Angolo dell’autrice:
È
un mese che non aggiorno, chiedo scusa! Mi sono goduta le vacanze anche troppo,
quindi torno a lavorare con regolarità.
Spero
che il nuovo capitolo vi piaccia e che abbiate voglia di lasciarmi un piccolo
parere!
Un
saluto a tutti!
Si
fissava insistentemente nello specchio, cercando un solo segno che indicasse
che fosse effettivamente lei e non qualcun altro: sbirciava tra i riflessi dei
boccoli e nei luccichii delle perle fissate lungo le ciocche lisce; spostava lo
scialle a destra e sinistra, coprendo prima una spalla e poi l’altra. In nessun
caso si riconobbe. Era lei, ma al tempo stesso non lo era. Indossava una pelle bellissima
ricamata che tutti i presenti avrebbero sicuramente invidiato, ma la vera lei
rimaneva sempre da qualche altra parte.
In
quel momento non le dispiacque così tanto trovarsi lì. Stava accontentando i
capricci della madre dopo averle negato per anni una risposta affermativa,
eppure stava apprezzando il profumo d’arancio che fluttuava nell’aria e la
musica bassa e delicata che proveniva dal piano inferiore. Ma dover scendere la
grande scalinata della villa del sindaco implicava anche attendere l’arrivo del
figlio chiusa in una stanza da sola, e l’attesa la stava logorando. Voleva
superare al più presto quella stupida formalità, fuggire gli occhi di tutti
coloro che avrebbero guardato, e passare l’intera serata con Dakota e, forse,
con Scar, che le era sembrato di scorgere per un attimo in un angolo.
Quando
sentì la porta aprirsi si voltò, speranzosa che fosse arrivato il suo momento,
ma ad entrare fu Victor. Le fece molti complimenti, lodando quanto fosse bella
con quell’abito e le sussurrò, abbracciandola, buona fortuna, promettendo che sarebbe stato alla base della
scalinata, pronto a prenderla per portarla lontano dalla sala principale a un
suo cenno. Lo vide, fuori dalla porta, prendere per il braccio Eleonore e
scendere giù.
‹‹Eleonore,
non ti sembra un po’ tranquillo? L’anno scorso mi avevi parlato di bambini che
correvano da una parte all’altra e di una grande confusione, anche poco prima
di questo momento…››
‹‹Zitto,
Victor. È da quando sei entrato che continui a lamentarti della tranquillità.
Inizierà tra qualche secondo, è ovvio che ci sia silenzio.››
Victor
si guardò intorno, deglutendo rumorosamente, e scosse le spalle per scacciare
la tensione.
La
discesa fu lenta e tesa. Verity guardò negli occhi ogni ospite, spostando lo
sguardo da un invitato all’altro, imbarazzata e con le guance colorate da un
lieve rossore. Victor era esattamente dove aveva promesso di stare e questo,
seppur solo in parte, la tranquillizzò; Eleonore la guardava soddisfatta e si
passava un fazzoletto sugli occhi, come se avesse le lacrime, e davvero Verity non
ne vedeva il motivo; Dakota le faceva, con finta discrezione, un segno di
approvazione con i pollici mentre, proprio in fondo alla sala, Scar la
osservava sorseggiando qualcosa da un flûte che rifletteva l’arcobaleno.
Pensandoci a posteriori si chiese come avesse fatto a scendere tutti i gradini senza
guardarli nemmeno una volta, ma ne diede il merito al figlio del sindaco,
fissato molto poco discretamente da tutti coloro che non guardavano lei. E
avevano ragione. Era impeccabile nel suo smoking nero, cucito su misura da un
sarto di un’altra città, più grande e famosa della loro, e non si stupì
minimamente di avere tutti gli occhi puntati su di lui.
Ogni
tanto sbirciava verso Verity e sorrideva fulmineo. Impiegava meno di un secondo
e la ragazza al suo fianco non si accorse di nulla. Nemmeno gli invitati
notarono quei sorrisetti, troppo ammaliati dalla bellezza che i due, come
coppia, emanavano. Solo Scar se ne avvide, ma si obbligò a pensare che quel
ragazzo stesse solo progettando di approfondire la conoscenza durante il resto
della serata. Non erano fatti suoi.
‹‹Allora
sono stata brava?›› chiese Verity a Dakota.
La
ragazza trovò che un abbraccio sarebbe stato molto più comunicativo di mille
parole e preferì stringerla piuttosto che farle gli stessi complimenti insipidi
ma sinceri che le aveva riservato la madre. Ammirò però l’acconciatura
elaborata e meravigliosa al tempo stesso, pregandola di insegnargliela in
futuro. Poi la prese per mano e l’accompagnò in giro per i vari salottini che
occupavano il piano terra della villa, approfittando di un momento di
distrazione di Eleonore e del figlio del sindaco.
A
Verity piacquero immensamente. I soffitti erano affrescati con cieli tersi e
angioletti paffuti che giocavano o suonavano strumenti musicali; alle pareti
erano appesi quadri antichi e originali che il primo cittadino aveva
collezionato durante i suoi lunghi viaggi; i pavimenti erano coperti da tappeti
pregiati o da marmi colorati e lucidi; i mobili erano sontuosi e tutti in
legno, decorati con intarsi e piccole sculture; ovunque erano esposte
porcellane, busti, antichi reperti archeologici che sarebbero stati più sicuri
in un museo ma che la moglie del sindaco amava mettere in mostra durante le
occasioni mondane più importanti.
Il
breve tour terminò davanti a un cameriere biondo che serviva flûte di Champagne.
Ebbero appena il tempo di prenderne uno che si trovarono coinvolte in una
conversazione con il figlio del primo cittadino e altre persone sconosciute. Il
ragazzo era un abile oratore, capace di far convergere su di sé l’attenzione
degli interlocutori, modulando la voce già suadente in modo da enfatizzare i
concetti che dovevano essere più importanti. Probabilmente erano argomenti
interessanti, ma Verity, piuttosto che ascoltare e capire, preferì estraniarsi
dalla conversazione, lasciandosi trasportare dalle frasi e dal ritmo cadenzato
delle parole del ragazzo, finendo per rimanere con lui per gran parte della
serata.
Scar,
a distanza, li seguiva con lo sguardo, sempre sorseggiando qualcosa che
sembrava non finire mai. Aveva una sensazione, come un segnale che cercava di
farsi strada nel suo cervello e che, allo stesso tempo, veniva fermato, e tutto
arrivava da quel ragazzo che aveva tanto ammaliato Verity con la sua
parlantina. Le parlava con familiarità, tenendola per il fianco come se fossero
una coppia a tutti gli effetti, stringendole a volte la mano, e lei sembrava
troppo intossicata dalla sua presenza perfino per accorgersi di quanto viscido
potesse sembrare quel comportamento quando non si conoscevano da più di tre
ore.
Per
caso si trovò vicino a Dakota, che già da qualche tempo vagava per i salottini
sperando che l’amica abbandonasse la conversazione per tornare da lei, e le
espresse i suoi dubbi. Lei ne rise allegramente.
‹‹Sei
solo geloso, caro mio. Se ti infastidisce così tanto, vai e portala via.››
Scar
si portò una mano alla fronte.
Le
aveva confessato una preoccupazione e lei l’aveva scambiata per un’infantile
scenata di gelosia, come poteva esistere una maga tanto sempliciotta? Pensò che
le streghe di quella città fossero davvero strane, troppo concentrate su se
stesse per cogliere i segnali, quasi urlati oltretutto, che giungevano da ogni
dove, ma alla fine l’idea che gli aveva suggerito non era tanto male: avrebbe
adempito al suo scopo quantomeno. Prese Verity letteralmente per un braccio e
la portò via, attraversando mezzo piano terra e rifugiandosi nell’ingresso,
sotto gli sguardi attoniti del gruppo in cui stava parlando. Questi però,
rassicurati da una battuta del figlio del sindaco sulla possessività di certe
persone, ritornarono a parlare fitto, dimenticandosi in fretta della ragazza.
‹‹Non
credi che sia eccessivo lasciare che ti tocchi a quel modo, come se fossi di
sua proprietà?››
‹‹Scar,
cosa vuoi?›› Gli chiese indispettita, liberandosi della stretta sul suo braccio
con uno strattone.
‹‹Lui
non mi piace.››
Tra
tutte le frasi che avrebbe potuto dire, tra tutte le scuse che avrebbe potuto
inventare, si chiese come avesse fatto a tirarne fuori una così stupida e
insensata, nemmeno fosse un novellino alle prime armi.
‹‹Scar,
sei geloso di non so cosa?››
Anche
lei. Ma possibile che le donne sapessero collegare ogni comportamento alla
gelosia e che non fossero in grado di pensare a qualcosa di più importante?
Negò
con insistenza quell’affermazione e dopo un po’ anche Verity desistette dal
cercare di farglielo ammettere, anche se continuò ironicamente ad alludervi mentre
parlavano e passeggiavano per le sale insieme a Dakota.
Tenendola
vicino a sé le apprensioni di Scar si affievolirono velocemente, ma rimase deciso
a mantenere i sensi vigili, pronti a captare il minimo cambiamento nell’aria e
nell’umore dei presenti. Anche se si sentiva più sicuro, qualcosa continuava a
turbare la sua quiete. Non proveniva più dal figlio del sindaco ma persisteva,
estenuante. Pensandoci continuamente non avrebbe risolto nulla, lo sapeva in
partenza, ma non riusciva ad allontanare la sensazione che qualcosa stesse per
accadere. Cercò di nascondere al meglio le sue preoccupazioni, concentrandosi
soprattutto sulle parole di Verity, ma i suoi discorsi lo riportavano indietro
alla giovinezza insieme al fratello. Sentiva un dolore lancinante, un tormento
possessivo perché per una sola, piccola ragazza, anche se certamente bella e
piacevole, erano nati un conflitto e un odio mai placati completamente. Anzi,
ogni generazione aveva alimentato, a modo suo, la cattiva fiamma. Eppure Verity
lo affascinava: così fragile nella sua bellezza insicura, così semplice e
ingenua nello sguardo smeraldino. Considerato tutto, era ovvio che suo fratello
si fosse innamorato di lei alla follia.
La
serata stava quasi volgendo al termine quando il sindaco propose un ultimo
ballo per concludere e la maggior parte delle ragazze esultò, felice di poter
volteggiare ancora una volta con il proprio accompagnatore. La maggior parte
tranne Verity, che sarebbe volentieri tornata a casa tanto era stanca e
assonnata, ma che accettò lo stesso l’invito di suo padre.
‹‹Ti
sei divertita, tesoro?››
Lei
sorrise e annuì, ma durò poco: ‹‹Papà, continui a guardarti intorno come Scar.
Cosa non va?››
Lui
negò ridendo, ma quando il figlio del sindaco si fece avanti e la lasciò
ballare con lui, li osservò allontanarsi con un velo di preoccupazione sulla
fronte e sobbalzò quando un tuono squarciò il cielo con il suo fragore. Si
allontanò dalla finestra, da sempre spaventato dal rombo dei temporali, e si
affiancò a Scar. Entrambi avevano la stessa sensazione negativa e, mentre fuori
la pioggia scendeva sempre più violenta e rumorosa, fissarono intensamente il
figlio del sindaco, troppo affabile per essere il bambino che aveva conosciuto
anni fa secondo Victor e troppo diverso dagli altri per essere addirittura un
umano secondo Scar.
Un
altro tuono e un fulmine vibrarono nell’aria e tra gli ospiti in disparte
cominciarono a susseguirsi mormorii e lamenti preoccupati perché il rumore
sembrava essere diventato più forte e, soprattutto, più vicino. All’improvviso
un fulmine cadde proprio nel cortile della villa, illuminandolo a giorno, e
spaventando tutti i presenti: i musicisti interruppero il valzer e i camerieri
si fermarono in mezzo alle stanze mentre la luce andò via, lasciando tutti al
buio. Certo, era solo un temporale e non erano rari in quel periodo dell’anno,
ma mai avevano visto e sentito una tale furia provenire dal cielo. Dopo i primi
attimi di paralisi però i maghi e le streghe crearono ciascuno un piccolo fuoco
fatuo, in grado di illuminare l’ambiente come prima.
‹‹Scar!››
disse Dakota stringendo il braccio del ragazzo. ‹‹Non trovo Verity… Era
nell’altra stanza ma adesso non c’è più e ho già girato quattro stanze qua
sotto…››
‹‹Si
sarà nascosta per lo spavento, tra qualche secondo tornerà.››
Ma
Dakota aveva il viso pallido e gli occhi sgranati, appena illuminati dal fuoco
che le vorticava a fianco. Scar e Victor vi aggiunsero i propri, rendendolo più
forte e luminoso, e si fecero dire precisamente dove l’avesse vista l’ultima
volta prima che saltasse la luce. Verity aveva cambiato stanza, era vero, ma
Dakota non l’aveva persa di vista un solo secondo, anche lei contagiata da
quella strana apprensione che si respirava stando con i due uomini. Ma erano
bastati quei pochi, insignificanti secondi e lei era scomparsa nel nulla, per
questo si era rivolta a loro e loro non avevano la minima idea di dove potesse
essere finita.
‹‹Edward,
lasciami! Dobbiamo rimanere giù con gli altri invitati, sarebbe meglio, non
credi?››
‹‹Per
te, sicuramente›› ghignò appena, cercando di darsi un contegno per non
spaventarla ulteriormente mentre la trascinava su dalle scale di forza,
tenendole una mano sulle costole e una intorno al polso sottile. Bastò pensarlo
e la porta che dava sulla terrazza si aprì e si trovarono investiti dalla
pioggia scrosciante. Da quando aveva iniziato a cadere la sua intensità era
aumentata ed Edward ne respirò a pieni polmoni l’odore: si sarebbe
complimentato con Veuliah per l’ottimo lavoro svolto. Lasciò andare Verity, che
scivolò sul pavimento e cadde a terra, rimanendo a fissarlo dal basso, troppo
sconvolta per trovare la forza di muoversi.
‹‹Edward,
cosa sta…››
Il
ragazzo la guardò sorridendo, mettendo in mostra i denti bianchissimi, e mosse
le dita lungo la gamba come se stesse suonando i tasti di un pianoforte
invisibile. Lenti e silenziosi, sottili fili di magia uscirono dalle fughe del
pavimento e si arrotolarono intorno ai polsi e alla caviglie di Verity, che
provò a divincolarsi per liberarsi.
‹‹Non
credi che fidarsi degli sconosciuti sia pericoloso? Io l’ho sempre pensato. Mai
ballare con chi non conosci: potrebbe pestarti i piedi o annoiarti a morte. E
poi, ti hanno avvertita in tutti i modi i tuoi amici, possibile che tu non li
abbia ascoltati? Sei già stata attaccata una volta…››
La
demone di tante sere prima si materializzò nella mente della ragazza e la
conclusione fu una sola: lui, come lei, voleva ucciderla e probabilmente questa
volta ci sarebbe anche riuscito. Nessuno avrebbe potuto salvarla da lì poiché
nessuno l’aveva vista allontanarsi.
Intanto
nuovi fili di magia si erano attorcigliati intorno al collo mentre quelli già
esistenti si stringevano sempre più risalendo lungo le braccia. Verity si
rimproverò di non aver dato ascolto a Scar mentre sentiva rivoli di sangue
fresco scivolare e li vedeva macchiare il vestito chiaro, mescolandosi alle
lacrime salate che precipitavano dalle guance. Il demone si voltò verso la
porta, come se aspettasse qualcuno: li sentiva arrivare e rideva malignamente
dentro di sé.
Scar
infatti aveva girato tutte le stanze una seconda volta prima di percepire
qualcosa di più definito di quella sensazione di pericolo: c’era magia oscura,
corrotta, che si diffondeva nell’aria leggera e che permeava i muri di quella
villa. E il centro era uno e uno soltanto ed era proprio sopra di loro. Aveva
chiamato Dakota e Victor, ordinando loro di seguirlo. Si era poi precipitato su
per la scale, prestando in realtà ben poca attenzione se i due fossero dietro
di lui e pregando chiunque gli venisse in mente di proteggerla, anche se
probabilmente era inutile. Pregare era ormai diventato un parlare vano. Sarebbe
dovuta morire lo stesso per prendere il post di Mary, ma non in quel momento.
Spalancò
la porta e tirò un sospiro di sollievo: lei era ancora lì, ancora cosciente e
viva. La magia, anche se il demone guardava dalla loro parte, agiva e la
trasportava verso il parapetto, avvinghiandosi come un tralcio di vite. Eppure
la ragazza respirava e sembrava aver capito che agitarsi avrebbe solo aumentato
la stretta, ma l’unica cosa importante era che respirasse: fino a quel momento
sarebbe stati sicuri che fosse viva.
Edward
mostrò i canini a Scar, emettendo uno spaventoso ringhio gutturale, come fosse
una bestia pronta a caricare il nemico. Dakota e Victor, ancora dietro il
ragazzo, indietreggiarono di un passo mentre Scar ne fece uno in avanti. Si
fissarono a lungo mentre Verity, appena cosciente di quello che accadeva,
mugugnava per il dolore dei tagli, brucianti al contatto con la pioggia e le
sue lacrime salate. I due cercavano punti deboli, sondando le reciproche
intenzioni, ma alla fine entrambi cedettero: gli angeli non lasciavano trasparire
le proprie debolezze in battaglia.
‹‹Scar,
non fare un passo in più o la tua amichetta non farà una bella fine e dalle sue
labbra non passerà nemmeno il più flebile dei sospiri.››
Scar
era indeciso: attaccarlo significava correre il rischio che la ragazza morisse,
ma rimanere inerte l’avrebbe uccisa allo stesso modo. Si concesse un secondo
per osservarla. I polsi erano pieni di tagli e sanguinavano copiosamente, il
collo era graffiato, come se in quel punto non fossero solo fili ma corde
ruvide. La magia si era intrufolata sotto la gonna e non si sarebbe sorpreso di
trovare tagli e sfregi anche sulle cosce intorno alla vita. Piangeva per il
dolore e per la paura. Non doveva morire, era chiaro come il sole. C’era, da
qualche parte, la mossa giusta da fare, ma quale? I secondi passavano e lui era
sempre più dubbioso: in tutte le tattiche che scorreva nella mente era sempre
presente una falla, un minuscolo dettaglio che la rendeva inutilizzabile. Quel
pensare frenetico però lo distrasse e mentre lui si concentrava solo su Edward,
non si accorse di quello che facevano le due persone dietro di lui. Troppo
concentrato non percepì Dakota, resa invisibile da una delle magie di Victor,
scivolare dietro di lui e raggiungere Verity; non vide Victor compiere lo
stesso incantesimo su se stesso e avvicinarsi a Edward da dietro. Lui però se
ne accorse. Anzi, lui li vide nonostante la magia e li lasciò agire
indisturbati fino a che la ragazza non toccò Verity e credette di poterla
salvare.
Chiuse
gli occhi e schioccò le dita con un ghigno.