TERZO CAPITOLO
(Seconda fase)
Beccare le giuste
coincidenze della metro, per giungere nel quartiere di Ginza partendo da quello
di Kichijoji, non fu così semplice come sembrava, ma alla fine la squadra di
Ringo uscì dal mezzo e si mosse correndo fuori dalla stazione, per poi prestare
attenzione ai semafori e a non smarrire la strada, anche se in verità il luogo
da raggiungere si trovava soltanto a cinque minuti dalla stazione stessa. Ne
impiegarono il doppio, dieci minuti, ma almeno vi arrivarono ancora pieni di
energia e incuriositi.
Il teatro Shinbachi Enbujo venne aperto nel 1925,
come si poteva constatare dalla moderna facciata che si stagliava di fronte a
loro, del colore della sabbia del deserto e ben strutturata. Alcuni manifesti di
rappresentazioni del teatro kabuki
erano affissi sopra l’ingresso, dal momento che il luogo ne offriva una vasta
varietà di spettacoli. Al suo interno, si trovavano però anche ristoranti,
negozi di bento e
souvenirs.
«Secondo la mappa,
dobbiamo salire fino al terzo piano dell’edificio. Troveremo un simbolo
dell’agenzia sull’insegna esposta di un ristorante, che soltanto per oggi è
riservato a noi e alla nostra prova. Suppongo che si tratti di cucina, come
siete messi a riguardo?» s’interessò il caposquadra.
«Noriko-san è una
brava cuoca. Qualche volta mi capita di aiutarla».
«No, non sono così
brava come dice Mai-chan, in realtà. Conosco solo i piatti abituali che mangiavo
anche da piccola», si sminuì la trentenne.
«Non preoccupatevi:
se c’è da cucinare, lasciate fare a me» disse Usui, che stavolta era più che mai
sicuro di rendersi utile alla squadra.
«Grazie, Usui-kun»,
replicò Ringo con un lieve sorriso.
«Invece io sono
bravissimo a mangiare, se può esservi d’aiuto!» affermò Hinata Shintani, levando
un pugno verso l’alto.
«Confermo. You-kun
è un buongustaio», dichiarò Suzuna.
«Io lo definirei
più un pozzo senza fondo…» espresse il suo parere il
biondo.
«Non sembro umano
se lo dici così!» si lamentò l’interessato.
«Ragazzi, per
favore, non discutete proprio adesso», li rabbonì Ringo, indicando la porta
d’ingresso, «cosa preferite? Scale o ascensore?».
L’interno del
ristorante era davvero molto carino e ospitale, con pareti che ricordavano lo
stile ordinato delle case giapponesi e caratteristici arazzi risalenti ai secoli
passati appesi alle pareti che sembravano fatte di
pergamena.
Un insieme di
profumi deliziosi rese i sei partecipanti ottimisti riguardo alla prova, nonché
provocò un forte bisogno di rimpinzare lo stomaco definito “senza fondo” del
ragazzo bruno, che procedette nel locale con il volto in estasi. Al momento, gli
unici nel locale erano loro, forse gli altri stavano sul retro e dovevano
raggiungerli.
«C’è nessuno qui?
Oniichama, Mai-chan è venuta a
trovarti!» si fece sentire Mai con la sua vocina esuberante e
fiduciosa.
In qualche modo il
richiamo produsse l’effetto sperato e invitò come d’incanto il trio
organizzatore della prova a presentarsi.
In
una zona che stava in penombra si accesero tre lampade, rivelando un cuoco, un
aiuto cuoco e un cameriere. A calzare queste vesti che si adattavano alla
perfezione all’ambito culinario, era il trio composto da Ren Jinguji, Masato
Hijirikawa e Ranmaru Kurosaki.
«Un
caldo benvenuto ai nostri speciali clienti. Interessante… Pare che non saremo
gli unici a sorprendere voi, una leggiadra farfalla ha appena colpito nel cuore
il cuoco Hijirikawa», considerò il bel cameriere dai lunghi capelli, rimirando
il fiore che rigirava fra le dita.
«Ho
fatto male a oniichama? Per questo
non viene a salutarmi?» s’intristì la bambina, chinando il capo e celando gli
occhioni lucidi grazie alla frangetta.
«No.
Voleva dire che sono spiazzato. Non mi aspettavo di vedere mia sorella Mai in
questo contesto…» chiarì il ragazzo dai capelli blu, parzialmente coperti da un
copricapo di quelli che si utilizzavano in cucina.
Noriko
alzò gli occhi al soffitto.
«Uomini…»
borbottò. «Mai-chan, vuoi un fazzoletto?» addolcì il tono di voce rivolgendosi
alla sua figlioccia.
Masato
uscì dal fascio di luce per raggiungere il bancone del ristorante, prendere un
fazzoletto pulito e avvicinarsi alla bambina, composto.
«Se
voi due non vi spiegate chiaramente, la signorina fraintende e poi ci rimane
male. È più estroversa del signorino, ha un animo delicato e sensibile», ammonì
entrambi la tutrice, alla quale non sfuggiva nulla.
«Ha
ragione, Kanzaki. Avrei dovuto ricambiare il suo saluto».
«Mi
scuso se le mie parole sono parse inappropriate», aggiunse Ren.
«Sei
triste, Mai?» s’inginocchiò Masato, asciugando la lacrima trasparente che stava
scivolando lungo la fossetta rosea della piccola. Alla domanda del fratello
maggiore, lei scosse la testa, si accostò al suo petto e lui la cinse in un
abbraccio senza stringere. Finché Mai non rise, una risata cristallina priva di
risentimento che risolse ogni tensione.
«Oniichama, sai, io sono venuta per
giocare con te!» annunciò con gioia.
«Giocheremo
presto. Prima concedimi di tornare dagli altri, dobbiamo spiegare le regole», le
promise, scostandola delicatamente da sé, mentre Ren, nel frattempo, si era
approssimato per porgere il fiorellino bianco alla
piccola.
«Non
ti puoi ricordare di me, ma io ti ho già vista. Eri molto più piccola e riposavi
beata nella culla. Ora invece sei cresciuta e mi ricordi una farfalla. Puoi
prenderlo, è un pensierino per te».
Ren
non metteva mai via la sua galanteria con il genere femminile, nemmeno con le
bambine, a quanto pareva.
«Questi
trucchetti non funzionano con lei», ci tenne a dire la sua il compagno e amico
d’infanzia, trattandosi della sorellina.
«Grazie»,
accettò il pensierino lei, rivolgendosi poi al fratello, candidamente, «non
preoccuparti, Mai-chan vuole più bene a oniichama, anche se adesso non le sta
regalando nulla».
«Oh˜ è così dolce
questa scenetta!» si mise in mezzo Ringo. «E mi dispiace davvero tanto
interromperla, ma il vostro senpai
sta perdendo la pazienza, vuole davvero iniziare la prova, mi
sa».
«Avete mai
assaggiato un piatto da bendati? Sapreste riconoscere il cibo a occhi chiusi? Al
mondo esistono spezie, aromi, condimenti e c’è l’amaro, il dolce e il salato.
Pensate di essere in grado di distinguerli usando il senso del gusto e
occludendo quello della vista?».
Masato parlò come
se stesse recitando una battuta ripetuta almeno cento
volte.
«Cercheremo la
risposta mettendo alla prova tutti voi, pertanto noi vi applicheremo delle bende
sugli occhi e vi faremo assaggiare i trentasei contenuti diversi nascosti in
quel grande cesto coperto da un telo».
Alla parola “cesto”
nella frase di Ren una lampadina spenta si accese sopra un tavolo di legno con
il corrispettivo oggetto.
«Bando alle ciance,
gente, si comincia!» esclamò il rocker, che teneva già le sei bende fra le mani
e che avanzò per consegnarle a ogni giocatore.
Solo Mai ebbe
bisogno di aiuto per legare la sua benda e Noriko volle assisterla prima di
collocare sugli occhi la propria.
Si rivelò una prova
più divertente di quanto si aspettassero, poiché i gusti erano davvero misti e
realmente assaggiarono, a turno, alimenti piccanti, amari, dolci, salati, aspri,
per poi cercare di indovinarli senza poter vedere nulla. Ren non si fece
problemi a imboccare i partecipanti e a stuzzicarli, mentre Masato si premurò di
scegliere sapori non particolarmente difficili per Mai e pensò anche a Kanzaki,
dal momento che conosceva entrambe.
Ranmaru si prodigò
per fornire bicchieri d’acqua e tozzi di pane nel caso servissero a far passare
il bruciore provocato a causa di un gusto piccante o cattivo, giocando con
Ringo.
«Adesso possiamo
toglierci le bende?» s’informò allegramente quest’ultimo, felice che la prova
fosse ormai superata, dal momento che tutti avevano completato l’assaggio di sei
nutrimenti ciascuno e soddisfatto gli organizzatori nelle risposte
date.
«Potete toglierle»,
assicurò Masato e questa volta aiutò lui la bambina a sciogliere il nodo dietro
la testa.
Solo Hinata
Shintani si dispiacque che il primo gioco fosse già finito, ma la cosa non stupì
nessuno.
Compostamente,
Masato riprese la parola, richiamando l’attenzione di tutti, dopo che il senpai
Kurosaki era stato costretto ad andare via prima dello scadere della prova, in
seguito a una chiamata del suo manager.
«La nostra tappa
non finisce qui. Adesso chiediamo a tre di voi di offrirvi volontari per
cucinare un determinato piatto che noi vi suggeriremo fra quelli presenti nel
menù di questo ristorante, mentre agli altri tre toccherà giudicare il risultato
finale. Capiremo così se avrete davvero meritato la vittoria. I cuochi volontari
avranno cinquanta minuti di tempo per sorprenderci con la loro abilità fra i
fornelli».
«Finalmente è
arrivato il mio turno», intervenne Usui, spostandosi per prepararsi al
passatempo culinario.
«You-kun, non
preoccuparti, mi impegnerò per prepararti qualcosa di saporito», garantì Suzuna,
apparentemente senza enfasi, ma nel profondo era veramente contenta di fare ciò
per il bene della squadra – e per piacere a Shintani.
«Noriko-san,
Mai-chan ha fame!» esclamò la bambina, toccandosi il
pancino.
«Va bene. Non posso
certo rifiutarmi, in fondo sono l’unica che conosce i gusti della signorina e
che allo stesso tempo immagina cosa potrebbe piacere anche a voi», affermò,
inchinandosi, per poi raggiungere gli altri due volontari in
postazione.
Frittata di riso,
Tofu all’uovo e Hakodate Ramen furono i tre piatti selezionati per Usui, la
piccola Ayuzawa e per la domestica e tutrice di Mai.
Il primo preparò
una frittata di riso molto buona, prelibata e condita superbamente, ma del resto
lui si era abituato a cucinare, grazie al fatto che viveva da solo. Anche al
Maid Latte, tante volte, aveva sostituito i cuochi guadagnandosi l’ammirazione
della proprietaria e delle altre maid
e cercando sempre di far colpo su Misaki pure in quel
campo.
Anche la seconda
non se la cavò male, con un tofu all’uovo apprezzabile e saporito, grazie
all’esperienza acquisita osservando la madre cucinare e aiutandola più di una
volta.
I nonni della terza
avevano origini in Hokkaido, una città situata nel nord del Giappone, perciò lei
aveva puntato su un piatto di ramen che le rammentasse la sua infanzia, quando
Noriko era ancora spensierata e andava a trovarli pedalando in bicicletta,
quando non si era ancora trasferita con suo padre in un’altra città e in una
casa affittata che le aveva lasciato soltanto pessimi
ricordi.
Comunque,
nonostante questo, si concentrò esclusivamente sulla perfetta riuscita della
ricetta, scegliendo gli ingredienti migliori dalla ben fornita dispensa e
ringraziando il cielo che ci fossero tutti: il maiale arrosto, lo scalogno, il
bamboo, gli spinaci, l’alga nori, più un brodo di salsa di soia che doveva
risultare leggero, soprattutto questo era importante.
Al termine dei
cinquanta minuti, i tre componenti della squadra assaggiarono a turno tutti i
piatti preparati per loro e giudicarono la prova magistralmente superata,
soddisfatti di aver messo qualcosa sullo stomaco, soprattutto
Hinata-kun.
Ringo chiese se
anche in quel caso dovevano aspettarsi un indizio e un oggetto in palio. Ren
annuì.
«È vero che assomiglio alla marmellata, ma
non mi potete spalmare. Non sono liquido, giaccio dentro a un vasetto e posso
essere rosso, verde, giallo e blu: ai bambini piaccio anche di più. Cosa
sono?» in tono scherzoso, pronunciò l’indovinello per dare il via alla
ricerca.
L’unica che non vi
prese parte fu Mai, perché preferì giocare insieme al fratello maggiore prima di
dover andare via.
Masato la portò
fuori per fare una breve passeggiata nei dintorni, promettendole, nel frattempo,
che la prossima volta avrebbero giocato molto di più, se ciò l’avesse resa
felice.
«Finora ti sei
divertita? Sono stati bravi con te?» s’interessò lui.
«Sì, oniichama! Sono tutti bravissimi, oggi
mi sono divertita tantissimo!» confermò Mai, stringendogli la mano che la teneva
mentre camminavano insieme.
I due fratelli
trovarono casualmente una cabina che sviluppava foto istantanee, di quelle
utilizzate dai turisti in visita oppure dalle coppie di innamorati. La piccola
insisté per averne una insieme a lui e Masato non voleva vederla di nuovo
intristirsi, per cui acconsentì alla sua semplice
richiesta.
Ne fecero un paio e
poi tornarono indietro, scoprendo Noriko che li stava aspettando fuori dal
locale e che l’informò sull’andamento delle cose.
«Shintani Hinata ha
trovato l’oggetto. Si trattava di un vasetto di gelatina. Stiamo per partire
alla volta dell’ultima tappa, gli altri sono già scesi e ci
aspettano».
Temeva che Mai
avrebbe fatto i capricci, ma per fortuna non fu così, Mai accettò
tranquillamente di congedarsi dal suo caro oniichama e lo salutò con affetto, senza
versare una lacrima.
«Kanzaki?» la
richiamò lui.
«Signorino?».
«Grazie di
prenderti cura di lei».
«È un dovere, un
onore e un piacere, per me».
*
La Namco Namja Town, situata all’interno
del quartiere di Ikebukuro Est, vantava, fra le attrazioni feline, iniziative
commerciali e aree di ristoro per attrarre il pubblico pagante e i turisti
curiosi, anche case dei fantasmi montate per i bambini.
Lo scenario che il
gruppo di Aoi si ritrovò davanti, però, era molto più appariscente, dava quasi
l’idea di essere stato progettato dallo stesso Saotome, o almeno questo era il
pensiero di Ryuuya, braccio destro del Presidente. Essa, la facciata della casa
allestita per la prova, non era dissimile da quella di un film horror, grottesca
e volta a terrorizzare i nostri volenterosi protagonisti.
Prima di recarsi
alla Namco Namja Town, dopo essere
scesi dalla metro, Hyuuga decise
che avrebbe accompagnato Kaoru in un negozio di abbigliamento a cambiare i
pantaloni strappati, non era giusto lasciarlo nelle sue attuali condizioni. Il
ragazzo biondo lo ringraziò, inchinandosi si scusò con gli altri per la
deviazione che dovevano fare a causa sua e seguì il gruppo camminando piano,
ormai la ferita non si sentiva quasi più e non doveva zoppicare, l’unico
fastidio stava nel cerotto, che tirava un pochino la pelle a ogni movimento
della gamba destra.
Risolto il problema
del cambio di Kaoru, ecco che i nostri eroi giunsero infine nella loro tappa
prefissata. Studiando lo scenario della casa infestata, si domandarono, chi
preoccupati, chi seri, cosa vi avrebbero trovato all’interno, quali prove di
coraggio sarebbero toccate loro in sorte e chi aveva organizzato
tutto.
Innanzitutto, una
volta varcata la soglia, una nebbia artificiale impedì loro di vedere l’ingresso
della casa improvvisata. Avanzando con cautela per colpa della visuale appannata
dalla foschia generata da chissà quale macchinario, a tentoni, riconobbero le
ringhiere di una scala.
Ryuuya salì i
gradini senza pensarci due volte, incoraggiando con il suo impavido esempio gli
altri giocatori, che gli andarono dietro uno alla volta.
A dire il vero
Misaki era abbastanza sicura di sé, non aveva affatto paura, potevano anche
cercare di spaventarla, ma non ci sarebbero riusciti. La sua presenza confortò
Aoi, anche se il net idol, per
infondersi coraggio, gli stava appresso, aggrappandosi al suo braccio e
strillando quando percepì qualcosa sul braccio, però si trattava semplicemente
di una ragnatela finta, messa a penzoloni per fare scena, constatò la
presidentessa del consiglio studentesco del liceo Seika dopo averla toccata con
mano.
«Aoi, che è
successo?!» si preoccupò la zia, con la visuale ancora
appannata.
«Non preoccuparti,
capo, ho già risolto», replicò Misaki, sospirando.
Giunti al piano
superiore, la nebbia finta, fortunatamente, iniziò a diradarsi finché comparvero
chiaramente, innanzi a loro, tre loschi figuri.
Le tre maschere
veneziane che avevano sul viso impedirono alla squadra di Aoi di riconoscere in
essi delle persone conosciute e di stabilirne, almeno solo vagamente,
l’identità.
Eppure, la
determinata ragazza dagli occhi ambrati ebbe uno strano presentimento riguardo
al ragazzo centrale: quei capelli giallastri con la frangia che pendeva dal lato
destro e quel sorrisetto sardonico erano elementi di un viso che le sembrava di
aver già incontrato prima.
«Vi diamo il nostro
cordiale benvenuto nella casa spettrale, seconda tappa del vostro viaggio. Ci
auguriamo che possiate trascorrere con noi, in modo indimenticabile, un’ora del
tempo messo a disposizione apposta per rendere quantomeno interessante la vostra
patetica caccia al tesoro. Ci guadagnerete davvero molto grazie a noi tre,
decisamente. Non vi faremo pentire di nulla».
Anche la voce non
le era nuova, pur con un microfono fissato all’orecchio che ne modificava
l’intonazione e la camuffava un poco.
«Adesso che le
nostre intenzioni sono state chiarite, volete seguirmi nella stanza adiacente?»
parlò la seconda voce, calma e rilassata, quella dell’individuo alla sua
sinistra, che, chinandosi rispettosamente e muovendo i propri passi come un
rigido automa che segue specifiche direttive, li guidò.
Misaki ritenne che
quello fosse abituato a ricevere ordini senza protestare mai. Come un efficiente
maggiordomo.
La terza figura
rimase invece ferma al suo posto, con una mano inguantata sul fianco destro e in
silenzio, ed era forse l’unico che non le rammentava nessuno.
«Non vi
presentate?» domandò intimidito Aoi, facendosi portavoce del
gruppo.
«Ci rincresce, ma
per contratto non possiamo svelare chi siamo davvero. Dobbiamo limitarci a
interpretare la parte sadica nella vostra caccia al tesoro e poi sparire»,
rispose colui che si atteggiava a maggiordomo.
«Anche se vi parrà
che, con questa prima paurosa prova, stiamo anticipando di un giorno la
festività di Halloween, in realtà il nostro scopo è ben lungi da una simile
banalità. Tutti al mondo hanno paura di qualcosa, perciò adesso testeremo la
vostra capacità di affrontare alcune situazioni terrificanti e nauseanti. Le sei
porte frontali sono destinate a essere aperte. Vi chiediamo di oltrepassarle
rapidamente e di chiudervi dentro le piccole stanze che troverete per venti
minuti. A chi scapperà fuori prima del tempo, daremo una penalità e non saremo
affatto clementi con il malcapitato», spiegò il biondo mascherato, l’unico del
trio, dal momento che i suoi compari avevano capelli
scuri.
Arrivati a questo
punto, i nostri eroi non si sarebbero dati per vinti. Si sistemarono, ciascuno a
caso, davanti alla porta scelta. Contemporaneamente, attesero il via e poi
ruotarono la maniglia per spalancarle ed entrare nel buio.
Sei lampadine si
accesero all’interno delle stanze misteriose.
Satsuki Hyodou non
poteva credere ai suoi occhi, le iridi violette tremolarono per l’orrore, e non
solo quelle, anche il suo intero corpo era scosso dai
brividi.
Tantissimi topi
squittivano e si disperdevano all’interno della piccola stanza, provocandole
degli strilli acuti quando alcuni le camminarono vicino alle gambe. Almeno, quei
sadici degli organizzatori avevano collocato nella stanza una sedia, sulla quale
salì di corsa con i piedi sopra, agitandosi e continuando a strillare come
un’ossessa.
Che sfortuna!
Proprio a lei, che aveva la fobia dei ratti, doveva
capitare!
«Ah! Aiutatemi, vi
prego! Vogliono arrampicarsi! Aoi-kun! Misa! Misa!».
Tempo cinque minuti
e la proprietaria del Maid Latte, non vedendo giungere nessuno a soccorrerla,
corse verso la porta e scappò fuori dalla stanza: la sua prova personale era
fallita.
Kaoru Kurusu si
ritrovò in una stanzetta dalle pareti bianche e vuote. Gli unici oggetti
presenti costituivano un divanetto consumato, un televisore e un paio di
cuffie.
Trattandosi di una
gara di resistenza alla paura, il ragazzo ritenne opportuno prepararsi
psicologicamente a ciò che avrebbe visto.
«Metti le cuffie e
preparati, partecipante. I tuoi venti minuti partiranno con l’inizio del filmato
“speciale”. Goditelo fino in fondo, perché ti osserviamo e sapremo se hai
distolto lo sguardo dallo schermo», parlò una nuova voce, che, si accorse,
proveniva da una cassa audio e una microtelecamera collegate all’angolo della
parete.
Kaoru, prendendo un
respiro profondo, eseguì le direttive della voce
sconosciuta.
E quando le prime
immagini partirono, capì che si trattava di una raccolta di scene horror,
seguite poi da altre sequenze particolarmente splatter e
cruente.
Fu decisamente
scioccante assistere a cotanta violenza, non era assolutamente il suo genere,
lui preferiva le commedie e Syo l’azione, ma neanche nei suoi film c’era tutto
quello. Forse, malgrado la nausea e l’inquietudine che provava, riuscì a
resistere solamente perché non voleva arrecare più alcun disturbo o
rallentamento agli altri. E poi, si trattava di venti minuti, soltanto venti
minuti di scene che, in fondo, rientravano nella finzione cinematografica e
televisiva.
Superò con successo
la sua prova personale: se lo avesse saputo Syo-chan, sarebbe stato fiero di
lui.
A Misaki Ayuzawa
era parso di sentire qualcuno di familiare che la chiamava, ma le regole erano
chiare, appena entrata nella stanza, doveva rimanere al suo interno fino allo
scadere dei venti minuti.
Sperò che agli
altri andasse tutto bene.
Da un altoparlante,
seppe che doveva avvicinarsi a una vasca coperta da un telo e tenere mani e
braccia dentro, qualunque cosa ci fosse.
Il tempo partì
quando obbedì all’ordine.
Subito, sentì
qualcosa di viscido che le camminava sulle dita. Sgranò gli occhi: avevano
riempito il fondo di vermi di ogni genere e forma, nonché qualche
scarafaggio!
«Che schifo…
Maledetti organizzatori», ringhiò, disgustata, però tenne duro fino alla
fine.
Poteva anche essere
una ragazza, il sesso debole, ma se lei si metteva in testa di superare un
ostacolo, anche uno così rivoltante, nessuno l’avrebbe
fermata.
E anche la
presidentessa demone si fece valere.
Ryuuya Hyuuga non
aveva mai avuto paura degli insetti.
E nemmeno dei
ragni.
La sua prova si
sarebbe svolta in modo lento e noioso, anzi, si sentiva così tranquillo,
nonostante intorno a sé l’ambiente pullulasse di ragni non velenosi e ragnatele,
che decise di approfittarne per schiacciare un pisolino.
Incurante dei
piccoli esseri a otto zampe, Ryuuya si sedette a gambe incrociate, con la
schiena poggiata sulla parete, le braccia incrociate, chiudendo gli
occhi.
Così, l’insegnante
intransigente trionfò, senza neanche il bisogno di muovere un
muscolo.
«Sentite, a me
piacciono i giocattoli, ma vado matto per quelli carini e graziosi! Cosa diavolo
sono questi brutti pagliacci?!» protestò imbronciato Aoi Hyoudou, rivolto verso
la porta, come se qualcuno potesse rispondergli, entrambe le mani sui fianchi
esili.
Gli era capitata la
stanza dei clown inanimati, dei pupazzi che più di tutti non
tollerava.
Dato che nessuna
voce interveniva a replicare, il quattordicenne con la parrucca decise di
passare il tempo giocando, se era ciò che quelli volevano, ma lo fece di
malumore.
A qualcuno di
quegli orribili clown staccò la testa e le braccia, tanto per sfogare la sua
frustrazione. Anche rotti, emettevano un ronzio sinistro e la meccanica vocetta
irritante.
Giocando e
smontando pezzi, anche il giovanissimo caposquadra riuscì nella sua
prova.
Tomochika Shibuya
fischiò.
«Complimenti!
Questo sì che sembra uno scenario degno di Halloween, fa un effetto veramente
realistico», commentò lei, osservando la meticolosità con il quale avevano
costruito un cadavere usando un manichino e i trucchi da professionisti. Anche
le armi e i coltelli pieni di sangue, che sangue non era.
Impiegò i suoi
venti minuti per scattare foto immaginandosi un agente della scientifica sulla
scena di un efferato crimine.
Visto che non si
impressionò, anch’ella superò la prova senza difficoltà.
«Vieni con me. Devi
cambiarti i vestiti. La seconda e ultima prova si chiama “Un valzer con il vampiro” e tu, Ayuzawa
Misaki-chan, sei la prescelta».
Quando tutti
uscirono indenni dalle “stanzette della paura”, ella si sentì sussurrare vicino
all’orecchio questa frase da uno degli organizzatori, sempre quello che aveva
l’impressione di conoscere, se solo avesse potuto sfilargli la
maschera…
«Hyuuga-san,
secondo lei va contro le regole togliere la dannata maschera a quel tizio?» si
chiese, seria.
«Credo di
sì».
«Un momento,
ragazzi! Zia Satsuki dov’è? Non la vedo! Per caso ha perso la sua sfida?» si
accorse Aoi, notando la sua assenza e preoccupandosi
leggermente.
«Esatto, Hyoudou
Satsuki è stata invitata a lasciare la casa stregata e ad abbandonare la caccia
al tesoro. Nessuna clemenza, vi avevamo avvertito in proposito», riferì
l’individuo mascherato che non aveva ancora spifferato parola. Aveva un accento
straniero, ma sapeva parlare il giapponese.
«Almeno garantisci
che lei sta bene?» lo fulminò Misaki, facendo emergere il suo lato diffidente
nei confronti dei maschi, sorto in lei da quando suo padre aveva abbandonato la
famiglia per via dei debiti.
«Questo sì, milady. Cosa sta aspettando ancora? Il
suo vestito per il ballo la sta aspettando», la invitò galantemente, indicando
che l’altro varcava un passaggio nella parete.
Misaki, stringendo
i denti, corse dietro al biondo e ambiguo figuro, ritrovandosi con suo enorme
stupore in una sala da ricevimento dall’eleganza vittoriana ricorrente nei
romanzi ottocenteschi, con un banchetto ricco di piatti coperti da vassoi
capovolti, un lampadario di cristallo, tappeti persiani, un grammofono.
Collocati in un angolino, c’erano quattro paraventi probabilmente destinati a
lei, che le avrebbero consentito di cambiarsi.
In verità, il
vestito che era stata costretta a indossare non era il classico abito
vittoriano, ingombrante e riccamente definito di motivi
complicati.
Era un vestito che
le riportava alla mente il festival culturale in cui lei impersonava Giulietta e
Usui Romeo, soltanto che, invece di essere rosa nella parte superiore e rosso in
quella inferiore, in questo prevalevano il grigio e il bianco nella
sottoveste.
Tuttavia, non era
importante pensare alle differenze, la cosa fondamentale era che potessero
vincere anche il secondo gioco, recuperare l’oggetto nascosto dai tre loschi
figuri e andarsene verso la terza tappa, dove ci sarebbe stato anche
Usui.
Scosse la testa,
arrossendo. Non era il momento di rivolgere un pensiero all’alieno pervertito,
seppur le mancasse. Un poco. Pochissimo. Quasi per nulla.
Orgogliosa e
testarda, concesse il valzer richiesto dal suo cavaliere, danzando impacciata
sulle note suggestive e rilassanti diffuse dal grammofono, notando con la coda
dell’occhio che i suoi compagni erano stati invitati a sedere al banchetto e a
servirsi come preferivano. Aoi, Shibuya e Kurusu approfittarono volentieri di
codesta gentilezza inaspettata, solo Hyuuga-san non toccò nulla e rimase fermo a
braccia conserte.
«È un vero peccato che non lo lasci
perdere…» mormorò in tono basso il suo accompagnatore.
«Eh? Cosa? Chi
dovrei lasciare perdere?» domandò Misaki, puntando gli occhi ambrati nei suoi,
che, malgrado la maschera, riusciva a scorgere: oro, proprio come i suoi
capelli.
«Usui Takumi. Lui
non ti merita e tu non lo meriti. Non siete allo stesso livello. Ti divertiresti
molto di più come mia schiava…», replicò, ghignante, stringendo la presa sulla
schiena di lei.
E a Misaki,
finalmente, venne un lampo di illuminazione. L’aveva appena riconosciuto, si era
fregato con le sue stesse parole e azioni.
«Ah! Adesso ho
capito chi sei, ti ho smascherato! Igarashi Tora, levati subito la maschera!»
esclamò irritata, spingendolo via.
«Sciocca. Adesso
non sono Igarashi Tora, ma il vampiro che ti succhierà il sangue. Ti ricordo che
stiamo recitando, devi stare al gioco».
Dopo averle stretto
forte i polsi con le mani, il ragazzo tentò di morderla sul collo. E un poco
riuscì nel suo intento.
«Smettila! Non
voglio segni equivoci sul collo, non te lo permetto!» protestò
lei.
Malandrino, ne
approfittò per succhiare il lembo di pelle su cui aveva posato i denti, ma, se
entrambi si erano dimenticati della presenza della squadra nell’ampio salone, la
squadra non se ne dimenticò, intervenendo in soccorso di
Misaki.
Assaltarono Tora
tutti insieme, chi insultandolo, chi assicurandosi che la compagna di squadra
stesse bene, chi, come Ryuuya, serrando il furbetto con le sue forti braccia per
impedirgli di avvicinarsi nuovamente.
Quando capirono che
il ragazzo non le avrebbe più fatto nulla di male, lo lasciarono andare e lui si
massaggiò le braccia.
«Mi allungo, ma non sono una corda. Faccio
male, senza usare le lame. Mi usi con destrezza e mi avvolgi con lentezza. Cosa
sono?» disse, a capo chino, senza far trapelare il suo stato
d’animo.
«L’indizio per
capire l’oggetto. Non dovrete cercare molto, si trova in questa stessa sala»,
aggiunse il terzo ragazzo, mentre il secondo si offriva di fare un massaggio al
compagno alla fine della loro ricerca.
«Eccola! Stava
sotto uno dei vassoi capovolti che non ci hanno fatto toccare prima, è la
frusta?» lo trovò Kaoru, dopo sette minuti in cui si erano divisi per
trovarla.
«Perfetto, signori.
Potete andare via. Siete liberi adesso».
Era di nuovo il
secondo ragazzo, quello calmo nonostante tutto, che, togliendosi la maschera,
rivelò di essere Kanade Maki, il vicepresidente del consiglio studentesco del
liceo Miyabigaoka e maggiordomo personale di Igarashi Tora, il
presidente.
«Tiger-kun, sei stato parecchio
avventato, però ti ringrazio, hai reso memorabile questa mia brevissima
trasferta giapponese», gli confessò infine il giovane uomo d’affari che si
celava dietro la terza maschera veneziana, quello che non aveva fatto quasi
nulla durante la tappa della “prova di coraggio” soltanto perché non poteva
esporsi troppo. In fondo, il suo fratellastro Takumi non doveva sapere nulla e,
in quanto agli altri, nemmeno conoscevano la sua esistenza.
Non ancora,
almeno.
*
Le nostre due
squadre si ritrovarono, stanchi ma sereni, malgrado le sorprese e le
vicissitudini incontrate, al Bentendo.
Il Bentendo era un tempio a base ottagonale
situato sull’isoletta del laghetto Shirobazu, all’estremità meridionale del
parco di Ueno, un altro dei quartieri caratteristici di
Tokyo.
Esso, il tempio,
era dedicato a Benten, la dea della ricchezza, della conoscenza, della fortuna e
della musica. Proprio per la musica, era stato scelto come location della tappa
definitiva della caccia al tesoro.
In un ambiente
tanto bello, Misaki fu molto sollevata di riunirsi con sua sorella, con l’amico
d’infanzia e con Usui, che iniziò immediatamente a stuzzicarla come al solito,
invadendo il suo spazio privato e infischiandosene se gli altri li potessero
vedere scambiarsi effusioni. La maid risolse tutto con uno scappellotto sulla
sua zucca.
«Come sta il mio
futuro collaboratore?» s’interessò affabilmente Ringo, rivolgendosi ad Aoi, il
quale si perse in un lungo sproloquio per raccontargli più o meno tutto quello
che la sua squadra aveva passato, aiutato in alcuni punti dagli interventi di
Tomo-chan e di Kaoru, che si unirono all’animata
conversazione.
A un tratto, in
sottofondo, una base musicale classica attirò l’attenzione di tutti loro, mentre
dalla piccola scalinata del tempio ottagonale scendevano tre individui con
abbigliamento casual. Non erano nel mese della fioritura dei ciliegi, altrimenti
avrebbero visto tanti petali rosa fluttuare magici
nell’etere.
Comunque, si
trattava dell’ultimo trio di organizzatori rimasto, quello composto da Haruka
Nanami, Cecil Aijima e Camus.
«Haruka!».
Tomo-chan,
entusiasta, corse ad abbracciare la sua migliore amica, poiché non sapeva che
avessero coinvolto anche lei, cioè, questa era davvero una
sorpresa!
«Mi hanno chiesto
di partecipare perché sono la loro compositrice. Questa prova riguarda la musica
che noi tutti amiamo sopra ogni cosa», mormorò, staccandosi da
lei.
«Le muse benevoli
accompagnano i passi di coloro che si dedicano con passione alla musica e che
sanno renderla armonia», disse poeticamente Cecil,
presentandosi.
«Chi di voi plebei
sa suonare uno strumento musicale?» andò dritto al punto l’algido senpai,
rivelando che la prova, l’ultima, avrebbe riguardato proprio quella
materia.
___
Note: Ci avviciniamo alla
conclusione della storia! Vi sono piaciute queste prove?
:D
Ho una buona notizia
da comunicarvi: l’intera fanfiction si è classificata prima e con molti
complimenti, tanto che, mentre leggevo i risultati, pensavo: “No, cioè, ma
davvero? Stanno parlando proprio di questa caccia al tesoro? Di questo parto?”
xD
Superata
l’incredulità iniziale, ho ringraziato e adesso lo faccio di nuovo, grazie di
cuore alle due giudici per avermi ispirata così tanto! Sono soddisfatta di me
^_^
Spero di aver
sorpreso anche voi così come ho stupito loro.
Eventuali chiarimenti
verranno dati nell’epilogo.
Per chi non conosce
Tora, Maki e Gerard Walker, invito caldamente i lettori a consultare la wikia di
KWMS.
Il sito di
riferimento per i quartieri e per i luoghi è sempre www.giapponepertutti.it
Prossimo
aggiornamento: lunedì 22
gennaio.
A presto!
;)
Rina