– Che bel gattino!
Kuro sentì una mano posarsi sul suo capo, grattandogli dietro l'orecchio col dito, ed emise delle flebili fusa, muovendosi appena. Non riusciva a distinguere la figura che lo sovrastava, anche se avrebbe scommesso fosse una ragazza, una liceale forse...
– Vieni via da lì! Potrebbe essere pieno di batteri – esclamò un'altra voce, sempre giovane e femminile – Quello sporco felino...
Kuro colse un movimento fulmineo, quindi un dolore lancinante all'addome, e alla schiena, quando andò a schiantarsi contro una parete. Mugolando piano, il vampiro tornò a raggomitolarsi sulla strada, gli occhi socchiusi verso quelle figure che quel giorno l'avevano degnato di attenzione.
– Lascialo stare! - gridò la ragazza che l'aveva accarezzato – Non vedi che è già debole? Lascialo in pace!
Era davanti a lui, le braccia aperte per coprirlo il più possibile dagli sguardi dell'altra: capelli scuri, lunghi, che riflettevano la luce dei lampioni mandando fugaci bagliori bluastri.
– Cosa ti prende? Sei fuori, davvero – commentò l'altra, con disprezzo. Kuro la sentì allontanarsi, girare l'angolo e sparire. La ragazza che l'aveva protetto, invece, rimaneva immobile, il respiro affrettato dallo sforzo e il corpo tremante per la paura.
Aveva appena fatto qualcosa di cui si sarebbe pentita? Pensò il vampiro, osservandola meglio.
Aveva appena bruciato la sua ultima possibilità di integrazione?
– Va tutto bene, gattino? - gli chiese improvvisamente, chinandosi su di lui – Non ti fa male, vero?
Miagolando piano, il felino cercò di farle capire che non doveva preoccuparsi e, anzi, poteva anche andarsene per la sua strada. La ragazza, però, lo prese tra le braccia e si sedette contro la parete, mettendoselo in grembo e cominciando ad accarezzarlo piano, ritmicamente, come se le servisse per calmarsi.
– Quella era mia cugina, vivo da lei – gli spiego, lo sguardo perso sulle mille persone che le passavano davanti, sulla strada principale – Anche se abbiamo la stessa età, non andiamo molto d'accordo, anzi, finiamo sempre per litigare. Non è una persona cattiva, comunque, solo non le piacciono gli animali.
Smise di muovere la mano, fissando improvvisamente il terreno davanti a lei, o forse le sue scarpe; fatto sta che due grosse lacrime le imperlarono gli angoli degli occhi, accompagnate da singhiozzi bassi e brevi, silenziosi. Kuro alzò appena la testa per cercare le sue dita, per farla ricominciare ad accarezzarlo, e, a quei tentativi, la ragazza gli sorrise, grattandolo dietro le orecchie con suo sommo piacere. Ad un tratto, però, smise di nuovo, e il vampiro si ritrovò stretto tra le sue braccia, schiacciato contro il suo petto, trattenuto amorevolmente con la testa sostenuta dalle sue dita: una sensazione strana lo percorse, facendolo sentire allo stesso tempo bene e a disagio. Non aveva mai sperimentato un abbraccio, o almeno, non di quel tipo.
Era bellissimo.
– Sei veramente un gattino adorabile – commentò la ragazza, lasciandolo e asciugandosi le lacrime con il dorso della mano – E vorrei tanto tenerti con me, ma dove abito non vogliono animali...
Miagolando il suo disappunto, Kuro si accoccolò sul suo grembo, chiudendo gli occhi e fingendo di dormire: non voleva che se ne andasse, anche se sapeva che così l'avrebbe messa in pericolo. Voleva ancora quella sensazione; voleva sperimentare ancora l'affetto.
– Dovrei andare adesso – mormorò la ragazza, prendendolo delicatamente e posandolo a terra – Potrei tornare a trovarti, uno di questi giorni.
Detto ciò, si alzò, spolverandosi la gonna dalla polvere e sistemandosi la giacca. Dal basso della sua posizione, Kuro la fissava come se volesse imprimersi ogni dettaglio della sua figura in mente, per non dimenticarla mai: quegli occhi azzurro cielo, quei capelli all'apparenza neri, che a contatto con la luce risplendevano bluastri, quel sorriso triste, di chi non sa dove andare...
– Magari potrei portarti del cibo, la prossima volta – aggiunse lei, sorridendogli affettuosamente – Ti trovo qui?
Il vampiro miagolò, pensando che, dopotutto, non poteva essere male se qualcuno si occupava di lui una volta ogni tanto. Non rischiava nulla così, no?
La ragazza tornò parecchie volte, nei giorni successivi, e sempre con qualche prelibatezza. Kuro la accoglieva col suo solito atteggiamento svogliato, cercando in tutti i modi di non farla avvicinare troppo, in termini di confidenza, e di evitarle qualche brutta esperienza.
Uno di quei giorni, però, il vampiro riuscì a evitarne una per un pelo.
– Visto che ci conosciamo da così tanto, ormai – aveva esordito la ragazza, passandogli una sardina – Direi che possiamo anche presentarci come si deve: io sono Aori. Tu sei randagio, giusto?
Kuro aveva percepito il pericolo, la possibilità che quella strana ragazza potesse indovinare il suo nome e legarsi a lui, diventando la sua padrona: non voleva che accadesse, non voleva che soffrisse a causa sua.
Prima che potesse anche solo provarci, quindi, il vampiro era sfrecciato via, allontanandosi il più possibile da lei, da quello che rappresentava. Da quello che non voleva diventasse.
Aveva corso per qualche giorno nei vicoli per mettere più strada possibile tra lui e Aori ma, alla fine, non sapeva nemmeno lui come, si era ritrovato esattamente in quella piccola via buia, con l'odore di immondizia e i rifiuti che l'avevano ospitato, con le vecchie scatolette ormai vuote.
Con il suo sguardo su di lui.
– Ah, sei tornato! - lo accolse la ragazza, sorridendo come se non se ne fosse mai andato – Ti eri perso? Non dovevi scappare in quel modo.
Kuro fu tentato di fuggire ancora, di rimanere in qualche angolo buio per sempre, se necessario: la storia si sarebbe ripetuta ancora e ancora, rischiando di degenerare. Se i sottoposti di qualche altro vampiro l'avessero scoperta, chissà cosa le sarebbe successo...
E invece si ritrovò a miagolare, cercando la sua mano e strusciandocisi sopra. Gli era mancata terribilmente, in quei giorni; gli era mancata quella sensazione, quella sorta di accettazione che solo lei sapeva infondere.
Al diavolo i nomi, al diavolo il pericolo: la voleva, e non poteva farci niente.
– Se sei fuggito perché non volevi rivelarmi il tuo nome potevi anche dirmelo – lo rimproverò affettuosamente Aori, passandogli la mano sulla testa mentre si sedeva accanto a lui – Se non ne vuoi uno da me fa lo stesso. L'importante è che tu non mi faccia più preoccupare.
Miagolando in risposta, Kuro le saltò in grembo, mettendole le zampine sulle clavicole e guardandola dal basso, in attesa. La ragazza ci mise un po' a capire, ma alla fine gli sorrise, infondendo in quell'espressione tutto l'affetto che provava.
– Sei proprio un furbacchione, eh? - gli disse, prendendolo da sotto le ascelle e alzandoselo al livello dello sguardo – Ormai credo di capirti come se mi parlassi, sai?
Detto ciò, quindi, se lo portò al petto, stringendolo come la prima volta che si erano incontrati; e Kuro provò di nuovo tutte quelle sensazioni magnifiche, quell'amore che non riusciva nemmeno a concepire, senza di lei.
Mentre si godeva l'abbraccio, gli venne da pensare a come l'avrebbe presa Aori se avesse scoperto che non era un comune gattino; a come avrebbe preso l'idea che, in realtà, era un vampiro.
L'avrebbe guardato con orrore? Con paura? Sarebbe scappata di fronte alla sua voce?
Come avrebbe reagito al suo corpo “umano”?
L'avrebbe abbracciato lo stesso, in quella forma?
“Ovvio che no” si rispose Kuro, chiudendo gli occhi nella stretta della ragazza: lei lo credeva un gatto qualunque, un randagio bisognoso di aiuto...Se avesse scoperto che in realtà era più potente di qualsiasi altro essere che lei conosceva, come minimo l'avrebbe abbandonato, considerandolo un approfittatore. Un bugiardo.
– Ehi, stai tremando – gli fece notare Aori, allentando appena la presa – Hai freddo? Potrei portarti una coperta calda, domani, che ne pensi?
Anche se sentiva chiaramente che quei tremori non erano provocati dal gelo invernale, Kuro miagolò in risposta, guadagnandosi un cenno dalla ragazza, che lo mise a terra e si alzò.
– Allora tornerò domani con qualcosa di caldo – gli sorrise, sistemandosi il giaccone, poi si sfilò la sciarpa, posandogliela di fianco – Per ora dovrai accontentarti di questa. A domani, allora.
Detto ciò, si allontanò, agitando la mano in segno di saluto per ancora qualche istante, prima di sparire tra la folla.
Guardandola svanire, il vampiro si accucciò a terra, osservando poi le luci abbaglianti dei lampioni accendersi nella sera che si faceva notte, le persone che gli camminavano a fianco senza vederlo, i negozi sulla strada...
Improvvisamente si ricordò della sciarpa, fissandola per decidere se utilizzarla o meno: gliel'aveva donata, giusto? Questo faceva di lei una padrona a metà, e questo non era sicuro per nessuno dei due. Quel regalo doveva essere distrutto per preservare la sua vita umana, doveva sparire...
L'odore, il suo odore, era così forte, nelle sue narici feline, da farlo avvicinare sempre di più, fino ad accoccolarsi dentro il cerchio formato dalla sciarpa sul terreno. Era soffice, pulita, profumata...Tutta un'altra storia rispetto al marciume dei vicoli.
Quell'odore lo convinse, per la prima volta dopo tanto, tanto tempo, a riprendere la sua vera forma.
Con le lunghe dita, Kuro prese quel tessuto così delicato, se lo portò al viso e ci si perse dentro, lasciando entrare quell'odore dolce che tanto lo confondeva. Se lo mise intorno al collo, carezzando il materiale con le mani, immaginando Aori mentre indossava quella sciarpa. Immaginando il momento in cui sarebbe tornata. Pensando a quante cose ancora non le avrebbe detto.
Forse, però, avrebbe potuto provare. Forse non si sarebbe spaventata come pensava.
Forse l'avrebbe accettato. Poteva portarla via con sé, da quella vita che la opprimeva, dalla famiglia che non l'amava. Poteva farle lasciare quella città che non le dava altro che dispiacere.
Kuro lo sentiva: avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei, anche infrangere il suo voto di non decisione.
Avrebbe rinunciato alla sua identità, se lei avesse accettato di rimanere con lui.
Aori, però, non tornò più. O, almeno, non quella Aori.