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Autore: Nana_13    07/01/2018    1 recensioni
"...È successo tutto così in fretta che non so spiegarmi come diamine abbiamo fatto a ritrovarci in questa situazione. Vorrei solo aver dato retta alle mie amiche e rinunciato a questa stupidaggine. Potevamo passare una normalissima serata in tutta tranquillità e invece mi sono dovuta impuntare. Per cosa poi? Non lo so nemmeno io.
E adesso che forse sto per morire ho un solo pensiero che mi rimbalza in testa: non saremmo mai dovuti venire qui."
Questi furono i pensieri di Juliet la sera del ballo dell'ultimo anno. Lei e le sue amiche avevano creduto di passare una serata alternativa andando a quella festa, senza avere ancora idea del guaio in cui si stavano cacciando.
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 20

 

In ricordo di questa serata

 

“Sei solo un bastardo! Come hai potuto?” urlò Elizabeth furiosa contro l’uomo che le stava davanti. Adesso che aveva scoperto la verità si sentiva delusa e umiliata. Per tutto il tempo non aveva fatto altro che mentire. Anche se aveva giurato più volte di amarla, si era trattato solo di uno stratagemma per guadagnarsi la sua fiducia e servirsi di lei per i propri scopi. Avrebbe dovuto dare ascolto a Margaret fin dall’inizio e mai come in quel momento avrebbe voluto che fosse lì, per implorare il suo perdono. Ma ormai era troppo tardi. Tutta la sua famiglia era stata assassinata da quel mostro e dai suoi seguaci.

“Ho semplicemente restituito il favore.” rispose serafico.

Elizabeth conosceva la storia della sua famiglia e sapeva in quale modo avesse conquistato il potere, ma non le importava. Non c’erano scusanti per ciò che le aveva fatto. “Noi ti abbiamo accolto senza riserve e nonostante questo hai continuato a mentire, a fingere di amarmi…” Un singulto le bloccò le parole in gola, ma si trattenne dallo scoppiare in lacrime. Si rifiutava di perdere la dignità davanti a lui. “Voglio che tu subisca la stessa sorte che hai inflitto alle mie sorelle.” sibilò poi, implacabile. 

Lui la guardò intensamente, rivolgendole un sorriso. “È per questo che sei venuta? Per vendicarti?” le chiese, fingendosi stupito. “Ma come? Credevo di farti piacere. Credevo che le odiassi.”

Quel suo prendersi gioco di lei non fece altro che alimentare la rabbia e la disperazione che già la pervadevano, dandole un’energia inaspettata. 

Senza pensare, si scagliò contro l’uomo che le aveva tolto tutto, ma lui la bloccò prima ancora che potesse sfiorarlo e la spinse contro la parete della sala, tenendola ferma con un braccio.

Elizabeth lottò per liberarsi, ma fu tutto inutile. Non aveva la forza di guardarlo, così serrò gli occhi e lasciò che le lacrime, ormai incontenibili, le rigassero il viso. Si sentiva così impotente. “Io ti amavo…” mormorò, mentre smetteva a poco a poco di dibattersi.

“Anch’io. È per questo che devo ucciderti.” rispose lui in tono freddo. “I sentimenti che provo per te non sono altro che una distrazione.” Con l’altra mano prese ad accarezzarle il viso. Dalla guancia scese lungo il collo, fino a toccare la catena d'oro del suo medaglione. Lo prese tra le dita, fissandolo come incantato per qualche istante, prima di strapparglielo via. “In ricordo di questa serata.” le sussurrò all’orecchio.

In quel momento, lo odiò più che mai e, approfittando di quell’attimo di esitazione, afferrò il pugnale che teneva in tasca e lo piantò dritto nel petto del suo aguzzino.

Colpito al cuore, l’uomo lanciò un urlo e si ritrasse piegato in due dal dolore, lasciandola libera. 

“Questo è per la mia famiglia!” esclamò Elizabeth trionfante. Aveva vinto. Uccidendo quel verme avrebbe vendicato tutti coloro che avevano sofferto a causa sua, compresa se stessa. Purtroppo la sua gioia durò molto poco, perché non trascorsero che pochi attimi prima che lui si risollevasse, ansante come in seguito a una lunga corsa, ma inaspettatamente incolume. 

Si strappò il pugnale e gli diede una breve occhiata incuriosita, mentre se lo rigirava tra le dita, incurante del sangue che gocciava sul pavimento. “Che cosa credevi di fare, Liz?” le domandò candido. “Non avrai pensato che bastasse questo per liberarti di me?”

Paralizzata dal terrore, Elizabeth fissò quegli occhi iniettati di sangue. Nessuno sarebbe potuto sopravvivere a un colpo del genere. Era talmente scioccata che non tentò nemmeno di scappare. Rimase là dov’era, inchiodata al muro.

Fu allora che l’uomo le si scagliò contro ed Elizabeth urlò un istante prima che, con un movimento repentino della mano, le strappasse il cuore dal petto…

 

Juliet si svegliò di soprassalto, allertata dalle urla agghiaccianti di Claire, sdraiata affianco a lei. La sera prima avevano concordato di dormire insieme perché era ferita e non le andava che stesse da sola, ma ora avrebbe preferito non aver avuto quell’idea. 

Cercando di riprendersi, si voltò verso l’amica, che aveva smesso di gridare e che adesso era seduta immobile, con lo sguardo fisso nel vuoto. Le toccò una spalla, accorgendosi così che stava tremando. “Claire, che succede? Ti senti male?” La scosse leggermente, ma lei non reagì e la cosa non fece che spaventarla di più. “Ti prego, dì qualcosa!”

Claire, tuttavia, non le prestò la minima attenzione. Ansimante, continuò a guardare davanti a sé con una mano sul cuore, come a voler controllare che ci fosse ancora. Il taglio sulla fronte le pulsava, anche se pareva quasi non sentirlo.

In quel momento, i lembi della tenda si aprirono e la testa di Rachel fece capolino da fuori. Aveva gli occhi a palla per lo spavento e i capelli arruffati. “Santo cielo, che è successo? Mi si è gelato il sangue!”

Contemporaneamente si sentì Dean dietro di lei che diceva scocciato: “Se è un altro insetto, giuro che stavolta…” 

Juliet, però, coprì il resto della frase. “Non lo so! Deve aver avuto un incubo, ma non riesco a farla parlare!”

Si scambiarono un’occhiata confusa e agitata allo stesso tempo, poi Rachel entrò e, parandosi di fronte a Claire, le prese il viso tra le mani, costringendola a guardarla negli occhi. “Ehi, va tutto bene. Stai tranquilla, sei sveglia adesso.” disse in tono rassicurante, ma senza ottenere risposta. Sentendo l’ansia salire a mille, la scosse con delicatezza e finalmente parve riuscire a riportarla alla realtà. “Claire?” la chiamò con dolcezza, mentre anche Juliet aspettava una sua reazione. 

Finalmente Claire sbatté le palpebre, iniziando a poco a poco a rendersi conto di dove si trovasse. Appena sveglia, aveva creduto ancora di essere chiusa in quella stanza insieme all’uomo che voleva ucciderla. Continuava a sentirsi addosso tutta la paura e l’ansia di Elizabeth e il suo grido di dolore le risuonava ancora nelle orecchie, come se lo stesse ascoltando in quel momento. Non era certo la prima volta che la sognava e a quel punto era chiaro che non potesse trattarsi di semplici incubi. Più andava avanti più ne prendeva coscienza. “Sto bene…” mormorò incerta.

Non si era accorta che anche Cedric si era affacciato e la stava studiando con la stessa espressione ansiosa delle amiche. 

“Vuoi un bicchiere d’acqua? Te lo porto.” le chiese premuroso. 

Claire rimase in silenzio a riflettere, come se non avesse sentito. “No, grazie. Posso fare da sola.” rispose poi, tirandosi su per uscire carponi dalla tenda. “Ho bisogno d’aria.”

Fuori trovò Dean e Mark, svegliati anche loro dalle sue urla, ma non aveva voglia di vedere altri sguardi preoccupati, così andò subito a prendere una delle bottiglie d’acqua che tenevano di riserva accanto al fornello. 

Gli altri la guardarono stapparla con mani tremanti e bere avidamente. 

“Hai avuto un altro dei tuoi incubi, vero?” le chiese Rachel.

Dopo aver bevuto, Claire fece un lungo respiro e annuì. “Continuano a perseguitarmi dalla sera del ballo.” Un fruscio tra i cespugli la fece trasalire e si guardò intorno in cerca della causa. Sapeva che non era niente, ma si sentiva tesa come una corda di violino e ogni minimo rumore la metteva in allarme, come se da un momento all’altro l’uomo dell’incubo potesse spuntare da chissà dove.

“Beh, prova a parlarcene. Magari aiuta.” le propose Juliet, sempre più preoccupata. 

Claire, però, non aveva tanta voglia di rivivere quel momento. Era davvero morta per mano di qualcuno. Anche se ora, da sveglia, si rendeva conto di non essere lei la vittima, nell’incubo le era sembrato di esserlo, perché aveva sentito distintamente la mano di quel tizio entrarle nel petto. Ogni volta acquistava sempre maggiore consapevolezza di essere protagonista degli eventi e non più spettatrice.

Alzò lo sguardo e vide che tutti gli occhi erano puntati su di lei, così alla fine si convinse che forse era il caso di confidarsi, almeno per avere un consiglio, un’opinione dall’esterno.

Si prese un istante per riordinare le idee, dopodiché iniziò a raccontare, senza tuttavia entrare troppo nei particolari. Raccontò di quello che aveva visto e delle scene a cui aveva assistito, vivendole in prima persona, come se facessero parte di un passato lontano ma reale. “Più che sogni sembrano dei ricordi. Come se rivivessi la vita di questa Elizabeth, qualcosa che le è successo davvero, non frutto della mia fantasia.” spiegò. “E poi ci siete anche voi.” aggiunse, riferendosi alle amiche. “Solo che nei sogni noi tre siamo sorelle.” Pensò che non fosse il caso di dire che nell’ultimo incubo erano morte e tralasciò quel dettaglio. “La cosa assurda è che questi fatti hanno una successione cronologica, come se facessero parte di un’unica storia, ma sono anche discontinui. Ogni volta sembra che manchi qualche pezzo.” Esasperata, si tirò indietro sbuffando un ciuffo di capelli che le ricadeva sulla fronte. 

Gli altri continuarono a fissarla perplessi. Nessuno sapeva cosa dire, perché in realtà nessuno si rendeva conto di quello che stava vivendo e fino a che punto quei sogni le apparissero concreti.

“Certo, è una situazione strana.” ammise Dean, prendendo per primo la parola. “Non capita a tutti di sognare più volte le stesse persone e gli stessi contesti. Comunque, penso che non sia il caso di prendere sul serio queste cose. Sono solo sogni, in fondo. Estrapolazioni del subconscio che il cervello rielabora nel sonno sotto forma di immagini e suoni. Probabilmente è solo colpa dello stress.” minimizzò con il solito tono saccente.

Cedric sollevò un sopracciglio, guardandolo di traverso. “Eccellente spiegazione, professor Freud.” 

Dal canto suo, Claire era riuscita a stento a seguire il suo discorso, di cui aveva capito ben poco. L’unica cosa di cui sentiva assoluto bisogno era dormire almeno un’altra ora. Tutti quei ragionamenti riuscivano solo a farle aumentare il mal di testa. 

“Pensi che questi sogni abbiano a che fare con quello di Juls?” esordì Rachel d’un tratto.

Lo sguardo di Dean si spostò su di lei, assumendo un’aria indagatrice. “Di che parli?”

“Di niente, lascia stare.” tagliò corto Juliet, scuotendo la testa.

“Sinceramente non ne ho idea.” riprese Claire con aria esausta. “So solo che mi stanno facendo impazzire. Vorrei solo dormire come si deve, almeno per una notte.”

“Vieni allora. È ancora presto, prova a stenderti un altro po’.” disse Cedric, offrendosi di accompagnarla di nuovo nella sua tenda. 

Anche gli altri furono d’accordo con lui, così si convinse ad approfittarne. Magari ora che si era sfogata sarebbe riuscita a riposare meglio. 

Si sdraiò nel sacco a pelo, mentre Cedric si sedeva accanto a lei, e cercò di addormentarsi. Per un po’ non fece altro che girarsi e rigirarsi, ma il cuscino era piatto e allora si sollevò per sistemarlo. Infastidita, gli sferrò due o tre pugni decisi, per poi sdraiarsi di nuovo. Non contenta della posizione, si girò su un fianco, ma fu tutto inutile. La verità era che aveva troppa paura di chiudere gli occhi. Alla fine sbuffò, voltandosi un’altra volta a guardare fisso davanti a sé. 

“Beh?” fece Cedric, lanciandole un’occhiata eloquente. 

“Non ci riesco. Potrei sognarle ancora.”

“Le sorelle?”

Claire annuì, facendo leva sui gomiti per mettersi seduta. “Sai, non è che siano proprio umane. Sembrano più una specie di mostri.” gli rivelò in tono sommesso. “Tipo… Vampiri.”

L’espressione di Cedric era sorpresa. “Caspita...” commentò. “Agghiacciante.”

Il tono che usò la fece ridere e subito dopo contagiò anche lui; poi a Claire venne in mente che aveva rischiato la vita per aiutarla e non si era ancora degnata di ringraziarlo. “Grazie per essere tornato indietro oggi.” disse allora. “È stato un gesto davvero eroico.” scherzò. 

“Mah, all’inizio ho quasi pensato di lasciarti lì. Sai, l’istinto di sopravvivenza…” ribatté lui ironico. “Poi, però, la mia coscienza me l’ha impedito. Non è da me abbandonare una donzella in difficoltà.”

Claire scosse la testa incredula ed entrambi scoppiarono a ridere di nuovo. Solo lui avrebbe potuto dire una cosa del genere in modo così convinto e pensò che fosse la persona più stupida sulla faccia della terra. 

“Che idiota.” Lo colpì su una spalla con un pugno leggero, per un attimo dimenticando tutte le angosce.

Fingendosi risentito, lui si vendicò dandole un pizzico nello stesso punto. “Idiota a chi?” chiese piccato.

Claire boccheggiò indignata e per tutta risposta afferrò il cuscino per darglielo in faccia. Stava per sferrare il secondo colpo, quando Cedric le bloccò il braccio per impedirglielo e in men che non si dica si ritrovò praticamente sulle sue gambe. A quel punto, prese a pungolarla dappertutto, facendole il solletico.

“Basta!” implorò Claire, tentando con scarso successo di trattenere le risate. Chissà che cosa avrebbero pensato gli altri di fuori. 

“Non la smetto finché non mi chiedi scusa!” ribatté Cedric.

Lei allora ebbe un’idea. “Okay, okay!” mentì. Poi vedendolo abbassare la guardia, si rimise a sedere e cercò di ricomporsi.

“Allora? Sto aspettando.” la sfidò, trattenendola ancora per un braccio. “Hai intenzione di scusarti o no?”

“Mai.” gli sussurrò, sfoderando un ghigno di sfida. Subito dopo, si accorse di quanto fossero vicini e l’occhio le cadde inevitabilmente sulla bocca di Cedric, per poi perdersi nei suoi occhi. Le loro labbra iniziarono ad avvicinarsi pericolosamente e, prima ancora che potesse rendersene conto, erano diventate un tutt’uno. 

Quando lui approfondì il bacio con più ardore non ebbe niente da ridire. Voleva che accadesse, lo voleva da tempo, anche se stupidamente non aveva mai avuto il coraggio di ammetterlo. Con il cuore che batteva all’impazzata, lo sentì posare la mano sul suo fianco per attirarla a sé e d’istinto lo assecondò. Pian piano salì ad accarezzargli i capelli, mentre Cedric non accennava a fermarsi. Non che lo volesse ovviamente. Di pari passo all’intensità di quel contatto, Claire sentiva crescere dentro di sé l’attrazione che provava per lui, repressa per troppo tempo e, quando dovettero interrompersi per riprendere fiato, quasi si infastidì. Ad ogni modo, il distacco avvenne per gradi e per un po’ gli occhi dell’uno rimasero incollati a quelli dell’altra.

Cedric si mosse per primo, accarezzandole la guancia dopo averle rivolto un sorriso mozzafiato. “Adesso cerca di dormire.” disse con fare amorevole.

Dopo quel momento, Claire era certa che sarebbe stato ancora più difficile riuscirci, ma non lo disse. “Resta qui.” lo pregò, cercando istintivamente la sua mano. Non voleva rimanere sola. “Per favore.”

“Non vado da nessuna parte.”

Rassicurata da quelle parole, si sdraiò di nuovo, la mano di Cedric stretta ancora nella sua. Malgrado l’eccitazione per ciò che era appena successo, stavolta la stanchezza ebbe il sopravvento e il sonno non tardò ad arrivare.

Fuori, intanto, Juliet se ne stava seduta in un angolo con il viso affondato tra le mani. Si era talmente spaventata che difficilmente sarebbe riuscita a chiudere occhio. In più ci si era messa anche Rachel con i suoi ragionamenti a proposito del suo sogno, che come tipologia in effetti sembrava assomigliare a quelli di Claire. Lei però aveva visto degli eventi accaduti in passato, mentre il suo si riferiva al futuro, anche se in maniera metaforica, e inoltre aveva più le caratteristiche di un incubo nel senso tradizionale del termine.

Qualcuno le sfiorò la spalla, riportandola alla realtà, e quando alzò lo sguardo vide Rachel che le porgeva una tazza di caffè. “Vuoi?” 

Accettò volentieri, ne aveva proprio bisogno. Nello stesso momento, si sentirono le risate di Cedric e Claire provenire dalla tenda ed entrambe si lanciarono un’occhiata eloquente. Rachel sorrise e scosse la testa divertita, portando la tazza alle labbra e godendosi quell’attimo di pace, ognuna immersa nei propri pensieri.

“Non so che fare con Claire.” esordì Rachel dopo un po’, decidendo infine di renderla partecipe. “Se prenderla sul serio o lasciar perdere.”

Juliet le prestò attenzione, alzando lo sguardo dalla tazza. Era da tempo che non parlavano da sole e la cosa le fece uno strano effetto. A quanto pareva, Rachel non sembrava essersi resa conto che qualcosa si era incrinato nel loro rapporto e continuava a comportarsi con lei come se niente fosse. Quindi pensò che forse era il caso di mettere da parte ogni risentimento e concentrarsi su Claire. “Sembrava così sicura mentre ne parlava. Crede veramente in quello che dice.”

“Lo so, l’ho vista ed è proprio questo che mi preoccupa. Insomma, saranno pure molto realistici, ma rimangono pur sempre sogni.”

“Prima però non sembravi dello stesso avviso. È stata tua l’idea di un possibile rapporto tra i suoi incubi e il mio.” puntualizzò Juliet.

Lei annuì con un sospiro. “È vero, in effetti non so nemmeno perché l’ho detto. Lo sai che non ho mai creduto a queste stupidaggini.” Bevve un’altra sorsata, prima di riprendere. “È impossibile che ci sia una relazione. Sicuramente si tratta solo di coincidenze.” concluse risoluta.

Dal canto suo, Juliet non poté fare altro che essere d’accordo. “Forse è solo stanchezza.” minimizzò.

Fu allora che Cedric uscì dalla tenda ed entrambe si voltarono nella sua direzione. Quando Rachel gli chiese se Claire dormisse, lui la guardò con aria vagamente intontita, prima di fare cenno di sì con la testa e andare a prendersi il caffè. 

“Direi che per noi ormai è inutile tornare a dormire.” osservò Mark, mentre gliene porgeva una tazza. “È quasi l’alba”.

Dean si mostrò d’accordo. “Ce ne andremo non appena Claire si sarà svegliata.”

Quando il sole iniziò a fare capolino dalle montagne, avevano già in gran parte smontato il campo e Juliet andò a svegliare Claire. Le cambiò la fasciatura del giorno prima con un una pulita e poi la lasciò a vestirsi. 

In breve furono tutti pronti a partire. Il tempo si stava rimettendo, nonostante le premesse, e il cielo quasi libero da nuvole presagiva una bella giornata. Fu quella la scusa che Dean utilizzò per farli scarpinare fino all’ora di pranzo, senza concedere loro neanche una piccola sosta a metà mattinata. Così, quando finalmente arrivò il momento di mangiare, lo accolsero con sospiri sollevati ed espressioni di gratitudine. 

Si sedettero stremati all’ombra di un enorme abete, ma quando Juliet aprì la sacca dei viveri si rese subito conto che a malapena sarebbero bastati per il pranzo. 

“Beh, era abbastanza scontato.” commentò Cedric, guardando Dean di traverso. “Chi immaginava di dover fare tutta questa strada?” 

Pur avendo colto l’allusione, lui si limitò come al solito a ignorarlo. 

Finiti anche gli ultimi residui di cibo, si incamminarono di nuovo e non fecero più soste, finché una recinzione metallica non sbarrò loro la strada e li costrinse a fermarsi. Doveva essere molto estesa, visto che in entrambe le direzioni non se ne vedeva la fine. A ulteriore protezione, sulla sommità avevano posto una cortina di filo spinato, per evitare che qualcuno scavalcasse. 

Per un po’ la costeggiarono, incerti sul da farsi. Di sicuro non potevano tornare indietro, ma apparentemente non c’era alcun modo per oltrepassarla. 

Andarono avanti così per parecchio, finché Dean non individuò un punto dove il metallo sembrava essere stato piegato, come se un animale ci fosse passato sotto per arrivare dall’altra parte. Approfittando della piccola falla che si era creata, si inginocchiò e con poco sforzo riuscì a piegarla ancora di più, in modo che ci si potesse passare uno alla volta. 

“Che stai facendo?” gli chiese Mark allibito. “Non hai letto il cartello?” Indicò un rettangolo di latta posto a poca distanza da loro che intimava: Proprietà privata. Vietato l’accesso.

Dean annuì. “Ho visto, ma l’alternativa richiederebbe troppo tempo e non abbiamo viveri a sufficienza.” Poi si voltò a guardarli. “Quindi, preferite fare il giro e morire di fame o prendere la scorciatoia?”

Quell’ultima domanda li convinse a seguirlo oltre la recinzione, anche se con non poca fatica, dato l’ingombro degli zaini. 

“Comodo, sempre più comodo.” si lamentò Cedric, mentre si toglieva il suo e lo spingeva oltre l’apertura, per poi chinarsi carponi e passare.

Dall’altra parte non c’era più un sentiero da seguire e la vegetazione si faceva più fitta, tanto da schermare i raggi del sole. Procedettero senza meta, finché il ringhiare allarmante di un animale attirò la loro attenzione.

Si guardarono intorno, cercando di capirne la provenienza, ma all’inizio non videro niente. Di lì a poco, però, un grosso segugio sbucò dalle fronde di un cespuglio e venne verso di loro con aria minacciosa. Camminava lentamente e mostrava i denti, accucciato in posizione d’attacco.

“Ehm… Che facciamo adesso?” chiese Juliet, fissandolo allarmata. 

In un primo momento, rimasero tutti fermi a studiarsi a vicenda. Compreso il cane. 

 “Lasciate fare a me.” si offrì Cedric infine, avvicinandosi per cercare di ammansirlo. “Ehi, bello!” Ma l’unico risultato che ottenne fu di aizzarlo ancora di più. “Okay, come non detto.” 

“Marvin!” Sentirono chiamare d’un tratto in lontananza. “Dove sei?”

Al suono di quella voce il cane abbaiò, come per farsi trovare dal padrone. Poco dopo, infatti, venne raggiunto di corsa da un signore dall’aspetto rude, probabilmente sulla settantina, che imbracciava un grosso fucile da caccia. Indossava un vecchio gilet di pelle su una camicia a quadri e un cappello da mandriano sotto il quale però non c’erano capelli. 

“Hai trovato quel maledetto coyote?” chiese al segugio, un attimo prima di accorgersi della loro presenza. Quando li vide si fermò di colpo, visibilmente stupito. “E voi chi diavolo siete?” Senza neanche aspettare una risposta, sollevò il fucile, puntandoglielo contro. “Che ci fate nella mia proprietà?” Dal tono e dall’espressione non sembrava il tipo che accoglieva di buon cuore i visitatori.

Mark si fece avanti per primo, le mani sollevate in segno di resa. “Okay, manteniamo la calma...” 

“Ho messo un cartello che vieta l’accesso.” lo interruppe brusco, senza abbassare il fucile. “Non sapete leggere voi dannati turisti?”

“Ci scusi, non avevamo cattive intenzioni…”

“Sì, come no. Dicono tutti così.” lo interruppe di nuovo. “E poi ti ritrovi con un pollo in meno. Mi prendete per fesso?”

“Non siamo ladri, siamo campeggiatori.” ribatté Dean punto sul vivo.

Intuendo che quel tono non li avrebbe aiutati ad amicarsi il vecchietto, Rachel decise di correre ai ripari. “Senta, ci dispiace di essere entrati qui senza permesso, ma sa siamo in viaggio da settimane e non abbiamo più niente da mangiare.” spiegò, rivolgendogli il sorriso più cordiale che le riuscì. “Ci chiedevamo se potesse aiutarci. Giusto qualche provvista e toglieremo subito il disturbo.”

“Gliene saremmo davvero grati.” si aggiunse Juliet, sbucando da dietro la spalla di Cedric.

In un primo momento, l’uomo non sembrò molto convinto. Si mise a squadrarli uno ad uno, come a cercare ulteriori conferme nei loro sguardi. Forse fu la richiesta, che sapeva molto di supplica, o la vista di come erano ridotti a fargli abbassare il fucile, che comunque continuò a tenere ben saldo. 

“D’accordo.” acconsentì alla fine, con un cenno del capo. “Ma solo il tempo di rifocillarvi. Non voglio avervi sulla coscienza.” Con un gesto brusco della mano fece loro capire che dovevano seguirlo e li precedette nella boscaglia, con il fedele Marvin che gli trotterellava accanto. 

Non sapevano dove li stesse portando, ma non aveva importanza. La sola certezza di mangiare di nuovo qualcosa di decente bastò a rimettere tutti in forze e di buon umore.

In presenza del vecchietto nessuno fiatò, anche perché non c’era niente da dire. Ogni tanto Marvin si allontanava chissà dove, forse all’inseguimento di qualche scoiattolo, per poi ricomparire al richiamo del padrone.

Man mano che camminavano, la boscaglia si faceva sempre meno fitta, finché non lasciò spazio a una vasta area di campi coltivati. Poco distante sentirono anche dei muggiti, segno che da qualche parte dovesse esserci una mandria di mucche al pascolo. 

Era già il tramonto quando riuscirono a intravedere il profilo della costruzione in legno all’orizzonte e più si avvicinavano più ne scorgevano i dettagli. Era a due piani, dipinta di bianco e dall’aspetto vissuto. I davanzali esterni delle finestre erano ornati da vasi di fiori accuditi con cura e sulla sinistra, a poca distanza dalla casa, c’era un fienile con accanto quella una grande stalla. 

“Sarah! Sono tornato!” gridò l’uomo, una volta varcato il cancelletto del giardino antistante l’entrata. Sulla cassetta della posta lessero il nome Weaver dipinto con la vernice rossa.

“Dove accidenti sei, moglie?” gridò ancora.

A quel punto, una donna anzianotta in grembiule e cappello di paglia sbucò a passo svelto dal retro della casa, tenendo tra le braccia un cestino di vimini. “Non c’è bisogno di urlare, sono qui.” rispose trafelata. “Stavo finendo di raccogliere i pomodori.” Poi, quando si accorse che il marito non era solo, la sua espressione si fece interrogativa. “E questi ragazzi?”

Lui fece spallucce con aria rassegnata. “I soliti turisti. Li ho pescati nel bosco che vagabondavano.” spiegò con fare sbrigativo, come se non fosse una novità. “Dicono che hanno finito da mangiare.”

“Salve signora, piacere di conoscerla.” La salutò Rachel, porgendole la mano con un sorriso.

La donna ricambiò cordiale, anche se ancora un po’ confusa. “Il piacere è mio, ma ti prego chiamami Sarah.”

“Io sono Rachel. Ci dispiace disturbare, ma siamo proprio a corto di cibo e non sapevamo a chi altro rivolgerci.” chiarì subito dopo. Qualcosa le diceva che con lei trattare sarebbe stato più semplice.

La signora Weaver la squadrò da capo a piedi, per poi passare agli altri, e in poco meno di cinque secondi capì la situazione. Non era difficile intuire che non stavano mentendo. Più che campeggiatori dovevano sembrare degli sfollati. “Poveri ragazzi, come siete ridotti. Che vi è successo?” chiese preoccupata, accorgendosi tra le altre cose del cerotto che Claire sfoggiava in bella vista sulla fronte. 

“È una storia lunga.” rispose Cedric, abbozzando un sorriso. “Diciamo solo che abbiamo quasi rischiato di essere schiacciati da una montagna.” scherzò amaro.

Lei spalancò gli occhi incredula. “Ah sì, la frana! Ne parlavano al telegiornale proprio stamane. Non ditemi che voi eravate là.”

Tutti annuirono e Cedric confermò. “Già.”

“Ma allora dovete assolutamente restare! Non posso permettervi di andarvene in queste condizioni.” sentenziò lei in tono definitivo.

Quella proposta inaspettata lasciò di stucco sia loro che il marito, che esclamò indignato: “Donna, ma che dici? Ti ha dato di volta il cervello?” 

Evidentemente non gradiva la presenza di estranei in casa sua.

La signora però gli fece segno di tacere, sventolando la mano. “Oh, smettila Stuart.”

Lui stava per ribattere, ma la moglie non volle sentire ragioni. 

“Grazie infinite, ma non ce n’è bisogno.” intervenne Mark. “Non vorremmo essere di peso…”

“Stai scherzando? Assolutamente no.” lo interruppe categorica. “Ormai è deciso. Sarete nostri ospiti anche per la notte.” 

“Pure?” protestò il signor Weaver polemico.

Lei gli lanciò un’occhiata raggelante. “Non pretenderai che dormano all’addiaccio dopo quello che hanno passato?” Poi tornò su di loro e la sua espressione mutò, divenendo di nuovo cortese. “Prego, entrate pure.” li invitò, facendo strada in giardino fino alla porta di casa.

Il marito dimostrò il proprio dissenso girando i tacchi e, senza smettere di borbottare, si diresse alla stalla con il fedele Marvin al seguito.

“Non badate a Stuart. È così sospettoso perché non vi conosce, ma gli passerà.” li rassicurò, guidandoli all’interno. 

L’ambiente era rustico, ma accogliente. In fondo al salotto spiccava un grosso camino in pietra, davanti al quale erano poste due poltrone dal gusto un po’ retrò, e sulle pareti rivestite da carta da parati a motivi floreali erano appesi diversi quadri e fotografie di famiglia. Una famiglia alquanto numerosa. 

“Ha davvero una splendida casa, signora Weaver.” si complimentò Claire, guardandosi intorno.

“Oh, grazie tesoro.” sorrise lei di rimando. “Se volete usare il telefono, fate pure. Non oso immaginare quanto debbano essere in pensiero i vostri genitori.” Indicò l’apparecchio posto su un tavolino basso accanto alla cristalliera. In effetti non sentivano le proprie famiglie da almeno due settimane, ma nel trambusto di quei giorni era passato di mente a tutti. 

Per prima cosa, Claire chiamò suo zio e lo pregò di venirli a recuperare, anche se non le permise di spiegarsi finché non lo ebbe rassicurato di stare bene. Evidentemente aveva saputo dai suoi che era un bel po’ che non si faceva sentire e soprattutto che in quella zona si era verificata una frana. 

Poi approfittò della sua influenza su di lui per chiedergli di fare da mediatore con i suoi genitori, di sicuro già arrabbiatissimi. Il solo pensiero di doverli affrontare le faceva perdere la voglia di tornare a casa. Zio Gordon la trattenne un quarto d’ora al telefono, assicurandole il suo appoggio ma facendole anche promettere che li avrebbe chiamati.

“Allora?” chiese Rachel quando la vide riagganciare. “Che ha detto?”

“Che manderà qualcuno a prenderci, ma dobbiamo aspettare un paio di giorni.”

Cedric si abbandonò afflitto contro lo schienale della poltrona su cui era seduto. “Per favore, dimmi che scherzi.” 

Claire scosse la testa, ma evitò di guardarlo. “Prima è impossibile.”

“Bene, perfetto.” commentò Rachel, incrociando le braccia con un sospiro. “Non so dove passeremo questi due giorni. Di scarpinare ancora non se ne parla…”

“Se volete rimanere qui non c’è nessun problema.” La voce della signora Sarah arrivò dalle loro spalle, mentre scendeva dal piano di sopra con un grosso cesto tra le braccia pieno di lenzuola aggrovigliate. 

“Ma le pare?” intervenne Juliet. “Ci mancherebbe che le invadiamo casa per due giorni.” 

“Se non volete camminare mi sembra l’unica soluzione.” osservò Dean con il solito tono pratico.

Juliet non rispose, ma lo fissò ad occhi spalancati e il messaggio fu chiaro. Possibile che non si rendesse conto di essere inopportuno?

“Ma suo marito…” fece per dire Rachel. Dubitava che sarebbe stato contento della notizia.

Invece la signora minimizzò, sventolando la mano con fare rassicurante. “Non preoccuparti, cara. Qui si fa quello che dico io.” disse, facendoli sorridere. “Allora è deciso. Vado a mettere le lenzuola in lavatrice e poi prendo quelle pulite per rifarvi i letti.”

All’inizio fece un po’ di resistenza quando le ragazze si offrirono di aiutarla, ma poi accettò. Era il minimo che potessero fare, vista la sua gentilezza. 

Prima di seguirla, però, si presero del tempo per telefonare ai genitori, così da togliersi il pensiero. Il padre di Juliet fu decisamente l’osso più duro, ansioso com’era, ma alla fine riuscì a rabbonirlo spiegandogli la storia dello zio di Claire e promettendo di richiamarlo quella sera stessa, dopo cena.

Una volta che ebbero chiamato tutti, Sarah li precedette su per le scale per mostrare loro le stanze da letto. Le ragazze avrebbero dormito nella camera delle sue figlie, mentre i ragazzi in quella del figlio, che a quanto pareva non era in casa. Dopodiché, si offrì di lavare i loro vestiti sporchi e li invitò a non fare complimenti se volevano farsi una doccia. Ovviamente non ne fecero.

Mon Dieu, un bagno!” Rachel si lasciò sfuggire un’esclamazione di gioia mista a commozione la prima volta che mise piede nella stanza da bagno adiacente alla loro camera. “Un bagno vero!” Era trascorso quasi un mese dall’ultima volta che aveva visto una doccia e adesso non vedeva l’ora di poterla usare.

Come se non bastasse, visto che non avevano niente di pulito da mettersi, Sarah mise a disposizione gli armadi dei figli. 

“Non le sarò mai grata abbastanza.” disse Juliet, mentre sceglieva tra due vestiti a fiori appartenuti alle figlie della signora, che ormai non abitavano più lì. “È incredibile che esistano ancora persone così.”

“Già.” concordò Claire, che alla fine optò per un paio di shorts e una camicia. I fiori non facevano per lei. La proprietaria dei vestiti doveva essere stata più alta e decisamente più robusta, ma avrebbe dovuto adattarsi, visto che tutto ciò che possedeva era rovinato o da lavare.

Era quasi ora di cena quando furono tutte pulite e sistemate, così decisero di scendere per aiutare ad apparecchiare. Passando davanti al salotto trovarono Stuart seduto sul divano a guardare la televisione ad alto volume. Non sapevano se la moglie lo avesse già avvertito della loro permanenza, perciò cercarono di fare meno rumore possibile per non infastidirlo. Accucciato ai suoi piedi, Marvin fu l’unico a sentirli arrivare e sollevò la testa incuriosito, prima di distogliere di nuovo lo sguardo con aria annoiata. 

Alla cucina si accedeva tramite un arco che la separava dalla sala da pranzo, dove c’era il tavolo già completo di tovaglia. Dopo essersi fatte dare il resto dell’occorrente, si diedero da fare per rendersi utili. 

“Serve una mano?”

Mentre posizionava posate e tovaglioli, Claire non si accorse della presenza di Cedric e, presa alla sprovvista, si irrigidì tutto a un tratto, per poi rivolgergli un sorriso quasi impercettibile e passargli qualche forchetta. 

Da quando si era svegliata quella mattina non aveva pensato ad altro che a quanto era successo tra loro e soprattutto al fatto che le fosse piaciuto. E molto. Purtroppo era proprio questo il problema che le corrodeva il cervello. Era più di un mese che il suo rapporto con lui oscillava peggio di un’altalena, senza riuscire a definirlo, e forse proprio per questo si era lasciata andare. In un certo senso aveva sperato che quel bacio le chiarisse le idee, mentre invece non aveva fatto altro che confondergliele ancora di più. Una parte di lei voleva davvero aprirsi a Cedric e rendersi disponibile, ma ce n’era un’altra che le suggeriva il contrario, perché in fondo aveva paura di soffrire di nuovo. 

“Volevo chiederti se va tutto bene.” 

Il volume della televisione le avrebbe impedito di sentirlo, se non le avesse quasi parlato all’orecchio, probabilmente per non attirare l’attenzione delle altre. A quel punto, fu costretta a guardarlo e si accorse che si era fatto la barba. Il suo aspetto curato lo rendeva più attraente del solito e non poté fare a meno di ripensare a qualche ora prima, quando le loro labbra erano incollate le une alle altre. Per un po’ rimase imbambolata a studiare ogni particolare del suo viso, prima di ricordare che le aveva fatto una domanda. “Sì, certo…” esitò, schiarendosi la gola. “Perché non dovrebbe?” Aveva intuito quale piega stava prendendo il discorso e sperava di poterne uscire facendo la vaga.

“Perché è tutto il giorno che mi eviti e ho pensato che forse è colpa mia.” spiegò, più preoccupato che altro. “Ti sei offesa per qualcosa che ho fatto?”

Senza la minima idea di cosa dire, Claire si concentrò sulla tavola, anche se ormai aveva finito le posate. Eppure qualcosa doveva rispondergli. “No, non dipende da te.” disse infine. “Sono solo stanca. Ho dormito talmente poco…” Cercò di usare un tono rassicurante e anche di sorridere, in modo da non metterlo sull’avviso e non fargli capire cosa provava. Sapeva che con lui bastava un solo passo falso per tradirsi. Gli avrebbe parlato, prima o poi, ma non era quello il momento.

Cedric continuò a studiarla per qualche istante, poi non trovò niente su cui insistere e annuì, anche se poco convinto.  

Claire iniziava a sudare freddo, ma per sua fortuna arrivò Juliet a salvarla. 

“Parlano della frana in tv.” annunciò a voce bassa, rivolgendosi sia a loro due che a Rachel, che arrivava dalla cucina con i bicchieri.

Insieme si avvicinarono all’ingresso del salotto, rimanendo sulla soglia per non sembrare invadenti, e guardarono il servizio che riprendeva la valanga di roccia rotolata giù dalla montagna. Una scena davvero impressionante, anche se mai quanto viverla di persona. D’un tratto si resero conto di essere stati davvero miracolati.

“Dopo questa, non voglio più sentir parlare di campeggio in vita mia.” commentò Rachel, con lo sguardo ancora fisso sullo schermo.

Intanto, anche Dean e Mark erano scesi, giusto in tempo per sentire la voce della signora avvertirli che la cena era pronta. 

Il tavolo non era abbastanza grande per tutti, così dovettero stringersi, ma la fame era così tanta che stare scomodi non rappresentava affatto un problema. 

La signora mise al centro un grosso piatto colmo di cosce di pollo e c’erano due cestini con pane e grissini vari. Nonostante l’aspetto invitante, per educazione non si fiondarono subito sul cibo e attesero che fosse lei a riempire i piatti con porzioni più che abbondanti. 

Alla vista di tutto quel ben di Dio, Cedric non riuscì a trattenersi. “Finalmente! Cibo vero.” Poi guardò Juliet, seduta accanto a lui. “Senza offesa, Juls.”

Lei non si risentì, anzi sorrise. In fondo aveva ragione, ma non era stata colpa sua. Se solo avesse avuto più ingredienti a disposizione avrebbero mangiato meglio.

Anche la signora Sarah ridacchiò, prima di sedersi a sua volta. “Buon appetito.” augurò a tutti, invitandoli a iniziare.

Non sapevano se fosse la fame a parlare per loro, fatto sta che trovarono tutto delizioso. Per un po’ mangiarono di gusto senza dire nulla, poi la signora ruppe il ghiaccio. “Allora, raccontateci. Da dove venite?”

Mark aveva la bocca libera e rispose per tutti. “Siamo partiti da Greenwood circa un mese fa.”

“Greenwood?” Il signor Weaver lo fissò alquanto sorpreso. “Dovete aver camminato parecchio.”

Cedric annuì con un sospiro. “Già. Non sa quanto.”

Per prima cosa, raccontarono del tragitto in macchina fino a Wisdom e della festa.

“Ah, sì? C’è andato anche nostro figlio.” disse la signora. “Forse l’avete incontrato.”

Il marito agitò la mano per farla tacere. “Ma che ne sanno? Lasciali continuare.”

Proseguirono parlando del viaggio a piedi attraverso i sentieri di montagna e delle peripezie che avevano dovuto affrontare. Tutto per raggiungere la famosa baita, che secondo Dean non era poi molto lontana da lì. 

“E perché non avete continuato in macchina?” chiese Stuart perplesso, dopo essere rimasto ad ascoltarli fino alla fine. “Capisco la voglia di fare campeggio…”

“Perché non esiste una strada asfaltata che porti fin là.” disse Dean per tutta risposta. “L’unico modo era lasciare l’auto e andare a piedi.”

L’uomo si scambiò un’occhiata con la moglie, prima di rivolgersi di nuovo a lui. “Ma vorrai scherzare! Se da Wisdom continuavate sulla novantatreesima fino a Stevensville, poi c’era la Creek road che è a un tiro di schioppo da qui.”

Il silenzio scese sui presenti e Cedric puntò lo stesso sguardo sconcertato degli altri su Dean. “In parole povere, ci hai fatto buttare sangue per un mese su quei maledetti sentieri, quando avremmo potuto comodamente viaggiare in macchina?” Il tono della domanda era retorico, ma si aspettava lo stesso una qualche reazione da parte sua. Se l’aspettavano tutti, in realtà.

Dean passò in rassegna le loro facce, probabilmente sentendosi sotto processo e dalla sua espressione si intuiva che stesse cercando un modo per tirarsi fuori dall’impaccio. 

“Anche se l’avessi saputo, non si poteva arrivare alla baita con l’auto. Avremmo dovuto comunque lasciarla da qualche parte.” 

“Ma ci saremmo risparmiati un sacco di strada!” ribatté Claire incredula, interpretando il pensiero comune. Oltretutto, avrebbero anche evitato di rischiare più volte la vita. 

Per fortuna, intervenne la signora Weaver a salvare Dean dal linciaggio. “Suvvia, non pensateci più. Quel che è fatto è fatto.” disse per calmare gli animi. “Godiamoci la cena adesso.”

Decisi a tornare sulla questione in un altro momento, accettarono il consiglio e ripresero a mangiare.

Dopo aver finito pollo e purè, la signora tornò dalla cucina con un cesto di mele di vari colori. “Queste dovete assaggiarle. Vengono dal nostro frutteto.” 

Juliet era già piena come un uovo, ma ne prese una lo stesso per non sembrare sgarbata. “Volevo ringraziarla a nome di tutti per l’ospitalità.” disse alla signora, mentre iniziava a sbucciare la mela. “Già era stata generosa a farci restare per la notte, ma addirittura ospitarci per due giorni…”

Quell’ultima frase attirò l’attenzione del signor Weaver, prima rivolta alla tv. “Due giorni? In che senso, donna?” chiese in tono inquisitorio.

“Non te l’avevo detto?” Lei sembrò realizzare solo allora della dimenticanza. “I ragazzi rimarranno qui finché non vengono a prenderli.” spiegò innocente, per poi tornare a rivolgersi a Juliet con un sorriso. “Comunque, non c’è di che tesoro.”

Il marito non sembrava affatto contento della cosa e stava già per opporsi, quando Mark corse ai ripari. “Stia tranquillo, non vogliamo approfittarne per stare qui a sbafo. Potremmo aiutarla con i suoi lavori, se è d’accordo.” 

“Non è necessario. Siete ospiti…” ribatté la signora.

“Insistiamo.” 

L’espressione sul volto dell’uomo divenne pensierosa, segno che ci stesse riflettendo e che l’idea non gli dispiacesse affatto. “In effetti, un po’ di braccia in più ci farebbero comodo a me e a Bob.”

“Stuart!” La moglie gli lanciò un’occhiataccia.

“Che c’è? Il ragazzo si è offerto.” si difese, indicando Mark. “Dì un po’, avete mai lavorato in un ranch voi?” 

“Mio nonno ne aveva uno.” rispose Cedric. “Ma ci andavo da piccolo...”

“Visto?” Stuart si rivolse di nuovo alla moglie. “Sarà una bella esperienza.” Detto questo, si versò dell’altro vino nel bicchiere e lo sollevò a mo’ di brindisi. “Allora abbiamo un accordo.”

Sia Mark che Cedric risposero a quel gesto un po’ teatrale, alzando a loro volta i bicchieri con aria allegra, se non altro contenti di essere riusciti a convincerlo. 

Ne ebbero la conferma quando dopo cena, mentre sua moglie e le ragazze sparecchiavano, li invitò a bere un bicchiere di scotch in salotto. Il suo atteggiamento nei loro confronti si era fatto stranamente molto più amichevole ora che si erano offerti di lavorare per lui.

Una volta ultimate le faccende, anche le ragazze si spostarono in salotto, dove il signor Weaver si stava vantando con i ragazzi dei premi che aveva vinto negli anni alla fiera del paese. Una fotografia di cui andava particolarmente fiero era quella di lui che esibiva orgoglioso un’enorme zucca e si mise a raccontare la storia di come era riuscito a farla crescere così tanto.

Per un po’ Juliet rimase ad ascoltarlo, finché non sentì il bisogno di prendere una boccata d’aria, così si defilò senza farsi vedere. 

Il portico era ampio, arredato con un divano di vimini e vasi di fiori sparsi qua e là; tuttavia non si sedette, preferendo affacciarsi alla ringhiera che dava sul giardino e mettendosi a osservare il cielo limpido e carico di stelle. Guardarle le faceva tornare in mente lei e suo fratello da piccoli, quando facevano a gara a chi ne contava di più, e in quel momento si rese conto di quanto ne sentisse la mancanza. Stare in quella casa con delle persone così gentili, cenare tutti insieme, l’aveva resa nostalgica.

Era talmente presa da quei puntini luminosi da non accorgersi dell’arrivo di Dean. 

“Ehi.” esordì, sorpreso di trovarla lì fuori. 

“Ehi.” ripeté lei, sentendosi un po’ sciocca. “Come mai qui?”

Lui si appoggiò al parapetto poco più in là. “Dentro cominciavo a soffocare. Tu invece?”

Juliet fece spallucce. “Niente di che. Avevo solo bisogno di un po’ d’aria fresca e volevo dare un’occhiata alle stelle.”

“Le stelle?” Dean sembrò non capire.

“Sì, le guardo sempre quando sono triste.” spiegò. “Se immagino che anche i miei genitori le stiano guardando, mi sento più vicina a loro.” 

La squadrò con aria perplessa, lasciandole intuire che per lui quel discorso non avesse molto senso. 

Un po’ imbarazzata, distolse lo sguardo, fiera ancora una volta dell’immagine da disturbata che aveva dato di se stessa. Quindi cercò di elaborare al più presto un nuovo argomento, ma l’unico che le venne in mente non era dei migliori. “Non hai chiamato nessuno prima…” esordì incerta.

“Non c’è nessuno da chiamare.” le rispose in tono piatto.

Non sembrava infastidito, ma Juliet si rese comunque conto di aver parlato a sproposito. “Scusami, non avrei dovuto chiedertelo.”

“È tutto apposto.” la rassicurò.

Trascorsero i minuti successivi in un silenzio imbarazzante, mentre lei ogni tanto gli lanciava qualche occhiata di sottecchi di cui Dean parve non accorgersi. Poi l’attenzione le cadde sulle sue mani ancora bendate e la domanda sorse spontanea. “Non credi che sia il caso di cambiare le fasciature?”

Dean abbassò lo sguardo non appena glielo fece notare, dopodiché girò i palmi e li osservò come se a malapena ricordasse di essersi ferito.

Senza dargli il tempo di rispondere, Juliet si mosse e gli afferrò una mano per controllare lo stato delle escoriazioni. “Vediamo…” Sfilò una delle estremità per iniziare a srotolare la fasciatura, ma Dean fu più veloce e le impedì di continuare. Improvvisamente, si ritrovò nella situazione opposta, con lui che le teneva la mano e la guardava fisso. 

I suoi occhi, spalancati in un’espressione incredula, si spostarono dalle loro mani intrecciate a quelli di Dean, che come al solito ebbero il potere di ipnotizzarla. Se ne sentiva attratta come il metallo alla calamita.

“Sto bene.” le assicurò serio. “Non preoccuparti.”

Juliet non sapeva cosa dire, la voce completamente andata e la salivazione a zero. Avrebbe dato qualsiasi cosa per smettere di guardarlo, per togliersi da quell’impaccio, ma non ne aveva la forza. Adesso erano più vicini, non abbastanza da provocare ciò che stava pensando, ma vicini…

Mon Dieu! Sono sfinita.” Rachel spalancò con poca grazia la porta d’ingresso e si accasciò con un sospiro sul divanetto di vimini di fronte a loro. 

Colti alla sprovvista, entrambi reagirono allo stesso modo. Ritrassero le mani contemporaneamente, provvedendo così a ristabilire le giuste distanze. Solo che, mentre lui riuscì bene o male a nascondere l’imbarazzo guardando da un’altra parte, Juliet rimase lì impalata nella stessa posizione. 

Rachel comunque non fece caso a nessuno dei due, troppo stanca per notare certi dettagli. “Non posso credere che stanotte dormirò in un letto vero.” 

“Già.” concordò Juliet distratta. “Infatti, penso che me ne andrò di sopra. Sono davvero a pezzi.” tagliò corto, augurando poi la buonanotte a entrambi e rientrando in casa. 

Si sentiva al settimo cielo e non voleva rischiare di guastarsi la serata proprio adesso. Quella notte sperava di sognare la stessa scena di lei e Dean sul portico e che almeno stavolta Rachel non sarebbe intervenuta per rovinare tutto.

 
   
 
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