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Autore: sunburstsandmarblehalls    09/01/2018    1 recensioni
Tutti sappiamo chi sono, ma nessuno li conosce com'erano prima della guerra, prima della fama, prima delle morti.
Allora erano solo ragazzi, con problemi di voti, amore, amicizia, identità, famiglia. Solo Lily e le sue compagne di stanza. Solo i Malandrini. Solo i loro amici.
Poi iniziarono a succedere cose strane a Hogwarts, e cambiò tutto.
Si trovarono in mezzo a un mistero, e non ne sarebbero usciti se non assieme.
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: James Potter, Lily Evans, Peter Minus, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Lily stava facendo un sogno stranissimo.
Era in una stanza buia – sapeva in qualche modo che si trovava dentro il castello, ma non sapeva dove.
Stava tenendo per mano Anna alla sua sinistra e Mary alla sua destra, erano sedute sul pavimento. C’era odore di polvere e di chiuso e di umidità.
Dritto davanti a lei c’era James, illuminato da una luce soffusa, in piedi in mezzo alla stanza. Teneva la bacchetta alla propria gola, con gli occhi vuoti e i muscoli rilassati, ma non faceva niente.
Lily corrucciò le sopracciglia e scosse la testa. Per qualche motivo, sapeva che stava provando a farsi del male. Ma allora perché nessuno faceva niente?
Passò qualche momento, e James continuò a non fare nulla.
Poi, lentamente, puntò la bacchetta davanti a sé: dritto verso Sirius. Sirius si alzò in piedi, tranquillo, e guardò la punta della bacchetta come se stesse guardando un cielo stellato.
Lily ritornò a guardare James, e fu solo per quello che notò che lui pronunciò una parola a bassa voce.
“Crucio.”
Si mise le mani sulla bocca per bloccare il proprio urlo e sgranò gli occhi, ma non successe nulla.
La bacchetta non si illuminò, Sirius rimase immobile. Tornò a sedersi.
James si girò su se stesso, e puntò la bacchetta dritto verso di lei. Lily ancora non aveva messo giù le mani dal proprio viso, e trattenne il respiro.
Questa volta James disse “Stupeficium.”
Di nuovo, non accadde nulla.
Questa volta James si girò quasi del tutto, e si fermò davanti a Severus. Questo parve confuso, e si guardò attorno un attimo, ma alla fine si alzò.
“Musculi spasmum.”
Infine, funzionò.
Severus fece una smorfia e la gamba sulla quale era puntata la bacchetta di James si irrigidì, facendolo cadere in ginocchio.
Lily si svegliò.
 
 
 
Quel pomeriggio Lily radunò tutti quanti – anche Mary ed Emmeline, a cui avevano raccontato tutto – nello studio dei prefetti, e mostrò loro il quaderno di Aritmanzia.
“Merlino” sussurrò Sirius, sfogliandolo; e Mary si alzò per darle un abbraccio.
“Cosa significa?” chiese Remus. Lily scosse la testa.
“Non lo so. So solo che l’ho scritto io, ma non mi ricordo di averlo mai fatto. E l’ho trovato sotto al mio materasso. Vi ricordate la notte in cui ci avete prestato il mantello l’hanno scorso?” Chiese ai Malandrini. “Io e Anna ci eravamo dette di nasconderci sotto il letto un messaggio nel caso qualcosa fosse andato storto e voi ci aveste tolto la memoria o qualcosa,” guardò Anna per conferma, e questa annuì. “Penso di averlo messo io lì. Per me stessa, nella speranza che lo trovassi. Ma non capisco perché.”
“Perché non hai scritto più chiaramente quello che volevi dirti, allora?”
Lily alzò le spalle. Era più persa di loro. “Non lo so. Forse nemmeno io – cioè, l’altra me, forse nemmeno lei lo sa.”
Spostò lo sguardo sul quaderno che aveva ormai riletto un milione di volte e, come sempre, sentì il timore crescerle nello stomaco e arrampicarsi fino alla gola.
Non aveva idea di cosa le stava succedendo.
“Qualsiasi cosa sia, sta andando avanti da mesi.”
“Scopriremo di cosa si tratta,” le assicurò James, ma lei non sapeva se credergli.
 
 
Mentre uscivano, fermò Emmeline.
“Tu credi nei sogni, giusto?”
“Certo, perché?”
“Ho fatto uno strano sogno questa notte, e penso che voglia dire qualcosa.”
Em emise un respiro e le rivolse un sorriso rassicurante.  “Hai appena scoperto questa cosa, e stai sopportando un sacco di stress. Forse è solo la tua mente che reagisce.”
“Ma se fosse la mia mente che prova a dirmi qualcosa? Non ricordo sogni interi da, beh, da mesi, e tutte le scritte sul quaderno hanno a che fare col dormire e l’essere svegli. Forse questo sogno vuol dire qualcosa.”
“Come un messaggio?” Lily annuì. “È possibile. Magari la tua parte inconscia sta cercando di parlarti. Cosa hai sognato?”
“James. Ha provato a fare del male prima a se stesso, poi a Sirius e infine a me, ma non ci è mai riuscito. E poi ha provato con Severus e quella volta ha funzionato.”
“James ha provato a farti del male?” chiese Em stupita. “Perché?”
Lily pensò al suo sogno e scosse la testa. “Era strano… Era come se non fosse lui, non aveva espressioni. Sembrava che stesse facendo delle prove.”
Emmeline ci pensò per qualche istante. “Forse davvero non era lui. A volte i nostri sogni riflettono solo noi stessi: forse tutti i personaggi erano diverse parti di te a cui tu hai dato un volto perché avesse più senso.”
Magari era come c’era scritto nel quaderno, che c’erano due sé sveglie e una addormentata.
La io di ora si ricorda di quando sono davvero sveglia, e la me davvero sveglia non ricorda della me di ora. Nessuna di noi si ricorda di me non sveglia.
Ma chi era chi?
 
 
 
Anna aveva iniziato a portare la lettera nella propria tasca, e non sapeva se era un segno di autolesionismo o un modo per abituarsi della sua esistenza.
All’inizio era per non farla trovare per sbaglio alle sue coinquiline. Non voleva che la leggessero. Non voleva che nessuno la leggesse.
Eppure lei stessa continuava a tornarci, a riprenderla in mano e rileggere le stesse parole. Non poteva farne a meno.
Ne era perseguitata.
C’erano problemi più gravi, comunque, di una stupida lettera. Con i tempi che correvano e l’atmosfera che stava nascendo non c’era da stupirsi che qualcuno avesse deciso di esprimere il suo odio per suo fratello – non che prima fosse amato. Sapevano che sarebbe stato così. Non trovava lavoro nel mondo magico, non era potuto andare a scuola, non aveva amici quando era piccolo. Probabilmente i loro genitori viaggiavano così tanto anche per quello. Non sapevano come gestire un figlio magonò. Non volevano pensarci.
Ma suo fratello era la migliore cosa che lei aveva mai avuto, ed era la sua famiglia. Non si sarebbe mai vergognata di lui.
Allora perché quella lettera faceva così male?
 
 
 
Alle ragazze del dormitorio 7C,
 mi avete chiesto come sta andando il corso al Ministero, ma non so bene cosa dirvi. Mi sento davvero fortunata a fare questa esperienza, e voglio dare il meglio di me, ma non vi mentirò: alcuni giorni sono una noia totale. Copiare nomi e mettere a posto cartelle è essenzialmente quello che faccio, al momento. Comunque, sono contenta di essere qua! Non può andare che in meglio, no?
 Ma non è l’unica cosa che mi è successa! Non ci crederete: ho incontrato un ragazzo! Si chiama Huxley (lo so, che nome orribile) e l’avevo visto al diner per le scorse settimane, e avevamo scambiato qualche parola, ma niente di ché. E poi ieri è venuto senza nemmeno mangiare nulla, e mi ha invitato a uscire! Così, dal nulla!
 Dovreste vederlo, ha un sorriso dolcissimo!
 Sono così eccitata, sento che sarà una buona occasione per andare avanti con la mia vita! Spero tanto che questa cosa vada bene. Lo spero tanto.
 E magari quando tornate per le vacanze di Natale potete conoscerlo! A proposito, non vedo l’ora che arrivi Natale, mi mancate tantissimo!
Baci,
Alice
 
 
 
Marlene McKinnon era brillante, Lily non aveva alcun dubbio al riguardo. Non aveva esitato a darle un posto nel giornale dopo aver letto il suo articolo, e stava iniziando a pensare che dovesse gestire l’intera cosa. Aveva una voce propria, e buone idee da esprimere.
Era anche pessima a relazionarsi con gli altri.
La maggior parte delle volte che la vedeva sembrava annoiata, o stava flirtando con qualcuno. Ora che lo studio dei prefetti era diventato simultaneamente headquarter per il giornale e rifugio preferito dei Malandrini, la cosa stava sfuggendo di mano.
“Uno splendore come sempre, Mars” la salutò Sirius entrando.
Lei alzò un singolo sopracciglio (era la sua espressione più comune) e lo seguì con lo sguardo mentre si stendeva sul divano. “Come la barretta o il pianeta?”
“Non puoi accettare un complimento in pace?” chiese lui con un mezzo sorriso.
“Accetto tutto quello che vuoi, dolcezza.”
Lily si schiarì la gola. Erano le dieci di mattina, non era pronta per sopportare queste conversazioni.
Entrambi la ignorarono.
Per fortuna qualche minuto dopo entrò James, che diede una leggera sberla sulla nuca all’amico. “Smettila di flirtare con Marlene mentre sta lavorando, Padfoot,” gli disse mettendo in bocca una cioccorana.
“Dove le hai trovate?” chiese Sirius indicando i dolci.
“Rubate a Moony” sorrise James.
“Grande! Dammene una!”
James gli lanciò una rana, ma questa decise di fuggire alla presa di Sirius, che si mise a inseguirla per la stanza.
“Hai davvero bisogno di trovare un posto migliore dove metterli,” commentò Marlene a Lily, riferendosi ai ragazzi. Lily fece una smorfia.
 
 
Di nuovo, Lily rimase a scrivere fino a tardi. Aveva scoperto che le piaceva lavorare per il giornale, le sembrava di fare qualcosa di significativo. Qualcosa che sarebbe rimasto anche negli anni successivi, sperava.
Di nuovo, verso le 11 James le portò una tazza di tè.
“Siamo oltre il coprifuoco,” lo ammonì lei. Lui sorrise.
“Su cosa stai lavorando?”
Il fuoco era ancora acceso, e illuminava la stanza con movimenti di luci e ombre.
“Un pezzo su Natale.” James alzò le sopracciglia. “Sì, so che non è il migliore, ma è Dicembre, di cosa altro vuoi scrivere?” rise lei. “E poi vorrei sperare di portare un po’ di unità, almeno nel periodo di festa.”
“Non credo che basti lo spirito natalizio,” mormorò lui, ma lo fece dolcemente, come se non volesse scuotere troppo i suoi propositi. O forse era solo stanco.
“Sai che quando ancora facevano il Torneo Tremaghi tenevano un Ballo del Ceppo? Tutti potevano partecipare dal quarto anno in su, e c’erano danze e decorazioni e cibo. E in origine era ispirato alle festività del solstizio. Prima ancora che si festeggiasse il natale si festeggiava l’inizio della primavera e l’allungarsi dei giorni. Mi piace l’idea. Di festeggiare l’aumentare della luce sull’oscurità.”
“È di questo che stai scrivendo?”
“Anche. Perché continui a portarmi tazze di tè?”
James aveva la risposta pronta. “Perché tu continui a lavorare fino a tardi.”
Lily alzò le spalle. “Ho molte cose da fare.” E nessuno che mi aiuta a farle. No, non era giusto pensarlo. La maggior parte delle cose che faceva aveva scelto lei di fare, si era cacciata da sola in questo casino. “Ma dove lo prendi? Il tè, dico.”
“Dagli elfi. Di solito devo pregarli per farmi qualcosa, ma a quanto pare tu hai fatto un favore a uno di loro una volta, e ora ti adorano tutti” disse, mormorando qualcosa sottovoce che suonava come tipico.
“Stai scherzando! Merlino, non mi ricordo nemmeno di aver fatto loro un favore”
“Oh, non ho dubbi che sia successo davvero”
Lily aggrottò le sopracciglia. “Perché?”
Ma lui alzò solo le spalle.
“Dovresti chiedermi, sai, se hai bisogno di una mano ogni tanto. Non so mai cosa vuoi che io faccia,” disse lui all’improvviso.
Lily lo guardò, ma per qualche motivo non riuscì a portarsi a dirlo. James aveva già abbastanza cose per cui preoccuparsi, comunque. “No, davvero, sono a posto.”
James la guardò negli occhi per un secondo di troppo, e a Lily parve che sapesse tutto quello che lei pensava. “Sei già una persona magnifica, non devi essere perfetta.”
Lily rimase spiazzata. Cosa intendeva? Non sapeva cosa rispondergli, quindi rimase con il fiato sospeso ad aspettare di capire come reagire, e alla fine lui sorrise e si alzò.
“Vado a dormire. Dovresti farlo anche tu, sembri stanca.”
“È ancora coprifuoco,” gli fece notare. “Perché non dormi qua?”
“Preferisco dormire nella mia stanza. E non ignorare la seconda cosa che ho detto.”
Lei sbuffò. “Non l’ho ignorata. E dormo addirittura più del solito, quindi non ti devi preoccupare.”
James non era convinto – anche se non aveva motivo per non esserlo. Di certo non sapeva la sua routine. “Sicura di dormire davvero così tanto? Non sembra.”
Lily assottigliò gli occhi. “Mi stai dicendo che ho un aspetto schifoso?”
“L’hai detto tu, non io!”
Lily gli lanciò una penna. Lui la evitò e uscì ridendo.
 
 
La mattina dopo Lily si svegliò sulla propria scrivania: si doveva essere addormentata senza accorgersene. Per fortuna non era troppo tardi, e quando portò le sue ossa scricchiolanti in Sala Comune trovò Em e Mary.
“Mi dovrei preoccupare che non sei tornata ieri notte?” la prese in giro Em.
“Avevo un appuntamento con il nostro futuro giornale” scherzò lei, sprofondando sul divano accanto a loro.
“Non vedo l’ora che esca il primo numero,” commentò Mary. “È la settimana prossima, giusto?”
Lily annuì. “Non so se sono più eccitata o nervosa! Spero che abbia successo.”
“Di sicuro, considerato quanto sforzo ci metti!” la assicurò Mary.
Le sorrise per ringraziarla.
“Anna dorme ancora?”
Em scosse la testa. “Ha allenamento, se ne è andata presto. A proposito…” iniziò, giocherellando con i suoi braccialetti. “Avete notato qualcosa di strano in Anne recentemente? Non lo so, mi sembra che all’improvviso ci sia un muro tra me e lei e non riesco a raggiungerla.”
Il corpo di Lily si insaccò su se stesso a quelle parole. “Sì, un po’. Mi è parsa forse un po’ più fredda, un po’ più distante. Che parlasse meno. Non ci ho pensato tanto perché a volte succede, tipo che sembra scomparire in se stessa per qualche giorno, ma poi torna sempre. E ultimamente non sono mai con voi, non posso proprio giudicare…” stava creando scuse per giustificarsi, lo sapeva.
Non voleva essere la persona così concentrata sui suoi problemi che non vede quelli altrui.
Sospirò e scosse la testa. “Non so cosa potrebbe essere. Dovremmo fare qualcosa secondo voi?”
“Forse ha solo bisogno di tempo da sola,” propose Mary. “Per elaborare quello che le sta succedendo. Quando vorrà ne parlerà con noi, non dobbiamo metterle pressione.”
Era vero, ma le faceva male pensare che Anna le nascondesse qualcosa. Non che non ne avesse il diritto, ma pensava di essere una persona affidabile. Forse non era stata molto disponibile nelle ultime settimane, forse non aveva creato un clima accogliente. Forse tutti si sentivano un po’ come lei, di dover affrontare i propri problemi da soli.
“Vorrei poter fare qualcosa lo stesso,” ammise.
“È già abbastanza che tu sia presente, fidati.”
Lily abbassò lo sguardo. “Non sono stata molto presente con te. Dopo Mulciber. Non sapevo cosa fare e quindi non ho fatto nulla… Non ti ho nemmeno mai chiesto se volevi parlare.”
Ma Mary scosse la testa. “Non è vero. Mi hai sempre reso chiaro che ci sei per me, tutte voi lo avete fatto. Credimi che ha fatto tutta la differenza saperlo.” Fece una pausa, come per raccogliere i pensieri, come per trovare un modo di esprimersi. “Non ho tanto bisogno di parlarne, non aiuta molto. È solo questa cosa che è lì, nella mia mente, e a volte viene a galla. Quello di cui ho bisogno è di vivere la mia vita. Alcuni giorni fingo solo di farlo, cioè, fingo di stare bene. E lo so che lo vedete, ma è quello di cui ho bisogno. Mi aiuta a stare meglio davvero, ad andare avanti. E voi mi avete fatto sempre sentire libera di andare avanti, di stare con voi e fare cose normali senza doverci pensare di continuo. Mi fate sentire che questa cosa che mi è successa non sono io, non mi ha cambiata. Non mi ha spezzata, posso lo stesso fare tutto quello che voglio.”
Lily aveva un nodo in gola e gli occhi lucidi, ma annuì.
Mary le abbracciò entrambe, lei e Em, e le tre rimasero così finché Anna non tornò.
 
 
“Cosa intendevi ieri sera,” chiese Lily a James quel pomeriggio, nella stanza dei Caposcuola. “Prima che mi addormentassi?”
“Ti sei di nuovo addormentata qui?” aveva tono di rimprovero, ma non era quello il punto.
“Ma se non è quasi mai successo!” lui alzò le sopracciglia. “Okay, è successo un paio di volte, massimo, ma è solo perché sono stranamente stanca.”
“Non è strano, ti trovo sempre qua a fare qualcosa. Dovresti lavorare di meno, o condividere.”
Lily aggrottò le sopracciglia. Di nuovo? “Ne abbiamo già parlato, è questo che ti chiedevo! Cosa volevi dire?”
Lui sembrava sinceramente confuso. Era un buon attore. “Non so di cosa parli.”
“James!”
“Cosa? Ho detto un sacco di cose a un sacco di gente! Non tutti hanno la tua memoria, Fiamma.”
Lily alzò gli occhi al cielo. Sperava ancora che ignorare i soprannomi li facesse smettere, ma non sembrava funzionare.
“Okay, okay. Com’è andato l’allenamento?”
“Bene! Quest’anno vinciamo, ne sono sicuro! Devono solo imparare a mantenere le loro posizioni. E imparare gli schemi. Oh, e saper fare il salto mortale aiuterebbe.”
“Non sembra che stiate per vincere”
James la guardò male, ma non durò a lungo. “Sono qua in missione in realtà.”
“Ah sì?”
“Sì. Sirius mi ha ordinato di farti uscire da qua.”
Lily rise. “Sirius? Perché?”
“Sai com’è fatto. In genere non si fida, ma se ti accetta come amico è la persona più fedele di questo mondo, e si prenderà sempre cura di te.”
Non lo sapeva, non davvero, ma sorrise. A quanto pare Sirius aveva deciso che lei era degna della sua fiducia. Sentì una fitta di orgoglio. “E quando mi ha accettata?” S’incuriosì.
“Questa estate, dopo la rivolta. Non lo sapevi?”
Come avrebbe fatto a saperlo?
“Beh, una volta che lui ti accetta sei parte di noi, non puoi più fuggire. Ti troveremmo pure un nome se sapessimo il tuo patronus. Quindi, andiamo?”
“Non lo so nemmeno io il mio patronus, non si è ancora formato del tutto. So solo che vola. Sarei ufficialmente un Malandrino se lo sapessi?” scherzò.
James sbuffò. “Nessuno può essere un Malandrino, purtroppo è un club a numero chiuso, tesoro. E comunque quante volte sarai stata in punizione, due volte e mezzo?”
“Ehi! Non è vero!”
“No? Tre, allora?”
“La smetterai se vengo con te?”
“Forse. Verrai lo stesso?”
Lily alzò gli occhi al cielo e si alzò.
Aveva bisogno di una pausa in ogni caso. 
 
 
È abbastanza che tu sia presente, aveva detto Mary. Quindi era quello che faceva. Erano gli ultimi giorni di produzione del giornale, quindi aveva già finito tutto quello che doveva fare (e stava iniziando a pensare che Marlene fosse più brava di lei a gestirlo in ogni caso), quindi passava più tempo possibile con Anna.
Era soprattutto studiare in biblioteca, o mangiare assieme, ed era soprattutto in silenzio. Ma andava bene così. Era presente. Era lì. Per lei.
Le loro conversazioni andavano così:
“Mi manca un po’ lo scorso professore,” ammise Anna chiudendo il libro di Difesa.
“Merlino, anche a me! È l’unico professore decente che abbiamo avuto fino ad ora.”
“La cosa buona è che almeno questo – come si chiama? Ho smesso di imparare i loro nomi.”
Lily provò a guardarla male, ma Anna alzò solo le sopracciglia, quindi sapeva che non aveva avuto effetto. Non voleva nemmeno che facesse effetto. “Greene. Ti ricordi come si chiamava quello dell’anno scorso?”
“Certo. Vabbè, non proprio. Non sono i nomi che contano.”
Lily rise “Clarke.”
“Ecco, quello. Comunque, la cosa buona è che almeno nessuno avrà questo Greene l’anno prossimo.”
“C’è un lato positivo pure nelle maledizioni.”
O andavano così:
“Cosa hai mangiato oggi? Non ti ho vista a cena,” disse Lily sedendosi di fianco a Anna nella Sala Comune.
Anna fece spallucce. “Non avevo fame.”
Lily annuì, e prese una focaccia dalla propria borsa. La spezzò in due e mise la parte di Anna sul tavolo, avvolta nel suo tovagliolo.
Anna le sorrise.
O così:
“Vuoi andare a fare un giro a Hogsmeade oggi?” le chiese Anna affacciandosi in bagno un sabato mattina, mentre Lily si lavava i denti.
Lily annuì e sputò il dentifricio. “Cosa vuoi fare?”
“Non lo so. Girare un po’.”
“Okay. Allora gireremo un po’.”
 
 
L’uscita del giornale avvenne giovedì 15 dicembre, e fu un successo (“Come se avessimo dubbi!” aveva scherzato Em) quindi stavano tutti festeggiando nella stanza dei prefetti. Ogni persona che aveva lavorato su quel progetto era lì a ridere e bere - la stanza, ovviamente, si era allargata per l’evenienza – e Lily realizzò per la prima volta quanti erano. Era tutto partito da una bizzarra idea nella sua testa, solo viva dentro di lei, e ora faceva parte di tutti loro. Tutti loro (ed erano così tanti! Non sapeva nemmeno il nome completo di ogni persona) avevano preso in mano questo mezzo piano e ci avevano messo la loro anima e il loro tempo e aveva creato qualcosa di reale, qualcosa in cui credevano.
“Pazzesco, vero?” chiese Remus arrivando di fianco a lei, come se le avesse letto il pensiero.
Lily prese il bicchiere che le offriva e si mise di nuovo a guardare la stanza, da in piedi di fianco al muro dov’era, con Remus al suo fianco.
Em stava ridendo con Anna, che sembrava davvero felice per la prima volta in secoli, e Mary stava parlando con un ragazzo dagli occhi azzurri vicino al camino, e aveva le guance arrossate. Non interamente dal fuoco, forse. Marlene si stava allontanando da Sirius verso una ragazza dai capelli neri lisci fino al mento, e James e Peter stavano prendendo in giro i tentativi falliti di Sirius.
In quella stanza dove aveva passato così tante serate in silenzio ora c’era rumore di risate e del vetro dei bicchieri, e la sensazione di calore umano. Della felicità di una serata che è un successo, e che non passi da solo.
Lily appoggiò la testa sulla spalla di Remus e sorrise. “Pazzesco,” concordò.
 
 
 
Richard Lyon posò la penna e chiuse l’inchiostro, soffiando sulla pergamena per far asciugare le sue parole.
Era un’altra lettera a Lily, ovviamente.
Nel giro di solo qualche mese erano diventati stretti amici, e per qualche motivo sapeva di poter contare su di lei. Aveva quell’effetto sulle persone, stava imparando. Ti faceva avere bisogno di lei nella tua vita.
Era quasi ora di andare a lavoro, pensò massaggiandosi la cicatrice a forma di mezza luna che aveva sul polso sinistro. Lo faceva senza accorgersene, ormai. Erano passati anni da quando se l’era fatta, e ancora non aveva perso l’abitudine.
Era seduto alla sua scrivania. L’appartamento era piccolo – minuscolo, anzi, poteva attraversarlo tutto in dieci passi. Aveva contato. Era al quinto piano e la finestra era a strapiombo sulla strada. Non aveva molta luce, ma aveva la migliore visione del tramonto. Non aveva molto spazio, ma ci stavano tutti i suoi libri.
Ed era suo.
Stava chiamando il suo gufo quando sentì un rumore: affacciandosi alla finestra li vide.
Erano in sei, vestiti di nero, il cappuccio sul volto. La bacchetta già pronta.
Sapeva cosa voleva dire.
Ma non sapeva cosa fare.
Preso dal panico, riprese la penna dal tavolo e aggiunse delle parole con mano tremante alla fine della lettera. La legò alla zampa del suo gufo – gli ci vollero tre tentativi per riuscirci – e lo spinse fuori dalla finestra con tanta forza che il povero animale quasi non perse l’equilibrio.
Ci vollero due respiri – che era meno di un millisecondo, il cuore a mille, una linea di sudore che scendeva sulla schiena, i muscoli tesi da far male – e trovò la sua bacchetta.
Gli ci vollero altri tre respiri e la porta si spalancò.
Evitò il primo incantesimo gettandosi a terra, e lanciò il proprio. Mancò.
A quel punto erano tutti e sei nella stanza, occupavano quasi tutto il posto disponibile, nessuna via di fuga, nessuna speranza, l’oscurità che si mangiava lo spazio. Che si mangiava il tempo.
L’oscurità che divorava ogni cosa nel suo cammino.
Vide solo un altro colore, oltre il nero.
Sentì solo una voce.
Non ebbe tempo di formulare l’ultimo pensiero, di immaginarsi un ultimo volto. Non avrebbe mai saputo se avrebbe visto il futuro o il passato. Eva o Mallory. Speranza o disperazione.
“Avada kedavra.”
 
 
 
Lily ricevette la lettera prima di sapere della sua morte, e non la aprì.
Se ne sarebbe pentita per tutta la sua vita.
Le era arrivata la mattina, ma lei era in ritardo e l’aveva messa in borsa senza aprirla mentre finiva la colazione e si preparava per correre a lezione. E poi se ne dimenticò - perché tanto riceveva una lettera da Rich due volte a settimana: non era niente di che. Era la prassi.
Quando la sera dopo Em la prese da parte e le sussurrò l’accaduto, lo sguardo sul pavimento e le mani tremanti, lei rimase immobile. Guardò Em per un attimo come se non avesse ben capito cosa le stava dicendo, e la ragazza la guardò come se non sapesse cos’altro aggiungere. Quel momento, prima di capire davvero che morto intendeva fine, intendeva per sempre, intendeva mai più. Avrebbe per sempre voluto tornare a quel momento. Non avrebbe mai più vissuto in un posto in cui fosse così semplice respirare. Era il suo ultimo momento. Da quella sera in poi, sarebbe stato l’inizio della fine. L’inizio della morte.
Poi si ricordò della lettera e si sbloccò, iniziando a correre in camera, tre scalini alla volta, quasi investendo una tredicenne che scendeva.
Non avrebbe fatto nessuna differenza aprire la lettera prima, ovviamente, ma Lily avrebbe voluto non ritrovarsi così disperata a cercare la busta dopo aver scoperto il fatto. Disperata per le sue ultime parole. Post mortem aveva ancora qualcosa da dire – e forse voleva dire che non se ne era davvero andato.
E se la avesse letta prima, sarebbe stata solo una lettera. Avrebbe potuto leggere le sue parole e leggere solo le sue parole, senza immaginarlo seduto a scriverle, senza immaginarlo morire. Senza piangere. Sarebbe stata quello che sarebbe dovuta essere.
Invece, Lily ricevette la lettera prima di sapere della sua morte e non la aprì.
 
Quando finalmente si fece coraggio e scese dal dormitorio, la prima persona che vide fu James - e il cuore le sprofondò con un tonfo.
Prese un respiro profondo per smettere di tremare (non funzionò) e andò dritta verso di lui, e lo abbracciò con tutta la forza che aveva.
Così, nel bel mezzo della Sala Comune: si mise in punta di piedi e gli mise le braccia attorno al collo e strinse. “Mi dispiace,” sussurrò, la voce smorzata perché aveva sotterrato il volto nella sua spalla. “Mi dispiace così tanto.”
E sentì le braccia di James alzarsi e circondarle la vita, con tanta forza quanta quella che lei stava usando, e sentì il suo cuore battere sulla propria pelle, e strizzò gli occhi addosso alla sua camicia per cercare di non piangere.
 
Fu praticamente l’ultima volta che lo vide fino all’arrivo delle vacanze, e se doveva essere onesta con se stessa ne era grata. Non sapeva cosa dirgli, o come parlargli, o come guardarlo negli occhi.
Non sapeva come accettare il fatto che gli aveva rubato le ultime parole di Rich. Le aveva rubate a tutti. Erano solo sue, solo per lei, e non le meritava. James lo conosceva da più tempo. La sua famiglia lo amava di più. Pure Eva aveva più diritto al suo futuro - eppure, per uno scherzo del destino, era a lei che lui aveva scritto per ultimo, e nulla avrebbe cambiato la verità.
Lily passò gli ultimi giorni di scuola essenzialmente in silenzio. Andando avanti solo per inerzia, senza accorgersi che il tempo passava.
E poi era sul treno, e poi abbracciava le sue amiche, e poi era davanti a casa sua e doveva tornare alla vita reale e prendersi cura di sua madre e smettere di piangere per ogni cosa. Prese un respiro profondo, tirò su col naso, e aprì la porta.
 
 
Quello che scoprì nei giorni seguenti fu che prendersi cura di sua madre era la cosa migliore che potesse succederle. Le teneva corpo e mente occupati: era sempre un passo avanti. La vasca riempita, le candele alla rosa accese, la cena pronta. Quando non sapeva cos’altro fare cucinava. Sapeva fare solo biscotti, quindi la sua casa si era lentamente riempita di biscotti al cioccolato, al burro, alla cannella, alla zucca. Non li mangiava quasi mai, ma aveva capito come far suonare la sua voce come se fosse normale senza doversi schiarire la gola ogni due minuti, e aveva ricordato come sorridere e essere sincera. Era qualcosa. Stava facendo passi avanti.
 
 
 
James era sdraiato sul letto e aveva la gola secca e non riusciva a smettere di pensare a Rich. All’ultima volta che lo aveva visto (durante l’estate, avevano comprato una burrobirra e parlato del più e del meno) e all’ultima lettera che gli aveva scritto (era sulla sua scrivania, la carta appiattita così tanto che sembrava non fosse mai stata piegata in primo luogo, ogni parola e virgola imparata a memoria come se ne dipendesse la sua vita. Non ne dipendeva la sua vita).
E poi era troppo, aveva bisogno di mandare via la costante presenza di Rich. Aveva bisogno che non ci fosse più per un po’, di essere libero. Di poter respirare senza sentirsi in colpa per qualcosa.
Ma non poteva andare dai suoi amici, non se lo sarebbe permesso. Lui doveva esserci per loro, non l’opposto. Lui era quello con la vita privilegiata, la casa accogliente e il futuro organizzato. Lui era quello fortunato. Gli altri tre avevano bisogno che lui fosse la roccia: era il suo ruolo. Non poteva crollare davanti a loro.
Ma nemmeno poteva più crollare, non ne poteva più.
Così prese la cornetta del telefono e digitò un numero che non sapeva nemmeno di ricordare a memoria.
Contò gli squilli, pregando per qualche motivo che rispondesse – o che non rispondesse. Ormai non lo sapeva nemmeno lui.
Quattro, cinque-
"Pronto?"
James emise un lungo respiro, appoggiando la testa al muro, e chiuse gli occhi.
"Pronto? Sto parlando con qualcuno?"
"Lily."
"James? Hai un telefono?”
La sua voce era scettica e, suo malgrado, James sorrise un poco. “Certo che ho un telefono. I miei ci tengono a farmi conoscere il mondo babbano allo stesso modo di quello magico – mi hanno fatto pure giocare a calcio quando ero piccolo.”
“Wow, sembrano delle persone fantastiche.” Lo erano. “Mi piacerebbe incontrarli una volta.”
“Ti direi che a me piacerebbe incontrare tua sorella, ma non sono sicuro che sia vero.” Era una battuta debole, ma Lily rise lo stesso.
“Scusa, mi avevi chiamato tu. Dimmi tutto.”
E all’improvviso James non aveva niente da dire. Per cosa l’aveva chiamata? Non aveva nulla in mente, nessuna scusa da inventare - e rimase con fiato in gola, sentendosi un completo idiota, per molto più di quanto era permesso da una normale pausa.
Lily, però, non sembrava avere fretta: rimase ad aspettare, senza dire nient'altro. Era brillante in quel modo. Brava a fare esattamente quello che lui aveva bisogno che lei facesse.
Ed era probabilmente quello, James pensò, il motivo per cui l'aveva chiamata.
Si schiarì la gola, sperando di suonare normale. "Come sta andando la tua giornata?"
"La mia giornata?" stupita.
"Sì. O, o le vacanze. Tua sorella? Sei riuscita a fare quel dolce di cui parlavi sempre?"
Per un momento, dall'altra parte, ci fu una pausa. Ma durò un istante, perché lei era infinitamente migliore di lui in tutte queste cose, e poi Lily iniziò a parlare.
Gli parlò della sua casa, e della neve, e dei suoi disastri culinari, e poi iniziò a descrivergli un sogno che aveva fatto, e poi un programma televisivo, e poi lui smise di ascoltare quello che diceva e sentì solo la sua voce.
Forse era per questo, invece, che l'aveva chiamata. Per il suo leggero accento irlandese, e il timbro della sua voce, e perché aveva bisogno di sentirla parlare.
"Va bene?" gli chiese quando aveva finito, dopo una breve pausa.
"Va bene."
E attaccò.
 
 
 
Era il 26 di Dicembre; Lily, Anna, Alice, Mary e Em erano sedute per terra in cerchio a casa di Mary, in una specie di nido di coperte e cuscini. Tenevano in mano tazze di cioccolata calda con marshmallow e avevano quattro regali impacchettati con carte colorate in mezzo a loro.
Si incontravano così ogni anno, e fu con tacito accordo che lo fecero anche questa volta. Avevano bisogno di fare qualcosa di normale, e avevano bisogno di farlo assieme.
E ad essere lì, si poteva quasi credere che fosse davvero normale. Che non ci fosse niente di sbagliato al mondo, perché il loro mondo si estendeva solo fino alla fine delle coperte, dove si poteva respirare senza pesi sul cuore.
“Da chi iniziamo?” chiese Em.
“Mhmm... Chi ha preso il voto più alto in trasfigurazione?” propose Anna - che aveva preso il voto più alto in trasfigurazione. Si alzò un coro di lamentele.
“Ma io così non aprirò mai il mio regalo!” Protestò Alice. “Perché non facciamo in ordine di nascita come tutte le persone normali?”
“Perché lo facciamo tutti gli anni!” Scosse la testa Em.
“Ma se non lo facciamo mai!”
“Vedi, infatti è noioso. Ah, lo so! Mary, dimmi la prima parola che ti viene in mente.”
Mary aggrottò le sopracciglia, ma rispose subito. “Calore”
“Ecco, allora partiamo dalla C di calore.” Si guardò attorno per vedere se tutte approvavano, e incontrò alzate di spalle e cenni positivi.
Emmeline aveva ricevuto un set di divinazione e carte tarocchi per cui, ovviamente, andò matta.
Lily estrasse dal suo pacchetto una semplice maglietta nera. “Ahm... Grazie?”
“Cambia colore in base al tuo umore quando la indossi,” spiegò Alice. “L’ha scelta Em” aggiunse, come se fosse stato necessario.
“Io ho fatto una piccola modifica,” spiegò Anna, prendendo la bacchetta e mormorando qualcosa sottovoce mentre toccava la maglia, la quale divenne giallo acceso, con un enorme segno di pericolo disegnato sul petto. Sotto c’era scritto SONO UN FOTTUTO RAGGIO DI SOLE. PERICOLO DI ABBAGLIAMENTO. FUGGITE FINCHE’ POTETE. “Per i tuoi giorni felici! Così possiamo avvertire i poveri innocenti”
Lily rise. “Mi costringerai a indossarla ogni volta che avrò un giorno felice, vero?”
Anna annuì - era così ovvio che non avrebbe nemmeno dovuto chiederlo.
Era arrivato il momento di Mary, e divenne dolorosamente palese che c’erano quattro regali e cinque persone.
“Mary...” iniziò Alice.
“Tranquille ragazze, non fa niente! L’importante è vedervi, non ricevere un regalo”
Ci fu un momento di silenzio in cui le ragazze si guardarono, prima che una parlò: Lily.
“Seriamente?”
“Te l’avevo detto che avrebbe reagito così,” sospirò Em.
“Ma dai! Non volevo credere che avrebbe accettato così di non avere nulla! Cioè, ti abbiamo mai non fatto un regalo?!”
Mary era confusa. “Ma...” disse, guardando il cumulo di regali. Il suo nome era chiaramente assente.
Anna alzò gli occhi al cielo. “Non è qui perché non potevamo impacchettarlo”
“Chiudi gli occhi” aggiunse Em, un sorriso brillante addosso.
“Cosa?”
“Chiudi gli occhi e stenditi a terra”
“Ragazze, inizio ad avere paura. Cosa volete fare?”
“È una sorpresa! Non possiamo dirtelo prima!” esclamò Lily.
“Per quello devi chiudere gli occhi” aggiunse Anna con tono ovvio.
“E stendermi a terra?”
“Esatto! Brava ragazza, ora fallo!” le indicò impaziente Em, e Mary fece quello che le era chiesto.
“Ti controlliamo!” disse Alice, mentre Em e Lily uscivano silenziosamente - e rientravano subito con un fagottino in mano.
Lo misero sulla pancia di Mary, che strinse visibilmente gli addominali. “Merlino! Cos’è? Posso aprire gli occhi? Ah! Si muove! Si sta muovendo! Merlino e Morgana, cosa avete preso? È pericoloso? Posso aprire gli occhi?”
Le altre stavano ridendo troppo per rispondere.
“Ragazze! Posso aprire gli occhi? Basta, io apro gli occhi”
Lo fece lentamente, come se non fosse sicura di voler vedere cosa si stava muovendo sulla sua pancia.
Quando lo vide mise una mano sulla bocca e guardò le amiche con degli occhi enormi.
“Mary, stai piangendo?”
“Forse” ammise lei prendendo delicatamente la creatura in braccio. “È davvero uno fwooper?”
Le altre annuirono.
“Ed è mio?”
“Certo”
“No! Dai, non sul serio”
“Sì sul serio!”
“Non scherzate! Non è mio!”
“Mary! Certo che è tuo!”
Mary non riusciva a capacitarsene. Guardò la creaturina nelle sue braccia: sembrava quasi un gufo per forma, ma il suo piumaggio passava dall’arancione al rosa al giallo e dalla sua testa spuntavano dritte piume rosso acceso. “È mio” sussurrò, tornando a guardare le sue amiche, le quali annuirono per l’ennesima volta.
“Ma non può essere pericoloso?” si informò, ricordando all’improvviso le lezioni di cura di creature magiche.
“Non questo,” spiegò Em. “Al negozio nessuno lo voleva perché è nato muto e probabilmente sordo. A quanto pare alla gente piace il brivido del pericolo e vogliono solo quelli il cui canto può renderli pazzi”
“Ma davvero? Poverino!”
“Quindi l’abbiamo preso noi!” Si intromise Alice. “Ma dovrai comunque prendere una patente per dimostrare che sei abbastanza responsabile per prenderti cura di lui.”
“Okay,” disse Mary accarezzandogli le piume con l’indice. “Tutto quello che vogliono, basta che posso tenerlo per sempre”
Le ragazze passarono la seguente mezz’ora a cercare un nome appropriato, senza successo; prima di ricordarsi che c’erano ancora due regali da aprire.
“Abbiamo bisogno di nuove cioccolate calde” decise Em, andando a prenderle.
“Possiamo iniziare a scartarli?” chiese Alice, ma dalla cucina giunse un definitivo “No!”
Alice iniziò ad aprire il suo lo stesso.
Ormai il cielo si era fatto scuro e non c’era più nessuno fuori: le luci erano accese in tutte le case e le porte chiuse a chiave. Ognuno aveva qualcuno con cui passare quella serata.
Em tornò con tazze per tutte e si strinsero di nuovo nella loro casa di coperte, dove il freddo non era ancora arrivato.
Lily prese un sorso di cioccolata e sentì il calore scenderle giù, dalla gola al petto allo stomaco. Era una bella cosa - dopo tutta quella morte - la vita. Era una bella cosa da provare sulla propria pelle. Un pomeriggio con persone che amava, la pioggia fuori dalla finestra, un mondo solo per loro dove non poteva succedere niente di negativo, almeno per ora. Almeno per ora le cose andavano bene. 
   
 
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