quell’apparecchiatura.
“Volete vedere il vostro bambino?” chiese Whale
sorridendo, conoscendo già la risposta di Emma, solo guardandola negli occhi.
“Come può quell’affare farci vedere il nostro bambino?”
chiese Killian ancora più confuso “è un’altra
diavoleria di questo mondo? Davvero può fare una cosa del genere?” chiese
curioso, strappando un sorriso ad Emma.
Whale accese l’apparecchiatura per
l’ecografia e alzando la camicia ospedaliera di Emma per lasciarle scoperto la
pancia, applicò lei il solito gel freddo, prima di passare la macchinetta sul
basso ventre. Sullo schermo cominciò a formarsi un’immagine bianca e grigia
confusa che a occhi inesperti poteva
sembrare quasi un canale della tv senza alcun programma, ma con l’aiuto di Whale, Emma riuscì a identificare quello che era il suo
bambino e l’emozione che provò fu grande e diverse lacrime presero a scorrerle
sulle guance. Non solo per la gioia di vedere il suo bambino, ma anche per la
tristezza che provava nel ricordare che anni addietro, durante le visite di
controllo, aveva sempre rifiutato di guardare lo schermo per vedere Henry. Non
voleva affezionarcisi e in quel momento, conoscendo suo figlio anni dopo, si
sentiva in colpa per quei sentimenti provati allora.
Killian sorrise ad Emma. Anche per lui fu
una grande emozione, sebbene il suo bambino gli sembrava solo un piccolo
fagiolo non tanto chiaro in quella massa bianca e grigia.
L’uomo uscì dalla stanza per incontrare i suoi famigliari e
portò loro un paio di foto che Whale aveva provveduto
a stampare e disse loro che il bambino aveva all’incirca 10 settimane. Ma dopo
tutto quello passato e l’emozione di vedere il proprio figlio, Killian sentì tutta la tensione accumulata in quella
giornata, lasciargli il corpo di botto e improvvisamente si sentì quasi
mancare.
“Ehi, ehi, amico?!” disse
David che lo sostenne per evitargli una brutta caduta e portandolo su una delle
sedie presenti in sala.
Neve gli porse un bicchiere d’acqua presa alla macchinetta, e
gli domandò “Ti senti bene?”
Killian annuì e passandosi una mano sul
volto “Vostra figlia sarà la morte mia!” disse strappando un sorriso ai Charmings.
“Regina!” disse la voce di una donna che si avvicinava al
sindaco spingendo un passeggino, con una bambina su un anno.
“Zelena!” disse Regina abbracciando
la sorella.
“Cosa diavolo ti è successo? Ho fatto un milione di incantesimi
di localizzazione e sembravi scomparsa nel nulla, fino a quando sei comparsa
qui. Stai bene? State tutti bene?” chiese velocemente senza nemmeno respirare.
Regina sorrise alla sorella e la tranquillizzò, facendole un
riassunto veloce ti tutto quello che era accaduto in quei giorni. Alla fine del
racconto però i volti di Zelena e Regina si
rabbuiarono.
“Cosa succede?” chiese Neve vedendo i loro volti.
Le due donne si alzarono e si recarono alla finestra. Sopra
la foresta che circondava Storybrooke, si potevano
vedere diversi fasci di luce arancioni, apparire e scomparire, quando ad un
certo punto questi cessarono e una nube nera di tempesta cominciò ad espandersi
e a diffondersi su tutta Storybrooke scagliando
fulmini ovunque. Per fortuna la città
era disseminata di parafulmini, che impedirono a quell’evento atmosferico di
creare troppi danni, ma la loro potenza fece saltare la luce in tutta la
cittadina.
“Mamma, cosa è successo?” chiese Henry confuso.
Regina sorrise e disse “Quelli erano portali temporali. Scommetto
che il nostro caro anti-salvatore, ha appena scoperto che per quanti portali
possa creare, è imprigionato in questo tempo e in questa città!”
Passarono un paio di settimane da quel giorno e l’anti
salvatore sembrava essere scomparso nel
nulla. Non che non fossero tutti contenti, ma temevano che quell’essere
stesse architettando qualcosa. Ne erano certi, quella era solo la calma prima
della tempesta.
Emma si trovava in ufficio ad archiviare alcune pratiche insieme
a suo padre, mentre Killian era in pattugliamento per
le strade, quando il telefono della stazione squillò.
La donna riagganciò e si alzò, indossando la sua giacca
rossa.
“Dove stai andando?” chiese David guardando la figlia.
“C’è stata una rissa vicino
alla piazza e vado ad occuparmene!” disse Emma, cercando di uscire dalla
stazione dello sceriffo prima che suo padre la trattenesse, ma non uscì
abbastanza velocemente perché infatti, David le afferrò per un braccio.
“Emma, dovresti stare tranquilla e…” cominciò, ma la
salvatrice lo interruppe.
“Papà, sono incinta, non
una malata terminale. Io e il bambino stiamo bene e sinceramente non ce la
faccio più a stare qui seduta tutto il giorno a guardare quelle pratiche. Ho
bisogno di muovermi un po’ e soprattutto di non essere rinchiusa in una campana
di vetro!” disse riferendosi al fatto che tutti la trattavano con i guanti
anche quando non ce n’era bisogno. A volte non la facevano alzare nemmeno per
prendersi da bere e, poteva capire il fatto di volerla stressare il meno
possibile, dato quanto rischiato, ma c’era anche un limite a tutto.
“Ma Emma…”
“Niente ma. Si tratta solo di Leroy. Non è la prima volta che
devo tenerlo a bada!” disse, sperando che il padre la lasciasse andare.
Emma era sul luogo della rissa pochi minuti dopo. Scese dalla
sua inseparabile auto e si guardò intorno, in cerca di testimoni o segni di
lotta, ma non vi era niente di strano se non per un Leroy girato di schiena in
mezzo alla strada.
La salvatrice alzò stranita un sopracciglio e chiamò il nano.
Quando non ebbe risposta, né la minima reazione, gli si avvicinò e gli posò una
mano sulla spalla per attirare la sua attenzione. Sussultò e istintivamente
fece diversi passi indietro spaventata, quando il nano, si girò verso di lei.
Estrasse la pistola e la puntò contro il nano, quando vide i
suoi occhi totalmente neri e dei segni elfici sull’intero volto. Gli stessi che
aveva l’essere incappucciato. Non era difficile comprendere che fosse sotto il
suo controllo e che la scusa della rissa era solo una trappola per lei. Emma
ebbe un brutto presentimento, che si intensificò quando notò gli altri sei nani
uscire dai loro nascondigli e circondarla. Ognuno di loro aveva il suo piccone
e la salvatrice, sapeva che non doveva sottovalutare quello strumento, in
quanto carico di magia. Erano potenti, tanto che quando era il signore Oscuro
pensò che con esso potesse rompere la roccia che imprigionava Escalibur. I nani si muovevano all’unisono, come se fossero
delle semplici marionette e nello stesso istante, i loro sette picconi
colpirono l’asfalto della strada.
Delle crepe partirono dalla punta dei loro strumenti ed
espandendosi, andarono a frantumare il terreno sotto i piedi di Emma, che si
ritrovò a sprofondare in una voragine, profonda diversi metri.
Emma riuscì a evitare una brutta caduta grazie ai suoi
poteri. Guardò in alto dove vide i nani guardarla dall’alto prima che l’asfalto
della strada si chiudesse magicamente sopra
la sua testa, lasciandola al buio più completo. Non era una che temeva il buio,
ma ritrovarsi sotto terra senza vedere niente non era una sensazione piacevole.
Ricorse nuovamente ai suoi poteri lanciandoli contro il soffitto dalla quale
lei era entrata per poter vedete dove si trovava e soprattutto per capire se ci
era un modo per poter uscire. La cosa positiva di possedere la magia di luce e
che quando se ne faceva uso, illuminava. Nonostante non potesse mantenerla
attiva per lungo tempo, almeno poteva comprendere in che situazione si
trovasse. Era stata praticamente sepolta viva. Era rinchiusa in uno spazio di
pochi metri quadrati e senza alcuna possibilità di uscita, in quanto quella
voragine era una sorta di prigione magica, che impediva di fa uscire la magia.
Poteva entrare però perché era ovvio che quella voragine era già presente e se
fosse stata completamente protetta dalla magia, i nani non avrebbero potuta
aprirla per imprigionarla. Ma il fatto di non poter usare la magia per uscire,
in quel preciso istante non era la sua preoccupazione maggiore. Poteva sperare
che i suoi familiari, accorgendosi della sua scomparsa, la trovassero grazie a
un incantesimo di locazione, ma avrebbe potuto richiedere tempo perché
comprendessero cosa le fosse accaduto e in quello spazio stretto, l’aria
sarebbe mancata presto. Il panico cominciò a impossessarsi di lei, ma dovette
cercare di calmarsi, perché un attacco di panico voleva dire respirare più
velocemente e consumare più ossigeno, mentre lei doveva cercare di fare
l’esatto contrario. Si sedette a terra e cercò di regolarizzare il suo respiro
e di rilassarsi, in modo tale che il suo corpo le richiedesse meno ossigeno.
Non seppe dire quanto tempo e era rimasta in quel luogo. Le
sembrava un eternità. Qualche volta provò nuovamente a usare la mia per uscire
o teletrasportarsi, ma come immaginava fu tutto
inutile. Il panico cominciava a
diventare più difficile da controllare, soprattutto quando cominciò a sentire
la mancanza di ossigeno. Non riusciva a comprendere perché quell’essere
l’avesse rinchiusa lì. Forse perché sperava che se fosse morta in un luogo
dalla quale la magia non poteva uscire, avrebbe imprigionato la sua magia i
quel luogo. Non sapeva se fosse possibile una cosa del genere, ma sapeva che
doveva cercare di stare sveglia, nonostante cominciasse a sentire le sue membra
pesanti. Ad un certo punto sentì chiaramente della magia manifestarsi vicino a
lei e purtroppo non poté nemmeno sperare che fosse qualcuno giunto a salvarla,
perché il potere oscuro era palese. Sentì qualcosa muoversi intorno ai polsi,
prima che questi venissero alzati contro la sua volontà e venisse legata alla
parete, senza possibilità di muoversi. Provò a tirare per liberarsi, ma la
mancanza di ossigeno l’avevano resa debole e la lotta fu presto persa.
“sono proprio curioso di vedere come te la caverai questa volta
salvatrice!” disse l’essere incappucciato facendosi sentire, dato che Emma non
era in grado di vederlo, ma fu egli stesso a provvedere a questo problema,
facendo comparire delle sfere di fuoco volanti che illuminavano l’ambiente e di
conseguenza consumavano il poco ossigeno rimasto.
“È questo il tuo piano? Farmi morire asfissiata in una gabbia
dove la mia magia rimarrà imprigionata, in modo tale da impossessartene?”
chiese Emma con affanno.
“No, mia cara. Se tu morissi qui sotto i tuoi poteri
morirebbero con te. Ti ho rinchiusa qui dentro per poterti rendere debole, cosi
da non ostacolarmi per l’ennesima volta!” rispose l’essere.
“Mi dispiace per te, ma il tuo piano fallirà. Senza la spada
non puoi rubare i miei poteri e non puoi viaggiare nel tempo per recuperarla! “
disse la donna con un sorriso abbozzato.
“Si mi sono accorto del tiro mancino che mi avete tirato, ma
si dia il caso che ho trovato un altro modo per ucciderti!”
“E quale sarebbe?” chiese la donna cercando di mantenere la
sua compostezza, ma per niente tranquilla di come le cose si stessero mettendo.
L’essere incappucciato sorrise e mostrò lei l’arma che
avrebbe posto fine alla sua vita.
La impugnava saldamente, con la lama ben in vista. Emma
spalancò gli occhi quando riconobbe l’arma in mano. Era il pugnale del signore
oscuro e in quell’istante, sopra vi era scritto il nome di Emma Swan.