Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: alessiawriter    15/01/2018    2 recensioni
❁ Se solo potessimo
Per qualche strana ragione
Consumarci vicendevolmente
Non avrei alcun problema
A lasciarmi frantumare
Purché sia tu
Poi
A ricompormi ❁
In cui i BTS sono una gang ricercata e Yun Chang una semplice cameriera di una bakery.
Genere: Commedia, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kim Taehyung/ V, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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«Io per oggi ho finito, metto il grembiule a posto e vado. Ha bisogno di una mano, signor Lee?».

La testa corvina del diretto interessato sbucò da dietro una pila altissima di scatole vuote, con un sorriso stanco e il volto umido di sudore. «Ti ringrazio, Yun, ma ho tutto sotto controllo», e, quasi a sbeffeggiare le sue parole, una delle scatole oscillò pericolosamente, sfidando le leggi fisiche.

Yun alzò un sopracciglio e incrociò le braccia al petto, mentre lo osservava ristabilire l'equilibrio con un'espressione divertita e al tempo stesso rassegnata; non era la prima volta che le si presentasse davanti una scena del genere. «Ne è sicuro? In due la fatica e il tempo dimezzano», esclamò con tono pratico, zelante come al suo solito. 

Il signor Lee sbuffò, imprudentemente, dal momento che il suo respiro provocò un altro tremolio alla pila che reggeva. «E dopo questo tua significativa quanto noiosa nozione, puoi portare il tuo didietro fuori dal mio negozio», la congedò, sparendo poi appresso le scatole e tornando quindi alle sue mansioni. Il discorso era chiuso.

Yun sospirò, arrendendosi al volere del suo capo. Del resto, segretamente era quasi felice che non avesse accettato il suo aiuto; aveva un disperato bisogno di un bagno caldo, del suo letto e di un veloce pasto surgelato gentilmente offerto dal suo freezer. Certo, non aveva ragione di lamentarsi del suo lavoro, eppure a fine serata la stanchezza si faceva sentire con prepotenza, motivo per il quale quella sera più delle altre non vedeva l'ora di rincasare. 

Dopo aver salutato il suo capo e reprimendo a fatica uno sbadiglio, uscì dalla bakery in cui da ormai due anni tornava per prestare i suoi servigi ogni giorno, più puntuale del titolare stesso. Ecco, a proposito, quest'ultimo era davvero un tipo strambo e Yun aveva avuto modo di notarlo fin dal primo momento. Era molto esuberante ed gioviale, sicuramente più ficcanaso di quanto un normale superiore potesse permettersi, ma mai inopportuno. Non troppo, almeno.

Ricordava ancora come durante il colloquio, dopo aver superato le consuete domande, le aveva posto davanti una torta dall'aria tutto tranne che invitante, invitandola ad assaggiarne una fetta e a dargli la sua sincera opinione. Le bastò un solo morso per farle salire la colazione di quella stessa mattina. «Fa schifo», emise infine il suo verdetto, arrossendo poi per il modo troppo diretto e informale. 

Il signor Lee non parve impressionato, ma la guardò da sopra gli occhiali a mezzaluna, sorridente sornione. «Può cominciare domani mattina, signorina Chang» e Yun, ringraziando con un inchino, forse a ricordare bene più di uno, pensò che quello fosse il minimo per ripagare le sue papille gustative. Così ebbe inizio la sua avventura all'interno del negozio "I Peccatucci del Coreano". 

Come fu all'esterno, il vento invernale non si attardò a graffiarle il viso, mentre attraversava la strada e procedeva lungo il solito percorso che l'avrebbe condotta al suo appartamento. A farle luce ci pensava la luna con i suoi gentili raggi, dal momento che i lampioni che costeggiavano la via erano stati oggetto di atti vandalici e resi quindi non funzionanti. Yun si strinse nella sciarpa, accelerando il passo e maledicendo i responsabili di tutta quell'oscurità. 

Da qualche tempo a questa parte, non si parlava di altro: una gang, composta da un numero incerto di membri, si muoveva in silenzio -beh, non poi così tanto a dire il vero- destabilizzando l'intera comunità. E il fatto che la polizia non avesse per le mani nessuna traccia attendibile, era la riprova che gang, che si firmava con l'acronimo "BTS", sembrava ormai irraggiungibile e inarrestabile. 

Accendendo la torcia del suo cellulare per evitare di inciampare, Yun rifletté che se avesse avuto davanti uno qualsiasi di quei valorosi spacconi, la sua furia sarebbe diventata incontenibile, incontrollabile, interminabile, incessante... e proprio mentre cercava un altro aggettivo da aggiungere alla sua lunga lista, il rumore di uno sparo squarciò la notte. 

Il suo battito cardiaco aumentò in modo violento contro la gabbia toracica, tanto che lo sentiva rimbombare dentro le orecchie. Lo sparo veniva da un punto indefinito dietro la sua figura e, andando contro qualsiasi logica, Yun non riuscì a resistere alla tentazione di girarsi, trattenendo poi un urlo a stento quando vide disteso per terra il corpo esamine di uomo, il cui volto era straziato in una espressione di terrore e dolore.

Yun non riusciva a muoversi; la sua mente la gridava con una certa urgenza di scappare prima che l'assassino venisse a reclamare anche la sua anima, eppure il suo corpo sembrava di aver perso la capacità di reagire. Era assolutamente paralizzata. Quando un'altra serie di spari infranse il silenzio creatosi alla morte dell'uomo, era troppo tardi per fuggire, perché ormai si era fatta decisamente vicina, tuttavia qualcosa nel cervello di Yun mise in moto le sue gambe. Quel qualcosa che sapeva tanto di paura e un pizzico di razionalità. 

Mentre cercava di mettere più distanza possibile tra lei e il corpo senza vita, sentì risuonare delle voci dietro di lei; aveva il fiato corto e sudava freddo, trattenendo le lacrime come si rese conto che finalmente era stata accontentata dalla fortuna, aveva avuto l'opportunità di trovarsi davanti la causa dei lampioni non funzionanti, per dirne una, tuttavia invece che scatenare la sua furia si stava facendo prendere dalla paura. Ironico, ma in sua difesa non aveva tenuto in considerazione il fatto che avessero armi. E che le usassero anche.

Svoltò l'angolo e improvvisamente rovinò contro un corpo massiccio con così tanta forza che di rimando cadde a terra. Non badò al dolore alla schiena mentre alzava la testa e incontrava il volto sereno di un ragazzo. «Presto, scappa!», esclamò istintivamente con voce stridula mentre si rimetteva in piedi. «Hanno sparato contro un uomo e uccideranno anche noi se non ci togliamo da qui».

Il ragazzo fece qualcosa che ebbe il potere di scuoterla: le regalò un sorriso freddo, mentre si portava una mano al mento con fare riflessivo e la guardava con uno sguardo superbo. «Cosa te lo fa pensare?», replicò quindi.

Yun sgranò gli occhi e lo afferrò per un braccio, spronandolo a correre. «Non è il momento di fare l'idiota, corri!», era ad un passo da una crisi di nervi e la mancata collaborazione da parte di quel tizio accresceva la sua inquietudine. Ma non ci teneva alla sua sopravvivenza?

Lo sguardo del ragazzo si fece più affilato e aggrottò le sopracciglia, chiaramente infastidito; aprì la bocca per dire qualcosa, tuttavia una risata proveniente da dietro le loro spalle lo precedette. «Ti ha dato dell'idiota ed è ancora viva», esclamò una voce con tono divertito, smussato dall'affanno. 

«Ha visto morire quella merda ed è ancora viva», replicò una terza voce, più cinica e scocciata. 

Yun voltò il capo e si ritrovò circondata da tre figure, i cui volti erano nascosti nella parte inferiore da delle maschere, lasciando scoperti solo gli occhi. Le maschere erano diverse per ognuno, ma tutte ritraevano la stessa terrificante immagine: una bocca animalesca che sorrideva malignamente. Yun fu attraversata per tutto il corpo da dei brividi, eppure non smetteva di fissarle. Ne sarebbe stata sicuramente incuriosita se la situazione fosse stata diversa e se non fosse capitata dritta nelle mani degli assassini. 

Fu spinta al centro del cerchio, che le figure incappucciate avevano formato, dallo stesso ragazzo che aveva scambiato per una potenziale vittima e in realtà era proprio il carnefice, il quale dal nulla tirò fuori una pistola. Si vide puntare alla fronte, proprio in mezzo agli occhi, l'arma e lottò contro l'impulso di abbassare lo sguardo e piangere, invece si morse il labbro e fissò gli occhi in quelli glaciali del suo futuro assassino. Tanto, che aveva da perdere ormai? «Un incontro breve ma intenso», dichiarò, caricando l'arma con un unico gesto delle dita allenate.

Yun non vide nessun resoconto della sua vita, niente immagini di lei nei suoi momenti salienti, che erano tra l'altro veramente pochissimi. Il suo pensiero però corse al suo gatto Imperatore, si chiamava proprio così, che avrebbe dovuto da allora in avanti provvedere da solo al proprio sostentamento, e basta. Attese, però, un colpo che sorprendentemente non arrivò mai.

Vide con la coda dell'occhio una delle figure rompere le righe, e quindi il cerchio, e imporsi al ragazzo che la teneva nel suo mirino. «Quanta fretta, Monster. Sei sempre così drastico», affermò annoiato, il tono basso e caldo. «Me ne occupo io».

Il ragazzo, o assassino, o Monster, o qualsiasi altro nome preferisse, strinse i denti e dopo un attimo di riluttanza che a Yun parve infinito abbassò l'arma. «Non creare altri casini, V», lo ammonì duramente, incatenando il suo sguardo nel compagno. Era come se i loro occhi stessero comunicando, stringendo quel muto accordo.

«Come se fosse possibile», replicò la stessa voce cinica di prima.

Yun riprese a respirare; non sapeva se sentirsi sollevata di non essere morta o avvilita perché avevano rimandato la sua esecuzione, fatto sta che le gambe non riuscirono più a sorreggerla e la vista le si annebbiò, mentre perdeva i sensi.

V rivolse un'occhiataccia al compagno che aveva appena parlato e con voce atona disse: «Dicevi, Suga?».

  
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