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Autore: Nanas    13/01/2018    3 recensioni
“[…] Perché Gotham è, prima di tutto, i suoi cittadini.
Cittadini che continuano a portarla sull’orlo del baratro solo per tirarla all’ultimo nuovamente via, desiderosi di combattere per l’anima di quella città che si ritrova ad essere ancora una volta appagata del caos che la compone, soddisfatta della consapevolezza che il vivere le sue ombre comporta.
Poiché tutti sono parte della sua esistenza, tutti sono sangue che scorre caldo nelle sue vene e che rende possibile la sopravvivenza al freddo della notte:
Tutti sono criminali, a loro modo. E finché vivono, così vive la città.
E poiché la città vive, così vive Batman.”
_________________________________
Hint: [KuroKen] [BokuAka] [DaiSuga] [IwaOi]
[Batman AU] [WARNING: Slow Build Fanfiction!]
Genere: Azione, Dark, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Daichi Sawamura, Hajime Iwaizumi, Morisuke Yaku, Tetsurou Kuroo
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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12. Tutto è veleno, e nulla esiste senza veleno.
(Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto)



Paracelso





GOTHAM CITY Gotham Center Police Department (GCPD)

22/12/1976 – Ore 12:30 circa


«Oh, a dire il vero– quella la so già».

«… Cosa?»

Silenzio. Migliaia di sguardi che si puntano in contemporanea verso Yamaguchi mentre il ragazzo si rende improvvisamente più piccolo, una punta di sconcerto all’idea di essere improvvisamente divenuto il bersaglio di così tante occhiate focalizzate interamente su di lui.

«S–Sì, cioè, la tesi era su quello?»

«Su quello

Yaku aggrotta le sopracciglia, la tensione presente nella tonalità che si incrina appena nel formulare la domanda, rendendo se possibile Yamaguchi ancora più teso.

«Sul controllo… delle attività neuronali sulle persone affette da schizofrenia. L’esperimento mio e di Kei consisteva nell’eliminare il problema, non nel crearlo».

La voce dello sperimentatore è un poco incerta mentre continua, ma nell’ultima frase lascia che trapeli una goccia di flebile risentimento nel ritrovarsi involontariamente a giustificare le proprie azioni. Ed anzi, a dirla tutta è un po’ offeso da come tutti lo guardano al momento, quasi come non fossero ancora convinti se il suo tipo di ricerca fosse davvero finanziato dall’università o da un gruppo terroristico interessato alla creazione di un’arma biologica.

«Però non potevamo fare sperimentazione su persone vive, quindi prima abbiamo provato a indurre sui topi delle allucinazioni leggere che potessero essere controllate tramite le varie composizioni–»

Continua, e gli occhi verdi vanno ad arrischiarsi a cercare quelli del commissario mentre Batman, al contrario, rimane in silenzio al lato dell’entrata, un’ombra inattesa e senziente in quell’universo di bianco e provette. Un suono di carta sfogliata porta tutti a voltarsi verso un lato della stanza, e vedono Kiyoko scrutare i fogli indicati dal ragazzo precedentemente, prendendone un paio ed iniziando a camminare per la stanza e lungo i contorni dei tavoli. Per qualche minuto gli unici suoni udibili sono i tacchi che tamburellano il pavimento duro, creando un rumore sordo che echeggia in maniera regolare tra le pareti del laboratorio, prima che gli occhi longilinei e scuri della donna tornino ad alzarsi verso il commissario, annuendo con delicatezza.

«Sei assolutamente sicuro di ricordarlo, Yamaguchi? Sapresti ricrearlo in laboratorio, adesso?»

Domanda solo a quel punto Yaku, voltandosi nuovamente verso lo sperimentatore mentre il tono serio e contenuto lascia posto ad una leggera vibrazione provocata, forse, dalla speranza di una soluzione inattesa. Yamaguchi si morde l’interno del labbro inferiore, le mani che vanno a massaggiarsi i dorsi mentre il nervosismo porta le orecchie e le guance ad arrossarsi leggermente, accaldando il viso del giovane. Sicuro, lui? Completamente sicuro?

«Io– Io non lo so. Posso provarci, però non–»

Non riesce davvero a terminare di parlare, tanto è in lotta nel tenere la respirazione calma e i battiti regolari, così nel frattempo cala il silenzio, Yaku che rimane a fissarlo serio e attento prima di voltarsi verso Kiyoko e il resto del gruppo, annuendo brevemente.

«Perfetto, allora. Mentre il dottor Yamaguchi e la dottoressa Kiyoko lavoreranno alla cura noi parleremo su come comportarsi una volta fuori di qui. Seguitemi».

E prima che Yamaguchi possa dire nuovamente qualcosa Yaku si volta, concentrato e sicuro come pochi esseri umani nel mondo, andando a fare qualche passo verso il corridoio e tirandosi dietro le figure delle guardie e di Batman.




°°°°




L’etichetta appena fuori la porta che Batman e i tre poliziotti erano ad un passo dal varcare esponeva la scritta ‘ufficio personale’, e non serviva fare più di due metri all’interno della stanza per rendersi conto di come esso fosse incredibilmente diverso dal resto delle stanze appartenenti a quell’ala del Dipartimento.

L’ufficio si componeva di cinque scrivanie da lavoro di un bianco latte, tutte accompagnate dalle loro sedie imbottite in tessuto che posavano su cinque piedi dotati di rotelle per facilitare i movimenti su un accogliente e levigato pavimento in legno. Scaffali da poco verniciati in resina offrivano ripari a documenti e scatole sigillate, impilati in maniera ordinata su ogni ripiano libero che non fosse chiuso da chiavi e lucchetti che ne evitassero l’apertura da parte di personale non autorizzato; un appendiabiti faceva inoltre la sua comparsa sulla destra – non appena veniva superata l’entrata principale – ma nonostante l’eterogenesi dei possibili capi che poteva ospitare vi erano riposti solo camici bianchi di diverse lunghezze, piuttosto che cappotti o giacche lasciate lì dagli scienziati appartenenti alla GCPD. Sulle pareti della stanza referti, qualche foto di gruppo, attestati e tavole periodiche di migliore o peggiore fattura eliminavano la monocromia della parete in crema, dividendosi gli spazi con prese d’aria e di corrente, oltre che con un quadro probabilmente quanto ironicamente comprato da uno degli scienziati del laboratorio durante una esotica vacanza, composto da una ragazza in costume atta a salutare con avvenenza la telecamera; kisses from Greece, diceva il testo a fumetto a pochi centimetri dalle labbra della bionda. Sulle scrivanie, infine, una serie di computer e di fogli firmati si alternavano a timbri inumiditi e registrazioni ufficiali di relazioni cliniche, rendendo chiaro come la maggior parte delle informazioni e delle questioni burocratiche appartenenti al laboratorio passassero di lì prima di finire ai piani alti, a raggiungere il commissario di polizia e i suoi agenti di pattuglia all’esterno della struttura.

Yaku va a sedersi sulla sedia davanti ad una delle scrivanie bianche che si dividono gli spazi del locale, ed abbassa gli occhi sulle lastre disordinatamente sparse davanti a lui, i gomiti poggiati sui braccioli e le mani unite a sorreggere la fronte; alza gli occhi stanchi nel sentire un rumore provenire dallo spostamento di una delle sedie a lato, e le iridi gravitano distrattamente verso Ushijima, guardandolo sedersi davanti ad uno degli spessi computer – Apple II, dichiara la scritta poco sopra le enormi tastiere grigie – mentre Iwaizumi rimane in piedi a braccia incrociate, lo sguardo torvo e la schiena poggiata contro la parete nitida.

Oltre tutti, c’è Batman. Tra i tanti colori chiari che illuminano quella stanza nel sottosuolo del dipartimento il Cavaliere Oscuro sembra quasi un bacino di pece, una macchia che si spande in altezza iniziando dalle due estremità delle lunghe orecchie da pipistrello e terminando nella cascata di nero che scivola giù sino al pavimento, tingendolo con il tessuto del mantello mentre il proprietario rimane immobile, appena al lato della porta, la maschera puntata verso il commissario ed il viso privo di qualsiasi espressività.

Yaku inspira, la schiena che va a raddrizzarsi lentamente prima di ricadere nuovamente nella sua posizione raccolta, verso il ripiano. Gli occhi vanno a posarsi su tutti loro, uno alla volta, ed alla fine le labbra vengono fatte schiudere, la voce ferma e risoluta.

«Bene. Mentre loro fanno le loro cose da scienziati vorrei parlare con voi di quello che al momento mi preme maggiormente capire, ovvero dove diamine sia la sorgente dalla quale Joker sta spargendo il suo allucinogeno amatoriale. Perché ce ne deve essere una, giusto? O almeno una… Dio, non voglio manco pensare all’opportunità ce ne siano di più. Come diamine si fa a spargere così velocemente tutta quella roba, in primo luogo?’

«Credo sia certo supporre si sparga per via aerea, commissario. Batman vi è passato in mezzo, eppure non ne è rimasto colpito semplicemente usando una maschera antigas. Il ché fa presupporre che qualsiasi umano possa farlo».

Il tono di Iwaizumi è controllato, eppure in qualche modo risulta chiaro il sospetto e la diffidenza che trapelano da quelle parole, per quanto parzialmente condite da un rispetto dovuto ai risultati che, deve innegabilmente ammettere, Batman pare comunque abbia ottenuto nel tempo.

«Non abbiamo mai visto nulla prendere piede così velocemente in città, il ché fa presupporre Joker abbia scoperto qualche tipo di fuoco che accomuni tutte le correnti che soffiano aria per Gotham».

Continua, e nel mentre parla Yaku si ritrova a ruotare appena sulla sedia, facendola dondolare a destra e a sinistra mentre il busto rimane piegato da un lato, la schiena accomodata sullo schienale imbottito e le nocche della destra puntate a lato della testa, a sorreggere una guancia piena. Gli occhi sono chiusi mentre l’altro pronuncia quelle parole, le sopracciglia che rimangono aggrottate nello sforzo di seguire l’ultimo dei numerosi ragionamenti proposti in quegli estenuanti giorni.

«Correnti d’aria, dici?»

Sembra pensarci su, una ruga espressiva che si va ad aggiungere alle altre appena sopra il naso, e pare pronto a dire qualcosa prima di scuotere leggermente la testa, un’espressione sconfitta in volto.

«Sapete cosa mi domando, notte e giorno? Sul perché questi matti abbiano sempre per qualche motivo una vasta conoscenza di praticamente qualsiasi cosa. Qualsiasi. Voglio dire–»

La mano libera scivola tra le ciocche di capelli, l’esasperazione poco contenuta che sfuma la tonalità autoritaria della sua voce.

«Correnti d’aria, seriamente? Qualcuno ha idea di come uno come Joker possa arrivare a capire come sfruttare le correnti ascensionali e discensionali dell’aria di Gotham?! E come diavolo faceva a sapere tra migliaia di tesi in archivio quella da cercare? Ma poi, che diavolo ci fa uno come Joker con le tesi degli universitari?! Dio, la mia sanità mentale. Ehi, Ushijima–»

Yaku apre nuovamente gli occhi, puntandoli verso l’agente dall’altra parte della stanza.

«Cerca per favore le mappe dei venti di Gotham, dovresti trovarle nel database del Dipartimento, percorso Analisi → Carte → Climatiche. È aggiornato mensilmente dalla terza divisione del secondo piano, quindi dovrebbero essere ancora valide. Vedi se ci sta un collegamento di qualche tipo, da qualche parte, in qualche punto a caso, qualcosa che possa aiutarci a capire dove Joker abbia dato inizio a questa pazzia. A questa sua ultima pazzia».

Ushijima annuisce brevemente, abbassandosi sul computer già acceso davanti, e le dita massicce si muovono lentamente sulla tastiera, digitando il proprio ID e la propria password per sbloccare il profilo di Dipartimento.

Ci vorrà un po’: non solo è già abbastanza un miracolo che il Dipartimento abbia dei computer, ma in generale è un miracolo che esistano. La presentazione del modello che hanno in dotazione sarà fatta solo nel prossimo anno al pubblico, ed è solo per una questione di sicurezza che la GCPD ne è già in possesso. Yaku sposta lo sguardo vero Iwaizumi, ed al vederne lo sguardo già puntato su di lui non dice nulla, continuando invece il suo semi-monologo nel tentativo di non perdere il filo di un discorso già reso abbastanza sottile dalla mancanza di riposo, ormai dote indispensabile nella sua carriera di commissario a quanto pare.

«Iwaizumi, ricordi se abbiamo delle maschere antigas da qualche parte nel dipartimento?»

«Dovrebbero essere nell’Armeria, al piano di sotto».

Yaku schiocca la lingua, aggrottando le sopracciglia e scuotendo la testa, sistemandosi meglio nella sedia dall’imbottitura morbida e la pelle marrone scuro. Sembra pensarci un attimo, abbastanza disturbato da quella notizia inattesa e dalla quale dipendevano così tante proposte successive, prima di tornare a sedersi al meglio quando si accorge che le spalle, spinte dalla gravità e avvantaggiate dalla levigatezza dello schienale, sono ormai scivolate quasi al livello dedicato ai reni.

«Ah, dannazione. Speravo le tenessimo in scientifica».

Iwaizumi abbassa lo sguardo per qualche secondo, portando sovrappensiero un dito piegato lungo il labbro inferiore, e per un po’ entrambi rimangono così, chiusi nella propria lista delle possibilità alternative da adottare. È Hajime ad uscirne prima, alzando lo sguardo ed incrociando nuovamente le braccia al petto, la tonalità ancora profondamente scettica e contenuta, ma un accenno di speranza a distenderne la voce.

«Qui hanno delle tute antiradiazioni, però».

«… Davvero? E da quando ce le possiamo permettere?»

Yaku non riesce a fare a meno di commentare, le palpebre che vanno ad abbassarsi leggermente sulle cornee chiare mentre un accenno di velato sconcerto si fa spazio nella voce.

«Regalo del sindaco per assicurarsi voti, direi. Non sono arrivate che da poche settimane, e dovrebbero essere anche antigas, presumo».

Iwaizumi annuisce di nuovo, prima di schiudere le labbra in un sorriso ferino, i canini pronunciati che biancheggiano all’esposizione.

«Finalmente una notizia decente».

Yaku si lascia andare uno sbuffo soddisfatto, chiudendo gli occhi ed andando nuovamente a rilassarsi sulla poltrona da studio. Ah, ora se lo ricorda in effetti, tutto quel traffico di scatoloni avvenuti agli inizi di Dicembre e tutte quelle parole e strette di mano di troppo, il simbolo elettorale di Washijou dipinto sui volantini sparsi ovunque nella Hall. Riapre gli occhi dopo qualche istante, e mentre li va a posare su Iwaizumi non può fare a meno di muoversi nuovamente sulla sedia, sovraccarico per via dell’inaspettata evoluzione presa dagli eventi.

«Allora vada per quelle. Almeno finché non scendiamo a prendere le altre».

«Ho trovato qualcosa».

Sentono una voce fuori campo dichiarare, e gli occhi di entrambi deviano istintivamente a focalizzarsi verso Ushijima. Non ha usato nessun timbro particolare, se non la sua normale gravezza aggiunta ad una caratteristica mancanza di eccessiva espressività, eppure mentre lo sguardo è puntato sullo schermo sembra soddisfatto, quasi fiero del suo operato.

Sono cose che il suo corpo non espone, eppure per Yaku – che lo ha da molti mesi ormai al servizio del suo dipartimento – sembra in qualche modo naturale notare come Wakatoshi stia esprimendo le sue emozioni, seppur senza usare alcuna esposizione fisica. All’inizio era stato difficile capirlo, ed anzi in verità tutta l’idea iniziale era stata abbastanza negativa riguardo l’altro, ma col tempo aveva imparato ad apprezzare quel gigante per come era, dividendo l’orgoglio ingiustificato dalla sicurezza nata dalla consapevolezza di fare bene ciò per cui aveva studiato, l’inumanità dalla – ben più comprensibile – incapacità di esprimere davvero i suoi sentimenti, la brutalità delle risposte dalla sua mentalità abbastanza schematica e a tratti infantile, che si rifletteva in una spesso scarsa densità ed in una quasi totale mancanza di perspicacia.

Uno zuccone, insomma, ma uno zuccone decisamente capace nel suo lavoro.

Yaku continua a guardarlo per un po’, prima di alzare lo sguardo verso Iwaizumi e Batman. Si alza dalla poltrona, ed insieme agli altri due fa qualche passo verso la scrivania dove sta l’agente, arrivando a porsi a lato mentre va a piegare appena il busto, abbassandosi il sufficiente affinché Ushijima possa mostrargli le cartine appena abbozzate, una serie di pixel verdi su sfondo nero.

«Sembra esserci una zona appena fuori la città dove si incontrano le correnti che poi si diramano dopo il fiume Nord».

Dice solamente, indicando con la grande mano verso lo schermo prima di tornare in silenzio, le iridi serie ancora puntate verso la mappa. Certo, cercare di capire perfettamente la zona interessata può essere complicato vista la mancanza di precisione della cartina in questione, ma Ushijima è sempre stato innaturalmente portato a capire le cose scritte e che non necessitano di… profondità.

«Davvero? E chi lo sapeva, ecco perché fa sempre così dannatamente freddo lassù– Perfetto, quindi quello è il nostro obiettivo, giusto?»

«Andrò io».

Yaku si volta verso Batman, rimettendosi dritto così da tentare inutilmente di riacquistare qualche centimetro nell’enorme squilibrio tra la sua altezza e quella del Cavaliere Oscuro, il collo che si piega all’indietro per permettersi di scrutare l’altro con la maggiore autorevolezza possibile.

«Ho già sentito questa frase ieri sera. La risposta è no. Non di nuovo».

«Potrebbero esserci Joker o DueFacce ad attenderci. E questa città ha bisogno di un comando di polizia presente, in caso ce ne sarà bisogno».

«Ce ne è già bisogno, ecco perché stiamo lavorando».

«Gotham non è una città, non ora. Non potrà difenderla finché non tornerà tale».

Yaku rimane in silenzio, stringendo le labbra mentre i denti dell’arcata inferiore premono contro quelli della superiore, un’espressione di frustrazione a stento celata sul volto.

«Risolveremo anche questo problema».

«Lo farà. Ma mi occuperò io della prima parte».

«Posso venire con te e lasciare i miei poliziotti qui».

«Un comando di polizia ha bisogno del suo commissario».

«Sapranno cavarsela da soli. Non li ho presi con me perché mi seguano in qualsiasi cosa faccia».

«Sarebbe inutile, Yaku. Vado io».

Rimangono a fissarsi, e solo quando Yaku capisce che l’altro non si allontanerà mai davvero dalla sua posizione – probabilmente presa e preparata dall’inizio della conversazione – si porta frustrato una mano alla testa, facendola scorrere tra i capelli corti mentre un verso di insoddisfazione prorompe dalle labbra socchiuse.

«Non ti staccherai da questo assurdo piano vero?»

Batman rimane a fissarlo, non proferendo parola mentre Yaku si porta le dita prima occupate tra le ciocche dietro il collo, massaggiandolo stancamente.

«Ah, accidenti– va bene, ma tieniti raggiungibile per qualsiasi cosa. E ricorda–»

Si ferma un attimo, le iridi accese e serie mentre il braccio ancora a mezz’aria si blocca, il palmo posato sulle vertebre dietro al collo e le dita premute contro la curva della giugulare.

«Che nonostante servano molte cose a Gotham, un martire non rientra tra queste».

Si scrutano in silenzio, e rimangono così anche quando la voce timida di Yamaguchi interrompe quel momento di tacito scambio di sguardi, insinuandosi incerta fra i due.

«Commissario–»

Yaku rimane a fissare ancora qualche istante Batman prima di voltarsi a guardare lo scienziato, ancora fermo sullo stipite della porta, le mani chiuse sul grembo e lo sguardo puntato ad un lato della stanza, probabilmente sensibile all’atmosfera pesante scesa nella camera.

«Forse– Forse abbiamo fatto».




°°°°




«Perché forse?»

La voce di Yaku è incuriosita e guardinga mentre camminano attraversando il corridoio, superando la porta dello studio dove stavano fino ad ora e percorrendo accanto a Yamaguchi quei metri che li separano dal laboratorio di Kiyoko.

«Ancora non sappiamo se la formula usata per rendere il batterio più invasivo sia quella che ho fatto in»

Yamaguchi non riesce a finire che stringe appena le labbra, corrucciando le sopracciglia ed abbassando lo sguardo. Non avrebbe mai pensato, a tanti anni di distanza dalla sua tesi di laurea, che sarebbe tornato a fare sperimentazione su quelle formule. Non certamente per un motivo simile, almeno, non per bloccare un’isteria di massa provocata da quella che potrebbe essere stata una composizione inventata da lui e dal suo ex collega universitario.

«Va bene. Quanto siamo sicuri funzioni da uno a dieci?»

Yaku gli posa la mano sulla spalla, premendo appena con le dita per farlo tornare in sé e allontanarlo dalla sensazione di disagio che continua a premere nauseante alla bocca dello stomaco, e Tadashi torna ad alzare lo sguardo, l’espressione poco più determinata mentre si perde a fare qualche ipotesi, calcolando la possibilità che il lavoro fatto da lui e Kiyoko dia effettivamente i risultati sperati.

«Siamo sul– credo settantacinque, settantasette percento».

Dichiara infine, voltandosi verso Yaku a cercare di intuire se trovi la sua risposta soddisfacente o meno. Lo vede chiudere gli occhi, continuando a camminare, prima di scuotere le spalle, portandosi le mani in tasca ed estraendone una piccola moneta da una di loro, guardandola e rigirandola tra le dita.

«… Speravo in un numero più alto sinceramente, il ventitre percento è abbastanza alto da darmi l’impressione di stare giocando una scommessa con la morte. Ma presumo non possa lamentarmi, contando che fino a poco fa la percentuale era quasi pari a zero».

Termina, rivoltando un altro paio di volte la piccola moneta tra le dita prima di riportarla alla tasca, lasciandola scivolare all’interno mentre superano la porta del laboratorio. Kiyoko alza lo sguardo, la mascherina che le copre metà del viso e i guanti che calano appena da oltre i gomiti piegati, e Yaku porta istintivamente una mano a coprirsi il naso e la bocca, cercando di proteggere entrambi dal fortissimo odore proveniente dal liquido bluastro che la dottoressa sta ponendo dentro una serie di due provette.

«Fatto?»

Domanda, lottando contro la necessità di sventolare il giacchetto per far circolare l’aria. La voce giunge ovattata a causa del palmo con cui si scontra non appena oltre le labbra, e Kiyoko annuisce, le mani affusolate che nel frattempo vanno a posare una serie di piccoli tappi di plastica sopra quella ventina di recipienti tubolari. Solo quando anche l’ultimo sembra essere stato sigillato il pungente aroma inizia finalmente ad affievolirsi, permettendo ai tre poliziotti di abbassare la mano e a Yaku di voltarsi di soppiatto a guardare Batman, non potendo dirsi veramente sorpreso quando nota la mancanza di qualsiasi difficoltà manifesta nel dover fronteggiare, a mano bassa e a mascella rigida, quel terribile aroma contro cui si sono appena scontrati.

Bah. In momenti come questo può intuire perché l’ispettore Iwaizumi abbia dubbi sull’umanità di quel personaggio.

«Dovrebbe. Non abbiamo certezze, quindi presumo lo scopriremo quando lo userete la prima volta».

Kiyoko pronuncia quelle frasi in maniera calma, posata mentre pizzica con le dita la punta dei lunghi guanti indossati tirandone via uno alla volta, andando poi a sciacquare con attenzione l’attrezzatura usata, becher e siringhe, facendole scomparire sotto il getto d’acqua.

«D’accordo– credo. Batman, riesci a portare queste cose con te?»

Si volta verso il Cavaliere Oscuro, guardandolo nel punto dove – presume – vi siano gli occhi mentre la maschera al livello del collo si piega sino a puntare il volto nella sua direzione.

«Ho la bat-mobile parcheggiata qui fuori».

Yaku annuisce, e prima che l’altro possa dire altro si volta verso il tavolo di laboratorio, su cui sono ancora posate le numerose provette. Prende una delle due basette che le contengono, pesandola con approssimazione piegando le braccia, prima di tornare indietro e porgerla a Batman, aspettando che questo la prenda prima di cominciare a parlare.

«Perfetto, allora ti accompagno con le altre soluzioni– e non guardarmi così, pensi che le persone qui fuori non cercheranno di attaccarti come hanno fatto con i miei poliziotti o con te prima? Hai bisogno di qualcuno che te le tenga al sicuro almeno fino all’uscita».

Dichiara con tono inflessibile, e può vedere chiaramente, seppure solo per un flebile istante, come Batman sia in difficoltà rispetto a come rispondergli, disorientato dalla sua testardaggine e sconcertato dalla sua posizione ragionevole. Termina presto, però, un battito di ciglia che separa quel momento di incertezza dal solito Cavaliere Oscuro mentre quest’ultimo schiude le labbra, la voce grave ed atona.

«… Non posso permetterlo».

Le sopracciglia di Yaku si aggrottano, mentre a quelle parole le braccia del minore vanno ad incrociarsi al petto, esponendo con quel gesto un’ostinazione che non lascia possibilità di incontro al di fuori di quella dettata da lui stesso.

Lui è già sceso a patti, in fin dei conti. Ha accettato di non andare a cercare Due Facce, Joker, o chiunque ci sia dietro tutto questo. Ha persino acconsentito a rimanere lì, ad aspettare sue notizie, e questo mentre i cittadini del suo distretto potrebbero essere – anzi, con tutta probabilità già sono – in grave pericolo, in balia di se stessi e della mancanza di raziocinio, intrappolati in un’allucinazione continua che li rende mostri, incubi sia agli occhi dei restanti abitanti che a quelli appartenenti al loro riflesso appannato sulle autovetture riverse per strada.

Non potrebbe permettergli cosa, in particolare? Di rendere sicura la sua città?

Perché in quello ha già irrimediabilmente fallito, quel giorno.

«Non te lo sto chiedendo, Batman. Lo farò lo stesso, che tu lo voglia o no. Hai detto che devo proteggere la mia città, ed è vero: questo è un modo per farlo. Non ti seguirò fino alle colline, o oltre il fiume, ma non per questo lascerò tu faccia tutto da solo».

Batman lo scruta in silenzio, ma il commissario non arretra di un passo, rimanendo immobile mentre il suo sguardo rimane disadorno di qualsiasi dubbio, le iridi che rispondono allo sguardo dell’altro posandosi con fermezza nel punto della maschera dove il chiarore della rete nasconde gli occhi dell’uomo pipistrello.

«… D’accordo. Andiamo allora».

Risponde infine l’altro, e Yaku annuisce lentamente prima di voltarsi verso la porta, facendo qualche passo verso il corridoio.

«Prendo la tuta antiradiazioni e arrivo. Aspettami qui».




°°°°




L’orologio del laboratorio ticchetta regolare il passare lento ed inesorabile dei secondi, e nel mentre i minuti scorrono e si rincorrono infrenabili sul quadrante dello strumento i due poliziotti rimasti, i due scienziati e Batman si ritrovano a lavorare sul caso, cercando di creare mappature cartacee, ricontrollare dati, ogni tanto tentando di collegarsi agli altri distretti sparsi per la città di Gotham attraverso telefoni e radio a lunga frequenza della GCPD.

Ushijima è ancora seduto alla scrivania, criptico nello sguardo mentre la mano rimane a mezz’aria, la cornetta di un telefono con cavo alzata mentre la mancina preme i numeri dettati dalla lista appuntata accanto alla lampada da studio. Aspetta qualche secondo, l’orecchio ben saldato al ricevitore, prima di abbassare nuovamente la cornetta e riportarlo sopra il resto dell’apparecchio, prendendo una penna e mettendo una tacca accanto al numero chiamato, passando a quello successivo.

Yamaguchi è, al contrario, seduto davanti al tavolo da laboratorio. Gli occhi slittano sulle formule che si snodano da una parte all’altra dei numerosi fogli sparsi per tutto il ripiano, ed ogni tanto alcune ciocche vanno a muoversi leggere mentre scuote la testa, entrambe le mani che vanno a posarsi tra i capelli ed il collo che va a piegarsi in avanti. Il viso si infossa verso il basso, le sopracciglia che si aggrottano in un senso di sconsolazione mentre un lungo sospiro scivola fuori dalle sue labbra, i pensieri che si accalcano nella sua mente come spighe che crescono da un terreno florido di pessimismo e sensi di colpa; è talmente inserito nei suoi rimorsi che non sente nemmeno i passi di uno dei due poliziotti diventare più vicini, e sobbalza quando sente la mano di qualcuno posarsi sulla sua spalla destra, la testa che si alza di colpo e lo sguardo che corre istintivamente a lato, incontrando il distintivo di un poliziotto. Alza lo sguardo poi, rilassandosi appena quando incontra gli occhi severi e maturi di Iwaizumi, e le labbra si distendono in un sorriso nervoso e stanco.

«Ispettore..!»

«Tadashi».

La voce di Iwaizumi è bassa ed autorevole, e basta a minare la piccola sicurezza sociale di Yamaguchi che abbassa nervosamente lo sguardo, deviandolo a lato a fissare un Ushijima ancora occupato all’altra scrivania.

«C’è qualcosa che posso–»

«Tadashi, non è colpa tua».

Ah, sapeva che sarebbe stato inutile evitare l’argomento. Yamaguchi abbassa lo sguardo, mordendosi istintivamente l’interno delle guance nel tentativo di calmare se stesso e di non mostrarsi troppo debole: possono dargli torto, in fin dei conti? Non tutti i giorni si viene a conoscenza di essere inconsapevolmente responsabile di un avvelenamento di proporzioni bibliche di tutti gli esseri umani residenti a Gotham.

«Ah ah… Perché mi sento come se lo fosse allora?»

Prova a riderci su, ma tutto quello che esce dalle sue labbra è un verso strozzato ed insicuro, che decade dopo qualche secondo mentre Yamaguchi porta una mano alla fronte, l’indice ed il pollice che vanno a porsi ai lati di ciascun sopracciglio, l’espressione sofferente. Iwaizumi rimane a fissarlo per qualche istante prima di voltarsi, ponendosi al suo fianco e poggiandosi sulla scrivania a braccia conserte, spostando dietro il baricentro sino a posare il coccige contro il bordo del ripiano.

«Tadashi, era la tua tesi di laurea. Non potevi certo sapere qualcuno l’avrebbe utilizzata in un modo simile; fidati quando ti dico che non hai colpe per quello che è successo».

«Eppure lo hanno fatto, l’hanno utilizzata, ed ora la città è in preda ad un’isteria di massa».

«Ed il fatto abbiano scelto di usare la tua ci porta il vantaggio di averti dalla nostra. Meglio qui sotto piuttosto che per strada, ad agitarti come se fossi tormentato dai tuoi peggiori incubi».

Yamaguchi si morde il labbro inferiore, e lo sguardo va a posarsi per qualche secondo al lato, a fissare lo stemma della GCPD in rilievo sul distintivo che Iwaizumi porta attaccato ad uno dei passanti della cintura. Porta poi nuovamente il viso verso i fogli sparsi davanti a lui, e le mani vanno ad unirsi nervosamente in davanti, le dita che armeggiano l’una con l’altra nel tentativo di combattere l’ansia che sente gonfiargli il cuore.

«Cosa accaduta a chissà quanti milioni di persone, là fuori».

«E che risolveremo grazie al tuo antidoto, essendo tu qui dentro».

«…»

Yamaguchi alza lo sguardo mentre le labbra si schiudono, già pronte a rispondere all’altro, ma nel momento stesso in cui l’aria viene incanalata attraverso la trachea si rende improvvisamente conto di non sapere come ribattere ad Iwaizumi. Le sopracciglia si aggrottano, un segno di sconcerto che va a pitturare quel viso chiaro e costellato di lentiggini, mentre la bocca va quindi a richiudersi, formando una smorfia di disappunto quando le labbra di Iwaizumi decidono di aprirsi nell’ombra di un sorriso sghembo, segnato di risposta a quell’espressione sinceramente disorientata di Yamaguchi e a quel momento di silenzio non previsto.

«… Non–!»

«Scusate il ritardo, ci ho messo una vita a trovarla».

La voce di Yaku proveniente dall’uscio del laboratorio è abbastanza alta affinché entrambi puntino i loro sguardi verso la sorgente materializzatasi lì davanti, e con la coda dell’occhio Yamaguchi può vedere anche i restanti colleghi nella stanza – e Batman, naturalmente – fare lo stesso, andando a rimirare la figura posta davanti alla porta, innaturalmente larga e goffa, di un colore verde militare e dotata di uno schermo di plastica trasparente atto ad evitare il contatto di qualsiasi agente patogeno con il viso, seppure mantenendo la visibilità dell’essere umano ospitato al suo interno piuttosto alta.

La tuta NBC – Nucleare Batteriologico Chimicoera un indumento dalla copertura totale, dalla natura stagna e provvista di SCBA – Self Contained Breathing Apparatus. Era da poco che il laboratorio ne aveva un paio custodite nella parte più interna della struttura, ma il regalo del sindaco era sembrato fin da subito necessario ed utile da indossare in caso di incidente chimico o batteriologico, per quanto alquanto scomodo a causa del peso eccessivo della bombola posta dietro alla schiena; Yamaguchi aveva dovuto usarla almeno un paio di volte nell’ultimo mese, e non ha bisogno di vedere quanto la schiena di Yaku fatichi a tenere il corpo in avanti per ricordarsi quanto fosse stato inizialmente difficile ritrovare il baricentro con quella cosa indosso, tentando di muoversi senza cadere o senza sforzare eccessivamente la schiena. L’essere goffi è inoltre peggiorato dalla tendenza della tuta a gonfiarsi dell'anidride carbonica che Yaku ad ogni inspirazione di ossigeno espira di conseguenza, e se non fosse per qualche fessura dalla quale passa qualcosa ogni tanto – finemente creata per mantenere la pressione interna leggermente più alta della pressione esterna ed ammettere così l’uscita di aria ma non l' ingresso di quella contaminata il giovane scienziato si potrebbe ben immaginare il modo attraverso il quale Yaku finirebbe col trovare impossibile muoversi all’interno della tuta, trovando altresì necessario farlo attraverso una serie di ruote di lato.

Ah– non gli veniva da ridere da un po’, ad immaginare altre persone in momenti imbarazzanti e poco verosimili della loro esistenza: è abbastanza certo Kei sarebbe fiero di lui.


«Siamo pronti, allora?»

Yamaguchi viene riportato all’attenzione dalle parole del commissario, e sbatte un paio di volte le ciglia, cercando di tornare al presente mentre si accorge di aver completamente perso il momento in cui Yaku è rientrato nella stanza, avvicinandosi ad Ushijima ed iniziando a impartire ordini su quali tempistiche avere nello sbloccare le varie porte atte a far uscire lui e Batman, prima di bloccarle e riaprirle solo quando lo vedrà ritornare. Se lo vedrà ritornare, è il tacito continuo a quella richiesta di apertura e chiusura, una possibilità che Yamaguchi riesce a sentire nell’aria mentre continuano a parlare dei pulsanti e del cronometro, delle telecamere e delle strade, dei corridoi deserti e di quelli superiori, pieni di colleghi fuori di sé da tenere lontani dalla sala d’ingresso fin tanto lui e Batman non passeranno con le boccette, unica possibile speranza per quella città.

«Bene, questo è quanto. Conto su di voi, mi raccomando».

Ed alla fine li vede andare via, Yaku che alza un braccio a mezz’aria a salutarli velocemente prima di uscire dalla porta con il suo primo carico in mano, mentre Batman posa nuovamente la maschera d’acciaio sulla metà inferiore del suo viso, muovendola e facendola scattare un paio di volte prima di premervi un pulsante al lato, rimanendo in silenzio qualche istante a prendere il suo carico di boccette prima di voltarsi e scomparire dietro l’angolo.

Scende il silenzio, e lo sguardo di Yamaguchi rimane a fissare la porta mentre la sua mente viene riempita di pensieri, parole e preoccupazioni accumulatesi in quelle ore ed ora pronte a inondare come una marea tutto ciò che riesce a raggiungere, lasciando solo detriti e paure verso un futuro che non vuole immaginare, né tanto meno vivere. Eppure, in fondo – proprio in fondo – si sorprende anche lui al sentire qualcosa di caldo premere contro la sua anima, illuminando una parte di sé che credeva sopita in quell’occasione e che forse la visione di Batman, il senso di responsabilità di Yaku, le capacità di Kiyoko, l’efficienza di Ushijima ed il discorso di Iwaizumi gli hanno fatto tornare. Una qualcosa che lo porta persino a pensare che, in fondo, abbia ragione l’ispettore nel dire che nella sfortuna vi sia stata la fortuna, e che l’averlo come scienziato di turno in quel dipartimento proprio quel giorno, in quel punto, accanto a quelle persone sia stata una carta inaspettata, certamente, ma più che mai di vantaggio nella loro missione di salvataggio dei cittadini di Gotham.

«Torneranno?»

Chiede all’ispettore Iwaizumi, lo sguardo che rimane puntato verso la porta dalla quale i due uomini sono appena usciti.

Perché a volte si deve credere in qualcosa.

«Sarà meglio per tutti noi. Il commissario è l’unico che sappia fare decentemente il caffè».

Perché a volte serve solo avere speranza.




°°°°




GOTHAM CITY Gotham Center Police Department, Hall (GCPD)

22/12/1976 – Ore 16:30 circa


Il ritorno in superficie non era stato semplice.

Non appena Batman ed il commissario erano arrivati nuovamente al piano terra del dipartimento, le boccette fra le mani e la bombola d’ossigeno saldamente posta sulla schiena di Yaku per permettergli di respirare, erano stati attaccati da cinque agenti – o almeno, da quelli che fino a quella mattina erano stati agenti della GCPD – che si erano scagliati addosso ad entrambi, saliva in caduta libera sui menti inumiditi e occhi iniettati di sangue e difficili alla focalizzazione.

«Attento!»

Yaku fa appena in tempo di gridare quell’avvertimento che è costretto ad abbassarsi, le boccette che tintinnano fra le braccia mentre tenta di coprirle con il proprio corpo nella maniera più sicura possibile; dannazione, ha una pistola dietro la schiena ma non ha modo di usarla, con entrambe le basette tra le braccia. Schiocca la lingua, nervoso, e rotola da un lato mancando per un secondo di scontrarsi con i denti di una donna che si è tuffata nella sua direzione, le boccette che tintinnano in maniera sinistra mentre si volta a guardare l’attentatrice, pronto a scattare. La donna però è ferma, immobile a fissare il suo riflesso sulla lacca di una macchina, l’espressione iraconda ora confusa e il ricordo della sua preda come svanito in un attimo. Le labbra sanguinanti si schiudono nella sorpresa, mentre le sopracciglia si alzano, una mano che va a grattare la portiera e il viso che si piega a destra e a sinistra, ricalcando istintivamente il comportamento di un animale dinanzi ad uno specchio.

Il commissario si alza in ginocchio, tenendo strette in petto le due scatole piene di piccoli cilindri dall’interno colorato, e quando è sicuro l’altra non provi più interesse per lui scivola via, rimettendosi in piedi e correndo verso Batman, guardandolo volteggiare e lanciare bat artigli contro i tre esseri che nel frattempo lo hanno attorniato.

«Sono qui–»

Dice semplicemente, e fa appena in tempo ad arrivargli accanto per vederlo colpire l’ultimo uomo rimasto in piedi, facendogli perdere i sensi con un colpo assestato dietro la nuca. Si ferma proprio davanti a quest’ultimo, guardandolo dall’alto e respirando pesantemente dall’interno della tuta antiradiazioni, la parte inferiore del vetro che protegge il viso e permette la visuale che va ad appannarsi leggermente nel calcare la differenza di temperatura tra il freddo dell’esterno ed il caldo dell’espirazione di Yaku.

«…–Lo conosco. È il padre di»

«… Avanti».

Alza lo sguardo dall’uomo riverso incoscientemente per terra appena in tempo per vedere Batman allontanarsi velocemente, e lo segue di corsa rimanendo il più possibile vicino al muro prima di raggiungere una bassa macchina nera pece che non fatica a riconoscere, dopo tante notti passate ad aspettarla o a vederla strisciare fuori dalle strette ombre create da vicoli abbandonati.

«Serve altro?»

Domanda infine al Cavaliere Oscuro mentre gli porge le provette, ed indietreggia poi di qualche passo, guardandolo negli occhi e attendendo pazientemente una risposta, le braccia che vanno ad incrociarsi in petto.

«No, grazie per aver portato le provette».

E nel mentre Batman risponde Yaku lo vede voltarsi, facendo il giro della vettura prima di premere un pulsante della cintura, aspettando che la portiera del guidatore salga a scoprirne la postazione di guida. Lo guarda salire in macchina e mettere in moto, ma prima che possa abbassarla una mano va a porsi verso l’alto a tenerla ferma, lo sguardo che si abbassa a fissare l’uomo pipistrello seduto alla guida mentre le dita si stringono appena contro la fodera morbida dell’interno, le labbra che si stringono in una linea sottile prima di schiudersi rigidamente.

«Batman».

Lo vede alzare lo sguardo, la maschera a celarne qualsiasi espressione, l’oscurità degli interni che si fonde con il costume scuro creando uno sfondo di contrasto con alcuni luci alternate sul cruscotto.

«È anche la mia città. Non scordarlo».

Dice semplicemente, prima di arretrare e rimanere a fissarlo nei punti ove la maschera copre le iridi dell’altro. Lo vede, nel silenzio della sua vettura, rimanere con lo sguardo a puntarlo per qualche minuto, una conversazione impossibile da replicare a parole che si snoda tra i due adulti prima che il Cavaliere Oscuro volti semplicemente lo sguardo, premendo un pulsante al lato del volante da macchina da corsa e scomparendo lentamente all’abbassarsi progressivo della portiera.

«Lo so».

Un colpo di gas, un ruggito nella notte, e Batman è solo un sogno – scuro, silenzioso, misterioso – figlio della notte, tornato ad essere impalpabile come l’alba e lontano da quell’orario pomeridiano che assola in mezzo a tanto grigiore portato dall’inquinamento la città di Gotham.

Ma se Batman è solo un sogno Yaku non può fare a meno di domandarsi, nella maniera più istintiva e razionale possibile:

È partecipazione o suggestione, credere in un sogno per il cambiamento della realtà?









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Sono tornata! Ed è passato pochissimo tempo dall’ultima volta… Però ecco, la spinta che mi hanno dato i commenti ricevuti lo scorso capitolo è stata tantissima e sono stata così contenta di avere un riscontro positivo da vecchie e nuove persone che seguono questa storia, e… Insomma ok, potrei essermi quasi messa a piangere. In questo periodo ho veramente le emozioni al massimo, mannaggia. Comunque sia! Questa è stata l’ultima parte tranquilla dell’arc centrale, dal prossimo capitolo entriamo in quello finale! Sono così contenta di essere arrivata fino a qui, ormai siamo ai due terzi della storia e… Grazie, davvero. Grazie a tutti quelli che commentano e che mettono la storia tra le seguite o le preferite. È grazie a voi se continuo a pubblicare!
Ci vediamo al prossimo capitolo! (//v//)

  
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