Anime & Manga > Uta no Prince-sama
Segui la storia  |       
Autore: Rinalamisteriosa    10/01/2018    1 recensioni
[Prima crossover fra Uta no Prince-sama/Kaichou wa Maid Sama! (Ambientazione UtaPri, personaggi di entrambi gli anime) || Mini-long || Accennini a qualche coppia e/o rapporto fraterno]
«Quale condizione?» domandò Aoi, rimanendo a bocca aperta, non si capiva se per la sorpresa o per fare scena.
«Oh, niente di preoccupante, tranquillo. Soltanto una caccia al tesoro, dove io e te dobbiamo semplicemente metterci a capo di due gruppi e guidarli pazientemente verso un obiettivo comune», lo rassicurò il più grande, facendo spallucce.
«Perché proprio una caccia al tesoro?».

{Prima classificata al contest "Find a treasure" indetto da missredlights e Emanuela.Emy79 sul forum di EFP}
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Ringo Tsukimiya, Un po' tutti
Note: Cross-over, Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

800px-_Shinbashi_Enbujo_Theatre_2010_05a

TERZO CAPITOLO (Seconda fase)

 

 

 

Beccare le giuste coincidenze della metro, per giungere nel quartiere di Ginza partendo da quello di Kichijoji, non fu così semplice come sembrava, ma alla fine la squadra di Ringo uscì dal mezzo e si mosse correndo fuori dalla stazione, per poi prestare attenzione ai semafori e a non smarrire la strada, anche se in verità il luogo da raggiungere si trovava soltanto a cinque minuti dalla stazione stessa. Ne impiegarono il doppio, dieci minuti, ma almeno vi arrivarono ancora pieni di energia e incuriositi.

Il teatro Shinbachi Enbujo venne aperto nel 1925, come si poteva constatare dalla moderna facciata che si stagliava di fronte a loro, del colore della sabbia del deserto e ben strutturata. Alcuni manifesti di rappresentazioni del teatro kabuki erano affissi sopra l’ingresso, dal momento che il luogo ne offriva una vasta varietà di spettacoli. Al suo interno, si trovavano però anche ristoranti, negozi di bento e souvenirs.

«Secondo la mappa, dobbiamo salire fino al terzo piano dell’edificio. Troveremo un simbolo dell’agenzia sull’insegna esposta di un ristorante, che soltanto per oggi è riservato a noi e alla nostra prova. Suppongo che si tratti di cucina, come siete messi a riguardo?» s’interessò il caposquadra.

«Noriko-san è una brava cuoca. Qualche volta mi capita di aiutarla».

«No, non sono così brava come dice Mai-chan, in realtà. Conosco solo i piatti abituali che mangiavo anche da piccola», si sminuì la trentenne.

«Non preoccupatevi: se c’è da cucinare, lasciate fare a me» disse Usui, che stavolta era più che mai sicuro di rendersi utile alla squadra.

«Grazie, Usui-kun», replicò Ringo con un lieve sorriso.

«Invece io sono bravissimo a mangiare, se può esservi d’aiuto!» affermò Hinata Shintani, levando un pugno verso l’alto.

«Confermo. You-kun è un buongustaio», dichiarò Suzuna.

«Io lo definirei più un pozzo senza fondo…» espresse il suo parere il biondo.

«Non sembro umano se lo dici così!» si lamentò l’interessato.

«Ragazzi, per favore, non discutete proprio adesso», li rabbonì Ringo, indicando la porta d’ingresso, «cosa preferite? Scale o ascensore?».

 

 

 

L’interno del ristorante era davvero molto carino e ospitale, con pareti che ricordavano lo stile ordinato delle case giapponesi e caratteristici arazzi risalenti ai secoli passati appesi alle pareti che sembravano fatte di pergamena.

Un insieme di profumi deliziosi rese i sei partecipanti ottimisti riguardo alla prova, nonché provocò un forte bisogno di rimpinzare lo stomaco definito “senza fondo” del ragazzo bruno, che procedette nel locale con il volto in estasi. Al momento, gli unici nel locale erano loro, forse gli altri stavano sul retro e dovevano raggiungerli.

«C’è nessuno qui? Oniichama, Mai-chan è venuta a trovarti!» si fece sentire Mai con la sua vocina esuberante e fiduciosa.

In qualche modo il richiamo produsse l’effetto sperato e invitò come d’incanto il trio organizzatore della prova a presentarsi.

In una zona che stava in penombra si accesero tre lampade, rivelando un cuoco, un aiuto cuoco e un cameriere. A calzare queste vesti che si adattavano alla perfezione all’ambito culinario, era il trio composto da Ren Jinguji, Masato Hijirikawa e Ranmaru Kurosaki.

«Un caldo benvenuto ai nostri speciali clienti. Interessante… Pare che non saremo gli unici a sorprendere voi, una leggiadra farfalla ha appena colpito nel cuore il cuoco Hijirikawa», considerò il bel cameriere dai lunghi capelli, rimirando il fiore che rigirava fra le dita.

«Ho fatto male a oniichama? Per questo non viene a salutarmi?» s’intristì la bambina, chinando il capo e celando gli occhioni lucidi grazie alla frangetta.

«No. Voleva dire che sono spiazzato. Non mi aspettavo di vedere mia sorella Mai in questo contesto…» chiarì il ragazzo dai capelli blu, parzialmente coperti da un copricapo di quelli che si utilizzavano in cucina.

Noriko alzò gli occhi al soffitto.

«Uomini…» borbottò. «Mai-chan, vuoi un fazzoletto?» addolcì il tono di voce rivolgendosi alla sua figlioccia.

Masato uscì dal fascio di luce per raggiungere il bancone del ristorante, prendere un fazzoletto pulito e avvicinarsi alla bambina, composto.

«Se voi due non vi spiegate chiaramente, la signorina fraintende e poi ci rimane male. È più estroversa del signorino, ha un animo delicato e sensibile», ammonì entrambi la tutrice, alla quale non sfuggiva nulla.

«Ha ragione, Kanzaki. Avrei dovuto ricambiare il suo saluto».

«Mi scuso se le mie parole sono parse inappropriate», aggiunse Ren.

«Sei triste, Mai?» s’inginocchiò Masato, asciugando la lacrima trasparente che stava scivolando lungo la fossetta rosea della piccola. Alla domanda del fratello maggiore, lei scosse la testa, si accostò al suo petto e lui la cinse in un abbraccio senza stringere. Finché Mai non rise, una risata cristallina priva di risentimento che risolse ogni tensione.

«Oniichama, sai, io sono venuta per giocare con te!» annunciò con gioia.

«Giocheremo presto. Prima concedimi di tornare dagli altri, dobbiamo spiegare le regole», le promise, scostandola delicatamente da sé, mentre Ren, nel frattempo, si era approssimato per porgere il fiorellino bianco alla piccola.

«Non ti puoi ricordare di me, ma io ti ho già vista. Eri molto più piccola e riposavi beata nella culla. Ora invece sei cresciuta e mi ricordi una farfalla. Puoi prenderlo, è un pensierino per te».

Ren non metteva mai via la sua galanteria con il genere femminile, nemmeno con le bambine, a quanto pareva.

«Questi trucchetti non funzionano con lei», ci tenne a dire la sua il compagno e amico d’infanzia, trattandosi della sorellina.

«Grazie», accettò il pensierino lei, rivolgendosi poi al fratello, candidamente, «non preoccuparti, Mai-chan vuole più bene a oniichama, anche se adesso non le sta regalando nulla».

«Oh˜ è così dolce questa scenetta!» si mise in mezzo Ringo. «E mi dispiace davvero tanto interromperla, ma il vostro senpai sta perdendo la pazienza, vuole davvero iniziare la prova, mi sa».

 

 

 

«Avete mai assaggiato un piatto da bendati? Sapreste riconoscere il cibo a occhi chiusi? Al mondo esistono spezie, aromi, condimenti e c’è l’amaro, il dolce e il salato. Pensate di essere in grado di distinguerli usando il senso del gusto e occludendo quello della vista?».

Masato parlò come se stesse recitando una battuta ripetuta almeno cento volte.

«Cercheremo la risposta mettendo alla prova tutti voi, pertanto noi vi applicheremo delle bende sugli occhi e vi faremo assaggiare i trentasei contenuti diversi nascosti in quel grande cesto coperto da un telo».

Alla parola “cesto” nella frase di Ren una lampadina spenta si accese sopra un tavolo di legno con il corrispettivo oggetto.

«Bando alle ciance, gente, si comincia!» esclamò il rocker, che teneva già le sei bende fra le mani e che avanzò per consegnarle a ogni giocatore.

Solo Mai ebbe bisogno di aiuto per legare la sua benda e Noriko volle assisterla prima di collocare sugli occhi la propria.

Si rivelò una prova più divertente di quanto si aspettassero, poiché i gusti erano davvero misti e realmente assaggiarono, a turno, alimenti piccanti, amari, dolci, salati, aspri, per poi cercare di indovinarli senza poter vedere nulla. Ren non si fece problemi a imboccare i partecipanti e a stuzzicarli, mentre Masato si premurò di scegliere sapori non particolarmente difficili per Mai e pensò anche a Kanzaki, dal momento che conosceva entrambe.

Ranmaru si prodigò per fornire bicchieri d’acqua e tozzi di pane nel caso servissero a far passare il bruciore provocato a causa di un gusto piccante o cattivo, giocando con Ringo.

«Adesso possiamo toglierci le bende?» s’informò allegramente quest’ultimo, felice che la prova fosse ormai superata, dal momento che tutti avevano completato l’assaggio di sei nutrimenti ciascuno e soddisfatto gli organizzatori nelle risposte date.

«Potete toglierle», assicurò Masato e questa volta aiutò lui la bambina a sciogliere il nodo dietro la testa.

Solo Hinata Shintani si dispiacque che il primo gioco fosse già finito, ma la cosa non stupì nessuno.

 

 

 

Compostamente, Masato riprese la parola, richiamando l’attenzione di tutti, dopo che il senpai Kurosaki era stato costretto ad andare via prima dello scadere della prova, in seguito a una chiamata del suo manager.

«La nostra tappa non finisce qui. Adesso chiediamo a tre di voi di offrirvi volontari per cucinare un determinato piatto che noi vi suggeriremo fra quelli presenti nel menù di questo ristorante, mentre agli altri tre toccherà giudicare il risultato finale. Capiremo così se avrete davvero meritato la vittoria. I cuochi volontari avranno cinquanta minuti di tempo per sorprenderci con la loro abilità fra i fornelli».

«Finalmente è arrivato il mio turno», intervenne Usui, spostandosi per prepararsi al passatempo culinario.

«You-kun, non preoccuparti, mi impegnerò per prepararti qualcosa di saporito», garantì Suzuna, apparentemente senza enfasi, ma nel profondo era veramente contenta di fare ciò per il bene della squadra – e per piacere a Shintani.

«Noriko-san, Mai-chan ha fame!» esclamò la bambina, toccandosi il pancino.

«Va bene. Non posso certo rifiutarmi, in fondo sono l’unica che conosce i gusti della signorina e che allo stesso tempo immagina cosa potrebbe piacere anche a voi», affermò, inchinandosi, per poi raggiungere gli altri due volontari in postazione.

Frittata di riso, Tofu all’uovo e Hakodate Ramen furono i tre piatti selezionati per Usui, la piccola Ayuzawa e per la domestica e tutrice di Mai.

 

Il primo preparò una frittata di riso molto buona, prelibata e condita superbamente, ma del resto lui si era abituato a cucinare, grazie al fatto che viveva da solo. Anche al Maid Latte, tante volte, aveva sostituito i cuochi guadagnandosi l’ammirazione della proprietaria e delle altre maid e cercando sempre di far colpo su Misaki pure in quel campo.

 

Anche la seconda non se la cavò male, con un tofu all’uovo apprezzabile e saporito, grazie all’esperienza acquisita osservando la madre cucinare e aiutandola più di una volta.

 

I nonni della terza avevano origini in Hokkaido, una città situata nel nord del Giappone, perciò lei aveva puntato su un piatto di ramen che le rammentasse la sua infanzia, quando Noriko era ancora spensierata e andava a trovarli pedalando in bicicletta, quando non si era ancora trasferita con suo padre in un’altra città e in una casa affittata che le aveva lasciato soltanto pessimi ricordi.

Comunque, nonostante questo, si concentrò esclusivamente sulla perfetta riuscita della ricetta, scegliendo gli ingredienti migliori dalla ben fornita dispensa e ringraziando il cielo che ci fossero tutti: il maiale arrosto, lo scalogno, il bamboo, gli spinaci, l’alga nori, più un brodo di salsa di soia che doveva risultare leggero, soprattutto questo era importante.

 

Al termine dei cinquanta minuti, i tre componenti della squadra assaggiarono a turno tutti i piatti preparati per loro e giudicarono la prova magistralmente superata, soddisfatti di aver messo qualcosa sullo stomaco, soprattutto Hinata-kun.

Ringo chiese se anche in quel caso dovevano aspettarsi un indizio e un oggetto in palio. Ren annuì.

«È vero che assomiglio alla marmellata, ma non mi potete spalmare. Non sono liquido, giaccio dentro a un vasetto e posso essere rosso, verde, giallo e blu: ai bambini piaccio anche di più. Cosa sono?» in tono scherzoso, pronunciò l’indovinello per dare il via alla ricerca.

L’unica che non vi prese parte fu Mai, perché preferì giocare insieme al fratello maggiore prima di dover andare via.

Masato la portò fuori per fare una breve passeggiata nei dintorni, promettendole, nel frattempo, che la prossima volta avrebbero giocato molto di più, se ciò l’avesse resa felice.

«Finora ti sei divertita? Sono stati bravi con te?» s’interessò lui.

«Sì, oniichama! Sono tutti bravissimi, oggi mi sono divertita tantissimo!» confermò Mai, stringendogli la mano che la teneva mentre camminavano insieme.

I due fratelli trovarono casualmente una cabina che sviluppava foto istantanee, di quelle utilizzate dai turisti in visita oppure dalle coppie di innamorati. La piccola insisté per averne una insieme a lui e Masato non voleva vederla di nuovo intristirsi, per cui acconsentì alla sua semplice richiesta.

Ne fecero un paio e poi tornarono indietro, scoprendo Noriko che li stava aspettando fuori dal locale e che l’informò sull’andamento delle cose.

«Shintani Hinata ha trovato l’oggetto. Si trattava di un vasetto di gelatina. Stiamo per partire alla volta dell’ultima tappa, gli altri sono già scesi e ci aspettano».

Temeva che Mai avrebbe fatto i capricci, ma per fortuna non fu così, Mai accettò tranquillamente di congedarsi dal suo caro oniichama e lo salutò con affetto, senza versare una lacrima.

 

«Kanzaki?» la richiamò lui.

«Signorino?».

«Grazie di prenderti cura di lei».

«È un dovere, un onore e un piacere, per me».

 

 

 

*

 

 

 

La Namco Namja Town, situata all’interno del quartiere di Ikebukuro Est, vantava, fra le attrazioni feline, iniziative commerciali e aree di ristoro per attrarre il pubblico pagante e i turisti curiosi, anche case dei fantasmi montate per i bambini.

Lo scenario che il gruppo di Aoi si ritrovò davanti, però, era molto più appariscente, dava quasi l’idea di essere stato progettato dallo stesso Saotome, o almeno questo era il pensiero di Ryuuya, braccio destro del Presidente. Essa, la facciata della casa allestita per la prova, non era dissimile da quella di un film horror, grottesca e volta a terrorizzare i nostri volenterosi protagonisti.

Prima di recarsi alla Namco Namja Town, dopo essere scesi dalla metro,  Hyuuga decise che avrebbe accompagnato Kaoru in un negozio di abbigliamento a cambiare i pantaloni strappati, non era giusto lasciarlo nelle sue attuali condizioni. Il ragazzo biondo lo ringraziò, inchinandosi si scusò con gli altri per la deviazione che dovevano fare a causa sua e seguì il gruppo camminando piano, ormai la ferita non si sentiva quasi più e non doveva zoppicare, l’unico fastidio stava nel cerotto, che tirava un pochino la pelle a ogni movimento della gamba destra.

Risolto il problema del cambio di Kaoru, ecco che i nostri eroi giunsero infine nella loro tappa prefissata. Studiando lo scenario della casa infestata, si domandarono, chi preoccupati, chi seri, cosa vi avrebbero trovato all’interno, quali prove di coraggio sarebbero toccate loro in sorte e chi aveva organizzato tutto.

 

 

 

Innanzitutto, una volta varcata la soglia, una nebbia artificiale impedì loro di vedere l’ingresso della casa improvvisata. Avanzando con cautela per colpa della visuale appannata dalla foschia generata da chissà quale macchinario, a tentoni, riconobbero le ringhiere di una scala.

Ryuuya salì i gradini senza pensarci due volte, incoraggiando con il suo impavido esempio gli altri giocatori, che gli andarono dietro uno alla volta.

A dire il vero Misaki era abbastanza sicura di sé, non aveva affatto paura, potevano anche cercare di spaventarla, ma non ci sarebbero riusciti. La sua presenza confortò Aoi, anche se il net idol, per infondersi coraggio, gli stava appresso, aggrappandosi al suo braccio e strillando quando percepì qualcosa sul braccio, però si trattava semplicemente di una ragnatela finta, messa a penzoloni per fare scena, constatò la presidentessa del consiglio studentesco del liceo Seika dopo averla toccata con mano.

«Aoi, che è successo?!» si preoccupò la zia, con la visuale ancora appannata.

«Non preoccuparti, capo, ho già risolto», replicò Misaki, sospirando.

Giunti al piano superiore, la nebbia finta, fortunatamente, iniziò a diradarsi finché comparvero chiaramente, innanzi a loro, tre loschi figuri.

Le tre maschere veneziane che avevano sul viso impedirono alla squadra di Aoi di riconoscere in essi delle persone conosciute e di stabilirne, almeno solo vagamente, l’identità.

Eppure, la determinata ragazza dagli occhi ambrati ebbe uno strano presentimento riguardo al ragazzo centrale: quei capelli giallastri con la frangia che pendeva dal lato destro e quel sorrisetto sardonico erano elementi di un viso che le sembrava di aver già incontrato prima.

«Vi diamo il nostro cordiale benvenuto nella casa spettrale, seconda tappa del vostro viaggio. Ci auguriamo che possiate trascorrere con noi, in modo indimenticabile, un’ora del tempo messo a disposizione apposta per rendere quantomeno interessante la vostra patetica caccia al tesoro. Ci guadagnerete davvero molto grazie a noi tre, decisamente. Non vi faremo pentire di nulla».

Anche la voce non le era nuova, pur con un microfono fissato all’orecchio che ne modificava l’intonazione e la camuffava un poco.

«Adesso che le nostre intenzioni sono state chiarite, volete seguirmi nella stanza adiacente?» parlò la seconda voce, calma e rilassata, quella dell’individuo alla sua sinistra, che, chinandosi rispettosamente e muovendo i propri passi come un rigido automa che segue specifiche direttive, li guidò.

Misaki ritenne che quello fosse abituato a ricevere ordini senza protestare mai. Come un efficiente maggiordomo.

La terza figura rimase invece ferma al suo posto, con una mano inguantata sul fianco destro e in silenzio, ed era forse l’unico che non le rammentava nessuno. 

 

 

 

«Non vi presentate?» domandò intimidito Aoi, facendosi portavoce del gruppo.

«Ci rincresce, ma per contratto non possiamo svelare chi siamo davvero. Dobbiamo limitarci a interpretare la parte sadica nella vostra caccia al tesoro e poi sparire», rispose colui che si atteggiava a maggiordomo.

«Anche se vi parrà che, con questa prima paurosa prova, stiamo anticipando di un giorno la festività di Halloween, in realtà il nostro scopo è ben lungi da una simile banalità. Tutti al mondo hanno paura di qualcosa, perciò adesso testeremo la vostra capacità di affrontare alcune situazioni terrificanti e nauseanti. Le sei porte frontali sono destinate a essere aperte. Vi chiediamo di oltrepassarle rapidamente e di chiudervi dentro le piccole stanze che troverete per venti minuti. A chi scapperà fuori prima del tempo, daremo una penalità e non saremo affatto clementi con il malcapitato», spiegò il biondo mascherato, l’unico del trio, dal momento che i suoi compari avevano capelli scuri.

Arrivati a questo punto, i nostri eroi non si sarebbero dati per vinti. Si sistemarono, ciascuno a caso, davanti alla porta scelta. Contemporaneamente, attesero il via e poi ruotarono la maniglia per spalancarle ed entrare nel buio.

Sei lampadine si accesero all’interno delle stanze misteriose.

 

Satsuki Hyodou non poteva credere ai suoi occhi, le iridi violette tremolarono per l’orrore, e non solo quelle, anche il suo intero corpo era scosso dai brividi.

Tantissimi topi squittivano e si disperdevano all’interno della piccola stanza, provocandole degli strilli acuti quando alcuni le camminarono vicino alle gambe. Almeno, quei sadici degli organizzatori avevano collocato nella stanza una sedia, sulla quale salì di corsa con i piedi sopra, agitandosi e continuando a strillare come un’ossessa.

Che sfortuna! Proprio a lei, che aveva la fobia dei ratti, doveva capitare!

«Ah! Aiutatemi, vi prego! Vogliono arrampicarsi! Aoi-kun! Misa! Misa!».

Tempo cinque minuti e la proprietaria del Maid Latte, non vedendo giungere nessuno a soccorrerla, corse verso la porta e scappò fuori dalla stanza: la sua prova personale era fallita.

 

Kaoru Kurusu si ritrovò in una stanzetta dalle pareti bianche e vuote. Gli unici oggetti presenti costituivano un divanetto consumato, un televisore e un paio di cuffie.

Trattandosi di una gara di resistenza alla paura, il ragazzo ritenne opportuno prepararsi psicologicamente a ciò che avrebbe visto.

«Metti le cuffie e preparati, partecipante. I tuoi venti minuti partiranno con l’inizio del filmato “speciale”. Goditelo fino in fondo, perché ti osserviamo e sapremo se hai distolto lo sguardo dallo schermo», parlò una nuova voce, che, si accorse, proveniva da una cassa audio e una microtelecamera collegate all’angolo della parete.

Kaoru, prendendo un respiro profondo, eseguì le direttive della voce sconosciuta.

E quando le prime immagini partirono, capì che si trattava di una raccolta di scene horror, seguite poi da altre sequenze particolarmente splatter e cruente.

Fu decisamente scioccante assistere a cotanta violenza, non era assolutamente il suo genere, lui preferiva le commedie e Syo l’azione, ma neanche nei suoi film c’era tutto quello. Forse, malgrado la nausea e l’inquietudine che provava, riuscì a resistere solamente perché non voleva arrecare più alcun disturbo o rallentamento agli altri. E poi, si trattava di venti minuti, soltanto venti minuti di scene che, in fondo, rientravano nella finzione cinematografica e televisiva.

Superò con successo la sua prova personale: se lo avesse saputo Syo-chan, sarebbe stato fiero di lui.

 

A Misaki Ayuzawa era parso di sentire qualcuno di familiare che la chiamava, ma le regole erano chiare, appena entrata nella stanza, doveva rimanere al suo interno fino allo scadere dei venti minuti.

Sperò che agli altri andasse tutto bene.

Da un altoparlante, seppe che doveva avvicinarsi a una vasca coperta da un telo e tenere mani e braccia dentro, qualunque cosa ci fosse.

Il tempo partì quando obbedì all’ordine.

Subito, sentì qualcosa di viscido che le camminava sulle dita. Sgranò gli occhi: avevano riempito il fondo di vermi di ogni genere e forma, nonché qualche scarafaggio!

«Che schifo… Maledetti organizzatori», ringhiò, disgustata, però tenne duro fino alla fine.

Poteva anche essere una ragazza, il sesso debole, ma se lei si metteva in testa di superare un ostacolo, anche uno così rivoltante, nessuno l’avrebbe fermata.

E anche la presidentessa demone si fece valere.

 

Ryuuya Hyuuga non aveva mai avuto paura degli insetti.

E nemmeno dei ragni.

La sua prova si sarebbe svolta in modo lento e noioso, anzi, si sentiva così tranquillo, nonostante intorno a sé l’ambiente pullulasse di ragni non velenosi e ragnatele, che decise di approfittarne per schiacciare un pisolino.

Incurante dei piccoli esseri a otto zampe, Ryuuya si sedette a gambe incrociate, con la schiena poggiata sulla parete, le braccia incrociate, chiudendo gli occhi.

Così, l’insegnante intransigente trionfò, senza neanche il bisogno di muovere un muscolo.

 

«Sentite, a me piacciono i giocattoli, ma vado matto per quelli carini e graziosi! Cosa diavolo sono questi brutti pagliacci?!» protestò imbronciato Aoi Hyoudou, rivolto verso la porta, come se qualcuno potesse rispondergli, entrambe le mani sui fianchi esili.

Gli era capitata la stanza dei clown inanimati, dei pupazzi che più di tutti non tollerava.

Dato che nessuna voce interveniva a replicare, il quattordicenne con la parrucca decise di passare il tempo giocando, se era ciò che quelli volevano, ma lo fece di malumore.

A qualcuno di quegli orribili clown staccò la testa e le braccia, tanto per sfogare la sua frustrazione. Anche rotti, emettevano un ronzio sinistro e la meccanica vocetta irritante.

Giocando e smontando pezzi, anche il giovanissimo caposquadra riuscì nella sua prova.

 

Tomochika Shibuya fischiò.

«Complimenti! Questo sì che sembra uno scenario degno di Halloween, fa un effetto veramente realistico», commentò lei, osservando la meticolosità con il quale avevano costruito un cadavere usando un manichino e i trucchi da professionisti. Anche le armi e i coltelli pieni di sangue, che sangue non era.

Impiegò i suoi venti minuti per scattare foto immaginandosi un agente della scientifica sulla scena di un efferato crimine.

Visto che non si impressionò, anch’ella superò la prova senza difficoltà.

 

 

 

«Vieni con me. Devi cambiarti i vestiti. La seconda e ultima prova si chiama “Un valzer con il vampiro” e tu, Ayuzawa Misaki-chan, sei la prescelta».

Quando tutti uscirono indenni dalle “stanzette della paura”, ella si sentì sussurrare vicino all’orecchio questa frase da uno degli organizzatori, sempre quello che aveva l’impressione di conoscere, se solo avesse potuto sfilargli la maschera…

«Hyuuga-san, secondo lei va contro le regole togliere la dannata maschera a quel tizio?» si chiese, seria.

«Credo di sì».

«Un momento, ragazzi! Zia Satsuki dov’è? Non la vedo! Per caso ha perso la sua sfida?» si accorse Aoi, notando la sua assenza e preoccupandosi leggermente.

«Esatto, Hyoudou Satsuki è stata invitata a lasciare la casa stregata e ad abbandonare la caccia al tesoro. Nessuna clemenza, vi avevamo avvertito in proposito», riferì l’individuo mascherato che non aveva ancora spifferato parola. Aveva un accento straniero, ma sapeva parlare il giapponese.

«Almeno garantisci che lei sta bene?» lo fulminò Misaki, facendo emergere il suo lato diffidente nei confronti dei maschi, sorto in lei da quando suo padre aveva abbandonato la famiglia per via dei debiti.

«Questo sì, milady. Cosa sta aspettando ancora? Il suo vestito per il ballo la sta aspettando», la invitò galantemente, indicando che l’altro varcava un passaggio nella parete.

Misaki, stringendo i denti, corse dietro al biondo e ambiguo figuro, ritrovandosi con suo enorme stupore in una sala da ricevimento dall’eleganza vittoriana ricorrente nei romanzi ottocenteschi, con un banchetto ricco di piatti coperti da vassoi capovolti, un lampadario di cristallo, tappeti persiani, un grammofono. Collocati in un angolino, c’erano quattro paraventi probabilmente destinati a lei, che le avrebbero consentito di cambiarsi.

 

 

 

In verità, il vestito che era stata costretta a indossare non era il classico abito vittoriano, ingombrante e riccamente definito di motivi complicati.

Era un vestito che le riportava alla mente il festival culturale in cui lei impersonava Giulietta e Usui Romeo, soltanto che, invece di essere rosa nella parte superiore e rosso in quella inferiore, in questo prevalevano il grigio e il bianco nella sottoveste.

Tuttavia, non era importante pensare alle differenze, la cosa fondamentale era che potessero vincere anche il secondo gioco, recuperare l’oggetto nascosto dai tre loschi figuri e andarsene verso la terza tappa, dove ci sarebbe stato anche Usui.

Scosse la testa, arrossendo. Non era il momento di rivolgere un pensiero all’alieno pervertito, seppur le mancasse. Un poco. Pochissimo. Quasi per nulla.

Orgogliosa e testarda, concesse il valzer richiesto dal suo cavaliere, danzando impacciata sulle note suggestive e rilassanti diffuse dal grammofono, notando con la coda dell’occhio che i suoi compagni erano stati invitati a sedere al banchetto e a servirsi come preferivano. Aoi, Shibuya e Kurusu approfittarono volentieri di codesta gentilezza inaspettata, solo Hyuuga-san non toccò nulla e rimase fermo a braccia conserte.

«È un vero peccato che non lo lasci perdere…» mormorò in tono basso il suo accompagnatore.

«Eh? Cosa? Chi dovrei lasciare perdere?» domandò Misaki, puntando gli occhi ambrati nei suoi, che, malgrado la maschera, riusciva a scorgere: oro, proprio come i suoi capelli.

«Usui Takumi. Lui non ti merita e tu non lo meriti. Non siete allo stesso livello. Ti divertiresti molto di più come mia schiava…», replicò, ghignante, stringendo la presa sulla schiena di lei.

E a Misaki, finalmente, venne un lampo di illuminazione. L’aveva appena riconosciuto, si era fregato con le sue stesse parole e azioni.

«Ah! Adesso ho capito chi sei, ti ho smascherato! Igarashi Tora, levati subito la maschera!» esclamò irritata, spingendolo via.

«Sciocca. Adesso non sono Igarashi Tora, ma il vampiro che ti succhierà il sangue. Ti ricordo che stiamo recitando, devi stare al gioco».

Dopo averle stretto forte i polsi con le mani, il ragazzo tentò di morderla sul collo. E un poco riuscì nel suo intento.

«Smettila! Non voglio segni equivoci sul collo, non te lo permetto!» protestò lei.

Malandrino, ne approfittò per succhiare il lembo di pelle su cui aveva posato i denti, ma, se entrambi si erano dimenticati della presenza della squadra nell’ampio salone, la squadra non se ne dimenticò, intervenendo in soccorso di Misaki.

Assaltarono Tora tutti insieme, chi insultandolo, chi assicurandosi che la compagna di squadra stesse bene, chi, come Ryuuya, serrando il furbetto con le sue forti braccia per impedirgli di avvicinarsi nuovamente.

Quando capirono che il ragazzo non le avrebbe più fatto nulla di male, lo lasciarono andare e lui si massaggiò le braccia.

«Mi allungo, ma non sono una corda. Faccio male, senza usare le lame. Mi usi con destrezza e mi avvolgi con lentezza. Cosa sono?» disse, a capo chino, senza far trapelare il suo stato d’animo.

«L’indizio per capire l’oggetto. Non dovrete cercare molto, si trova in questa stessa sala», aggiunse il terzo ragazzo, mentre il secondo si offriva di fare un massaggio al compagno alla fine della loro ricerca.

«Eccola! Stava sotto uno dei vassoi capovolti che non ci hanno fatto toccare prima, è la frusta?» lo trovò Kaoru, dopo sette minuti in cui si erano divisi per trovarla.

«Perfetto, signori. Potete andare via. Siete liberi adesso».

Era di nuovo il secondo ragazzo, quello calmo nonostante tutto, che, togliendosi la maschera, rivelò di essere Kanade Maki, il vicepresidente del consiglio studentesco del liceo Miyabigaoka e maggiordomo personale di Igarashi Tora, il presidente.

 

 

 

«Tiger-kun, sei stato parecchio avventato, però ti ringrazio, hai reso memorabile questa mia brevissima trasferta giapponese», gli confessò infine il giovane uomo d’affari che si celava dietro la terza maschera veneziana, quello che non aveva fatto quasi nulla durante la tappa della “prova di coraggio” soltanto perché non poteva esporsi troppo. In fondo, il suo fratellastro Takumi non doveva sapere nulla e, in quanto agli altri, nemmeno conoscevano la sua esistenza.

Non ancora, almeno.

 

 

 

*

 

 

 

Le nostre due squadre si ritrovarono, stanchi ma sereni, malgrado le sorprese e le vicissitudini incontrate, al Bentendo.

Il Bentendo era un tempio a base ottagonale situato sull’isoletta del laghetto Shirobazu, all’estremità meridionale del parco di Ueno, un altro dei quartieri caratteristici di Tokyo.

Esso, il tempio, era dedicato a Benten, la dea della ricchezza, della conoscenza, della fortuna e della musica. Proprio per la musica, era stato scelto come location della tappa definitiva della caccia al tesoro.

In un ambiente tanto bello, Misaki fu molto sollevata di riunirsi con sua sorella, con l’amico d’infanzia e con Usui, che iniziò immediatamente a stuzzicarla come al solito, invadendo il suo spazio privato e infischiandosene se gli altri li potessero vedere scambiarsi effusioni. La maid risolse tutto con uno scappellotto sulla sua zucca.

«Come sta il mio futuro collaboratore?» s’interessò affabilmente Ringo, rivolgendosi ad Aoi, il quale si perse in un lungo sproloquio per raccontargli più o meno tutto quello che la sua squadra aveva passato, aiutato in alcuni punti dagli interventi di Tomo-chan e di Kaoru, che si unirono all’animata conversazione.

A un tratto, in sottofondo, una base musicale classica attirò l’attenzione di tutti loro, mentre dalla piccola scalinata del tempio ottagonale scendevano tre individui con abbigliamento casual. Non erano nel mese della fioritura dei ciliegi, altrimenti avrebbero visto tanti petali rosa fluttuare magici nell’etere.

Comunque, si trattava dell’ultimo trio di organizzatori rimasto, quello composto da Haruka Nanami, Cecil Aijima e Camus.

«Haruka!».

Tomo-chan, entusiasta, corse ad abbracciare la sua migliore amica, poiché non sapeva che avessero coinvolto anche lei, cioè, questa era davvero una sorpresa!

«Mi hanno chiesto di partecipare perché sono la loro compositrice. Questa prova riguarda la musica che noi tutti amiamo sopra ogni cosa», mormorò, staccandosi da lei.

«Le muse benevoli accompagnano i passi di coloro che si dedicano con passione alla musica e che sanno renderla armonia», disse poeticamente Cecil, presentandosi.

«Chi di voi plebei sa suonare uno strumento musicale?» andò dritto al punto l’algido senpai, rivelando che la prova, l’ultima, avrebbe riguardato proprio quella materia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

___

Note: Ci avviciniamo alla conclusione della storia! Vi sono piaciute queste prove? :D

Ho una buona notizia da comunicarvi: l’intera fanfiction si è classificata prima e con molti complimenti, tanto che, mentre leggevo i risultati, pensavo: “No, cioè, ma davvero? Stanno parlando proprio di questa caccia al tesoro? Di questo parto?” xD

Superata l’incredulità iniziale, ho ringraziato e adesso lo faccio di nuovo, grazie di cuore alle due giudici per avermi ispirata così tanto! Sono soddisfatta di me ^_^

Spero di aver sorpreso anche voi così come ho stupito loro.

Eventuali chiarimenti verranno dati nell’epilogo.

Per chi non conosce Tora, Maki e Gerard Walker, invito caldamente i lettori a consultare la wikia di KWMS.

Il sito di riferimento per i quartieri e per i luoghi è sempre www.giapponepertutti.it

 

Prossimo aggiornamento: lunedì 22 gennaio.

 

A presto! ;)

Rina

 

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Uta no Prince-sama / Vai alla pagina dell'autore: Rinalamisteriosa